The call center
Prologo
Giugno 2017
Le
note della tastiera, armoniose che finivano col confondersi con lo sprezzante
ed elettronico ritmo della canzone, entravano
nella sua testa e gli impedivano di ascoltare le dure parole della giovane
donna di fronte a lui.
Non
voleva ascoltarla. Quella conversazione era illogica, quella che stava parlando
non era la sua fidanzata, quella con cui aveva diviso gli ultimi tre anni della
sua misera vita, non poteva essere lei.
“Contiamo
le stelle?” improvvisamente domandò lui con voce flebile, leggermente
titubante.
Lei
chiuse gli occhi e sospirò rumorosamente. La voce riprese a parlare, con
incrinature che prima erano assenti.
Lui,
sentendo un grosso groppo in gola, si spostò verso la finestra voltandole le
spalle e sentì una lacrima scendere lungo sua guancia. Lei aveva già deciso, aveva
deciso per entrambi.
Si
concentrò sulle parole della canzone: “Leave me paralyzed, love”
“È
colpa mia, vero?” chiese senza voltarsi, piegando leggermente il viso perché
lei non vedesse il suo riflesso nella finestra e notasse le lacrime che ormai
non riusciva a trattenere.
Poteva
impedirle di guardare il volto, ma le sue spalle iniziarono a muoversi
affannosamente verso l’alto.
Era in
preda ai singhiozzi, dando la prova di essere capace di provare veri
sentimenti, come mai prima d’ora.
La
canzone continuava ad andare avanti, quella frase che aveva contraddistinto la
loro relazione s’insinuò nelle loro menti. “Leave me hynotized, love”
Lei vacillò
e commuovendosi, mosse un passo verso di lui.
Non
poteva essere la decisione giusta se doveva soffrire così- pensò per un
frangente, però, in quel preciso istante, le parole di sua madre le tornarono
in mente: “Bimba, non cambierà mai e tu starai sempre male” stoppando quei
passi indirizzati alla sua fragile figura.
“Io ci ho provato, tu, però non mi hai reso
mai le cose facili!”
La sua
voce non mostrava più incrinature, facendo sì che la gola di lui si chiudesse.
Si
ricompose.
Obbligò
i suoi muscoli a muoversi e le sue corde vocali a prendere fiato. “Quando andrai via?”
“Domani
mattina”
Trattenne
il respiro, non gli aveva dato nemmeno il tempo di rimediare, di
riconquistarla. Era finita.
“Questo
è un addio?”
Nessuna
risposta dall’altra parte, ma la ragazza annuì con il capo con fare deciso, di
chi vuole stroncare ogni speranza.
Lui la
vide annuire e tirò su con il naso, ma il
suo cuore era sotto le macerie.
“Addio
allora”
La
ragazza si avviò verso l’uscita con passo esitante, posò la mano sulla maniglia
della porta e si voltò di nuovo verso di lui, immobile di spalle, donando il
suo sguardo vuoto alla finestra.
“Non
cambierai mai” sono le sole parole che fu capace di dirgli. Abbassò la maniglia
ed uscì immergendosi nelle affollate strade della loro città, sbattendo la
porta e portandosi con sé il loro futuro.
Le
sue lacrime scesero copiose sulle guance ma i suoi occhi avevano qualcosa di diverso,
lui, in quel momento, era cambiato.
Hard life on
Monday mornings
Tre anni
prima
Il lunedì mattina è sempre un
giorno faticoso per qualsiasi essere umano: il tanto amato weekend è appena
andato via e ci vorranno ben cinque giorni prima di poterlo riabbracciare di
nuovo, intanto però siamo costretti a ritornare fra i banchi di scuola, o della
tua cara facoltà, ad assistere una noiosissima lezione alle otto e mezzo su
questioni, di cui francamente non ci importa un tubo, oppure dovremo fronteggiare
il traffico ed intraprendere la strada verso il tuo odioso lavoro, perché di lunedì
mattina anche il più bello dei lavori diventa odioso.
Se esisteva un giorno della
settimana che Micaela De Blasio avrebbe voluto che
fosse cancellato dai calendari era decisamente il lunedì. Tuttavia, come sua
madre stessa le aveva insegnato, ogni giorno, incluso il lunedì, può essere
migliorato se lo si affronta con un’abbondante colazione e il sorriso sulle
labbra.
Perciò Micaela si alzò dal letto, piena
di onesti propositi per quel lunedì mattina che stava appena cominciando, dopo
aver rimandato l’ora della sua sveglia per una buona mezz’ora.
“Buongiorno
coinquilino” trillò la ragazza rivolgendo un sorriso a trentadue denti, al
ragazzo facendola risultare, secondo il convivente, inappropriata e fuori
luogo.
Giacomo è uno studente della
facoltà di Lettere e Filosofia al ‘n’ anno fuori corso, non amava
particolarmente spiegare i motivi per cui è andato così il suo percorso di
studi quindi si limitava, ad ogni volta che gli domandavano spiegazioni, a fare
spallucce rimanendo sul vago.
Aggrottò la fronte e si stropicciò gli occhi incerto di aver visto bene. “Stai
davvero sorridendo di lunedì mattina appena sveglia?”
Micaela rise di gusto e si sedette
sul loro sgabello leggermente malandato dopo averlo avvicinato a Giacomo.
“Dicono che il segreto per affrontare il lunedì è farlo con il sorriso”
sussurrò al suo orecchio quasi stesse rivelando uno dei dogmi della fede.
Il ragazzo fece una smorfia
arricciando le labbra.
“Fammi indovinare un’altra perla
di saggezza di donna Graziella?” la interrogò alludendo alla madre di Micaela,
che era ormai diventata fonte di saggezza popolare nel corso della convivenza
dei due, che a settembre di quell’anno avrebbero festeggiato il quarto
anniversario di ‘coinquilinanza’, vocabolo inventato
da Giacomo.
La ragazza annuì intanto che
mordicchiava un biscotto al cioccolato.
“Bah, devo dissentire. Anche con
un sorriso, per me il lunedì resta uno schifo” affermò e si alzò per versare il
caffè nelle loro raffinate tazzine in vetro, rubate al bar sotto casa.
“Che palle! Non ci voglio andare
al lavoro” sbuffò Micaela incrociando le braccia al petto.
“Meno male che affrontavi il
lunedì con il sorriso” la prese in giro sghignazzando il suo coinquilino.
La ragazza lo guardò di sottecchi.
“Io non voglio andare al lavoro in nessun giorno della settimana”
L’aspirante filosofo si strinse le
spalle. “Non capisco perché non lo molli e ti cerchi qualcosa di meglio”
osservò intanto che mandava giù un sorso del suo personale nettare degli Dèi,
ovvero di caffè.
Micaela batté una mano sulla
fronte del ragazzo.“Perché ci pago le nostre bollette, carino”
In quegli ultimi mesi, i facoltosi
genitori di Giacomo avevano deciso di tagliare i fondi al ragazzo, essendo
stanchi delle solite scuse del loro figlio sulla sua presunta incapacità di
entrare nelle simpatie del suo professore di Storia Medievale, che, a sua
detta, lo avrebbe ormai bocciato ben otto volte causando il rinvio della tanto
agognata laurea.
“Ed io te ne sono eternamente
grato” ammiccò, dopodiché le cinse le spalle. “Vedrai quest’anno spacchiamo!”
esclamò alzando un cinque verso la ragazza che esitò qualche secondo prima di
batterlo.
“Tutti gli anni dovremmo spaccare
e invece siamo sempre qui” ribadì lei indicando il loro bilocale che, pur
essendo pieno di curiosi ed improbabili mobili, che lo rendevano un po’ vintage
e bohemien, rimaneva lo stesso un tugurio.
“Vado a prepararmi” lo informò
dopo aver posato la tazzina sporca nel lavello della cucina. “Nuove lamentele a
cui rispondere mi aspettano” ironizzò sul lavoro da centralinista e scappò in
camera.
Un’altra giornata al call center stava per iniziare.
In piedi davanti alla pensilina
della fermata del bus, Micaela ripensava all’affermazione di Giacomo.
“Dovrei cambiare lavoro” rifletté
ad alta voce attirando su di sé l’attenzione di un anziano che sorrise.
“Non è soddisfatta?” domandò
l’uomo rivolgendole un sorriso, la ragazza scosse la testa.
“Lei sarebbe soddisfatto di un
lavoro da centralinista quando ha una laurea triennale e specialistica in
Lettere Moderne, conseguite entrambe con il massimo dei voti?” chiese retorica susseguito
da un sospiro. A volte si pentiva di aver scelto la letteratura come fonte di
guadagno futura.
Anche l’anziano, imitandola,
sospirò. “Credo di no”.
“Ha risposto alla sua domanda”
concluse il discorso la ragazza facendo un sorriso spento.
Nel frattempo aveva scorto l’autobus
svoltare l’angolo e la centralinista si apprestò ad avvicinarsi al ciglio della
strada. “Vedrà che andrà meglio” la confortò l’uomo mentre saliva sul bus.
“Lo spero” rispose Micaela con
tono smorto, infine salutò l’anziano, prima che gli sportelli del mezzo di
trasporto si richiudessero.
Giunta in prossimità della sua
postazione di lavoro fu assalita dalla sua collega, Federica, che la bloccò per
un braccio trascinandola nella toilette del loro disordinato ufficio.
“Ci ha provato di nuovo” le
raccontò appoggiandosi di spalle al mobile del lavandino. “Te ne rendi conto?”
urlò fingendosi disperata.
Micaela inarcò un sopracciglio.
“Come se a te non facesse piacere”
La sua collega sorrise maliziosa
dando una scrollata alla sua folta chioma bionda. “Vorrei che mollasse
quell’idiota, insomma non possiamo scopare e poi tornare a comportarci come dei
semplici colleghi”
Federica intratteneva rapporti
‘illeciti’ con il loro diretto superiore, Luca, fidanzato da ben cinque anni
con una pallavolista professionista, sempre impegnata in qualche torneo in giro
per l’Europa.
“Non la mollerà mai e lo sai”
osservò Micaela intanto che si specchiava accorgendosi solo in quell’istante delle
occhiaie violacce sotto gli occhi.
Federica aprì la borsa frugando
nel suo beauty case per qualche istante e allungò il correttore verso l’amica.
“Ti aiuterà a sembrare un essere
vivente” esclamò dopo aver notato l’occhiata diffidente di Micaela che non
apprezzava molto i moderni artefici della cosmesi.
“Comunque tu non capisci. Lui è
sexy, Miche, scopa da Dio e.. io sono innamorata” affermò con un sospiro ritornando
sull’argomento principale della loro conversazione.
Micaela roteò gli occhi, ogni
volta si ripeteva la solita storia. “Beh, allora smettila di lamentarti”
Federica sbuffò stizzita. “È
inutile parlare con te”
“Ma d’altronde, cosa mi posso
aspettare da una che non si è mai innamorata in tutta la sua vita?”
La ragazza le lanciò un’occhiata
furibonda. “Il fatto che io non mi sia fatta scopare dal mio capo, che mi
promette che lascerà la sua fidanzata e invece non ha la benché minima
intenzione di farlo, non implica che non mi sia mai innamorata”
Federica boccheggiò contrariata
scoppiando poi a ridere di gusto vedendo la reazione di Micaela che si era portata
una mano alla bocca per essersi fatta sfuggire le sue considerazioni. “E dimmi
un po’, quando è stata l’ultima volta che il tuo cuoricino ha fatto ‘tù tù, tù
tù’?”
Micaela rimase in silenzio
fingendo di concentrarsi sull’applicazione del correttore. “Tre anni e mezzo
fa” confessò a voce bassa.
“Quindi sono tre anni e mezzo che
tu non ..”dedusse inorridita incapace di concludere la frase, la sua amica
annuì restituendole il correttore.
“Oddio mio! Miche, devi trovarti
un uomo” esclamò gesticolando platealmente e facendo cadere per terra il
correttore che Micaela teneva in mano, lo raccolse lanciandolo in seguito nella
borsa.
“Ci sto lavorando. Ora però dovrei
lavorare sulle telefonate e anche tu” la rimproverò uscendo di corsa dalla
toilette prima che Federica potesse aggiungere qualcos’altro che la potesse
imbarazzare.
*
Quello stesso lunedì mattina, Tommaso
Parisi si apprestava a riassettare la sua cattedra nell’attesa della lezione che
avrebbe tenuto di lì a breve ma entrò improvvisamente la sua collega Sara con
cui conduceva il suo progetto di ricerca.
“Il professor Lavagnini
ti vuole nel suo ufficio dopo la fine della lezione” gli comunicò laconica la
ragazza intanto che si sedeva sulla cattedra.
Tommaso le lanciò un’occhiata
interrogativa. “Anche a te?”
La ragazza scosse la testa e lo
indicò con un dito. “Just you, babe”
Il ricercatore si allarmò, aveva
forse combinato qualche guaio? Lui sottoponeva ogni fase del suo esperimento
all’approvazione del suo mentore, e ora perché mai questo lo avrebbe convocato
nel suo ufficio e per giunta da solo.
Aprì la bocca nel tentativo di
dire qualcosa ma venne interrotto dagli studenti del corso di Meccanica
quantistica che hanno fatto ingresso in massa nell’aula prendendo posto
pigramente sulle sedie.
“Beh, io vado allora” lo salutò in
fretta la sua collega e uscì dall’aula.
Per tutta la durata della sua
lezione, Tommaso non fece altro che pensare alla sua convocazione, distraendosi
inevitabilmente.
Sbagliò qualche calcolo matematico
che ben presto fu corretto dall’aspirante 30 e lode e si ricordò di quando
anche lui era soltanto uno studente della facoltà di Fisica e di quanto avesse
goduto nel correggere i suoi professori. Sibilò a denti stretti un ‘grazie’ e
proseguì nella spiegazione, dando ulteriori motivi di vanto al genietto di
turno che gongolò della sua reazione.
D’altronde, per Tommaso la scienza
era la più grande gioia della sua vita. Aveva scoperto fin da piccolissimo la
sua affezione verso di essa, diventando sempre più assettato di conoscenza. “Una
curiosità insaziabile” aveva detto la sua maestra di scienze in quarta elementare
a suo padre mostrando la fila piena di ‘ottimo’ del suo registro.
Aveva sempre scrutato la volta
celeste con avido interesse, voleva sapere ogni cosa di quegli astri lontani di
cui notava vagamente il movimento; rapito e affascinato da quelle masse gassose
aveva persino chiesto un telescopio per poter osservare meglio, non gli
bastavano più i suoi occhi.
Lui voleva, doveva sapere tutto di
quel misterioso cielo.
Ma fu in una notte tiepida
d’inizio estate che l’allora undicenne Tommaso conobbe la sua compagna di vita,
ovvero la fisica.
Suo padre lo aveva mandato a letto
presto, lui e la sua attuale compagna stavano tenendo una festa nel loro
giardino e il piccolo Tommy con il suo ingombrante telescopio era fin troppo
fastidioso.
Aveva protestato ma, stanco, aveva
ceduto e aveva finto di coricarsi nel suo letto, in realtà, aveva preso di
nuovo il telescopio e si era avvicinato alla finestra aperta per vedere le
stelle ancora una volta.
Era stato lì, immerso nella sua
contemplazione quando un lampo di luce rapì il suo sguardo. Era un fulmine che
preannunciava l’inizio di una tempesta estiva che non tardò ad affacciarsi
all’orizzonte.
Subito dopo il cielo tuonò e altri
accecanti lampi illuminarono la terra, sentì le risate degli amici di suo padre
che correvano mettendosi al riparo e la sua compagna lamentarsi della loro
sfortuna, ma non se ne curò affatto. I discorsi degli adulti erano sempre
noiosi, al contrario di quello che stava accadendo davanti ai suoi occhi.
Qualche meccanismo era scattato
nella sua brillante mente, i cui ingranaggi iniziarono a ruotare.
All’improvviso anche il mondo che lo circondava divenne interessante; lui
doveva carpire le sue leggi, forze, ragioni che lo guidavano. Doveva farlo suo.
Da quel momento, la vita di
Tommaso fu dedicata interamente alla scoperta di quella scienza magnifica, da
cui aveva tratto le soddisfazioni più grandi, e mai se ne pentì.
La campanella segnalante l’inizio
del quarto d’ora di pausa accademico lo trovò immerso nelle sue formule, si
voltò verso la folla di studenti chini sui loro quaderni a prendere appunti e
li informò che avrebbero ripreso l’argomento nella lezione successiva.
“Purtroppo non mi posso
trattenere. Il prof mi aspetta” riferì ai suoi studenti, giustificandosi
inutilmente giacché questi non erano affatto dispiaciuti che il noioso
assistente del Lavagnini non li avesse trattenuti
ancora.
Raccolse la sua roba che infilò
distrattamente nella tracolla di pelle sgualcita e si avviò verso l’ufficio del
suo ‘mentore’.
“Parisi, eccoti. Accomodati”
indicò la sedia davanti a lui, su cui il giovane assistente si era seduto tante
volte, e sorrise.
“Russo mi ha detto che voleva
parlarmi” esordì tentennante il ragazzo abbassando lo sguardo, le sue guance
avvamparono inspiegabilmente facendo sorridere ancora una volta il Lavagnini, un omone ormai vicino alla settantina dall’aria
amichevole.
Era stato il suo essere così
caloroso e affettuoso nei confronti dei suoi studenti, cosa rara per uno
studioso della Fisica, che aveva spinto Tommaso a chiedere al professore se
fosse possibile inserirlo nel suo progetto di ricerca.
L’uomo aveva chiesto il suo
libretto notando immediatamente la sfilza di 30 e 30 e lode che lo popolavano e
aveva inclinato vistosamente il mento compiaciuto. “Sarà un onore averti con
noi”
Tuttavia ora doveva esserci
qualche problema, altrimenti come spiegare diversamente quell’improvvisa
convocazione?
“Meccanica sarà tua” disse l’uomo
d’un fiato appoggiandosi allo schienale della sua sedia in pelle sintetica per
osservare meglio l’espressione di Tommaso di reazione alla notizia.
Il ragazzo sbarrò gli occhi e le
sue labbra si modularono in un sorriso estasiato. “Dice davvero?”
“Sì, l’anno prossimo terrai tu il
corso. Sarà tutto tuo” proseguì il Lavagnini dandogli
ulteriori dettagli su come avesse avanzato quella proposta nell’ultima seduta
del Consiglio di facoltà e di quanto la notizia fosse stata accolta dai suoi
colleghi con scarsa sorpresa. Era da tempo che il professor Lavagnini
voleva ritirarsi in pensione, ma la ricerca del suo giusto successore glielo impediva,
o meglio glielo aveva impedito finché non si era imbattuto in Parisi, un
giovane brillante, ma modesto e con i piedi per terra, che gli ricordò subito
sé stesso nei primi anni della sua carriera.
“Oh, grazie grazie”
fu tutto ciò che il ragazzo riuscì a dire in preda alla commozione. Quella
dimostrazione di fiducia nelle sue capacità e di apprezzamento del suo lavoro
era ciò a cui aveva ispirato da quando aveva messo piede all’università.
Strinse vigorosamente la mano del
professore nella sua e uscì dall’ufficio prendendo subito il cellulare in mano
per chiamare sua zia. Doveva informarla immediatamente di quella meravigliosa
notizia.