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Autore: Lady_Cassandra    09/03/2014    2 recensioni
Tommaso e Micaela non avrebbero potuto essere più diversi.
Lui, dottorando in Meccanica Quantistica, assistente di un vecchio professore che ha eretto a proprio mentore.
Lei, centralista annoiata laureata in Lettere Moderne ed in cerca di un'occupazione migliore, con un unico sogno nel cassetto: diventare una scrittrice.
Eppure, qualcosa in comune l'avevano: entrambi erano stati delusi da un amore passato e avvertivano dopo tanto la voglia di rimettersi in gioco.
Riusciranno due carattersi diversi, eppure affini in alcuni aspetti, a riscoprire il vero amore o si rivelerà ancora una volta un completo disastro?
Se vi ho incuriosito, non vi resta che cliccare su questa storia e a voi coraggiosi auguro una buona lettura!
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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The call center

 

Prologo

 

Giugno 2017

Le note della tastiera, armoniose che finivano col confondersi con lo sprezzante ed elettronico ritmo della canzone, entravano nella sua testa e gli impedivano di ascoltare le dure parole della giovane donna di fronte a lui.

Non voleva ascoltarla. Quella conversazione era illogica, quella che stava parlando non era la sua fidanzata, quella con cui aveva diviso gli ultimi tre anni della sua misera vita, non poteva essere lei.

“Contiamo le stelle?” improvvisamente domandò lui con voce flebile, leggermente titubante.

Lei chiuse gli occhi e sospirò rumorosamente. La voce riprese a parlare, con incrinature che prima erano assenti.

Lui, sentendo un grosso groppo in gola, si spostò verso la finestra voltandole le spalle e sentì una lacrima scendere lungo sua guancia. Lei aveva già deciso, aveva deciso per entrambi.

Si concentrò sulle parole della canzone: “Leave me paralyzed, love”

“È colpa mia, vero?” chiese senza voltarsi, piegando leggermente il viso perché lei non vedesse il suo riflesso nella finestra e notasse le lacrime che ormai non riusciva a trattenere.

Poteva impedirle di guardare il volto, ma le sue spalle iniziarono a muoversi affannosamente verso l’alto.

Era in preda ai singhiozzi, dando la prova di essere capace di provare veri sentimenti, come mai prima d’ora.

La canzone continuava ad andare avanti, quella frase che aveva contraddistinto la loro relazione s’insinuò nelle loro menti. “Leave me hynotized, love”

Lei vacillò e commuovendosi, mosse un passo verso di lui.

Non poteva essere la decisione giusta se doveva soffrire così- pensò per un frangente, però, in quel preciso istante, le parole di sua madre le tornarono in mente: “Bimba, non cambierà mai e tu starai sempre male” stoppando quei passi indirizzati alla sua fragile figura.

 “Io ci ho provato, tu, però non mi hai reso mai le cose facili!”

La sua voce non mostrava più incrinature, facendo sì che la gola di lui si chiudesse.

Si ricompose.

Obbligò i suoi muscoli a muoversi e le sue corde vocali a prendere fiato. “Quando andrai via?”

“Domani mattina”

Trattenne il respiro, non gli aveva dato nemmeno il tempo di rimediare, di riconquistarla. Era finita.

“Questo è un addio?”

Nessuna risposta dall’altra parte, ma la ragazza annuì con il capo con fare deciso, di chi vuole stroncare ogni speranza.

Lui la vide annuire e tirò su con il naso, ma il suo cuore era sotto le macerie.

“Addio allora”

La ragazza si avviò verso l’uscita con passo esitante, posò la mano sulla maniglia della porta e si voltò di nuovo verso di lui, immobile di spalle, donando il suo sguardo vuoto alla finestra.

“Non cambierai mai” sono le sole parole che fu capace di dirgli. Abbassò la maniglia ed uscì immergendosi nelle affollate strade della loro città, sbattendo la porta e portandosi con sé il loro futuro.

Le sue lacrime scesero copiose sulle guance ma i suoi occhi avevano qualcosa di diverso, lui, in quel momento, era cambiato.

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Hard life on Monday mornings

 

Tre anni prima

 

Il lunedì mattina è sempre un giorno faticoso per qualsiasi essere umano: il tanto amato weekend è appena andato via e ci vorranno ben cinque giorni prima di poterlo riabbracciare di nuovo, intanto però siamo costretti a ritornare fra i banchi di scuola, o della tua cara facoltà, ad assistere una noiosissima lezione alle otto e mezzo su questioni, di cui francamente non ci importa un tubo, oppure dovremo fronteggiare il traffico ed intraprendere la strada verso il tuo odioso lavoro, perché di lunedì mattina anche il più bello dei lavori diventa odioso.

Se esisteva un giorno della settimana che Micaela De Blasio avrebbe voluto che fosse cancellato dai calendari era decisamente il lunedì. Tuttavia, come sua madre stessa le aveva insegnato, ogni giorno, incluso il lunedì, può essere migliorato se lo si affronta con un’abbondante colazione e il sorriso sulle labbra.

Perciò Micaela si alzò dal letto, piena di onesti propositi per quel lunedì mattina che stava appena cominciando, dopo aver rimandato l’ora della sua sveglia per una buona mezz’ora.

“Buongiorno coinquilino” trillò la ragazza rivolgendo un sorriso a trentadue denti, al ragazzo facendola risultare, secondo il convivente, inappropriata e fuori luogo.

Giacomo è uno studente della facoltà di Lettere e Filosofia al ‘n’ anno fuori corso, non amava particolarmente spiegare i motivi per cui è andato così il suo percorso di studi quindi si limitava, ad ogni volta che gli domandavano spiegazioni, a fare spallucce rimanendo sul vago.
Aggrottò la fronte e si stropicciò gli occhi incerto di aver visto bene. “Stai davvero sorridendo di lunedì mattina appena sveglia?”

Micaela rise di gusto e si sedette sul loro sgabello leggermente malandato dopo averlo avvicinato a Giacomo. “Dicono che il segreto per affrontare il lunedì è farlo con il sorriso” sussurrò al suo orecchio quasi stesse rivelando uno dei dogmi della fede.

Il ragazzo fece una smorfia arricciando le labbra.

“Fammi indovinare un’altra perla di saggezza di donna Graziella?” la interrogò alludendo alla madre di Micaela, che era ormai diventata fonte di saggezza popolare nel corso della convivenza dei due, che a settembre di quell’anno avrebbero festeggiato il quarto anniversario di ‘coinquilinanza’, vocabolo inventato da Giacomo.

La ragazza annuì intanto che mordicchiava un biscotto al cioccolato.

“Bah, devo dissentire. Anche con un sorriso, per me il lunedì resta uno schifo” affermò e si alzò per versare il caffè nelle loro raffinate tazzine in vetro, rubate al bar sotto casa.

“Che palle! Non ci voglio andare al lavoro” sbuffò Micaela incrociando le braccia al petto.

“Meno male che affrontavi il lunedì con il sorriso” la prese in giro sghignazzando il suo coinquilino.

La ragazza lo guardò di sottecchi. “Io non voglio andare al lavoro in nessun giorno della settimana”

L’aspirante filosofo si strinse le spalle. “Non capisco perché non lo molli e ti cerchi qualcosa di meglio” osservò intanto che mandava giù un sorso del suo personale nettare degli Dèi, ovvero di caffè.

Micaela batté una mano sulla fronte del ragazzo.“Perché ci pago le nostre bollette, carino”

In quegli ultimi mesi, i facoltosi genitori di Giacomo avevano deciso di tagliare i fondi al ragazzo, essendo stanchi delle solite scuse del loro figlio sulla sua presunta incapacità di entrare nelle simpatie del suo professore di Storia Medievale, che, a sua detta, lo avrebbe ormai bocciato ben otto volte causando il rinvio della tanto agognata laurea.

“Ed io te ne sono eternamente grato” ammiccò, dopodiché le cinse le spalle. “Vedrai quest’anno spacchiamo!” esclamò alzando un cinque verso la ragazza che esitò qualche secondo prima di batterlo.

“Tutti gli anni dovremmo spaccare e invece siamo sempre qui” ribadì lei indicando il loro bilocale che, pur essendo pieno di curiosi ed improbabili mobili, che lo rendevano un po’ vintage e bohemien, rimaneva lo stesso un tugurio.

“Vado a prepararmi” lo informò dopo aver posato la tazzina sporca nel lavello della cucina. “Nuove lamentele a cui rispondere mi aspettano” ironizzò sul lavoro da centralinista e scappò in camera.

Un’altra giornata al call center stava per iniziare.

 

In piedi davanti alla pensilina della fermata del bus, Micaela ripensava all’affermazione di Giacomo.

“Dovrei cambiare lavoro” rifletté ad alta voce attirando su di sé l’attenzione di un anziano che sorrise.

“Non è soddisfatta?” domandò l’uomo rivolgendole un sorriso, la ragazza scosse la testa.

“Lei sarebbe soddisfatto di un lavoro da centralinista quando ha una laurea triennale e specialistica in Lettere Moderne, conseguite entrambe con il massimo dei voti?” chiese retorica susseguito da un sospiro. A volte si pentiva di aver scelto la letteratura come fonte di guadagno futura.

Anche l’anziano, imitandola, sospirò. “Credo di no”.

“Ha risposto alla sua domanda” concluse il discorso la ragazza facendo un sorriso spento.

Nel frattempo aveva scorto l’autobus svoltare l’angolo e la centralinista si apprestò ad avvicinarsi al ciglio della strada. “Vedrà che andrà meglio” la confortò l’uomo mentre saliva sul bus.

“Lo spero” rispose Micaela con tono smorto, infine salutò l’anziano, prima che gli sportelli del mezzo di trasporto si richiudessero.

 

Giunta in prossimità della sua postazione di lavoro fu assalita dalla sua collega, Federica, che la bloccò per un braccio trascinandola nella toilette del loro disordinato ufficio.

“Ci ha provato di nuovo” le raccontò appoggiandosi di spalle al mobile del lavandino. “Te ne rendi conto?” urlò fingendosi disperata.

Micaela inarcò un sopracciglio. “Come se a te non facesse piacere”

La sua collega sorrise maliziosa dando una scrollata alla sua folta chioma bionda. “Vorrei che mollasse quell’idiota, insomma non possiamo scopare e poi tornare a comportarci come dei semplici colleghi”

Federica intratteneva rapporti ‘illeciti’ con il loro diretto superiore, Luca, fidanzato da ben cinque anni con una pallavolista professionista, sempre impegnata in qualche torneo in giro per l’Europa.

“Non la mollerà mai e lo sai” osservò Micaela intanto che si specchiava accorgendosi solo in quell’istante delle occhiaie violacce sotto gli occhi.

Federica aprì la borsa frugando nel suo beauty case per qualche istante e allungò il correttore verso l’amica.

“Ti aiuterà a sembrare un essere vivente” esclamò dopo aver notato l’occhiata diffidente di Micaela che non apprezzava molto i moderni artefici della cosmesi.

“Comunque tu non capisci. Lui è sexy, Miche, scopa da Dio e.. io sono innamorata” affermò con un sospiro ritornando sull’argomento principale della loro conversazione.

Micaela roteò gli occhi, ogni volta si ripeteva la solita storia. “Beh, allora smettila di lamentarti”

Federica sbuffò stizzita. “È inutile parlare con te”

“Ma d’altronde, cosa mi posso aspettare da una che non si è mai innamorata in tutta la sua vita?”

La ragazza le lanciò un’occhiata furibonda. “Il fatto che io non mi sia fatta scopare dal mio capo, che mi promette che lascerà la sua fidanzata e invece non ha la benché minima intenzione di farlo, non implica che non mi sia mai innamorata”

Federica boccheggiò contrariata scoppiando poi a ridere di gusto vedendo la reazione di Micaela che si era portata una mano alla bocca per essersi fatta sfuggire le sue considerazioni. “E dimmi un po’, quando è stata l’ultima volta che il tuo cuoricino ha fatto ‘ , ’?”

Micaela rimase in silenzio fingendo di concentrarsi sull’applicazione del correttore. “Tre anni e mezzo fa” confessò a voce bassa.

“Quindi sono tre anni e mezzo che tu non ..”dedusse inorridita incapace di concludere la frase, la sua amica annuì  restituendole il correttore.

“Oddio mio! Miche, devi trovarti un uomo” esclamò gesticolando platealmente e facendo cadere per terra il correttore che Micaela teneva in mano, lo raccolse lanciandolo in seguito nella borsa.

“Ci sto lavorando. Ora però dovrei lavorare sulle telefonate e anche tu” la rimproverò uscendo di corsa dalla toilette prima che Federica potesse aggiungere qualcos’altro che la potesse imbarazzare.

 

 

*

 

Quello stesso lunedì mattina, Tommaso Parisi si apprestava a riassettare la sua cattedra nell’attesa della lezione che avrebbe tenuto di lì a breve ma entrò improvvisamente la sua collega Sara con cui conduceva il suo progetto di ricerca.

 “Il professor Lavagnini ti vuole nel suo ufficio dopo la fine della lezione” gli comunicò laconica la ragazza intanto che si sedeva sulla cattedra.

Tommaso le lanciò un’occhiata interrogativa. “Anche a te?”

La ragazza scosse la testa e lo indicò con un dito. “Just you, babe

Il ricercatore si allarmò, aveva forse combinato qualche guaio? Lui sottoponeva ogni fase del suo esperimento all’approvazione del suo mentore, e ora perché mai questo lo avrebbe convocato nel suo ufficio e per giunta da solo.

Aprì la bocca nel tentativo di dire qualcosa ma venne interrotto dagli studenti del corso di Meccanica quantistica che hanno fatto ingresso in massa nell’aula prendendo posto pigramente sulle sedie.

“Beh, io vado allora” lo salutò in fretta la sua collega e uscì dall’aula.

Per tutta la durata della sua lezione, Tommaso non fece altro che pensare alla sua convocazione, distraendosi inevitabilmente.

Sbagliò qualche calcolo matematico che ben presto fu corretto dall’aspirante 30 e lode e si ricordò di quando anche lui era soltanto uno studente della facoltà di Fisica e di quanto avesse goduto nel correggere i suoi professori. Sibilò a denti stretti un ‘grazie’ e proseguì nella spiegazione, dando ulteriori motivi di vanto al genietto di turno che gongolò della sua reazione.

D’altronde, per Tommaso la scienza era la più grande gioia della sua vita. Aveva scoperto fin da piccolissimo la sua affezione verso di essa, diventando sempre più assettato di conoscenza. “Una curiosità insaziabile” aveva detto la sua maestra di scienze in quarta elementare a suo padre mostrando la fila piena di ‘ottimo’ del suo registro.

Aveva sempre scrutato la volta celeste con avido interesse, voleva sapere ogni cosa di quegli astri lontani di cui notava vagamente il movimento; rapito e affascinato da quelle masse gassose aveva persino chiesto un telescopio per poter osservare meglio, non gli bastavano più i suoi occhi.

Lui voleva, doveva sapere tutto di quel misterioso cielo.

Ma fu in una notte tiepida d’inizio estate che l’allora undicenne Tommaso conobbe la sua compagna di vita, ovvero la fisica.

Suo padre lo aveva mandato a letto presto, lui e la sua attuale compagna stavano tenendo una festa nel loro giardino e il piccolo Tommy con il suo ingombrante telescopio era fin troppo fastidioso.

Aveva protestato ma, stanco, aveva ceduto e aveva finto di coricarsi nel suo letto, in realtà, aveva preso di nuovo il telescopio e si era avvicinato alla finestra aperta per vedere le stelle ancora una volta.

Era stato lì, immerso nella sua contemplazione quando un lampo di luce rapì il suo sguardo. Era un fulmine che preannunciava l’inizio di una tempesta estiva che non tardò ad affacciarsi all’orizzonte.

Subito dopo il cielo tuonò e altri accecanti lampi illuminarono la terra, sentì le risate degli amici di suo padre che correvano mettendosi al riparo e la sua compagna lamentarsi della loro sfortuna, ma non se ne curò affatto. I discorsi degli adulti erano sempre noiosi, al contrario di quello che stava accadendo davanti ai suoi occhi.

Qualche meccanismo era scattato nella sua brillante mente, i cui ingranaggi iniziarono a ruotare. All’improvviso anche il mondo che lo circondava divenne interessante; lui doveva carpire le sue leggi, forze, ragioni che lo guidavano. Doveva farlo suo.

Da quel momento, la vita di Tommaso fu dedicata interamente alla scoperta di quella scienza magnifica, da cui aveva tratto le soddisfazioni più grandi, e mai se ne pentì.

La campanella segnalante l’inizio del quarto d’ora di pausa accademico lo trovò immerso nelle sue formule, si voltò verso la folla di studenti chini sui loro quaderni a prendere appunti e li informò che avrebbero ripreso l’argomento nella lezione successiva.

“Purtroppo non mi posso trattenere. Il prof mi aspetta” riferì ai suoi studenti, giustificandosi inutilmente giacché questi non erano affatto dispiaciuti che il noioso assistente del Lavagnini non li avesse trattenuti ancora.

Raccolse la sua roba che infilò distrattamente nella tracolla di pelle sgualcita e si avviò verso l’ufficio del suo ‘mentore’.

 

“Parisi, eccoti. Accomodati” indicò la sedia davanti a lui, su cui il giovane assistente si era seduto tante volte, e sorrise.

“Russo mi ha detto che voleva parlarmi” esordì tentennante il ragazzo abbassando lo sguardo, le sue guance avvamparono inspiegabilmente facendo sorridere ancora una volta il Lavagnini, un omone ormai vicino alla settantina dall’aria amichevole.

Era stato il suo essere così caloroso e affettuoso nei confronti dei suoi studenti, cosa rara per uno studioso della Fisica, che aveva spinto Tommaso a chiedere al professore se fosse possibile inserirlo nel suo progetto di ricerca.

L’uomo aveva chiesto il suo libretto notando immediatamente la sfilza di 30 e 30 e lode che lo popolavano e aveva inclinato vistosamente il mento compiaciuto. “Sarà un onore averti con noi”

Tuttavia ora doveva esserci qualche problema, altrimenti come spiegare diversamente quell’improvvisa convocazione?

“Meccanica sarà tua” disse l’uomo d’un fiato appoggiandosi allo schienale della sua sedia in pelle sintetica per osservare meglio l’espressione di Tommaso di reazione alla notizia.

Il ragazzo sbarrò gli occhi e le sue labbra si modularono in un sorriso estasiato. “Dice davvero?”

“Sì, l’anno prossimo terrai tu il corso. Sarà tutto tuo” proseguì il Lavagnini dandogli ulteriori dettagli su come avesse avanzato quella proposta nell’ultima seduta del Consiglio di facoltà e di quanto la notizia fosse stata accolta dai suoi colleghi con scarsa sorpresa. Era da tempo che il professor Lavagnini voleva ritirarsi in pensione, ma la ricerca del suo giusto successore glielo impediva, o meglio glielo aveva impedito finché non si era imbattuto in Parisi, un giovane brillante, ma modesto e con i piedi per terra, che gli ricordò subito sé stesso nei primi anni della sua carriera.

“Oh, grazie grazie” fu tutto ciò che il ragazzo riuscì a dire in preda alla commozione. Quella dimostrazione di fiducia nelle sue capacità e di apprezzamento del suo lavoro era ciò a cui aveva ispirato da quando aveva messo piede all’università.

Strinse vigorosamente la mano del professore nella sua e uscì dall’ufficio prendendo subito il cellulare in mano per chiamare sua zia. Doveva informarla immediatamente di quella meravigliosa notizia.

 

  
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