Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
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Autore: _Pan_    09/03/2014    6 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 26 – Tutto sbagliato
(Natsume)


Passare attraverso il Wraphole era un'esperienza che non avrei augurato nemmeno al mio peggior nemico, anzi... magari al Preside delle Elementari sì, ma avrei voluto che ci passasse per finire all'inferno. Non riuscivo a capire nemmeno da quanto tempo fossi in quella sottospecie di tunnel senza uscita, mi pareva solo che mi volessero strappare le braccia e le gambe dal resto del corpo. Mi avevano avvisato che, per uscirne, si doveva desiderare un posto specifico, oppure la magia del tunnel avrebbe fatto da sé: realizzai in quel momento di dover desiderare di tornare in azienda, così visualizzai nella mente l'ufficio dove avevo lavorato negli ultimi mesi, sperando che funzionasse. In realtà, sapevo che se avessi lasciato fare alla mia mente, non sarei andato da nessuna parte, proprio perché sarei voluto rimanere in Accademia.
Ciò che mi aveva detto Mikan mi impediva di stare tranquillo: ovviamente già sapevo che stava sviluppando un nuovo Alice, ma non avevo idea che fosse proprio quello. Era preoccupante, e non c'erano dubbi sul fatto che lei fosse finita nelle Abilità Pericolose a causa di questo, e la cosa ancora peggiore era che quella classe, ora che il Preside era a Londra, era sotto il controllo di Persona, che mi odiava da sempre e non vedeva l'ora di avere un pretesto per farle del male. Non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di una scusa, in missione, anche se, a quel che mi aveva detto lei, non era ancora uscita, e per fortuna. Sperai che riuscissimo a salvarla prima che ci fosse anche solo l'odore di un'occasione per farlo, detestavo l'idea che potesse vedere e vivere le stesse orribili esperienze che avevo dovuto sopportare io. Non avevo idea se potesse metabolizzarle o meno: mesi fa avrei detto di no, ma avevo trovato una ragazza in qualche modo diversa da quella che conoscevo. Mikan non si era mai abbattuta di fronte a niente, nemmeno per il mio comportamento nei suoi confronti, e sapevo che Ruka e Imai non l'avrebbero mai abbandonata, ma l'avevo trovata molto abbattuta per via dei giudizi di quegli idioti dei suoi compagni di scuola. Immaginavo che solo le Abilità Pericolose non facessero caso al suo Alice, ma quelli non avrebbero potuto considerarsi nemmeno amici di se stessi, figurarsi di Mikan. Onestamente, preferivo che fosse così: lei era molto ingenua, avrebbero potuto prenderla in giro in qualunque modo.
Quasi senza rendermene conto, mi ritrovai nella solita stanza in cui avevo lavorato fin da quando mi ero diplomato, e mi ritrovai addosso gli sguardi preoccupati di cinque persone. Non me lo spiegavo, così inarcai un sopracciglio, nel dubbio. «Che c'è?»
«Che c'è?!» sbottò Mitsuki, con le mani sui fianchi, aveva ripetuto la domanda come se non avesse creduto alle sue orecchie. «Ti aspettiamo da almeno mezz'ora. Eravamo in pensiero, non sapevamo dove ti fossi cacciato e...»
Quella che avevamo salvato le mise una mano sulla spalla, e il mio caposquadra si fermò come se le avessero staccato la corrente. «Perché ci hai messo tanto, ragazzino?»
Scossi semplicemente le spalle, perché non avevo voglia né intenzione di spiegare loro i pensieri che mi turbavano. «Era il mio primo viaggio.» non era del tutto vero: avevo già viaggiato da bambino con quel tunnel, anche se la sensazione non era stata terribile come quella di questa volta. Avevamo attraversato il portale con alcuni compagni di classe per recuperare l'Alice di Tobita, e quella volta non avevo dovuto pensare a un luogo in cui desiderassi andare, il Wraphole ci aveva semplicemente portati a destinazione. «Ci ho messo un po' a capire come funziona.»
Lei si limitò a guardarmi storto, come se non mi credesse. «Piuttosto,» fu Ryu a parlare, lui sembrava sollevato che fossimo tornati tutti, e si rivolse proprio al nostro nuovo acquisto. «di... di tua figlia hai saputo niente?»
Si voltò verso di lui, con un piccolo sorriso, e non riuscii a capire se fosse contenta o solo amareggiata. Annuì. «Mikan si sta prendendo cura di lei.»
«Mikan?» domandai, dubbioso. Mikan a stento sapeva prendersi cura di se stessa, di solito era Imai che sopperiva alle sue mancanze, come metterle la sveglia, o mandarle la divisa sporca in lavanderia, o a ricordarle dove avesse messo qualcosa che le serviva. «Quale figlia?»
«Tu non sai proprio niente, eh?» mi domandai se fosse il momento di fare del sarcasmo, ma attesi senza parlare, nel caso in cui avesse deciso di rispondermi di sua spontanea volontà. «Hanno rapito mia figlia, qualche mese fa. L'hanno portata via delle schifose bestie di Persona che hanno approfittato di trovarla da sola, maledetto suo padre che avrebbe dovuto essere con lei!» parecchie bambine e parecchi bambini erano stati portati in Accademia in quel periodo, ma non avevo idea che fossero coinvolti anche i figli o i parenti di gente che dovrebbe evitare che queste cose succedessero. «Miyako di solito non si fida delle persone, non so in che modo subdolo si sia lasciata convincere ad entrare a scuola con gente che le ha mentito. Lei lo sa quando succede.»
Oh, certo: ora capivo tutto quanto. Trovavo quasi paradossale che fosse proprio la bambina che mi costringeva a leggere le favole la sera. «Hanno mandato l'unica persona che crede davvero che l'Accademia sia un bel posto.»
Lei mi guardò come se avessi appena ammesso di aver ammazzato qualcuno. «Come lo sai?» il tono era di accusa e potevo ben capire perché.
«Io ero lì.» girarci intorno, tanto, non aveva senso. «E, come sai, ci minacciano di fare del male alle persone che amiamo, se non obbediamo agli ordini.» e nessuno, nemmeno chi diceva di essere tanto virtuoso, avrebbe pagato con la vita di qualcuno che ama per fare del bene a uno sconosciuto, nemmeno se fosse stato un bambino. O, almeno, io non ero in grado di farlo.
«È solo una bambina.» mi rinfacciò, quasi con disgusto.
«Lo eravamo tutti.» tagliai corto, per non sentirmi improvvisamente come se avessi dovuto fare qualcosa per impedire di finire nella mia stessa trappola, come trovare un'alternativa per salvare capra e cavoli.
«Pensavi di vendicarti sui bambini per il tuo passato?» con questa frase, forse, voleva irritarmi o spingermi ad ammettere colpe che non avevo mai sentito di avere, fino a quel momento.
«Penso che se non avessi voluto che te la portassero via, avresti dovuto tenerla d'occhio un po' meglio.» c'erano migliaia di fattori che avevano contribuito a creare l'occasione perfetta perché portassimo via quella bambina, si poteva dire che era colpa di tutti quanti? La realtà era che era colpa solo di uno, ed era Persona, o il Preside. «Non possiamo pretendere di proteggere i figli di altri, se non siamo in grado di proteggere i nostri.»
Lei alzò gli occhi al cielo, quasi che fosse stata una frase già sentita e che non avesse voglia di sentirla più. «Tu parli come faceva il marito di mia sorella.»
«Doveva essere una persona sensata.» e, dato che il nostro obiettivo era proprio quello, non mi sembrava una malvagia idea pensare di modificare o potenziare il modo in cui nascondevamo la gente dall'Accademia, forse anche trovare un modo per portare fuori quelli che già erano dentro non sarebbe stato male. Ma chi si poteva mettere a discutere con Yuka che aveva smesso di lottare per la sua stessa famiglia?
«Igarashi Kaoru non aveva sposato una persona sensata.» arricciò le labbra, e io mi sentii punto sul vivo: quella era mia madre, e di sicuro lei, per parlare così di mio padre, non l'aveva conosciuto affatto. «Prima di perderla, era un sognatore e un'idealista, uno che credeva, come te, che volere è potere. Poi non si è fatto più sentire, ha abbandonato tutto quanto perché... chissà perché.»
«Ehi, sta' attenta a come parli di mio padre.» se aveva abbandonato tutto, l'aveva fatto per tenerci lontano da quel mondo. L'Accademia ci aveva trovato lo stesso e, per tentare di salvare mia sorella, avevo accettato di andarci. Il fatto che nemmeno lui avesse potuto nascondere i suoi figli dal Preside mi spinse a domandarmi se qualcuno ci sarebbe mai riuscito.
«Tuo padre?» mi chiese, allibita. «Ora capisco perché mi irriti così tanto. Hai i suoi occhi e il suo brutto carattere.»
«Ho solo il suo maledetto Alice.» preferii mettere in chiaro, dato che di mio padre si poteva dire di tutto, ma non che avesse un brutto carattere. Io, senza dubbio, l'avevo.
«Ecco perché mi sembravi familiare.» si prese qualche secondo per studiarmi meglio, sotto un altro aspetto, forse. «Somigli tanto a tua madre...» e questa era una frase che avevo sentito ripetere fin troppe volte, da gente che la conosceva, fin da bambino. Poi sembrò che la conversazione che avevamo avuto, non avesse mai avuto luogo: sollevò le sopracciglia e sorrise. «Ho un nipote.» e solo allora realizzai che aveva detto di essere la sorela di mia madre.
«Ne hai due.» mi resi conto che avevo una zia di cui non avevo mai saputo niente, e avrei tanto voluto sapere perché mio padre me l'aveva tenuto nascosto.
Lei assottigliò il sorriso, quasi con pena. «Sì, intendevo dire che ne ho solo uno in vita.» avrei preferito che non me lo ricordasse: non sapevo bene quando era successo, né in che modo, mi era arrivata una lettera di mio padre che mi comunicava la notizia, avevo tredici anni, e l'unica altra persona a cui l'avevo detto era stato Ruka, molto affezionato a mia sorella fin da quando eravamo piccoli. Comunque, quella sottospecie di riunione di famiglia stava avendo solo il potere di portare a galla brutti ricordi, non avevo più intenzione di continuare a discutere con lei, specialmente perché dovevo ancora scendere a patti con il fatto che avessi una zia e anche una cugina che non sapevo di avere.
«Ancora per poco.» era la voce di Yuka, e non sembrava tanto ben disposta nei nostri confronti. Non c'era certo bisogno di tirare a indovinare per saperne il motivo: a quanto pareva Ryu e Jou non avevano fatto un gran bel lavoro. Cercammo di allontanarci con disinvoltura per evitarci la ramanzina, almeno io e Mitsuki, che eravamo quelli più coinvolti, insieme a Yuuko, che però non sembrava molto turbata dall'entrata in scena del nostro capo, ma c'erano veramente poche cose che sembravano turbarla. «Si può sapere che avevate in mente?»
Mitsuki spinse indietro Yui, ma non ero certo che Yuka non l'avesse notata. «Avevamo in mente di portare un'amica in salvo.» spiegò, ed era più calma di quanto l'avessi mai vista. «Sapevamo che non ci avresti mai dato il tuo permesso, così siamo partiti senza. È così. Siamo...» ci rivolse un'occhiata per uno, quasi a scusarsi. «Siamo pronti per qualunque punizione vorrai darci.»
Il nostro capo sbuffò una risata, e la compresi: anche io mi sarei sentito preso in giro, dopo una frase del genere. «Punizione?» ripeté, incredula. «Credo che non basterebbe nessuna punizione per farvi capire la gravità di cosa avete fatto.»
«Che cosa abbiamo fatto di male?» era una domanda più che legittima anche secondo me, ma fu Jou a porla. «Abbiamo riportato a casa uno dei nostri, e direi che ne abbiamo bisogno, dato che non siamo rimasti in molti a combattere questa battaglia. Metà della gente che è qui non sa nemmeno perché lo sta facendo, e Yui è una dei nostri migliori elementi.»
«Già.» commentò Yuka, e non riuscii a capire se fosse ironica o meno. «Credi che non avessi anche io l'impulso di salvarla? Credi che sia una persona meschina che lascia la sua stessa figlia a patire le stesse pene che ho patito io?» nessuno ebbe il coraggio di guardarla in faccia, nemmeno io, e chissà che non fosse anche un pensiero condiviso da tutti, quello che mi ronzava in testa fin dall'ultima volta che avevo parlato con lei. «Se l'obiettivo è salvarli tutti, non possiamo buttare alle ortiche i nostri sforzi per dolori personali. Riuscite a capirlo?»
Questa zuppa l'avevo sentita troppe volte, per rimanere in silenzio. «Se non ne salviamo nemmeno uno, come pretendiamo di salvarli tutti?» ero stufo dell'ipocrisia del loro ragionamento: stare fermi finché non eravamo sicuri di fare qualcosa, salvarli tutti. Quando mai sarebbe stato possibile farlo? Nemmeno nelle favole che leggevo a quella bambina.
«Avete messo a rischio tutta l'operazione.» ripeté Yuka, stizzita. «Forse per davvero non riusciremo a salvarne nessuno, a causa di questo.» avevo l'impressione che la stesse facendo fin troppo lunga. L'Accademia non si faceva scrupoli, mai, in nessun caso, contro la gente che la osteggiava, avevamo dato loro soltanto un altro motivo per avercela con noi.
«L'operazione era stata messa a rischio dall'inizio.» le feci notare, in fondo, fin da quando Yui era entrata in Accademia per cercare di salvare Miyako qualcosa nella scuola si era mosso.
«Non è così.» mi contraddisse lei. «Che una madre, che sa cosa succede davvero nella scuola, voglia andare a riprendersi la figlia rapita, è piuttosto normale. Non ti bolla inequivocabilmente come membro dell'Organizzazione Z, mentre il fatto di riuscire a scappare, sì.»
«E come?» non che chiunque sarebbe potuto scappare da una prigione del Preside da solo, ma come poteva esserci la certezza che saremmo stati noi?
«Suppongo che non abbiate tramortito nessuno o manomesso delle telecamere.» lo disse in tono stanco, quasi rassegnato. «Queste non sono cose che una persona fa da sé. Ed è fin troppo noto che siamo noi quelli che contrastano l'Accademia, mentre tutte le altre organizzazioni nel mondo pensano solo a stringerci accordi. A chi credete che penseranno? Non potremo più inviare Yui per missioni speciali, ed è così che perdiamo un ottimo elemento, sarebbe il primo bersaglio.»
«Non avreste potuto usarmi lo stesso chiusa in una prigione.» questa sì che era una risposta intrisa di sarcasmo, in effetti chiunque si sarebbe aspettato di essere accolto con maggiore contentezza in un posto fatto di gente che si supponeva ti volesse bene. Sembrava che Yuka riuscisse a pensare solo alla buona riuscita della missione, senza preoccuparsi dello stato fisico o mentale dei suoi collaboratori.
«In quel modo, però, non avrebbero potuto sfruttare tua figlia per minacciarci.» ci stava spiegando le cose come se fossimo stati incapaci di capire. Forse era così per davvero, sia io che gli altri, sorprendentemente, avevamo una visione simile delle cose: non avremmo salvato proprio nessuno se fossimo morti o stati catturati. C'era un fatto fondamentale che ci serviva per attuare la sua preziosa missione, ed era restare vivi e uniti. «Credi che non arriveranno a farlo?»
«Non credo che sappiano chi è sua figlia.» intervenne Yuuko, per la prima volta da quando eravamo tornati sembrava aver preso coscienza di quanto le accadeva intorno. «Sono così tanti i bambini che sono stati portati in Accademia, ultimamente. Sarebbe impossibile senza saperlo già da prima.»
«Credo che Yuuko abbia ragione, ma c'è un grosso problema che non avevamo previsto.» intervenne Mitsuki, in tono grave, e io un po' mi sorpresi: non bastavano già tutti i problemi che avevamo, oltre alla ramanzina che ci stavamo beccando, ci si metteva anche qualcos'altro. «Abbiamo perso il Comitato Studentesco.»
«E Narumi non mi sembra che stia cantando più.» aggiunse Ryu, seccato. «Sono settimane che non si fa sentire.» pensai che fosse strano: da quando l'avevo visto la prima volta, sembrava che lì fosse di casa. Evidentemente, era lui l'informatore su cui contavano di più, e non era normale che tra un'informazione e l'altra facesse passare così tanto tempo. Doveva essere successo qualcosa.
«Mi domando che fine abbia fatto...» mormorò Yuka, e colsi una punta di preoccupazione nella sua voce. «Non si è mai comportato così.»
«Sono certa che sta bene.» commentò Yui, con le labbra arricciate per il fastidio, forse di essere ancora lì, e di non poter andare a casa a passare la notte su un materasso, per la prima volta dopo mesi. Ero certo che non ci avrebbe dormito, nemmeno io credevo che ci sarei riuscito, ma almeno non era il pavimento di una prigione da cui non poteva fare altro che aspettare il pasto successivo. «Misaki me ne ha parlato, cose che ha sentito dire a Mikan.»
«Mikan?» fu la domanda sorpresa e spaventata del nostro capo. Lanciai un'occhiata a Mitsuki che però stava guardando male la sua amica. «Lei sta bene?»
«Sì, sta bene. Fisicamente, almeno. Sta passando un brutto momento.» ed era un eufemismo, purtroppo.
Yuka sembrava non capire dove il discorso stesse andando a parare. Forse io ne avevo un'idea perché già conoscevo tutta la storia. «Dove l'hai incontrata?»
«Nelle prigioni, chiaramente. Sai, non è che mi lasciavano l'ora d'aria.» Yui aprì una bottiglietta d'acqua trovata sulla scrivania di Mitsuki e ne bevve una generosa sorsata. «Mi sa che Narumi non te l'ha detto... è entrata nelle Abilità Pericolose poco tempo fa, non so quanto di preciso. Ha l'Alice del Furto e la scuola l'ha scansata.» doveva per forza averlo sentito mentre lo raccontava a me, e mi chiesi come diamine avesse fatto a sentirla.
Yuka si sedette su una sedia, a peso morto, con lo sguardo perso nel vuoto. Chiuse gli occhi e abbassò la testa, pareva sentirsi in colpa per qualcosa, anche se non avevo idea del perché. «Queste sono parole che avrei preferito non sentire mai.» confessò, portandosi una mano alla fronte. «Mikan nelle Abilità Pericolose è un incubo che mi perseguita da quando è entrata in Accademia.»
Le Abilità Pericolose erano una classe non adatta a una ragazza come lei, piena di gente che c'era entrata da bambino e che aveva perso la sensibilità verso gli altri, erano tutte persone restie ad affezionarsi agli altri e ad aiutare il prossimo. Io ero diverso solo grazie a Mikan, e adesso lei non aveva me per ricambiare il favore. Ma sembrava che non fosse solo questo e il rischio della vita a impensierirla. Se sei in Accademia e sei coinvolto col Preside non serve stare lì dentro per avere buone probabilità di morire. «Perché per lei è diverso?» volli sapere, quindi.
Yuka mi guardo, confusa. «Cosa vuoi dire?»
«Cosa ti preoccupa del fatto che sia lì, oltre alle missioni? C'è qualcos'altro.» doveva esserci per forza, dato che le missioni per chi le compieva, almeno, non erano quasi mai mortali, a meno che non si decidesse di opporsi agli ordini di Persona sul campo. «Allora?»
«Mikan ha un Alice speciale, te l'avrà detto.» cominciò lei, con rassegnazione. «Serve a rubare altri Alice, credi che il Preside, o chi per lui, non la sfrutterà? Sarà a rischio costante della vita, sarà sfruttata tutto il giorno, a tutte le ore e non dovrei preoccuparmi? Gli altri la allontanano perché hanno paura di lei. È sola, sarà spaventata e non posso fare niente per lei.»
«Avrei voluto portarla con me.» ammisi, e ora ero certo che avrei fatto meglio a caricarmela in spalla, senza a stare a sentire le sue ragioni e portarla via di lì, in un posto dove nessuno avrebbe mai più potuto riportarla indietro. «Lei non ha voluto.»
«Lo so.» inaspettatamente, sorrise. Non avrei mai creduto che, dopo le mie parole, avrei potuto scatenare una simile rezione. «Lei è come suo padre.»
Suo padre? Yuka mi aveva detto di essere imparentata con Mikan, e non mi era mai venuto in mente di chiedere informazioni sui suoi genitori. Non li aveva mai conosicuti, anzi, mi aveva detto che erano morti, senza che lei li conoscesse, o almeno non ricordava niente di loro. Aveva solo suo nonno. «Chi è suo padre?»
«È morto molto tempo fa.» mi rivelò, sospirando e sfiorando una collana che aveva al collo. «Lei non era ancora nata. Non l'ha mai conosciuto.»
«Non ha mai conosciuto nemmeno sua madre, se è per questo.» dissi, perché ne fosse a conoscenza. «È cresciuta solo con suo nonno, credo che sua madre sia morta quando lei era molto piccola. Non ha ricordi di lei.»
«Sua madre non è morta.» Mitsuki lo disse come se avessi appena detto la più grossa castroneria della storia. «Sua madre...»
«L'ha lasciata perché l'Accademia non potesse risalire a lei.» Yuka interruppe Mitsuki, scoccandole anche un'occhiataccia. Sembrava che non volessero rivelarmi più del necessario, perfino dopo che le avevo aiutate a portare Yui fuori dall'Accademia. Bella fiducia! «Perché crescesse in un posto sperduto, sperando che non manifestasse mai i suoi poteri.»
Risi, senza allegria. «E invece ci è entrata per inseguire la sua migliore amica.» era stato uno strano caso del destino a portare Mikan nel posto che sua madre avrebbe voluto che evitasse come la peste. «Io credo che se l'avesse amata davvero avrebbe dovuto stare con lei e proteggerla.»
«Forse hai ragione.» fece Yuka, con una smorfia. «Ma è tardi per recriminare. Dobbiamo rimetterci subito al lavoro. Perciò andate a casa a riposarvi, non avrete un permesso, per domani.» guardò l'orologio sulla parete. «O forse dovrei dire oggi. E per i prossimi giorni non dovete uscire di casa se non per venire qui. Mi sono spiegata?» si alzò e gli altri iniziarono a raccogliere le proprie cose per tornare a casa. Poco prima che Yuka potesse allontanarsi troppo pensai di fermarla.
«Dov'è lei?» chiesi, e per diversi secondi ci fu un silenzio di tomba, tanto che pensai che non avesse capito. «Vorrei parlare con la madre di Mikan. Sai dove si trova?»
«E cosa mai vorresti dire a una povera donna che sa che sua figlia è proprio lì dove non avrebbe mai voluto che fosse? Che ha fallito nel suo intento di proteggerla? Che è stata una madre inutile?» scossi la testa, senza capire. Era la prima volta che mi sentivo come se mi stesse sfuggendo qualcosa di importante, di solito il mio cervello aveva sempre elaborato le informazioni molto prima degli altri, e molto prima di loro riuscivo a mettere insieme i pezzi del puzzle. Mi capitava perfino con i piani della scuola, perché con lei no? «E allora cosa?»
«Vorrei conoscerla.» le andai dietro, quando mi resi conto che stava andando via. «E vorrei che conoscesse Mikan.»
Yuka si fermò, e mi guardò come se mi stesse sfidando a mentirle. «Come?»
«Mi scrive spesso e ho molte sue foto recenti. Quasi tutte le sere, con un metodo che ha inventato Imai, la sua migliore amica. Io non posso rispondere, ma da ciò che scrive si capisce molto di lei.» non c'era quasi niente di personale che mi riguardasse, e poi volevo parlare con quella donna, quantomeno per capire davvero le sue motivazioni. «Pensavo che potesse farle piacere sapere che, più o meno, sta bene. Ci sono delle persone che le stanno vicine, nonostante il suo potere.» rimasi in silenzio per un po' aspettando che dicesse qualcosa, ma non disse niente. «Lei non dà quasi mai a vedere quando sta male, ma nelle lettere si capisce che... che sta bene, anche se inciampa nei problemi di tutti i giorni. Credevo solo che a sua madre avrebbe fatto piacere saperlo.»
«Natsume...» fece una pausa, e mi guardò con gli occhi pieni di lacrime. «sono io sua madre.» disse questo come se volesse liberarsi di un grosso peso, e mi lasciò immobilizzato, poi scomparve nell'ascensore e non fui in grado di seguirla, incapace di muovermi a causa della rivelazione com'ero rimasto. Continuavo a ripetermi che non aveva senso e che lei era troppo giovane per essere la madre di Mikan, ma più, da una parte, mi rifiutavo di accettarlo, più dall'altra comprendevo che era l'unica cosa che avesse un senso. La figlia di cui tanto parlava era proprio la mia ragazza, e io avevo appena detto a sua madre che era stata un totale fallimento. Oltre a lavorare sulla mia diplomazia, avrei anche dovuto trovare un modo per comunicare a Mikan la mia scoperta, ero rimasto scioccato per un po', perciò non riuscivo a immaginare come l'avrebbe presa lei, che la credeva morta da tutta la vita.

Il giorno seguente, o per meglio dire, qualche ora dopo, entrai in ufficio con quelle che dovevano essere le movenze di uno zombie: non ero riuscito a dormire a causa della scoperta che avevo fatto sul capo e non riuscivo a smettere di pensare al motivo per cui le informazioni da Naru si erano improvvisamente fermate, nonostante lui sembrasse stare bene. Un perché doveva esserci per forza, e doveva anche essere serio: per almeno dieci anni aveva fatto il doppiogioco per Z, e poi improvvisamente aveva smesso. Che fosse passato dalla parte del Preside era da escludere, ma se l'avesse minacciato? Poteva aver usato i bambini... ma se fosse stato un informatore e fosse stato scoperto, che senso aveva tenerlo in vita e in buona salute? Qualcosa non tornava, e questo pensiero non riusciva a smettere di tormentarmi.
«Ehilà...» mi salutò Mitsuki, senza allegria. «Sembri un morto, stamattina.»
Le rivolsi una smorfia. «Grazie.» avrei voluto essere più sarcastico, e invece suonai solo terribilmente stanco, con lo sbadiglio che parlare mi provocò.
«Dormito male, stanotte?» Yui mi comparve alle spalle con dei fascicoli tra le mani. Stava scendendo al piano di sotto, al centro di collocamento per diplomati. «Io non ho dormito per niente, se proprio volete saperlo, e credo che questo sia il decimo caffé. Quindi, non hai scuse per non lavorare.»
Non che ne stessi cercando, ma evitai di protestare: avrebbero potuto dirmi qualunque cosa, più o meno, avrei parlato il minimo possibile per concentrare le forze a rimanere sveglio. «Piantala, non vedi che dorme in piedi?» Ryu mi diede una pacca sulla spalla che mi fece barcollare, così decisi di sedermi alla mia scrivania. La cosa che avrei voluto sapere era come facevano loro ad essere così svegli a quell'ora, dopo la nottataccia che avevamo passato. Specialmente Mitsuki che era stata tutto il tempo con me e aveva fatto le stesse cose che avevo fatto io. Magari lei era riuscita a dormire, al contrario di me.
«Lascialo stare, ha lavorato parecchio, ieri sera.» mi difese proprio il miocaposquadra e mi ritrovai ad esserle grato per la comprensione.
«Piuttosto... dov'è Yuuko?» domandò Jou, affacciandosi da dietro il suo computer. Fu allora, credo, che ci rendemmo tutti quanti conto che mancava: non era una presenza che si notava, anzi. «D'accordo che anche lei ha lavorato ieri sera, ma non aveva detto Yuka che non avevamo scuse e che, soprattutto, non dovevamo uscire se non per lavorare?»
«Lei ha tenuto sotto controllo le telecamere... sai che gran fatica. Io e il ragazzo abbiamo scavato per arrivare nelle prigioni.» sbuffò Mitsuki, con malcelato risentimento. «E lei, invece, esce con un ragazzo.»
«Esce... con un ragazzo?» il tono di disgusto con cui parlò Ryu mi stupì, perché mai non avrebbe dovuto o potuto? Appoggiai la testa a una mano e sognavo di avere stecchini per tenere su le palpebre. Mmm... Yuuko usciva con un ragazzo, e quindi? «Mentre noi lavoriamo lei prende un permesso per uscire con un ragazzo?»
«Ma non stava scritto nel regolamento che non dovevamo intrattenere relazioni di tipo sentimentale con gente di cui non sapevamo niente?» domandò Jou, sporgendosi dalla sua scrivania verso quella del capo. «Potrebbe essere chiunque.»
«E che ne sa la gente che lei lavora per noi?» domandò Mitsuki, scuotendo semplicemente le spalle. «E poi come fa a sapere qualcosa di lui se non inizia a uscirci?»
«Le hanno concesso delle ore libere?» domandai, ed era questa la cosa strana. Avevamo cose importanti da sbrigare, chi mai le avrebbe dato il permesso per un appuntamento? Eravamo, forse, stati scoperti dall'Accademia e lei se ne andava in giro con uno sconosciuto in barba alle sue responsabilità? «Non capisco.»
«Ma che volete?» ci chiese, seccata. «Mi ha chiesto di uscire perché le ha telefonato questo ragazzo e io le ho detto di sì. Dopo quello che abbiamo passato ieri sera, mi sembrava giusto che si svagasse almeno un po'.»
«Ah, ecco.» ora si spiegava tutto. Il permesso non era arrivato dall'alto, gliel'aveva dato Mitsuki.
«Sentite, ad essere onesti: Yuuko ha un grande Alice, ma non è molto utile qui.» nessuno se la sentì di darle torto: lo sapevamo tutti bene che non era ferrata per fare granché che non fosse usare i suoi poteri. «Quando usciremo per una missione, ne avremo bisogno, ma per ora non sa nemmeno rispondere al telefono. E io sono già abbastanza nervosa per averla tra i piedi. Mi ha implorata di darle il permesso perché questo ragazzo era di certo quello giusto, e così l'ho lasciata andare.»
«Ma come hai potuto?» Ryu sembrava sinceramente disperato. «Lei esce a divertirsi e noi siamo qui a sgobbare! Dovremo gestire anche le sue telefonate.»
«Ci penso io, tranquillo.» gli fece lei, ironica. «Non vorrei mai che tu ti affaticassi. Dopotutto, hai fatto così tanto, ieri.»
«Ehi, ho tenuto a bada Yuka, per un po'. Inventarsi scuse è faticoso.» io mi limitai a continuare a fissarlo con quella che credevo essere un'espressione piuttosto vacua, perché avrei voluto chiedergli se avesse avuto voglia di prendere il mio posto, la prossima volta, ma proprio le parole non volevano uscirmi di bocca. Sbadigliai di nuovo, e sperai che il mio telefono non si mettesse a squillare tanto presto.
«Sì, certo.» commentò lei, tornando a scrivere qualcosa sui fogli che aveva sparsi sul tavolo. Poi smise e allungò le braccia sul tavolo. «Per voi è strano?»
«Che cosa?» riuscii a domandare, stendendomi sulla mia scrivania. Non sapevo se aveva cambiato argomento in modo repentino o ero io che non riuscivo a collegare i fili del discorso.
«Insomma, mi ha detto che doveva assolutamente uscire con questo ragazzo, quando prima non aveva idea che fosse disponibile, anche perché è venuta a lavorare.» osservò lei, e io capii che stava di nuovo parlando di Yuuko. «Avete fatto tutte quelle domande perché per voi è strano o siete solo invidiosi che lei abbia un appuntamento e voi no?»
Scossi la testa, senza aggiungere delle spiegazioni, ma Ryu sbuffò. «Veramente, cercavo solo di assicurarmi che non fosse qualche malintenzionato che volesse ottenere informazioni su di noi da un'ingenua come lei.»
Mitsuki inarcò le sopracciglia. «Credo che sia meno ingenua di quanto credi.»
«Per favore,» biascicai, ormai ritenendo un cuscino il pezzo di legno che avevo sotto la testa. «controlla dove si trova con il GPS del suo cellulare, così ci mettiamo tutti quanti l'anima in pace.» e io posso dormire, conclusi, ma solo mentalmente. Non credevo che un'uscita con qualcuno nascondesse sempre e per forza qualche agguato o sotterfugio, e ero anche dell'opinione che dovessimo avere una vita fuori da quelle maledette quattro mura, indipendentemente dalle cose che fossero scritte nel contratto di assunzione.
«Sì, hai ragione.» annuì e fece come le avevo suggerito. Avevamo un sistema per rintracciare i nostri colleghi, nel caso in cui avessero avuto bisogno di aiuto, ma non potessero dare la posizione precisa, per qualche motivo. Funzionava un po' come le tessere dell'Accademia, quelle che davano agli studenti con dentro un localizzatore, anche lì potevamo solo vedere i telefoni che emettevano dei segnali specifici che emettevano solo i nostri dispositivi. Mitsuki non sembrava avere una faccia da buone notizie. «Sono in un bar, non molto lontano da qui.»
«E allora perché quella faccia?» domandò Jou, forse anche lui stranito da quella reazione. Non si capiva se ci fosse rimasta male o se semplicemente ce l'avesse avuta con se stessa.
«Sto iniziando a preoccuparmi per nulla.» disse, scornata, e capii che era la seconda tra le alternative che avevo pensato. «E ho anche un gran mal di schiena.»
«Quando sei un capo sei un po' come una mamma.» Jou imitò la voce di Yuka, che doveva averlo detto quando aveva nominato Mitsuki il capo della nostra squadra, ancora prima che arrivassi a lavorare per lei.
«Non iniziare a ricordarmi che diventerò come la mia.» lo avvisò, truce. «O come Yuka.» e la prospettiva sembrava inorridirla anche di più.
«A forza di scavare ti è venuto mal di schiena?» domandò Ryu, sghignazzando, quasi. «O hai passato la notte in qualche strano modo insieme al tuo fidanzatino?»
«Piantala, Ryu.» gli intimò, ancora con lo sguardo fisso sullo schermo del computer. Questa volta fece una faccia davvero strana. «Secondo voi che significa il fatto che il segnale sia scomparso dalla mappa?»
«Il telefono è spento?» azzardai, senza trovare un'altra spiegazione logica.
«I nostri telefoni trasmettono anche da spenti.» disse lei, lentamente. Stava pensando a una possibile motivazione, forse. «Quindi...»
«Le è caduto e l'ha schiacciato una macchina?» offrì Ryu, in tono leggero. «A me è successo almeno dieci volte.»
«Sì ma tu sei una calamità naturale.» osservò Jou, ridendo. Poi rivolse l'attenzione a Mitsuki, sempre più preccupata. «Piantala! So dove vuoi arrivare: il tizio che sta con lei l'ha rapita, legata e ha distrutto il telefono perché non vuole far sapere dove si trova. Giusto?» per un attimo la prospettiva che fosse così mi svegliò dal mio momentaneo torpore. Era strano che il giorno dopo che ci eravamo fatti vedere in Accademia, qualcuno chiedesse a Yuuko di uscire, ma come avevano fatto ad arrivare a lei in così poco tempo? «Devi smettere di guardare la TV prima di dormire.»
«Ti dico che c'è qualcosa che non va.» ripeté Mitsuki. Mi sollevai su dalla posizione scomoda che avevo scelto e non potevo non darle ragione. «Per me le è successo qualcosa.»
«Se non abbiamo il segnale, come pensi di cercarla?» fece Ryu, scocciato. Anche questa era una buona domanda, ma di certo non era un buon piano stare lì e sperare che il telefono ricominciasse a trasmettere, quando probabilmente non l'avrebbe più fatto, o stare lì ad attendere che Yuuko si materializzasse dall'ascensore. Dubitavo che anche quello sarebbe successo.
«Potremmo iniziare dal bar dove l'hai vista per l'ultima volta.» suggerii, dato che non avevamo altri posti da cui partire. «A meno che tu non abbia visto un altro ultimo posto.»
Mitsuki scosse la testa. «No.» confermò, poi, fissando ancora il monitor, quasi che il pallino di Yuuko dovesse accendersi davvero di nuovo. «E non riesco a capire come possa essersi rotto in un posto del genere. Hai ragione, Natsume, usciamo. Vai di sotto a prendere Yui.» mi ordinò, tirandosi su dalla sedia. «Voi due rimanete qui, mi serve qualcuno che risponda al telefono se ci serve, e, nel caso le cose si mettano male, avverta Yuka.»
«Perché non possiamo uscire noi, questa volta?» domandò Jou, forse più preoccupato del fatto che uno di noi si sarebbe addormentato alla guida, piuttosto che del possibile rapimento di Yuuko.
«Squadra che vince non si cambia.» disse solo Mitsuki, prima di trascinarmi per il colletto della camicia. «Vado a prendere la macchina, fatti trovare all'entrata del personale con Yui tra cinque minuti. Se le è successo qualcosa, dobbiamo fare in fretta.» immaginai che si sentisse in colpa per averla lasciata uscire, quando ci era stato detto di non allontanarsi dal posto di lavoro, così feci cenno di sì con la testa e scesi al piano di sotto, mentre lei prendeva l'ascensore per il garage.
Rischiai di investire qualche collega che riportava al piano di sopra i fascicoli con i dati di nuovi possibili lavoratori e mi precipitai agli sportelli.
«Ehi, ragazzino.» mi fermò Yui, con un braccio. Era davanti a una fotocopiatrice e mi stava guardando come se fossi un idiota. «Dove corri?»
«Dobbiamo uscire.» riuscii a dire, col fiatone. Non avevo più il fisico per fare certe cose, anzi, forse andare in missione e usare il mio Alice sarebbe stato fin troppo rischioso, ma non avrei detto niente a nessuno, finché questo avrebbe potuto rappresentare un pericolo per Mikan. «Mitsuki ci vuole tra due minuti fuori.»
«Che diamine succede?» lasciò le sue fotocopie a un malcapitato lì vicino e si tolse il maglioncino degli impiegati. Sotto aveva i vestiti con cui l'avevo vista poco prima. «Spiegami.»
«Yuuko.» dissi, premendo il bottone dell'ascensore. «Mitsuki crede che le sia successo qualcosa.»
«Mitsuki vede complotti anche nei formaggini della mensa, in questo periodo.» osservò lei, ma entrò lo stesso nell'ascensore. «Almeno a quanto mi ha raccontato, mentre mi accompagnava a casa.» sbuffò, appoggiandosi alla parete, mentre premevo il pulsante 0. «Non che abbia torto, ovviamente, ma se sta con un ragazzo perché disturbarla?»
Fu a quella domanda che mi venne da chiedermi se non ci stessimo preoccupando troppo per nulla. Così la misi al corrente di tutti i fatti. «Il suo telefono ha smesso di trasmettere.»
Yui si limitò ad alzare gli occhi al cielo, come se mi trovasse ingenuo. «Tu lasceresti il tuo telefono trasmettere se la situazione si facesse piccante?»
«Si può bloccare il segnale?» ero incredulo: a che scopo fare dispositivi che trasmettevano se potevamo bloccarli quando volevamo?
Lei scrollò le spalle. «Con i dispositivi giusti? Sì.» mi precedette all'uscita dell'ascensore non appena si aprirono le porte sull'atrio. Lo attraversammo e uscimmo dal retro, lì da dove gli esterni non potevano entrare.
«Meglio andare a controllare comunque, non credi?» era sempre meglio prevenire che curare, si dice.
La mia collega non sembrava dello stesso parere. «Prova a dirlo alla tua amica, quando irromperemo ovunque si trovi e la beccheremo a fare chissà cosa con il suo uomo.»
«Capirà.» sentenziai, sicuro. Poi la fissai, incerto. «Capirà, vero?»
«Tu capiresti?» mi domandò e realizzai che non lo sapevo per certo. Poi mi indicò una macchina che veniva verso di noi. «Oh, eccola.» si fermò e quando il finestrino si abbassò, Mitsuki aveva un pollice bene in alto per il fatto che ero riuscito a portarle la collega nei tempi stabiliti. Yui mi diede una pacca sulla schiena. «Sali, su.»
Obbedii, e feci appena in tempo a chiudere la portiera, prima che Mitsuki premesse sull'acceleratore come non avevo mai visto fare a nessuno. Non ci volle molto per arrivare a destinazione: il bar era a due svolte da dove lavoravamo, ma lì non sembravano sapere niente di utile. La cameriera aveva notato solo il bel ragazzo con cui stava e che erano andati via in macchina.
«E ora?» domandò Yui, rivolgendosi a Mitsuki, la quale sembrava, esattamente come noi, non sapere che pesci prendere. «Da che parte sono andati?»
«La cameriera ha detto che sono andati da quella parte.» indicò la direzione da cui eravamo arrivati. «E, dato che nessuno ci ha chiamate... Yuuko non è tornata in ufficio.»
«Secondo me dovremmo piantarla di cercare e lasciarla in pace.» ripeté Yui, con le braccia conserte. «Ci chiamerà quando ha finito.»
«Oppure ci maledirà quando li interromperemo. Pagherei perché fosse così.» rispose il nostro capo, prima di sospirare, rassegnata. Io non sapevo cos'altro pensare se non che avevo un forte bisogno di un caffé. Aprii dal cellulare il programma di localizzazione, nel caso in cui avessimo ritrovato il segnale, era una vana speranza, ma poteva tornare utile. «Adesso che si fa?»
«Aspettiamo che ricompaia il segnale?» suggerì Yui, tentando di sedersi su una delle sedie del bar, ma Mitsuki la prese per un braccio prima che potesse farlo. «E dai, Natsume, che dice il... coso, lì... come si chiama?»
«Lascia perdere.» tagliai corto, tanto non c'era niente di utile sullo schermo. «Tanto è inutile.» e subito dopo le parole famose, un pallino comparve dall'altra parte della città. Il segnale era quello del telefono di Yuuko. «Aspettate...»
«Che vi avevo detto?» fece Yui, come se avesse avuto ragione fin dall'inizio, e in effetti era così. Non era sensato che il cellulare si fosse riattivato da rapitori o cose del genere, ma come si era procurata Yuuko un dispositivo per inibire l'invio del segnale?
«Dice che sta... dall'altra parte della città. Nei pressi della pagoda abbandonata, quel monumento per i turisti.» spiegai, girando verso di loro il mio cellulare. Entrambe ci misero qualche secondo a realizzare quanto avevo appena detto. «E allora... andiamo?»
«Certo che andiamo.» confermò Mitsuki, trascinando entrambi di nuovo in auto, in un viaggio per cui sarei morto di paura, se solo non fossi stato in auto con gli agenti dell'Accademia, che guidavano dieci volte peggio di lei, al ritorno dalle missioni.

«Su...» mi incitò Yui, scocciata. Sembrava credere ancora alla versione dell'appuntamento romantico sfociato in qualcosa di più piccante. Ma chi diamine sarebbe andato a consumare la propria passione in una pagoda abbandonata a cui i turisti non fanno altro che fare foto, un posto fatiscente e, si diceva, infestato. Chiaramente, nessuno di noi credeva alla storia dei fantasmi, era una cosa per attirare di più l'attenzione su una cosa vecchia e cadente per quelli che venivano nel nostro paese a fare foto strambe. «dai, attiva quel localizzatore, così facciamo prima.»
«Le telefono.» disse Mitsuki, fissando prima la pagoda e poi i dintorni. Il posto non era molto alto, però era vagamente inquietante, specialmente con quel tempo: sarebbe venuto a piovere in poco, e la cosa non mi piaceva granché, e non solo perché avevo dei coinquilini che la notte non facevano altro che allagare la casa in cui vivevo. Aspettammo qualche minuto di sentire suonare il telefono, e lo sentimmo, una volta tese le orecchie.
Era nei dintorni, ma nessuno rispondeva.
«Sono appartati?» domandò Yui, adesso non sembrava più molto convinta della sua precedente ipotesi. «O il telefono è stato gettato da una parte... da solo?» ci dirigemmo verso il suono e sì, era buttato tra le macerie del cantiere vicino alla pagoda abbandonata. Avevano tentato di restaurarla ma i lavori non erano mai proseguiti, le transenne e qualche resto di impalcatura erano ancora lì e il telefono era in mezzo a dei sassi.
«Non so se debba consolarmi o meno.» commentò Mitsuki, a mezza bocca, studiando il terreno vicino al cellulare.
«Consolarti?» ripeté Yui, guardandosi intorno, quasi che si aspettasse di vedere sbucare qualche malintenzionato da dietro le macerie.
«Non c'è il corpo di Yuuko, significa che è ancora viva. Il problema è che non so se starebbe meglio all'altro mondo.» prese il telefono in mano e, in quel momento, squillò. Sobbalzammo tutti e tre, Mitsuki più di noi, tanto che il cellulare ricadde lì dove l'aveva preso, perché le era sfuggito di mano per la sorpresa. «Siamo osservati, è evidente.»
Yui si voltò, guardandosi alle spalle. «Sarei più tranquilla se sapessi da chi e da dove.»
«Io ho un'idea.» commentai, accennando alla pagoda con la testa. Era un ottimo posto tetro per tirarci un'imboscata, era evidente ormai che volevano che fossimo proprio noi a recarci lì. Yuuko doveva essere ben nota alla Alice, il suo potere non era molto comune, e noi avremmo dovuto pensarci prima, di certo farla abboccare non era stato difficile, visto che aveva una stupida fiducia nella gente. «All'Accademia piace essere teatrali.»
«Spero che sia solo questo, Natsume.» il telefono squillò di nuovo, ma stavolta era un messaggio che assicurava che avrebbero preso le nostre vite. «Hai ragione, sai? Sanno essere molto teatrali.» si voltò verso di me come se non fossimo stati appena minacciati di morte e ci incoraggiò a incamminarci verso l'edificio. «Si dice che sia infestato, ma non credevo da una massa di imbecilli con gli occhiali da sole.»
Arrivammo all'entrata ed era tutto così straordinariamente tranquillo che si sarebbe potuto pensare che, davvero, non ci fosse nessuno dentro. Ma era troppo quieto per crederlo veramente, nemmeno un topo che cammina, una formica, niente di niente. Perfino i nostri passi riecheggiavano nell'ambiente e perfino la porta cigolante sui cardini fece il suo effetto da film horror. Alzai gli occhi al cielo, ma non si mosse niente per qualche altro minuto. Feci in tempo ad abituarmi all'assenza di luce e potei notare che anche l'interno della torre non stava molto meglio del cantiere poco distante da essa: macere e calcinacci erano dovunque.
«Manca ancora la giusta suspance, per farsi vedere, immagino.» commentò Yui, guardando anche lei in alto, forse per vedere se qualche testa dei già citati imbecilli sbucasse da una delle passerelle che portavano fino alla cima della torre. Non c'era nessuno, in compenso cominciavano già a sentirsi i loro passi. Lì dentro era così buio che potevamo affidarci solo all'udito per capire da che direzione stessero arrivando.
«Natsume,» sussurrò Mitsuki, tenendomi per un gomito. «tu cerca di non usare il tuo Alice.» me ne chiesi il motivo, ma forse era solo perché non voleva far sapere che ero lì con loro e che stavo tramando contro l'Accademia. Adesso capivo il motivo per cui tutti quanti sembravano tenere così tanto a Mikan, era la figlia di Yuka e doveva essere anche una loro priorità proteggerla. Fu un pensiero confortante, da un lato.
E forse fu perché mi ero perso nei miei penseri che non mi accorsi che i passi si erano fatti più vicini di quanto mi sarebbe piaciuto in una situazione del genere. La luce delle torce che accesero mi impedì di vedere per qualche istante, solo dopo mi accorsi che eravamo circondati da agenti della scuola che ce le stavano puntando contro. Non sembravano avere altre armi, eravamo semplicemente sotto i riflettori.
Non riuscivo a capire di che utilità fossero, finché non ne comparvero altri dalle passerelle che prima la mia collega stava guardando. Loro non avevano solo le torce, ma qualcos'altro in mano che non riuscivo a distinguere, mentre ancora mi paravo gli occhi per far diminuire il fastidio di avere la luce puntata dritta contro di me dopo che si erano abituati al buio. Una delle due imprecò, prima che gli agenti dell'Accademia lanciassero le bottigliette che avevano in mano, le quali esplosero a contatto con il pavimento, generando un fumo denso che, molto probabilmente, serviva a tramortirci, o comunque qualcosa del genere. Mi coprii d'istinto la bocca con la manica della giacca, anche se non sarebbe servito a molto. La luce delle torce non faceva altro che peggiorare la situazione, dato che il fumo stava arrivando a irritarmi gli occhi, e immaginavo che sia Mitsuki che Yui non se la stessero passando molto meglio di me. Dovevamo andarcene di lì e anche in fretta, prima che iniziassero a spararci.
Di certo noi non li vedevamo, ma sospettavo che loro ci vedessero benissimo, poco ma sicuro. L'unica cosa che dovevamo fare era toglierci dal mirino di tutti quei pazzi ammaestrati. Spinsi Yui nella direzione che intendevo prendere, lì dove avevo fatto appena in tempo a notare un minore assiepamento di agenti e trascinai Mitsuki, afferrandola per un lembo di stoffa. La situazione non migliorò granché e finalmente capii l'utilità dei famosi occhiali da sole che portavano anche al chiuso: serviva a proteggerli da fumogeni o altri agenti chimici come quelli che ci avevano appena buttato addosso.
Respirare piano era il segreto per mantenere il più a lungo possibile la lucidità: questa era una di quelle cose che avevo imparato in missione, ed era una gran brutta cosa da accettare, il fatto che mi stessero tornando estremamente utili.
«Ma che cavolo...?» fu la mezza frase di Yui, quando ci ritrovammo tutti addosso al muro, proprio dietro uno di quegli idioti che avrebbe dovuto ucciderci. Forse il fumo non danneggiava i loro occhi, ma a quanto pare la loro visuale sì. Buono a sapersi. Le misi una mano sulla bocca per farle capire che doveva fare silenzio e poi la lasciai andare. Non c'era il tempo di lamentarsi della mia mancanza buone maniere, non credevo che fossero cose importanti, quando devi salvare la vita di qualcuno. E poi non c'era da pensare a un piano di fuga: le opzioni erano solamente due, prima che la copertura che ora il fumo ci offriva svanisse così com'era arrivata.
La prima: avremmo dovuto trovare un modo per costeggiare il muro dalla parte giusta e uscire, ma in quel caso avremmo lasciato Yuuko al suo destino, oppure l'opzione numero due: avremmo dovuto prendere la direzione opposta e trovare dei passaggi o delle scale che ci permettessero di esplorare il dannato posto. L'unico problema era il difficile orientamento dentro una stanza dove non si vedeva praticamente niente e la luce che filtrava entrava da delle finestre molto più in alto di dove ci trovavamo in quel momento. Sentivo il mio cuore battere all'impazzata, per il nervosismo e la rabbia di non riuscire a trovare una soluzione.
Mitsuki mi trascinò verso destra, evidentemente lei aveva trovato un modo per riconoscere la strada giusta, quale delle due avesse deciso di scegliere, ovviamente, non lo sapevo ancora. L'unica cosa che immaginavo avesse fatto era prendere me e la sua amica e portarci o all'uscita o all'imboccatura di un qualche corridoio, ammesso che ce ne fossero stati e che non fossimo praticamente in una trappola mortale. Ma se c'erano delle passerelle ci dovevano essere delle scale, dovevamo solo trovarle e pregare che quelli di sopra fossero idioti come quello che avevamo superato senza farci vedere, per pura fortuna.
Quando il fumo si diradò, non c'era rimasto più nessuno nella sala. In compenso, eravamo in una specie di sottoscala, avremmo solo dovuto aggirarla per salire. «Dov'è Yui?» sentii la voce della caposquadra, e mi girai. Non riuscivo molto bene a distinguerla, dopo tutto quel fumo e quel buio.
Cercai di guardarmi intorno, ma non sembrava esserci anima viva oltre me e lei. «Credevo che fosse con noi.»
Mitsuki sospirò frustrata. «Dobbiamo andare a cercarla prima che la trovi la persona sbagliata.»
«Cominciamo a salire.» suggerii, accennando alla scala con la testa. Da qualche parte saremmo pur dovuti partire, ed era logico pensare che Yui avesse proseguito anche da sola, soprattutto conoscendola, visto che era andata anche da sola a fare un'improvvisata in Accademia. «Forse la troviamo per la strada, e poi non mi pare che qui sotto sia rimasto nessuno.»
«Mi chiedo il perché di tutto questo.» e anche io me lo stavo chiedendo: non era difficile da immaginare che qualcosa era andato storto nel loro piano, ma mi domandavo ancora dove fosse Persona e se ci fosse. Rapire un membro dell'Organizzazione Z senza di lui equivaleva a una missione fallita, ma se lui c'era, perché mai non era venuto a darci una calda accoglienza? Non era da lui.
La cosa mi preoccupava alquanto, perché se non era ad occuparsi di noi, era – o era stato – con qualche prigioniero, e sperai che così non fosse, altrimenti stavamo andando a raccogliere un cadavere, o più di uno, con ogni probabilità.
«Forse pensavano che catturarci sarebbe stato facile.» ipotizzai, aguzzando la vista e l'udito in cerca di qualche rumore nemico o amico. Sarebbe stata una fortuna ritrovare Yui, ma quando notai l'altra rampa di scale, diametralmente opposta alla nostra, cominciai a dubitare che ci saremmo riusciti tanto presto. «E quando non ci hanno visti più hanno pensato che fossimo andati in giro. Non usavamo mai questo fumogeno, quando ero nelle Abilità Pericolose proprio perché è difficile controllarlo.»
«Allora sono davvero degli idioti.» commentò, senza mezzi termini.
«Fidati, irrita gli occhi e forse ha anche effeti a lungo termine. Non ne so granché.» non potevamo sperare che l'avessero lanciato solo per scherzare, certo la maggior parte di loro era composta da imbecilli, ma chi organizzava la missione di solito aveva un cervello dentro la testa, e di solito era Persona. «Penso solo che si siano sentiti più sicuri perché sono in molti.»
«Sono comunque degli idioti.» sentenziò, indicandomi la destra. «Andiamo per di qua.»
La seguii, e anche in fretta, perché non era prudente separarsi in un posto che noi non conoscevamo ma gli avversari sì. Sbucammo in un corridoio ancora più buio del precedente, su cui procedemmo lentamente, cercando di avvertire perfino il rumore dei nostri passi, per fare in modo che non fosse avvertibile da qualcuno che voleva farci fuori.
Fu allora che vedemmo un cerchio di luce prodotto sicuramente da una di quelle torce che avevamo già visto, e sentimmo delle voci provenire dalla stessa direzione, anche piuttosto concitate. Mitsuki mi spinse di lato, dietro a una porta aperta che io, in quel buio, non avevo nemmeno fatto in tempo a notare, troppo occupato a chiedermi a quanta distanza fossero gli agenti dell'Accademia e quanti fossero. Ci spostammo nel lato più buio della stanza, in modo che non potessero vederci e cercai di limitare la respirazione, nel caso in cui anche loro avessero avuto un buon senso dell'udito.
«Se non finiamo questo lavoro, ce la vederemo brutta.» stava dicendo uno di loro. Potevo vedere la luce di una torcia lungo il corridoio. «Mi chiedo dove diavolo si siano cacciati, quegli stupidi ratti.»
«Certo che si profondono in complimenti...» osservò la mia caposquadra, a mezza bocca. Mi limitai a darle una gomitata perché non rischiasse di farci scoprire e non coprisse la risposta di quello con cui il primo uomo doveva essere in compagnia. Dai passi sembravano in due.
La luce si introdusse un po' nella stanza, e mi appiattii di più contro la parete per non fare ombra. Il posto non era dei più grandi, e non ci sarebbe voluto molto a beccarci se avessero guardato dentro con la torcia. «Chiudi la porta, imbecille. Non vorrai che ci mettiamo in guai più seri.» Non successe niente per qualche secondo, e dedussi che l'altro non riteneva il fatto della stessa improtanza. «Non si muoverà di certo, dopo aver passato del tempo con lui
«Sempre meglio essere prudenti, non credi?» l'ombra del primo uomo oscurò la luce della loro torcia, ma per fortuna era sempre girato di spalle, presumibilmente verso il suo collega.
Ci fu un altro attimo di silenzio. «Forse hai ragione.»
La porta venne improvvisamente sbarrata e un inquietante click segnò il bloccaggio della serratura. Era evidente che non saremmo riusciti ad andare da nessuna parte, e non potevamo certo rimanere lì per sempre, dal momento che era una stanza senza finestre e, nonostante il legno della struttura fosse marcio, l'aria disponibile prima o poi sarebbe finita. Tra l'altro quell'odore non era nemmeno il massimo da respirare, perciò mi domandavo quanto avremmo potuto resistere. Mitsuki ci provò lo stesso ad andare ad aprire ma, nonostante tirasse con tutte le sue forze, la porta rimase lì dov'era.
Sentimmo le voci allontanarsi e poi nemmeno un po' di luce passò dallo spiraglio tra la porta e il pavimento. Eravamo di nuovo soli. «Cosa diavolo ci fa una porta di metallo in un posto come questo?» poi imprecò sottovoce e diede un calcio alla ragione dei suoi problemi. «Ahia...»
«Troveremo un modo.» supposi che Mitsuki avesse avuto ragione fin dall'inizio. Evidentemente, la casa era ritenuta infestata per le grida di quelle che, dalla gente normale, erano ritenuti fantasmi e che, forse, erano semplicemente gente che veniva portata lì dall'Accademia per essere indotta a confessare qualcosa che a loro interessava, tanto sapevano che era un luogo in cui nessuno metteva più piede da decenni e questo avrebbe spiegato anche perché gli operai che si stavano occupando della sua ristrutturazione avevano lasciato il lavoro a metà e anche in fretta. Non mi stupì granché che nessuno avesse mai pensato di indagare, dato che la gente quando non vuole avere problemi o, semplicemente vedere la verità, si nasconde dietro all'ipotesi più comoda. «Dobbiamo solo pensare.»
Lei sbuffò. «La stanza è di metallo. Moriremo soffocati, prima o poi.» la cosa non sembrava turbarla più di quanto non turbasse me. Sarà stato perché avevamo praticamente convissuto con la morte giorno dopo giorno. Io, ormai, sapevo da tempo di essere condannato, a causa del mio Alice, e la cosa mi fece pensare che, forse, anche lei doveva avere un simile problema.
«Si sente odore di legno marcio.» le feci notare, indicando il soffitto, anche se a vuoto, dato che non poteva vedermi. «Qualcosa è in legno.»
«Dev'essere il tetto, allora.» avevamo avuto la stessa idea. «Forse possiamo uscire di lì.» la sentii spostarsi verso destra e avvertii che toccava una parete. «A meno che non sia sigillato sulla parte superiore.»
La stanza era fredda, e nel momento in cui era entrata un po' di luce avevo notato che il soffitto era piuttosto alto. «Io non credo di poterci arrivare. E dubito che ci sia una scala provvidenziale per aiutarci o qualcosa che tu possa usare per costruirla.»
Mitsuki schioccò la lingua, forse delusa dal fatto di non poter rendersi utile. «Tu sì che sai come consolare una ragazza.»
Sbuffai: non era certo la risposta che mi aspettavo. «Non mi sembra il momento per fare del sarcasmo.» eravamo sulla buona strada per essere uccisi, anche perché prima o poi si sarebbero resi conto che non c'eravamo più da nessuna parte, sarebbe stato naturale cominciare a cercare nelle stanze, e ci avrebbero trovato di sicuro. E poi c'era un altro problema: non sapevamo dove diamine fosse finita Yui, e io non sapevo nemmeno che diamine di Alice avesse e se ci fosse una minima possibilità che sopravvivesse. Certo, dovevo ancora metabolizzare di avere una zia, ma avrei comunque preferito che sopravvivesse, non solo perché avrei voluto farle delle domande sulla morte di mia madre, senza contare che era, forse, l'ultima parente che avevo in vita, dato che non avevo più ricevuto notizie da mio padre, dopo la morte di mia sorella, ma anche perché Miyako aveva bisogno di una madre con cui crescere.
«Se c'è una cosa che ho imparato da Yui-sempai è che è sempre il momento buono per fare del sarcasmo.» parlò in tono distratto, le sue dita che ancora scorrevano sulla parete. «Le pareti sono troppo lisce per potersi arrampicare, e il soffitto troppo alto per arrivarci, anche se ti salissi sulle spalle.»
Sospirai: non avevamo uno straccio di piano e stavo già iniziando a innervosirmi, per prima cosa perché avremmo potuto evitare tutto quel casino, se semplicemente Mitsuki avesse detto di no alla stupida richiesta di Yuuko, e perché eravamo caduti in trappola come degli imbecilli, nonostante fossimo consci perfettamente dei metodi dell'Accademia. «Buono a sapersi.» borbottai, cercando di camminare in linea retta per misurare la stanza e fare una stima dell'ossigeno che avevamo a disposizione.
«Hai visto? Ci sei riuscito.» mi stava prendendo in giro, ed era chiaro, ma non replicai, non riuscivo a smettere di pensare a quanto Yuka avesse avuto ragione fin dall'inizio: eravamo degli idioti e probabilmente avevamo davvero compromesso tutta l'operazione. Non ci avevamo pensato, ma era chiaro che Yuuko era la più riconoscibile tra noi e che la scuola avrebbe potuto risalire a lei senza problemi. Evidentemente, le telecamere dovevano aver ripreso qualche scena del garage, o qualcosa del genere, forse anche prima. Ormai sapevano chi era Yui, chi era Yuuko e chi eravamo tutti, prenderci di sorpresa non era stato un compito per niente difficile, specialmente con lei. Solo che questa consapevolezza non mi aiutava minimamente a trovare una soluzione, ma mi faceva solo venire i nervi a fior di pelle anche di più. «Yui-sempai è convinta che allenti la tensione.»
«Credevo che fosse quella a cui piace aumentarla.» commentai, abbandonando momentaneamente quei pensieri.
«Solo se sa che andrà a finire bene.» mi ricordò, e mi accorsi che si stava sforzando di sembrare allegra, forse per tirarmi su di morale, o forse perché lei era il capo, e doveva dare l'esempio.
Un colpo di tosse mi paralizzò. Non avevo ben intuito a cosa si stessero riferendo quei due uomini quando stavano parlando e, sul momento, non me ne ero nemmeno preoccupato. Solo in quel preciso istante realizzai che non eravamo da soli e che era stato estremamente stupido pensarlo. Io e Mitsuki ci voltammo verso l'origine del rumore, alle nostre spalle, qualche decina di passi da noi, ma era troppo buio per distinguere qualcosa che non fosse il nulla.
«Hai sentito anche tu?» mi chiese, bisbigliando, stavolta. Ormai era troppo tardi, se qualcuno era lì inisieme a noi si era accorto anche troppo che era in compagnia, dato che non ci eravamo preoccupati di abbassare la voce, una volta certi che i due scagnozzi di Persona non erano più a portata d'orecchio.
Annuii, prima di rendermi di nuovo conto che avrei dovuto parlare. «Fin troppo bene.»
«Dovremmo avvicinarci?» non sembrava che ne fosse proprio convinta, tant'è che fece un passo indietro, invece che verso quella che ritenevo fosse la fonte del rumore.
La fermai, tendendo un braccio verso il vuoto. Per fortuna riuscii ad afferrarle la giacca. «Tu credi che possa essere una trappola?»
Mitsuki sembrò pensarci su, e poi fece due passi in avanti, tirando anche me. «Beh, qualunque cosa sia non possiamo andare da nessuna parte, e se ci vuole morti prima o poi ci ammazzerà.» il dubbio le era passato in fretta, c'era da ammetterlo. «Tanto vale tentare.»
Sentivo dei bisbiglii, qualcosa che suonava come un delirio. Presi Mitsuki per un polso per non perderla e la trascinai dove ora sapevo che c'era un'altra persona. «Che sta dicendo?» sussurrò di nuovo, fermandosi.
«Non riesco a capire.» era tutto troppo confuso per poterlo fare, c'erano solo alcune parole che si potevano interpretare, e il significato mi era tristemente noto. «Sembra una richiesta d'aiuto.»
Si sporse verso il buio, come se potesse essere d'aiuto. «Secondo te è cosciente?»
«Vedremo.» certo era che non potevo dirlo a una distanza come quella senza avere nemmeno un po' di maledetta luce. «Devo usare il mio Alice almeno per vederci qualcosa.»
«E consumare un po' dell'ossigeno che ci serve per rimanere in vita per qualche altra ora? Non mi sembra una grande idea.» in effetti, poteva sembrare che non lo fosse, dovevo ammetterlo, ma non ci saremmo mossi dal punto in cui eravamo, se non avessi fatto niente.
«Non è una grande idea.» concordai, senza poterlo negare. «Questo non significa che non sia utile.»
«Natsume...» suonava più come un avvertimento, dello stesso tipo che mi aveva fatto prima di entrare nella pagoda. Chissà perché era così preoccupata del fatto che dovessi usare il mio potere, lei non poteva sapere che stavo male, e doveva sapere che ero perfettamente in grado di controllarlo, perciò non riuscivo a capire dove stesse il suo problema.
«Vogliamo stare qui a discutere ancora per molto?» quello sì che non era utile, anzi, era più utile consumare ossigeno con il fuoco che per discutere se era meglio accenderlo oppure no.
Sbuffò, e mi diede una spinta, quasi che le desse fastidio darmela vinta. «Avanti, fallo. Tanto siamo morti lo stesso.»
Sorrisi. «Adesso sei tu che ragioni come me.» aprii la mano e le fiamme si crearono quasi istantaneamente, fu una sorpresa rivederle dopo un po' di tempo. Ne usai una quantità irrisoria, giusto quella che era necessaria per non brancolare nel buio. Il qualcuno che era lì con noi era una ragazza, ma io non l'avevo mai vista prima. «E questa chi è?»
Mitsuki sollevò lo sguardo verso di me, confusa quanto lo ero io. «Io non ne ho idea.» si inginocchiò verso di lei, che non sembrava essere cosciente del fatto che fosse con altre persone. La osservammo entrambi per un po', finché non realizzai cosa fossero le macchie nere che le sbucavano dalle maniche. Un'altra cosa di cui parlavano quei due idioti: lei era una prigioniera che era stata toccata da Persona, e l'avevano lasciata lì a morire di una morte lenta e dolorosa.
«Persona.» dissi solo, indicando le macchie che era meglio non toccare per non rischiare il contagio. Mitsuki doveva saperlo, perché allontanò le sue mani ancora prima di poter arrivare a sfiorarle. «Forse era nel posto sbagliato al momento sbagliato.»
Lei contrasse le sopracciglia, come se si stesse sforzando di ricordare qualcosa. «Mi è familiare.»
Anche io cercai di guardarla meglio, ma proprio non mi veniva in mente dove potevo averla vista. Io non ero un tipo fisionomista, avrei anche potuto vederla dieci volte lo stesso giorno, mi sarei comunque dimenticato la sua faccia. Tendevo a fare così in modo che i volti della gente che mi capitava di dover interrogare durante le mie missioni non tornassero a tormentarmi nei miei incubi. Non aveva quasi mai funzionato. «Dici che è dei nostri?»
«Non lo so, io...» usò la manica della giacca per proteggersi le mani e tentò di muovere le braccia della ragazza. «Oh, mio Dio...»
«Che succede?» mi inginocchai anche io, cercando di osservare se il contagio era passato anche attraverso il tessuto, ma Mitsuki sembrava stare bene.
Sollevò lo sguardo preoccupato su di me. «Se è stata toccata da Persona, non c'è molto tempo.» voltò di nuovo la testa verso la nostra compagna di stanza e si morse un labbro. «E credo proprio che sia Yuuko.»
«Mi stai prendendo in giro?» doveva essere uscita di testa. Yuuko non aveva di certo quell'aspetto, d'accordo che tendevo a non ricordarmi le persone, ma questo era troppo, questa ragazza aveva i capelli rossicci e mossi, Yuuko aveva...
«Il suo Alice le permette di cambiare aspetto, genio.» in effetti non l'avevo mai vista con lo stesso colore degli occhi, sapevo solo che era lei, come lo sapevano anche gli altri membri della squadra, senza un vero perché. «È lei, ma non è la lei che siamo abituati a vedere.»
E questo poteva essere un vantaggio quanto uno svantaggio. Un vantaggio per chiunque avesse voluto farci credere che era lei, e uno svantaggio per noi che non sapevamo come confermare quale fosse la verità e quale la menzogna. «Come facciamo a esserne sicuri?»
«Il tatuaggio che ha sul polso.» lo indicò, sempre attraverso la manica della giacca. «Magari non è una prova schiacciante, ma...»
«Sì, ho capito.» la bloccai, tanto non c'era molto tempo. Che fosse lei o non lo fosse, era stata contagiata dall'Alice della Morte, perciò che fosse sotto il controllo della scuola o meno, stava morendo, e noi non potevamo certo lasciarla lì.
«Presto,» mi tirò per una manica, e mi scosse. «chiama aiuto.»
Presi il telefono in automatico, e feci come mi aveva appena chiesto. C'era un solo altro, piccolo problema: l'edificio doveva essere schermato, perché non c'era nemmeno la più piccola traccia di segnale.
«Siamo perduti.» fu la sua consolante constatazione, quando voltai lo schermo verso di lei.

*****

Scusate il ritardo, a tutti, pensavo di fare prima ma non ce l'ho proprio fatta a finire il capitolo per la festa della donna. Sono felice che continuiate a seguire la storia nonostante i numerosi ritardi e gli aggiornamenti più unici che rari. I 101 preferiti che ho raggiunto sono un grandissimo traguardo che non mi sarei mai aspettata di raggiungere, perciò grazie :)
Alla prossimaaa
_Pan_

  
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