Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Eleven    27/06/2008    9 recensioni
Seconda classificata al concorso Quotation Fest indetto dal forum Mischief Fangirl.
« Perché, tu chi sei? »
« Oh, che stupido, io sono George, piacere. »
Tese una grande mano sopra al bancone e Daphne, con ancora la brocca nella destra, la strinse con la sua sinistra, seppure con un po' di difficoltà.
« Daphne. Non ci siamo già visti da qualche parte? » chiese, studiandolo.
George rise: « È quello che mi dicono tutte. » rispose con un ampio sorriso.

A discapito della citazione, questa shot è una GEORGE/PANSY.
Buona lettura, Eleonora.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Daphne Greengrass, Draco Malfoy, George Weasley, Pansy Parkinson, Theodore Nott
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Salve a tutti. Questa fic è stata scritta per il 1° concorso di fanfic indetto dal forum Mischief Fangirl, il Quotation Fest, nel quale ha raggiunto il secondo posto.

Ho aggiunto in fondo alla pagina il link al sondaggio che decreterà i vincitori, nel caso qualcuno abbia piacere di votarla ^.^.

Il titolo deriva dal commento di una mia lettrice accanita, che al sentire nominare il pairing di questa mia creazione ha dichiarato ‘Impossibile!’. Questa stessa ragazza, poco più di una settimana dopo, ha scritto una drabble George/Pansy. Mi piace pensare che ciò che era impossibile immaginare, sia per lei che per la protagonista di questa storia, sia diventato più che possibile ^.^


A Bella

che non sa ancora quanto mi è mancata,

e a Morena

perché più la conosco e più la amo.



§ Unimaginable §

[Il Sorriso e La Pioggia]




Rumore di gente che andava e veniva, di chiacchiere stanche e apparentemente euforiche. Questo si respirava in quel bar nel centro della Londra magica, posto proprio lì dove le migliaia di maghi che si dirigevano in ufficio o al Ministero, dovevano fare sosta obbligata.


Il Sunny Days.


Pansy rideva sprezzante ogni volta che le capitava di pensarci. Pioveva sempre, da che l'avevano assunta.


Ogni volta che la porta si apriva ed il campanellino appeso al soffitto suonava, un soffio d'aria invernale entrava insieme ai nuovi clienti.


Nuovi. Anche su questo ci sarebbe stato da dire! I clienti erano quasi sempre gli stessi, tranne la sera. Ma pochi sceglievano di passarla al Sunny Days.

Ad alcuni ricordava il caffè mattutino prima di andare al lavoro, per altri c'era troppa poca musica, altri ancora lo ritenevano un locale per ragazzi sfaccendati.


Niente di più falso, pensava Pansy. Con i ragazzi sfaccendati ci sarebbe andata a nozze. Invece, specialmente alla mattina, da lì passavano quasi solo vecchi. Vecchi, ovviamente, secondo i suoi parametri.


Fortunatamente, Daphne Greengrass passava spesso a salutarla e lo stesso Theodore Nott, che l'aveva tanto infastidita con la sua corte durante gli anni di scuola, portava ora un po' di vitalità alle sue giornate.



Seduta su uno sgabellino dietro al bancone, Pansy era intenta a leggere un giornale, dando ogni tanto un'occhiata annoiata alle sue unghie smaltate di rosso: non erano ancora asciutte. Trovò la pagina dei giochi enigmistici e portò le gambe dal piano del lavandino, dove le aveva appoggiate, a terra, per guardarsi meglio attorno, alla ricerca di una penna.


« Cerchi qualcosa, Pansy? »


La voce dell'altra cameriera la raggiunse come ovattata, data la concentrazione con cui scrutava tutto il bancone e dintorni.

E meno male, pensò Pansy, perché aveva una voce davvero terribile. Metallica e forzatamente acuta. Anche la sua voce lo era abbastanza, ma di certo non si metteva d'impegno per raggiungere gli ultrasuoni!


« No, trovato. » si sforzò di rispondere cortesemente.


Più che altro perché quella sarebbe stata capace di farla sbattere fuori in cinque minuti; Pansy ci avrebbe scommesso tutto il suo conto alla Gringott che se la faceva con il proprietario.


Sbuffò leggermente, portandosi la penna appena scovata alla bocca. Strinse le labbra attorno ad essa e tornò ad accomodarsi nella posizione precedente, riprendendo la pagina dei giochi su cui aveva tenuto il segno con l'indice.


I giochi enigmistici erano il suo passatempo segreto da anni. Una delle poche cose utili create dai babbani, a suo parere. Oltre a sigarette, vodka e rossetto, ovviamente.


Le sue sottili e curate sopracciglia nere s’incresparono per la concentrazione, mentre i rumori attorno a lei divenivano sempre più fiochi fino quasi a sparire.


Già, per questo i giochi enigmistici erano il suo passatempo prediletto, assorbivano la sua mente impedendole di pensare o anche solo sentire tutto il resto.


Percepì solo vagamente la risata sguaiata e fintamente contenuta della ragazza dai capelli biondi che sedeva sempre nell'angolo della sala con una sua amica, il rumore di un bicchiere fatto cadere sbadatamente dalla sua collega, il chiacchiericcio fitto di quei due omosessuali al tavolo uno, il campanellino e lo sbattere violento della porta... La porta?


Alzò gli occhi dal giornale e scattò contemporaneamente in piedi. Se si fosse trattato del proprietario non si sarebbe dovuta far trovare così.


Fortunatamente - o sfortunatamente, secondo i punti di vista, - per lei, non si trattava del proprietario.


Senza dire una parola, un ragazzo abbastanza alto dai capelli biondi, la pelle diafana e gli occhi grigi entrò nel bar, fece il giro del bancone e raggiunse Pansy.


« Ehi amico, che stai facendo?! »


La ragazza sorrise amara. Quello era il commento di uno che non ci era venuto spesso, al Sunny Days. Perché scene come quella che stava per avvenire ne succedevano parecchie.


Lei lasciava che accadessero.



Sollevò lo sguardo fino ad incontrare i suoi occhi; sperando, come ogni volta, di trovarvi qualcosa di diverso.


Glaciali. Come sempre.


No, solo chi non conosceva bene Draco Lucius Malfoy poteva definire i suoi occhi grigi. Gli occhi di Draco erano incolori. Lo sapeva, Pansy, che non avevano un colore.

Un colore, un qualsiasi colore, sarebbe stato troppo definito per lui, troppo limitativo e vitale, troppo simile ad una scelta.


E Draco Malfoy non era fatto per le scelte.


Si barcamenava tra il lavoro inesistente che fingeva di avere, le innumerevoli paure che fingeva di non avere e le migliaia di ragazze che non si disturbava neanche di nascondere.


Era il suo passatempo preferito - anche se non tanto segreto.


Meglio i giochi enigmistici, decisamente.


Chiuse gli occhi quando, sollevandole il mento con la mano, il ragazzo si appropriò scortesemente delle sue labbra.


Ora le sentiva distintamente le risate, il chiacchiericcio e il tintinnio del campanello. Si era aggiunto il rumore delle unghie di una ragazza che nervosa le tamburellava distrattamente sul bancone e il piccolo 'din, din, din' di un cucchiaino contro una tazzina ad ogni giro. Doveva essere qualcuno poco perfezionista, per fare tutti quei rumori così aritmici senza neanche farci caso.


Pensa, Pansy, pensa a qualcos'altro. A qualunque cosa, d'altro.


« Ci vediamo domani sera? »


Chi ti dice che io sia libera domani sera?, avrebbe voluto dirgli. Ma si sarebbe risposta da sola. Lei era sempre libera per lui.


Non poteva farne a meno. E il suo solo mezzo di difesa era non dargli in ogni momento con lui quella supremazia assoluta che aveva assunto nella sua vita in generale.


Se Draco Malfoy regnava nei suoi pensieri, i suoi baci sarebbero stati osteggiati da mille altre cose più interessanti. I rumori del bar, per esempio.


Senza aspettare una risposta, le lasciò un bacio veloce sul collo, lasciato scoperto dal caschetto perfetto, sussurrando un semplice: "Da me."


Pansy annuì ad occhi chiusi, forse al vuoto. Aspettò di sentire nuovamente lo scampanellio e la ventata d'aria fredda, prima di riaprirli. E che il rumore di pioggia uscisse dal bar insieme a lui.




« Poco gentile, il biondino. » Si intromise una voce divertita e piuttosto bassa che proveniva da un posto poco distante da lei.


Alzò lo sguardo per incontrare l'ampio sorriso di un ragazzo seduto su uno degli alti sgabelli al di là del bancone. Aveva capelli rossi lunghi quasi fino alle spalle, occhi color nocciola e un naso piuttosto pronunciato; doveva averlo servito quella, perché aveva davanti una tazzina di caffè sulla quale faceva girare noncurante l'indice della mano destra, muovendo conseguentemente il cucchiaino all'interno della tazza.


Causando un rumore aritmico.


« E lei molto discreto. » gli rispose stizzita, anche se apparentemente calma, con le braccia incrociate al petto.


« Oh, dammi pure del tu. » replicò quello.


« Perfetto. » - replicò Pansy. - « Perfetto, tu dammi del Lei. »


Aveva dipinto sul volto un sorriso storto che avrebbe fatto saltare i nervi a chiunque, mentre lo diceva. L'animo da Serpeverde non si era consumato in quei sette anni, né durante la fine della guerra.


Ma il ragazzo non sembrò farci caso. Con un'alzata di spalle, finì il suo caffè.


« Sembra una abituata a non lasciare spazio alla gente, Lei. » - sottolineò il pronome.


« E tu sembri uno adatto all'aerodinamica e alla filosofia spicciola. » - sbuffò. - « Sono novanta zellini. »


« Ehi, mi sta sfrattando signorina? »


« Ti faccio notare che hai finito il tuo caffè. » - rispose con lo stesso sorriso sulla bocca. - « Non hai motivo per restare. »


Pansy vide le labbra dello sconosciuto schiudersi per replicare e poi richiudersi.


Salutò con un cenno del capo e se ne andò lasciando i novanta zellini sul bancone.


Aveva vinto lei.


Per quella volta.


* * *




Tornò spesso al Sunny Days, quel ragazzo.


Prese, come tanti, l'abitudine di passarci giornalmente per il caffè. Secondo Pansy Parkinson, doveva essere masochista.


C'era chi amava prendere ogni mattina un caffè e un cornetto, un latte con brioche, o un tè e due chiacchiere tra amici... Lui, evidentemente, amava accompagnare il suo caffè ad una dose giornaliera di frecciatine acide.


Oh, Pansy era la regina delle frecciatine acide!


Ormai, ogni volta che il campanellino suonava distogliendola dalla sua 'occupazione disoccupata', come amava definirla Daphne, un ghigno malefico s’insinuava sulle sue labbra, al pensiero del suo sfogo-divertimento imminente.


« C'è ancora un po' di frullata, per caso? »


Quella richiesta riportò Pansy alla realtà.


Daphne. L'unica ragazza in grado di bere dei container di frullato alle fragole di prima mattina.


Si girò svogliatamente e prese la brocca del frullatore, dentro cui faceva bella mostra di sé ancora un terzo del liquido rosato.


« Se continui così alla fine dell'anno mi sentirò in colpa. » - sentenziò Pansy. - « Hai idea di quante calorie contenga, quella roba? »


Daphne alzò le spalle, immergendo nuovamente la cannuccia fucsia nel bicchiere appena riempito.


« Taci, che è per far del bene. »


Pansy si accigliò, osservando l'amica che si gettava vorace sulla sua bevanda.


« E quale sarebbe, il bene? »


« Fare compagnia a te! Non vorrei poi che ti sentissi in imbarazzo, se fossi solo tu a fare colazione. »


La mora lanciò un'occhiata al suo caffè nero e, con un sopracciglio inarcato, emise uno sbuffo divertito. Per fare compagnia a lei, certo. Era noto quanto il caffè nero dispensasse migliaia di calorie... se non di più.


Decisamente notevole come Daphne riuscisse sempre a trovare giustificazioni che non la riguardavano affatto per fare ciò che voleva, pensò.


Fece una smorfia arricciando il naso, a cui la bionda rispose con un'altra alzata di spalle per poi tornare al suo frullato.


Probabilmente era la cosa più vicina ad una manifestazione d'affetto che poteva esserci tra loro.


Il campanellino suonò di nuovo.


Un ragazzo piuttosto alto, dalle spalle larghe e la postura decisamente poco spavalda, si guardò intorno all'interno del locale, mentre chiudeva la porta con una mano alle sue spalle. Aveva capelli neri piuttosto corti e folte sopracciglia sempre aggrottate come se fosse estremamente concentrato.


S’illuminò vedendo la lunga chioma bionda di Daphne ondeggiare davanti al bancone, mentre lei si sistemava meglio sulla sedia, ma ancora di più incontrando lo sguardo di Pansy, che stava bevendo il suo caffè e si fermò un momento prima di riprendere e, con un lungo sorso, terminarlo.


« Ave, popolo. » - disse solenne, raggiungendole. - « Che si dice da queste parti? »


« Il solito. » - rispose Pansy, girandosi a riporre la tazzina nel lavandino. - «Vuoi aiutare Daff a prosciugare la caraffa? »


« Sai che il frullato di fragole non fa per me. » - replicò con una smorfia, per poi riprendere con aria suadente. - « Hai qualcos'altro, da offrirmi? »


Pansy assunse un'espressione di sufficienza e aggirò il bancone con un blocchetto e una penna per raggiungere il tavolo dove un mago piuttosto anziano teneva un braccio alzato per chiamarla.


« Come no, Theò! » - disse allontanandosi, fingendo di non aver colto la provocazione. - « Là appeso c'è il menu! »


Theodore la osservò dirigersi verso il tavolino, la gonna di semplice tessuto blu che frusciava contro le sue gambe e i capelli che ad ogni passo parevano sussultare per poi ricomporsi perfettamente nella posizione precedente.


Sentì il lontano « Desidera? » che la ragazza rivolse al mago là seduto, e si voltò verso il menu nel momento esatto in cui la porta si apriva di nuovo.


« Non te la darà mai, Theo, rassegnati. » sussurrò Daphne, emettendo poi dei rumori orribili per recuperare ogni goccia di frullata rimasta in fondo al bicchiere.


« Gentile, Daphne, davvero gentile. Pansy si accorgerà prima o poi che Lui non fa per lei. Fino ad allora non mi dispiace, farle da amico. » - rispose senza smuovere lo sguardo dal menu. - « Si può fumare, qui dentro? »


La ragazza alzò gli occhi al cielo, annoiata.


« Lo chiedi tutte le volte e no, Pansy non può farci niente; devi andare a fumare fuori. »


« Ma fuori piove. » grugnì Nott.


« Vorrà dire che ti si spegnerà la sigaretta e sarà la volta che smetti. »


Daphne girò attorno al bancone per appropriarsi definitivamente della caraffa di frullato, mentre Theodore usciva bofonchiando qualcosa d’incomprensibile.


Il ragazzo dai capelli rossi che era entrato poco prima, e che era rimasto in silenzio fino ad allora, si rivolse alla bionda con molta disinvoltura, nonostante non avesse stampato in viso quel sorriso estremamente divertito che lo contraddistingueva.


« Scusa! » - esclamò per attirare l'attenzione di Daphne. - « Quella ragazza... » - disse puntando l'indice verso la mora che era passata a chiedere le ordinazioni anche degli altri tavoli. - « ... Si chiama Pansy? »


« Sì. » - disse confusa Daphne. - « Perché, tu chi sei? »


« Oh, che stupido, io sono George, piacere. »


Tese una grande mano sopra al bancone e Daphne, con ancora la brocca nella destra, la strinse con la sua sinistra, seppure con un po' di difficoltà.


« Daphne. Non ci siamo già visti da qualche parte? » chiese, studiandolo.


George rise: « È quello che mi dicono tutte. » rispose con un ampio sorriso.


« Certo. » commentò senza badarci troppo la bionda, ansiosa di tornare al suo frullato.




« Daff, sei proprio senza fondo! » commentò una voce femminile, mentre lei finiva di versare tutta la bevanda nel bicchiere.


La biondina alzò il volto con tranquillità, mentre Pansy faceva poggiare sul bancone il vassoio con i bicchieri e le tazze sporche che aveva fatto levitare fino a lì.


Si fermò un attimo, nel vedere il ragazzo, che seduto comodamente sullo sgabello, una gamba poggiata a terra e una sull'apposito tubicino metallico, sembrava attendere proprio lei.


« Oh, » - mormorò Daphne deglutendo la sua droga rosa, - « questo è George, Pansy. È arrivato poco fa. » spiegò mentre i due si fissavano negli occhi.


I suoi erano caldi e ridenti, osservò Pansy. Tutto di lui rideva. Sembrava quasi che si prendesse gioco della sua situazione infelice. Oh sì, perché lei era parecchio infelice. Salvava le apparenze, certo, ma ogni volta che usciva da quel bar... Beh, si sentiva vuota e pronta a servire Lui. In fondo, di lì usciva quasi sempre o con lui o per lui.


Quando lui lo voleva, sopratutto.


E poi non era una buona stagione per uscire, si ripeteva. Pioveva sempre.


« Lo conosco, Daff. » - disse infine. Poi tornò dietro al bancone e sfrattò la sua amica, che dovette terminare il suo frullato dalla parte dei clienti. « Il solito? » domandò rivolta a George.


« Sì, Pansy. » rispose quello senza interrompere il contatto visivo.


La ragazza imprecò mentalmente: stava per chiedergli come sapeva il suo nome, ma quell'idiota di Daphne l'aveva appena pronunciato.


George, pensò. Un nome comune. Si sarebbe aspettata qualcosa di più originale, da un tipo del genere.


Sicuramente si era messo a strillare che voleva cambiare nome non appena aveva imparato a parlare.


« Non dovevi darmi del Lei? » chiese voltandosi a preparare il caffè - e le frecciatine acide.


« Per oggi facciamo un'eccezione? » - propose lui. - « Bisogna festeggiare! »


Pansy corrugò la fronte, perplessa. Quello strano individuo stava per spararne una delle sue.


« Festeggiare che cosa? »


« Oggi ho scoperto il tuo nome! »


Allora rise piano, osservandolo. Sembrava un bambino a cui avevano appena regalato la prima bacchetta.


Daphne osservava allucinata la scena; che diavolo aveva Pansy da ridere? Quel tizio la faceva divertire tanto? Finì di emettere i suoi rumori assurdi osservandolo attenta, poi si sporse per posare il bicchiere nel lavandino, rendendosi conto solo allora di quanto fosse piena.


« Ringrazia Daphne per questo. » - disse Pansy prima di tornare ai tavoli con le varie bevande che le galleggiavano a fianco, insieme a un paio di brioche. - « Daff, dagli il suo caffè. » terminò andandosene.


La ragazza stava scendendo dal suo sgabello quando George la trattenne con una mano sul suo braccio.


« Stai pure lì tranquilla, deve darmelo lei. »


Daphne si accigliò.


« Come? »


« Deve servirmi lei. » rispose candidamente.


« E perché? »


« L'aerodinamica mi ha prosciugato il cervello. » disse annuendo apparentemente convinto.


Sempre più confusa, Daphne Greengrass si alzò per raggiungere l'amica al tavolo quattro - quello della ragazza sguaiata – e riferirle le parole del rosso.


George, invece, girò appena sullo sgabello per osservare la scena. Vide la bionda richiamare l'attenzione di lei e dire qualcosa grattandosi intanto la testa con fare pensoso. Ma il sorriso che premeva per affiorare comparve luminoso al lieve ghigno che le parole di Daphne causarono sulle labbra di Pansy.


Lui sorrideva per tutto, in realtà. Ma in maniera particolare per i suoi successi. E quello... Sì, quello era un suo piccolo successo.


Aveva notato quanto poco sorridesse quella splendida ragazza. L'aveva sognata sorridere e si era chiesto dove fosse la differenza, perché in sogno la vedesse più bella.


Magnifici denti bianchi si mostravano tra quelle labbra rosse, che incurvate in un sorriso parevano più vere. Gli occhi... Quegli occhi così neri e profondi, non erano più stanchi e svogliati, ma brillanti e lucenti. Lei era illuminata da una luce nuova.


Non onirica, reale.


Così doveva essere Pansy. È così sarebbe tornata.


« Allora, signor filosofo, preferisci un caffè freddo servito da me, ad un caffè caldo da qualcun'altro? »


« Questa è la mia filosofia: se qualcosa ti viene dato da chi vuoi tu, sarà sempre migliore. »


« Filosofia interessante. » - ghignò Pansy. - « Anche perché non avevo intenzione di rifartelo. Novanta zellini. »


George scosse il capo, accettando la tazzina dalle sue mani.


« Perché non provi ad applicarla col biondino? »




Pansy si irrigidì all'istante. Quello era un argomento che non avrebbe dovuto toccare.


Sapeva benissimo che quei baci e quelle attenzioni che le dedicava sarebbero state migliori in un altra condizione.

Nella condizione in cui lei non era il ripiego o l'amante preferita. Nella condizione in cui era lei a scegliere come e quando. Ma chi... Non era pronta a scegliere chi. Per lei, il 'chi' era sempre stato Draco.


Non rispose, ed aspettò che lui finisse di bere per togliergli la tazzina da davanti e mettere anche quella nel lavandino, raccogliere i soldi posati sul bancone e lanciargli un'occhiata penetrante.


Piena di rancore, rabbia... Ma anche dolore.


Lo osservò andare via, fino a che non scomparve oltre la vetrina. Aveva sbattuto contro Theodore, che stava rientrando.


Pansy lanciò uno sguardo a quello sgabello vuoto, senza realmente sentire la voce di Daphne alla sua destra.


Quella volta, non aveva vinto nessuno dei due.




* * *





Quella settimana, George dovette prendere il suo caffè senza frecciatine acide.


Pansy decisamente non era dell'umore.


Lui, però, non perse l'abitudine di tornare al bar tutte le mattine, entrare col sorriso, chiedere il solito, osservare attentamente la cameriera e andarsene dopo un po' lasciando lì i suoi novanta zellini.


Quel giorno aveva tentato di parlarle; era tornato davvero al Lei, cosa che Pansy non l'avrebbe mai pensato.


Era scesa dal suo sgabello dietro al bancone per servire ai tavoli, lasciando il giornale vicino alla cassa. La pagina dei giochi enigmistici risaltava, aperta, accanto all'oroscopo.


« Legge l'oroscopo? » le chiese il ragazzo appena fu tornata.


Pansy assunse un'espressione confusa, smarrita. Poi seguì il suo sguardo e capì; il suo segreto giaceva abbandonato sul bancone. Vicino ad una pagina su cui si distingueva chiaramente l'immagine di una grande bilancia.


La sua riservatezza le impose di sforzarsi di distendere i lineamenti del viso ed impedire a quel ragazzo di conoscere tanto di lei così presto.


« Sì, tutti i giorni. » rispose tentando di apparire svagata, riappropriandosi del giornale.


« E ci crede? » chiese ancora lui, sorridendo.


« Scommetto che tu credi a cose decisamente più stupide. » replicò acida, voltandosi per fare un caffè.


« Probabile. Perché lo fa? »


« Sai, ho spesso del tempo da occupare. Qui siamo in due e a me piace sfruttare gli altri. » - sfoderò un ghigno. - « E poi sto qui tutto il giorno. »


George lanciò un'occhiata alla porta, proprio mentre Daphne, chiudendo un delizioso ombrellino azzurro, stava per aprirla.


« E non esce mai? »


La ragazza si irrigidì. Quello era di nuovo un argomento da non toccare.


« Poco. »


« Perché? »


Perché le stava facendo quelle domande, piuttosto.


« Piove. » borbottò semplicemente, come fosse la risposta più logica e una causa ragionevole.


« Buongiorno! » trillò allegra Daphne, salendo sul suo trespolo e togliendosi la giacca. George fece un cenno col capo in risposta, mentre Pansy senza nemmeno girarsi tirava fuori il frullatore.


« Esistono gli ombrelli. » osservò Gorge, riprendendo il discorso di prima.


« Non ho ombrelli. Sono scomodi e non mi servono. »


« Quello che vuole dire... » - si intromise Daphne, - « È che la rendono meno elegante. » spiegò annuendo convinta.


Pansy le rifilò un'occhiataccia da sopra una spalla, visto che il rumore causato dal frullatore non era stato sufficiente a coprire la voce dell'amica. Quella era un'idiozia che le aveva propinato per farla tacere riguardo alla sua riluttanza ad uscire con la pioggia. Veramente, ad uscire in generale. Ultimamente pioveva sempre.


« Sono sicuro che sarebbe meravigliosa comunque. »


La ragazza si accigliò, e smise di tenere in funzione il frullatore.


« Tu, invece, saresti decisamente più carino se sapessi vestirti. » sibilò per poi riprendere immediatamente a fare vorticare ciò che rimaneva delle fragole. Ormai, appena Daphne entrava, entrava anche in funzione il frullatore.


« Ama gli uomini eleganti? » le chiese divertito George.


Pansy tacque. Probabilmente Daphne stava pensando che lei amava un uomo elegante; Pansy pregò perché non lo dicesse.


Il frullatore segnalò con un 'biiip' prolungato che aveva terminato il suo lavoro, Pansy afferrò al volo la scusa per non rispondere.


« Fatto. » disse. Prese un bicchiere dalla credenza in alto davanti a lei, si voltò verso il bancone badando attentamente a non incontrare quel paio di occhi nocciola, poggiò il bicchiere sul tavolo e lo riempì.


« Buon appetito. »


« Tu non fai colazione? » chiese preoccupata Daphne.


« Questo non vuol dire che tu non possa farla. » - ghignò sadica Pansy. - « Ti do il permesso di riempirti di calorie. Dov'è Theò? » chiese. Nott l'avrebbe tirata fuori da quella situazione, l'avrebbe fatta distrarre con qualche tentativo di flirt.


« Oh, è fuori. » - rispose allegra la biondina sporgendosi per prendere una cannuccia dietro al banco. - « Spiaccicato sotto la veranda, come al solito. »


« Spiaccicato? » chiese interessato il ragazzo.


« Sì, sta fumando una sigaretta, ma ha paura. » - ridacchiò. Aveva un luccichio negli occhi che sembrava voler dire 'Grazie a me!'. - « Ha paura che si spenga. »




* * *





Per qualche giorno non toccarono più quell'argomento. Le battute e le provocazioni si susseguivano e si sprecavano, ma delle uscite di Pansy non si parlò più.


« Il solito caffè? » chiese spiccia e nervosa non appena il rosso fece la sua comparsa sulla porta del bar.


Pansy era sempre nervosa quando aspettava qualcuno. Specialmente quando quel qualcuno era un qualcuno in particolare.


Si portava continuamente ciocche inesistenti dietro alle orecchie, si voltava continuamente da dietro il banco verso la porta o i tavoli, si rilassava solo mettendo mano ai suoi fedeli giochi enigmistici, che dovette abbandonare sul lavandino per preparare il caffè a George.


Posò soprappensiero la tazzina davanti a lui, mentre lo sentiva blaterare qualcosa che in quel momento avrebbe tanto voluto ascoltare, ma su cui proprio non riusciva a concentrarsi.


« Pansyyyy! » - trillò la voce insopportabile della sua collega. - « Sono contenta che chiacchieri un po', almeno ti scolli da quel giornale, ma puoi servire il tavolo dueee? »


Per Merlino, che qualcuno le dicesse che se si fosse avvicinata avrebbe sforzato di meno le sue preziose corde vocali!


George sorrise, come al solito, vedendola sbuffare, sempre più nervosa grazie all'amorevole intervento di quella, come ormai aveva preso a chiamarla nella sua testa.


« Perché, che stava facendo prima che arrivassi? » chiese curioso non vedendo giornali sul bancone.


« Stavo leggendo il mio oroscopo e c'era scritto 'incontrerai un uomo seccante oggi. Dagli il suo caffè e se ne andrà'. Io ti ho dato il tuo caffè. » replicò acida.


« Ahi, siamo peggio del solito oggi, eh? »


Pansy non rispose, mentre l'irritazione cresceva dentro di lei. Non era possibile che fosse così evidente il suo stato d'animo. E sopratutto, non era possibile che -quello- fosse veramente sempre il suo stato d'animo, quando aspettava lui.


Si allontanò per portare due tè al tavolo due, lanciando un'occhiata all'orologio babbano appeso sopra alle credenze.


Passò il resto del tempo a girare tra i tavoli, evitando di tornare al bancone se non per preparare velocemente le ordinazioni, mentre George la seguiva con lo sguardo, studiandola. Gli occhi socchiusi, come per vedere meglio i particolari, partecipava ad ogni singolo movimento, spesso teso ad evitare di parlare con lui.


Fino a che qualcuno non si presentò alla porta.


Non ebbe bisogno di aprirla e far suonare la campanellina, fece solo un breve cenno con le sopracciglia; irrigidendosi, Pansy portò l'ultima tazzina sporca sul lavandino, avvisò l'altra cameriera che se ne stava andando e raggiunse quel ragazzo che la attendeva fuori dalla porta a vetri.


Osservandolo meglio, ora che riusciva a vederne il volto, George credette di riconoscere quei lineamenti come già visti, non sapeva dove, non sapeva quando. Però, c'erano migliaia di ragazzi biondi e con gli occhi azzurri. Tentò di scavare nella sua memoria, invano per il momento. Era certo però, che presto qualche immagine gli sarebbe tornata alla mente.


Seguì ancora con lo sguardo la mano di Pansy chiudersi la porta alle spalle, le sue labbra venire coperte da quelle sottili del biondo, i suoi occhi chiudersi a quel tocco e una goccia scendere sulla sua guancia.


Lacrima sua o di pioggia.


Poi, si Smaterializzarono.


Quel giorno, George la vide uscire per la prima volta. E capì perché non aveva un ombrello. E perché odiava farlo.




* * *




« E questo da dove spunta fuori? Credevo non ne volessi uno! »


Quando Daphne Greengrass arrivò al Sunny Days, il giorno dopo, accanto alla borsetta in pelle di Pansy Parkinson spiccava un elegante ombrello nero.


La proprietaria di quegli effetti personali sedeva distrattamente al bancone del bar, come al solito, soffiando inutilmente sul caffè nero che non scottava più già da un po'.


« Non l'ho comprato io, infatti. » Si alzò lenta, per andare a preparare il frullato per Daphne, per poi precisare: « L'ho trovato stamattina qui, insieme ad un giornale di soli oroscopi. »


Omise volutamente che ci era anche inciampata sopra e poco ci era mancato che finisse dritta dritta per terra, che aveva tirato un accidente grosso come una casa a Draco, che pure in quel caso non c'entrava proprio nulla, ai suoi che l'avevano messa al mondo, a quella che probabilmente aveva messo i suddetti oggetti in quella posizione, e a chiunque avesse avuto la -triplamente- brutta idea di farle una sorpresa, di regalarle un ombrello e di portarlo al bar.


« Oroscopi? Leggi l'oroscopo, Pansy? » chiese interessata l'amica.


« Che domande, ovvio che no! »


Si portò una mano alla bocca e prese a scuotere la testa quando, riflettendo, realizzò chi altri gli aveva fatto quella domanda. Chi probabilmente le aveva fatto quel regalo assurdo.


Un ombrello.


Un regalo meno importante non poteva farlo, eh? Ma perché poi farle un regalo?

D'accordo, le dava fastidio che l'avesse fatto perché quel regalo la metteva in crisi, non certo perché disprezzasse i regali.


Però poteva benissimo risparmiarsi l'oroscopo. Lei non leggeva l'oroscopo!


Ma lui pensava che lo leggesse. Il che, alla resa dei conti, era lo stesso.


Osservò l'elegante impugnatura in pelle nera con uno sguardo critico che portava però anche una lieve impronta di preoccupazione.

Cosa gli avrebbe dovuto dire? Lei non avrebbe mai usato quell'ombrello, probabilmente. Purtroppo.


Ma che stava pensando, purtroppo?


Ok, non prendiamoci in giro, si disse Pansy. Quella situazione non le piaceva per niente, non poteva fingere che passare dal Sunny Days ad un appartamento qualunque dell'ultimo erede dei Malfoy - che lo cambiava ogni settimana - la esaltasse.


Le sarebbe piaciuto scappare, anche sotto la pioggia, magari proprio con quell'ombrello... Ma non ne aveva il coraggio. Era quella la verità.


« Pansy, se aspetti ancora un po' a staccarlo quel frullatore esploderà. » osservò pacata Daphne. Si era accorta che la mora era soprappensiero e non la stava ascoltando. Non aveva voluto interromperla, ma ancora qualche minuto e il frullatore sarebbe esploso sul serio.


Pansy scosse la testa emergendo dai suoi pensieri, e versò all'amica il solito primo bicchiere di frullato.


Di nuovo nervosa.


Normale, del resto. Stava di nuovo aspettando qualcuno.

E non era il solito 'qualcuno' che solitamente aspettava - questa novità la scombussolò un poco, quando se ne accorse.


Non arrivò però prima di quel pomeriggio.


Quando sopraggiunse, però, si rese conto di non aver ancora pensato a cosa dirgli. Da questo punto di vista, George la facilitò: non le chiese se le fosse piaciuto il regalo, né se l'avesse trovato o cose simili.


Forse però, fu molto, molto peggio. Entrò con un sorriso più largo del solito e se lo mantenne stampato in faccia ininterrottamente fino a che Pansy, lievemente imbarazzata - provò a negarlo con se stessa e si rimproverò mentalmente almeno un centinaio di volte, per questo -, non si fermò davanti a lui con l'intenzione di raccogliere l'ordinazione.


Nonostante ciò, lui rimase ostinatamente in silenzio e sorridente, tanto che Pansy ebbe la tentazione di infilargli in bocca l'ombrello pur di farlo smettere.


Infine, si arrese all'evidenza - non avrebbe mai parlato per primo - e masticò un apparentemente disinteressato « Buongiorno. »


« Buongiorno. » rispose lui.


Non disse nulla dell'ombrello a cui lei continuava a lanciare occhiate involontarie, piuttosto se ne uscì con un « Cosa dice l'oroscopo, oggi? » immensamente pervaso di calma, che ne cancellò invece ogni residuo dalla mente di Pansy.


« Non dice niente! » - sbottò. - « Non mi serve un ombrello e non ho mai letto un oroscopo in vita mia! » quasi urlò.


« Pansyyyy! Calma che spaventi i clienti!! » la riprese la voce della sua collega.


Stava per ribattere duramente - aveva preso un gran respiro - quando sentì qualcosa di caldo sulle sue labbra e l'impossibilità di dire alcunché.


Alzò lo sguardo ad incontrare un paio di occhi nocciola decisamente perplessi per quello che aveva detto poco prima, ma anche, evidentemente, preoccupati per lei.


George le aveva posato una mano sulla bocca, per impedirle di compromettersi con l'altra cameriera.


La quale, ricordò Pansy, avrebbe potuto benissimo premere per sbatterla fuori.


Perché diavolo sentiva tanto caldo, adesso? Sbatté un paio di volte le palpebre; che cavolo aveva fatto a quelle maledette mani perché fossero così calde?


Gli regalò un'occhiataccia che fece rifiorire il sorriso sulle labbra di George: solo lì realizzò che era riuscita a spegnerlo. Rivolse lo sguardo alla porta che si stava aprendo, mentre lui abbassava la mano, senza smettere di fissarla.


In quel momento, se Pansy pensava a quanto fosse stupida e poco controllata ad arrossire per una cosa simile, lui non riusciva a non chiedersi perché non lo facesse più spesso. Quel lieve colorito sulle gote, solitamente quasi pallide, le conferiva un'aria molto più umana, raggiungibile.


« Ti dona. » le disse semplicemente.


Lei rivolse un mezzo sorriso di benvenuto al vecchio mago che era appena entrato e si voltò nuovamente verso di lui, scuotendo la testa senza capire.


« Come? » gli chiese corrugando la fronte.


Poi capì, sentendo le guance ancora calde infiammarsi di nuovo.


« Hai un concetto particolare di ciò che mi dona. »


Lanciò un'occhiata fugace all'ombrello ancora abbandonato sulla borsa prima di dedicarsi al suo cliente.




* * *




Neppure la mattina seguente George si presentò a colazione.


Pansy si maledisse per quel senso di aspettativa che la pervadeva. Perché mai avrebbe dovuto aspettarlo a quel modo?


Chiese a Daphne di rimanere con lei un po' più del solito, ma subito dopo pranzo l'amica se n'era dovuta andare.


Fu verso le cinque del pomeriggio che avvenne il fatto più eclatante della giornata.


Pansy stava pulendo un bicchiere sul lavandino, quando il campanellino trillò ed entrò una donna piuttosto abbondante con una chioma vaporosa di capelli rossi fermati sulla nuca da un fermaglio blu.


Curioso, pensò la mora; somigliava a George.


Seguiva la donna un uomo un po' stempiato, aveva un buffo cappello marrone e un mantello abbastanza logoro. Nell'insieme appariva probabilmente più vecchio di quello che era. Pansy provò una strana sensazione, come se avesse già visto quell'uomo da qualche parte, in passato.


Il campanellino suonò di nuovo, e una ragazza che avrebbe potuto avere grossomodo l'età di Pansy seguì quelli che dovevano essere i suoi genitori verso il tavolo cinque. Era carina, molto magra e slanciata, e gli occhi azzurri contrastavano con i suoi capelli rossi.


Pansy sgranò gli occhi quando il quarto componente di quella famiglia faceva il suo ingresso.


Lo riconobbe, quello.


E lui riconobbe lei.


Uno scambio di feroci occhiate risvegliò un'antipatia sepolta, dimenticata - perché costruita? - ed ingrigita dal tempo.


Quando poi George entrò, Pansy non aveva più dubbi.


Weasley.




Come aveva fatto a non riconoscerlo? Quei maledettissimi capelli erano una specie di marchio di famiglia! Li facevano in fabbrica, i Weasley.


Distolse lo sguardo fingendosi indaffarata quando George le fece l'occhiolino dal suo posto al tavolo.


« Marianne! » urlò Pansy.


« Non mi chiamo Marianne! » rispose quella.


« È la stessa cosa. » -borbottò. - « C'è il tavolo cinque da servire. »


Avrebbe capito che non aveva intenzione di servirlo lei, vero?


« Ma sono tanti! » osservò la cameriera affacciandosi dalla cucina per dare un'occhiata.


« Già. » - rispose Pansy spiccia. - « Puoi fare tu? »


Cadendo un poco dalle nuvole e poi guardandola strana, accettò, riuscendo a far pensare a Pansy che anche quella in fondo qualche utilità l'aveva.




Lasciò andare la tazza che stava sfregando sul lavandino, quando un individuo identico a George entrò a sua volta nel bar.


Socchiuse gli occhi, mentre un flash tornava alla sua mente.




« Fred e George Weasley, tengono il migliore negozio di scherzi del mondo magico! Supera anche Zonko, incredibile ma vero. »




Si lasciò cadere sullo sgabello, tentando di non dare nell'occhio. Diavolo, come poteva non essersi accorta proprio di nulla? Avevano praticamente frequentato Hogwarts assieme!


Beh, in effetti, a pensarci bene... Ok, anche senza pensarci bene. Non si erano mai considerati nemmeno per caso.


Era un Grifondoro, e lei non aveva mai considerato i Grifondoro se non per insultarli. Tra l'altro, anche senza quell'attenzione quasi morbosa che ci metteva invece Draco: era certa che alla fine conoscesse i suoi nemici meglio degli amici. Poco ci mancava che sapesse il colore delle mutande di Potter.


Lei non ci si era mai applicata più di tanto; le provocazioni le venivano spontanee praticamente con tutti, escluse quelle quattro o cinque persone che conosceva meglio di se stessa, e non si era mai nemmeno premurata di sapere i nomi di tutti quelli con cui si scambiava amorevoli insulti.




Fred Weasley raggiunse il tavolo ridendo, poi fece comparire un piccolo trono imbottito di rosso, batté il palmo della mano destra contro la sinistra del gemello e si sedette, il sorriso ancora inevitabilmente stampato sulle labbra.


Era un sorriso diverso da quello di George, notò Pansy. Più sottile, quasi più composto... Più furbo, più sfacciato.


George era più apertamente felice, ma, evidentemente, più introverso.


Quasi enigmatico.




Si riscosse dai suoi pensieri quando vide Ron Weasley avvicinarsi a passo di carica al bancone, gli occhi ancora accesi di quel rancore che li aveva attraversati nell'incontrare i suoi poco prima.


« Sai dirmi dov'è il bagno? » sibilò.


Pansy alzò di scatto il braccio sinistro ad indicargli la porta in mogano, stizzita.


« Sai com'è, ci lavoro qui. »


« Sì, immagino. » replicò velenoso Ron.


La mora scosse la testa, infastidita.


« Il fatto che i miei abbiano abbastanza soldi da comprare cinque volte questo locale non significa che io non debba lavorarci! »


Ron non trattenne una smorfia di disgusto, per poi indicare con lo sguardo il giornale di oroscopi ancora sul banco: « Lo vedo, come lavori. » insinuò bellicoso.




« Ehi, come va? » una voce allegra, conosciuta da entrambi, impedì a Pansy di ribattere che quello schifosissimo giornale gliel'aveva regalato proprio suo fratello, scombussolando momentaneamente la sua mente già piuttosto irritata.


« A meraviglia, Weasley. » sputò ironica Pansy, incrociando le braccia al petto.


« Vi conoscete? »ridacchiò George osservando il sopracciglio destro della ragazza tremare pericolosamente per quanto era alterata.


« E deduco anche che vi siete abbastanza antipatici. » aggiunse dopo il grugnito di risposta di Ron.


« Quanto sei astuto, George, sul serio! » sbottò isterica mentre Ronald con un'occhiataccia s'infilava in bagno.


« Qualche problema? » chiese dato che la ragazza non accennava a smettere di guardarlo così male.


« Il problema sei tu, Weasley! Perché non me l'hai detto? »


« Ma che cosa? » George era più scombussolato che mai.


Seguendo lo sguardo irato di Pansy arrivò ai suoi genitori; « Hai qualche problema con i Weasley? Mio fratello ti ha detto qualcosa, o io e Fred ti abbiamo fatto qualche scherzo? » - meditò - « Eppure non mi pareva di averti mai conosciuta prima. »


« Difatti. » - commentò lei - « Non ci siamo mai conosciuti granché. »


« E allora dove sta il problema? Finché non lo sapevi non sembrava importartene, Pansy. O sbaglio? »


« Parkinson, per te. » sputò riprendendo a lavare la tazza piuttosto energicamente.


« Pansy Parkinson... » - ripeté George, gli occhi persi di chi vede scorrere un film davanti a sé. - « ... Serpeverde, giusto? »


Annuì senza alzare lo sguardo, apparentemente non curante.


Un flash colpì George come un fulmine improvviso: « Quindi... Lui è Malfoy, Draco Malfoy. » esclamò sovrapponendo i ricordi sfocati di un bacio in un corridoio di Hogwarts a quello vivido nella sua mente di poco tempo prima.


Pansy chiuse impercettibilmente gli occhi, mentre l'ago freddo di una siringa invisibile sembrava trapassarle il petto da parte a parte a quel nome.


Annuì di nuovo.


« Allora è peggio di quel che pensavo. » decretò serio George.


« Come? » fece spiazzata.


« Pensavo fossi vittima di un bastardo che ti sfrutta. »- disse osservando il luccichio confuso dei suoi occhi neri - « Invece sei vittima di un bastardo a cui permetti di sfruttarti. Da anni, oltretutto. »


Il volto appena roseo di Pansy divenne quasi paonazzo nel giro di pochissimo.


Senza aggiungere altro, George si diresse al tavolo dove ancora sedevano i suoi genitori, Gin e il suo gemello.


Pansy lo osservò dire qualcosa ai coniugi Weasley, il ragazzo identico a lui alzarsi in piedi e rispondergli, George abbozzare un sorriso e dargli una pacca sulla spalla sinistra per poi allontanarsi.


Lo vide aprire e richiudersi la porta alle spalle, lasciandola sola con quel disordinato scampanellio.


Le labbra ancora socchiuse come a voler dire qualcosa, le braccia inerti lungo i fianchi e un peso sulle spalle che pareva di botto decisamente più forte.


Scosse la testa e masticò un « Torno subito » all'indirizzo dell'altra cameriera, prima di aggirare il bancone e seguire George in strada.


Pioveva forte, un tuono scosse il cielo. Dallo zerbino sotto la porta del Sunny Days, protetta dalla piccola tettoia rossa, Pansy individuò il rosso e urlò per farsi sentire.


« Chi credi di essere, tu, per giudicare la mia vita? »


Il ragazzo si voltò. Gocce di pioggia ricadevano sul suo volto colando dalle ciocche di capelli bagnati, la giacca ancora resisteva al diluvio mentre i jeans babbani che indossava erano ormai completamente zuppi.


« Nessuno. »- rispose. - « Uno che della pioggia se ne frega. »


Girò su se stesso per due volte, poi dove prima era lui furono solo gocce.


Pansy rimase a guardare il punto in cui la sua immagine sfocata era svanita. Sorrideva ancora.




* * *




Pansy sbuffò sonoramente ravviando dietro alle orecchie qualche ciocca di capelli ora forse troppo lunghi per i suoi gusti.

Era passata una settimana, da quel pomeriggio, una settimana in cui Lui non si era fatto vedere. Strano, per la verità, solo fino a un certo punto; probabilmente aveva trovato qualche svago che lo sollazzava abbastanza, in quei casi non aveva bisogno di lei e non si faceva sentire per un po'. Era già successo.


L'arrivo di Daphne quella mattina la distolse dalle sue monotone considerazioni per riportarla alla sua cruda realtà di fragole e frullatori.


« Pansy, fuori dalla porta c'è... »


« Qualcosa per me? » - la interruppe la mora. - « Lo so. »


Daphne annuì piano togliendosi la giacca e appollaiandosi al suo solito posto.


Durante quella settimana, la pagina dell'oroscopo le aveva ricordato ogni giorno quell'ombrello nero che giaceva inutilizzato appoggiato tra le sue cose.


« Pansy, tavolo uno! » urlò Quella.


Sbuffò di nuovo dirigendosi al tavolo come sempre occupato dalla coppia di maghi omosessuali che lavorava probabilmente al Ministero.


Poi sbuffò una terza volta tornando al bancone, mentre Daphne ridacchiava divertita.


Sbuffava più del solito, quel giorno. Brutto segno.


« Theodore? » chiese preparando i due caffè ristretti che le avevano richiesto.


Daphne emise un piccolo sbuffo di sufficienza.


« Hai presente Blaise Zabini? »


La mora annuì. Non era un brutto ragazzo, Blaise. Forse per questo Draco non aveva mai instaurato con lui il rapporto di amicizia che aveva invece con Theodore. Ci teneva alle sue conquiste, a quel tempo.


« Ecco. Theodore ha passato praticamente tutta l'ultima settimana in un locale allucinante - dove voleva anche trascinarmi - con Zabini e Draco. »


Capì in quello stesso momento di aver detto una parola - un nome - di troppo, perché vide la mascella di Pansy serrarsi di scatto. Tutto di lei si irrigidiva quando veniva nominato Draco Malfoy.


« ... Scusa... » sussurrò con un filo di voce Daphne.


« Niente. » rispose sbrigativa prendendo i due caffè. Lanciò un'occhiata alla porta a vetri: pioveva a dirotto.


I sorrisi di riconoscenza dei due maghi le scivolarono addosso, mentre adocchiava il braccio teso verso l'alto del vecchio pazzo del tavolo sei.


L'occhio cadde sull'orologio mentre preparava il boccale di birra che sapeva che quell'uomo le stava per chiedere. Come facesse a bere a quell'ora del mattino, solo lui poteva saperlo.


Ignorò lo sguardo quasi compassionevole di Daphne e si diresse nuovamente verso i tavoli.


« Tenga. » disse ostentatamente scocciata posando la birra davanti a lui. In realtà quel vecchio le era quasi simpatico.


« Una bella giornata, non è vero?! » gracchiò quello allegro.


Sgranò gli occhi, scosse la testa e guardò nuovamente fuori.


Percepì le risatine dei due maghi del tavolo quattro alle sue spalle, Daphne che scuoteva il suo ombrello battendo casualmente con la punta sul pavimento, un tuono più forte.


Sorrise.


« Sì. » disse.


Il vecchio mago sorrise sdentato di rimando, agguantando la sua birra.


Forse non era così pazzo, pensò Pansy. O forse lo stava diventando anche lei. In quel caso, comunque, non aveva intenzione di tornare indietro. Le piaceva essere pazza, se quella lieve sensazione di frizzantezza, quel sentirsi quasi leggera, quella decisione che da tempo le mancava dipendevano da quello. Oh, -adorava- essere pazza.


« Marianne, puoi fare tu per oggi? » urlò sotto gli occhi increduli di Daphne, mentre afferrava l'ombrello nero.


« Non mi chiamo Marianne! » sentì appena, aprendo la porta. Il rumore del temporale la travolse non appena la richiuse alle sue spalle.


Socchiuse gli occhi, schermandosi dalle gocce trasversali che minacciavano di accecarla, mentre il dubbio che non fosse una grande idea cominciava ad insinuarsi nella sua mente. Incerta, portò la mano sinistra al manico dell'ombrello e lo aprì.


Svelta lo portò sopra al capo, chiudendo insieme qualche bottone della giacca che si era velocemente infilata uscendo, poi sollevò finalmente gli occhi.


Di nuovo lì, di nuovo sotto a quella pioggia, c'era lui: George.


Fradicio come forse non l'aveva mai visto, sorridente come sicuramente non era mai stato davanti a lei.


Sbatté gli occhi confusa.


« Che facevi... Sei... Sei stato qui tutte le mattine per tutta la settimana? » chiese allucinata indicandolo da sotto l'ombrello.


« Per ore. È colpa tua se sto così male. » - asserì dando un piccolo colpo di tosse. - « Ce ne hai messo di tempo, per prendere quell'ombrello! »


Lo guardò male, lottando contro il sorriso che premeva per formarsi anche sulle sue labbra.


« Ho dovuto spendere miliardi in oroscopi! » continuò il rosso.


Pansy non riuscì a trattenersi, e scoppiò a ridere: « Non ne ho mai letto uno! »


« Lo so, ma non potevo comprarti un ombrello al giorno. Te ne bastava uno, comunque. »


La ragazza alzò gli occhi verso la tela nera percossa dalle gocce pesanti che ricadevano su di essa sopra alla sua testa, poi guardò lui. Non ci provava nemmeno, a non bagnarsi. Sembrava non averne bisogno, di un ombrello.


« Potevi prenderne uno anche per te. » borbottò avvicinandosi ed alzando il braccio per coprire anche lui.


George scosse la testa, il sorriso sulle sue labbra sembrava sempre più luminoso.


« Non piove più. »


Pansy chiuse gli occhi un momento, lo scroscio della pioggia giungeva ancora chiaro alle sue orecchie.


« Sei... » Non disse mai la parola 'matto'. L'indice destro di George - straordinariamente caldo - si era andato a posare sulla sua bocca.


« La pioggia è nella mente di ognuno di noi, Pansy. Oggi ti sei liberata dalla tua. »


Avrebbe voluto urlargli contro che non era il saggio che credeva di essere, che sicuramente non sapeva nulla di lei, che non doveva neanche chiamarla per nome. Probabilmente poco tempo prima l'avrebbe fatto.


Ma non lo fece. Perché quello scroscio continuo Pansy effettivamente non lo sentiva.


Abbassò l'ombrello, che forse forse non serviva più. La pioggia cadeva; e lei era lì, accanto a lui, rilassato e sorridente.


Si rese conto in quel momento di non aver bisogno di altro.


Sentì senza accorgersi di niente altro la bocca di George premere sulla sua, quelle labbra che sapevano di pioggia chiedere silenziosamente il permesso di bagnare le sue. Non era il paradiso, quello forse non l'avrebbe visto mai. Ma mentre l'immagine del suo sorriso le si riformava nella mente, seppe con certezza di aver visto il sole da vicino.


« Chi ti ha dato il permesso di baciarmi, Weasley?! »


« Ti ho dimostrato che sono un filosofo nato, meritavo un premio, no? Poi ti ho dato anche ragione! »


Pansy scoppiò a ridere, per quelle parole assurde e perché aveva ricordato le sue. Si aggrappò alle sue spalle per non cadere, la pioggia ancora forte su di loro, ma nessuno dei due se ne curava.


« Che si fa, signor filosofo? »


« Un giro! »




Era certa, di non aver mai visto Pansy ridere così. Era certa che non sarebbe mai uscita da quel bar. Sopratutto, era certa che non avrebbe mai lasciato cadere una sola goccia di pioggia su di sé, nemmeno attraverso i vestiti.


Daphne Greengrass si allontanò dal vetro della porta, su cui aveva lasciato l'impronta delle mani e il segno del suo respiro. Era certa di parecchie cose. Nessuna di queste, quel giorno si era rivelata esatta.




Note dell'autrice:


La frase "Stavo leggendo il mio oroscopo e c'era scritto 'incontrerai un uomo seccante oggi. Dagli il suo caffè e se ne andrà'. Io ti ho dato il tuo caffè." E' la mia rivisitazione della citazione che ho scelto tra quelle proposte nel bando, la frase veniva dal telefilm Gilmore Girls.

EDIT: Per chi volesse votare questa fic al contest a cui partecipa, ecco il link al sondaggio sul forum: http://georgeandpansy.forumfree.net/?t=29926988&view=getlastpost.




My thanks to:


Grazie a Ivana e Ilaria, perché esistono. Mi piace vederci come le streghe che ridono al tavolo due.


A Barbara perché è sparita, ma la amo lo stesso.


A Claudia per non avermi ancora spalmata contro un muro o confinata nel Burundi: Checchecchen ne sarebbe felice, e pure l'infermiera senza nome.


Grazie a Ron, per non avermi capita, e alla mia prof di greco per essersi rivelata forse peggio di quello che pensavo, ma avermi portata a pensare che è meglio così.

Ad Alex perchè mi mancava, e per la sua disponibilità - patologica u_u" - nel betaggio.

Grazie a Marta perché la mia stella è tornata, e a Federica perché mi ha dimostrato che non posso più fare a meno di lei.


Grazie a tutti quelli che ho conosciuto quest'anno, Mavi, Sara, Jud, Lau, Lucy, Ceci, Sere, Kiara, Marty, Debby, Giù e tutte le altre, perché in un modo o nell'altro avete lasciato il segno, e grazie ai miei lettori che sopporteranno questa mia ennesima follia, ma credo di avergliene fatte passare di peggiori.


Grazie a chi ha indetto questo contest, chiedo anche scusa per la lunga lista di ringraziamenti ma li sentivo necessari, visto che sarà probabilmente la mia ultima shot prima del mio 'compleanno' nel fandom HP.



baci,


Eleonora

   
 
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Eleven