Looking back at sunsets
[
something forcing me to turn away]
Don't
resent me
And when you're feeling empty
Keep me in your memory
[Leave
out all the rest, Linkin park]
Non sai cosa ci fai qui,
ancora immobile.
Ore, ore e
ore immobile sul letto lercio. C’è una macchia di sangue proprio al
centro del lenzuolo altrimenti bianco.
Un moto di odio irrefrenabile ti assale e ti accorgi che la porta è ancora
aperta e lei non c’è più, ma, che stupido, non c’è più già da ore, ed è tutta
colpa tua.
Poi, vieni aggredito dai ricordi.
Sporchi, sporchi ricordi che dovrebbero farti vomitare rimpianto, alla luce
delle circostanze, ma non ci riescono.
Perché certi errori hanno un
sapore meraviglioso.
Come lei.
-
Il silenzio assume quasi un
colore tutto suo, quando sei abituato a vedere tutto con tale precisione.
Un colore fastidioso, che
passa dal bianco accecante al nero più profondo.
Due tinte che fanno entrambe così tanto male da farti bramare un po’ di sano
grigio, qualche volta.
Qualche volta.
“Neji nii-san!”
“Sì?”
Non sai perché stiate camminando vicini.
E’ semplicemente capitato che
v’incontraste per strada.
Capita, quando la meta è la
stessa.
Quando la casa, è la stessa.
Non ha senso, ma forse puoi dire che non sei più tanto allergico alla sua
vista, ultimamente.
Questo perché sono successe delle cose.
Perché, forse, lei ha
rinunciato a lui.
“Mi odi?”
“Qualche volta.”, ammetti con
cruda sincerità.
Non hai mai bisogno di
pensare né per dire la verità né per dirle qualcosa di crudele.
Lei non mostra di voler piangere, ma “E’ meglio di quel che
pensassi. Di quel che merito.” sussurra, e mentre si
stringe timidamente una ciocca di capelli tra le dita e abbassa, come sempre,
lo sguardo, avverti l’irrefrenabile istinto di prenderle il mento,
sollevarglielo e guardarla negli occhi per smentire tutto.
Ma non lo fai, ti limiti a
restar lì a guardarla senza una buona ragione.
Perché alzare la testa così di scatto, dopo anni a crogiolarsi nel buio, può
fare troppo male perché tu possa desiderare infliggerglielo.
Non senza una buona ragione.
-
Per degli anni l’hai odiata.
Ma hai sempre avuto i tuoi
buoni motivi, lo sai.
Non hai colpe.
Dopotutto, lei si è limitata
ad essere ostinatamente quello che non avrebbe mai potuto
appartenerti.
Momento dopo momento, anno
dopo anno.
Poi, si è infatuata di lui. Ed è diventata ancora più irraggiungibile di quanto
già non fosse stata.
Come un bambino, hai detestato ciò che non potevi avere facendolo apparire meno
bello, meno luminoso perché nessuno potesse biasimarti per questo.
Cercando pretesti, cercando orgoglio e vanto nelle tue doti naturali per
dimenticare quel che la natura ti aveva precluso sul serio.
Aggrappandoti al fato con
amarezza ma sperando, nel contempo, che fosse abbastanza clemente con te la
prossima volta, in un futuro non troppo remoto.
Perché è semplicemente troppo
crudele, vederla ovunque, vivere sotto lo stesso tetto ma in condizioni così
diverse.
Così irraggiungibili, voi due.
Qualche volta, da bambino,
fantasticavi.
Qualche volta.
Sul quanto facilmente avresti
ottenuto la sua mano e vi sareste sposati:avevate
anche lo stesso cognome, che cosa semplice.
Perché eri sicuro che una
volta più grande le saresti stato più vicino, lo
sapevi.
Tuo padre te lo diceva
sempre: eri nato per lei, per proteggerla.
E ti sembrava troppo scontato
per non essere vero che
questo significasse stare insieme per sempre uniti in matrimonio.
Come la mamma e il papà, se
non fosse stato che le donne Hyuuga, così fragili,
muoiono giovani.
Tua madre dandoti alla luce,
la madre di Hinata-sama di malattia.
Ma non è tutto così scontato,
nella vita. Ininfluenzabile,
forse, ma non scontato.
Perché stare assieme poteva anche significare camminare in fila, senza mai
potersi toccare.
Perché se lei ti avesse
toccato o anche solo urtato l’avresti colpita con rabbia e odiata ancora di più
perché l’etichetta ti avrebbe imposto di aiutarla a rialzarsi per poi
separartene di nuovo.
La tua condanna vivente.
Forse era solo la bramosia di
un giocattolo nuovo, una pretesa veramente sciocca.
Ma era così cristallino, fin da allora, che eravate destinati a stare insieme.
Imparasti la parola “destino” senza versare una lacrima, nemmeno distratta.
La assaporasti soffocandone molte, anni dopo e ne annullasti il significato con
il semplice ripeterla come una preghiera per anni e anni.
Tutto questo finché tuo padre non morì.
Al contrario di Hyashi-sama, lui non era mai stato in
grado di ferirti con parole crudeli, né menzogne né verità.
Non hai potuto serbare di lui un ricordo diverso dalle sue labbra che, davanti
a Hyashi-sama, si corrucciavano e l’inglorioso suono
delle sue grida riverso sul pavimento.
-
Le tue labbra s’inarcano in
maniera impercettibile, quando vengono espressi i nomi dei nuovi sfidanti.
Altrettanto impercettibilmente, puoi già sentire l’odore di sudore a versarsi
sulle tempie di Hinata-sama.
Camminerà di un passo lento, forse tremolante.
Ma non ti priverà della soddisfazione di sfogare il tuo egoismo.
Sta andando come era inevitabile che andasse, come nei migliori racconti di
vendetta, commiserazione e trionfo.
La tua vita può assumere valore in una giornata.
La odi perché continua a rovinare tutto.
Cerchi di ucciderla perché è l’unica soluzione, l’unico degno finale a questo
insulto di vita.
Tu che hai perso la tua dignità quando hai perso il candore della tua fronte.
Tu che hai perso la libertà che serbavi in cuore quando sei nato per lei.
Tu che hai perso ogni speranza quando hai realizzato
che lei no, non è nata per te.
Tu, Neji Hyuuga, tenti di
commettere un omicidio a mente lucida per puro, semplice amore.
“E’ già stato tutto deciso.”
“E’ destino.”
Destino.
Destino destino destino destino
destino destino.
Non rischiare mai di dimenticare il significato di questa parola.
Dovresti sprofondare troppo nella disperazione, per accettarla di nuovo.
Hinata-sama, oh, per te non è niente.
Perché se non può essere tua, non significa proprio niente.
Vorresti distruggerla, anche se non se lo merita.
Vorresti porre fine alla sua penosa vita.
Perché è penosa, e lo sai.
Il tuo ultimo gesto misericordioso.
Forse, alla fine, non sei il
tale egoista che hai sempre creduto di essere (così imperfetto).
Può capitarti di smarrirti tra rabbia e incredulità (“Sei tu quello che soffre di più, lo capisco…”), denti che si
stringono stridendo e rancore per chi ha capito tutto ma non ha mai fatto
niente, orgoglio in pezzi e orrore, orrore che scivola via con la tua sanità
mentale tante, troppe volte nel giro di così poco tempo.
Ma ciò non toglie che, quando lei si schianta in terra, col sangue alla bocca,
tu non senti niente, perfettamente
immobile.
Ed è come essere morti.
-
Hyashi-sama sta sorridendo, mentre vi guarda così vicini.
Mentre guarda sua figlia che, per una volta nella vita, cammina davanti a
qualcuno, a debita distanza perché tu possa guardarle la schiena.
Quante volte hai sognato, nei tuoi incubi che sono
solo ricordi, quella schiena ancora riversa in terra?
Il sangue non faceva che grondare.
Hyashi-sama sta sorridendo con benevolenza e occhi gentili;
penserà di certo che le cose si sono raddrizzate, con gli anni.
Che sono diventate quel che era destino che fossero tra voi due, che avrete una
vita radicalmente diversa ma, incidentalmente, un sangue tanto simile.
Sangue era Hinata-sama
che tossiva e tossiva e non potevi farci niente, ma non avevi nemmeno il
diritto di pentirtene.
Hyashi-sama sta sorridendo con benevolenza e occhi
gentili, e vi guarda con altrettanta approvazione.
Questo ti causa nervosismo e sai di essere pulito, pulitissimo ma avverti, nel
contempo, l’irrefrenabile impulso di lavarti le mani strofinandole a sangue, ma
sai che sarebbe strano e non puoi farlo e devi restartene lì, a guardarla a
testa alta.
Senza mostrare il minimo segno di indugio.
Indugio era il vuoto con Hinata-sama al mondo, ma senza poterla avere.
“Neji…”
“Sì, Hyashi-sama?”
“Continua così.”
Annuisce con approvazione e sorride. Ancora.
“Sì, Hyashi-sama.”
E continuerai così. Per Hyashi-sama che osa
sostituire il padre che ti ha ucciso.
Per Hinata-sama che merita una vita felice e non più
traumatica.
E per te, che non hai mai
conosciuto il coraggio di prendersi quel che si vuole ma solo l’inerzia, il
crogiolarsi in una vita nella quale non serve sforzarsi perché non cambierà mai
niente.
L’auto-commiserazione di giorni e giorni che ti hanno reso non meno patetico di
lei.
Parenti, cugini. Sì.
Per sempre.
-
E’ diventata l’ineluttabile,
deprimente routine quotidiana.
Si ripropone di allenarsi ad orari inconcepibili, ma sai che cercherà Naruto e le sue guance avvamperanno nel suo muto spiarlo
nascosta dietro un albero, lì a trarre forza da lui.
L’invidia ti ha roso per anni, ma lei non ha mai capito a chi fosse veramente
rivolto quel tuo serrare i pugni alla sua vista.
Quando infila le scarpe e tu
sei lì a vegliarla, come sempre, per l’ennesima volta, nella tua vita di
sguardi giustificati da un compito ultraterreno, ti ritrovi lì, interdetto, e
vorresti parlare ma non lo farai.
Di nuovo, si prepara ad
andare da lui, lontano da te.
Ti morsichi il labbro quando non può vederti, con moderazione, forte abbastanza
da aiutarti a contenerti ma non da farlo sanguinare.
“Allora io vado, Neji nii-san.”
La tua mano si slancia, il braccio si tende e ti ritrovi a stringerle il polso
bianco, scalzo sul tatami.
E lei si volta, lentamente, con inconsapevole grazia.
I suoi occhi si rivolgono timidamente ai tuoi.
Non capisce, ed è giusto che
sia così.
“Scusatemi. Scusatemi, Hinata-sama.”
Non c’è accusa nelle tue parole, e lei ne pare sollevata.
Ma la mestizia con la quale abbassi lo sguardo, quella la nota, e puoi sentirla
provarne tristezza.
Sospira e, inspiegabilmente,
rinuncia ad andarsene.
“Guarda che belle stelle, Neji nii-san!”
Seduti sul gradino che da sul giardino, le vostre
distanze, di notte, paiono colmabili.
La notte confonde tutto e tutti, trasformando ogni cosa in una massa informe,
senza un inizio né un confine.
Hinata-sama non ha voluto, sconvenientemente,
separarsi da te fino ad ora.
Tra le stelle, è
semplicemente altrettanto luminosa.
“La verità è che non volevate
andare da lui, vero?”
Sai che è arrossita, è semplicemente inevitabile.
“Io, beh, io…”
“E’ perché l’ha intuito, ormai. Queste sono state giornate di debolezza,
giusto? Avete vacillato, ma non siete mai realmente andata da lui.”
Provi sollievo, perché lei non nega.
Solo, si tormenta le mani in grembo.
“E’ ancora innamorato della Haruno,
vero?”
“S-sì,
credo di sì. Ed è, beh, così chiaro che non oserei mai metterlo in difficoltà.”
No, non oserebbe.
Puoi scorgerlo nella sua voce che, per una volta, dimentica di saper tremare e,
semplicemente, scorre.
Come se si trattasse di un
colpo già bene accusato, di una cicatrice nascosta in
qualche piega del collo.
E’ sempre lì e può sempre
potenzialmente ucciderti, ma, riuscendo ad ignorarla, potrai vivere.
“Sai, Neji nii-san…io amavo
gli occhi di Naruto-kun, così azzurri e luminosi, non
grigi e tristi come i miei. Mi mettevano allegria.”
Ti costa immane coraggio il solo accostare la mano alla sua, ed è una gioia
sapere che non può comunque vederla né accorgersene, se non la tocchi.
“Può darsi che lo siano. Ma sappiate, Hinata-sama, che i vostri occhi rallegrano me.”
Sai che sta sgranando gli
occhi. Sai tutto di lei, ormai; tredici anni passati ad osservarla hanno pagato
abbastanza.
Ma non hai la minima idea di cosa stia succedendo, quando trova la tua mano
vicino alla sua e la stringe.
Ha le unghie rovinate dal nervosismo, ma per non fartene percepire la
consistenza fastidiosa preme solo i polpastrelli sulle tue dita, con cura.
Così morbida, devi appellarti a tutto il buon senso che hai per non ricambiare
compromettendoti inesorabilmente.
“Grazie, Neji nii-san.”
Speranza ti scalda il cuore,
ma forse è solo la sua voce.
-
Ti stringe le dita quando
sente pronunciare da qualcuno il nome di Naruto.
Ti si avvicina di un passo scarsissimo quando lo sguardo del padre le si posa
addosso, appesantendola e turbandola.
Si volta nella tua direzione,
perché ha imparato che nessuna parte di te saprà più rifiutarla, e una certezza
così solida e vicina la aiuta a stare più diritta, a tormentarsi di meno.
Quando ti capita di
incontrarla di nuovo, sempre di notte, scopri che il suo cuore porta una
misericordia mai portata da suo padre.
E’ in grado di perdonare, di misurare il valore delle persone in qualcosa di
diverso dal sangue.
Realizzarlo ti rende inspiegabilmente felice.
E quando scopri che è in
grado di prenderti la mano con la stessa tenerezza ogni volta, senti il tuo
viso ammorbidirsi, svanire la precoce ruga che tende a formarsi sulla tua
fronte contratta.
Qualche volta, quasi per
scherzo, annulli le distanze tra di voi.
Hinata-sama può diventare Hinata,
di notte, e può essere tua per qualche ora.
Non il suo petto, non il suo collo, non le sue labbra. Ma il suo nome.
“Anche questa sera è molto bella, vero, Hinata?”
Senti i suoi zigomi accaldarsi, mentre li sfiori come hai sempre desiderato.
“Sì…”
Ti basta stringerla con delicatezza e parlarle dolcemente, sai accontentarti.
Qualche volta, anche tu puoi diventare Neji.
“…sai, io…vorrei per te, un
giorno, una libertà maggiore della mia. L’aria più pura di tutte, Neji. Per te, non vorrei quest’aria che sa di chiuso anche
all’aperto.”
“Va bene così, non serve un tuo ‘impegno personale’ alla causa, non serve.”
Qualche volta, quando, anche senza il byakugan
attivo, ti guarda, ti fa sentire nudo.
E sei tu ad abbassare la testa, roteando gli occhi, intimidito.
“Scusami, ma non posso
crederti.”
Non sai parlarle senza
problemi nemmeno quando la luna è così alta in cielo e voi siete così vicini.
Non sai più spalancare la
bocca senza realizzare, nello stesso istante, che non sai che parole usare per
non sembrarle rude o violento.
“Mio padre mi ha sempre raccontato che è nostro, il destino
fatto di odio e mai amore. Perché ce lo attiriamo.”
Lo ricordi. Ricordi perfettamente la tua figura accostata agli shoji, la tua schiena perfettamente allineata alle sagome
in carta di riso e la tua gola presto secca.
Ricordi di aver dimenticato di prendere fiato, per diversi minuti.
Poi, le parole che ti eri fermato ad ascoltare, quelle che lei può solo
censurarti per non mostrare la misura nella quale ha saputo crederci.
“…il Loro
odio, Hinata, alle volte è anche la misura del nostro
amore. Non ricambieranno mai con sincerità né la gentilezza né un cuore offerto
loro. Fa parte della loro natura, devi abituartici.”
Non hai mai saputo misurare la verità di
quelle parole, in tutta la tua vita.
Perché quell’orrore ti ha
sempre impaurito troppo, togliendoti le parole e la possibilità di smentire
tutto.
E non hai mai saputo quanto crederci neanche tu, anche se il tuo Byakugan ti suggeriva, in quella manciata di secondi in cui
passavi lì davanti fingendo fosse una casualità, che nel pronunciare quelle
parole Hyashi Hyuuga non
era stato in grado di guardare sua figlia negli occhi neanche una volta.
In momenti del genere, ti senti senza peso, sull’orlo di un burrone.
Anche se sei seduto, le tue ginocchia tremano, forse per terrore di quel che Hyashi-sama avrebbe potuto farti se ti avesse notato, in
quei tempi, o per timore di quello che lei
potrebbe pensare di te se ti alzassi ora, vacillando in questa maniera
incontrollata.
Sei sempre stato tu, dei due,
quello più spaventato dai ricordi.
Ma quando sei così incerto
sollevi le braccia a mezz’aria, come un invito, e quando lei s’inserisce
all’interno, con tutta la sua sacrale e vezzosa lentezza, l’incastro è
perfetto.
Si volta; può guardarti con una solidità di sguardo tale, a volte, da
sconvolgerti.
“Vorrei che fossi libero, Neji. Un giorno, forse un giorno…”
“Ma io vorrei che fossimo liberi
entrambi, entrambi!”, vorresti urlare, ma soffochi l’urlo nella tua gola e
pensi che non sarete mai liberi comunque, e che dirlo si limiterebbe a renderlo
ancora di più concreto.
Prende consapevolezza delle
linee del tuo marchio sfiorandolo al di sotto del simbolo di Konoha, insidiando le proprie labbra a percorrerne i
profili.
Bagna quel che potrebbe bruciare, e nell’aria notturna, sulla tua testa china
come a ricevere una benedizione, il suo alito fresco sa di libertà, e ti pare
di avere fiato sufficiente ad una vita intera.
E’ ormai semplice routine
spiarla mentre dorme.
Non dovresti essere lì, chino su di lei abbastanza da distinguerne ogni singola
curva senza bisogno di ricalcarla con le dita, ma abbastanza lontano da non
alitarle addosso.
L’hai accompagnata a dormire promettendole protezione anche nel sonno, anche se
sai che questo non è tra i tuoi doveri, e Hyashi-sama
ti rimprovererebbe.
Avresti dovuto tornare nelle tue stanze. Lei te lo
avrebbe perdonato.
Non hai motivo di allontanarti; forse, paura.
Ma l’attesa di questi momenti è troppo grande per essere stroncata da un
sentimento così banale.
Sta respirando, lentamente e con le labbra dischiuse.
Potrebbe essere un fiore delicato, fragilissimo.
Desidereresti ugualmente di strapparla via per portarla con te e altrettanto
ugualmente non ne avresti il cuore.
Chini il capo, tentato, e sai che in una qualunque altra situazione saresti in
grado di controllarti adeguatamente, ma non in questa.
Poche altre ore vi separano dalla luce. Presto dovrai andare via.
Percepisci le sue palpebre sollevarsi sotto le tue, mentre incontri la sua
bocca.
E quando il tuo coprifronte scivola via, allacciato
male, la tua pelle non brucia.
-
Quando lei viene a chiamarti sono passate poche settimane dal tuo diciottesimo
compleanno e ti stai allenando con Hyashi-sama.
Chiudi gli occhi per
riposarli e riprender fiato; Hyashi-sama ti congeda
in tutta tranquillità, soddisfatto perché avete lavorato per ore.
“Neji nii-san!”
Accorre in tutta la sua goffa graziosità, chiamandoti come le si conviene, come
se non fosse mai cambiato niente.
Ha le guance affannate per la corsa e i capelli ormai lunghi le si agitano
sulla schiena, ordinati come sempre, come se non obbedissero ad alcuna legge di
gravità.
“Ditemi, Hinata-sama.”
Lei abbassa un po’ lo sguardo, come sempre.
Ma non dice niente, e tenti
di spingerla a parlare con un silenzio ancor più ostinato del suo.
Così feroce da metterla a disagio. Troppo.
Quando il tuo byakugan ti aiuta a realizzare
che non c’è nessuno intorno, le sfiori un gomito in una rapida carezza, come
tacito invito a scusarti e andare avanti.
E’ sempre tutto così piacevolmente silenzioso, tra di voi.
Di un silenzio che di rado risulta irritante o terrificante come ora. Il più
delle volte, è pieno.
“Tsunade-sama…”, balbetta, “…ha detto di raggiungerla
al palazzo dell’Hokage. Ha una missione per noi.”
“…e
insomma, so che ci sono state cose spiacevoli tra di voi e se potessi non vi
metterei nella stessa squadra, ma siamo a corto di ninja in questi giorni. La squadra medica ci serve al villaggio, e ora come
ora siete gli unici ancora qui. E’ una missione di livello C, non avete comunque
molto di cui preoccuparvi.”
Fissi Hinata per una istante; è l’unica cosa che
vedi.
Le tremano le mani, così gliele prendi tra le tue al di sotto della scrivania,
dove Tsunade-sama non può vedervi.
Ti senti sereno quando accetti la missione, e firmi la vostra condanna.
-
Avete scortato il daimyō
di turno senza troppe sorprese, un compito inaspettatamente facile.
Vi siete limitati a procedere
con lentezza, scrutando bene ogni angolo, tenendovi vicini.
Anche quello, è stato facile.
Poi c’è stato un momento in
cui lei è scivolata.
L’hai subito sorretta per le braccia, e lei ha stretto i denti e bisbigliato un ‘grazie’, ma non era per niente contenta.
Anzi, ne pareva rammaricata.
Ma alla tua perplessità, appena accennata, ha replicato con un sorriso, che è
bastato a migliorare il tuo umore disturbato dall’inquieto realizzare
che qualcosa, nella tua Hinata dalle mani tremanti,
era cambiato.
“Siamo in anticipo di mezza
giornata sulla tabella di marcia, Neji. Cosa faremo?”
Riponi il pagamento del daimiyō con cura, ma non ti fermi per
parlarle.
“Potremmo fermarci a riposare da qualche parte. Visto
che non abbiamo fretta, nessuno ce ne vorrà.”
La scruti, grigio nel grigio.
Il suo sguardo è inaspettatamente fermo mentre la sua mano scivola, entrando
nella tua.
Oh, il suo sguardo. Guarda il cielo, o forse cerca di guardare te, che
sei più in alto.
Che meraviglia, l’universo di colori che specchi smerigliati come i suoi
possono riflettere.
Da non crederci, ma tu, che
hai i suoi stessi occhi, ci credi benissimo.
Perché entrambi potete essere tutto o niente.
E sta solo a te fare di lei qualcosa.
“Ne sarei molto felice, Neji. Davvero tanto.”
Inarca la schiena, cinta nel tuo abbraccio.
Sorride.
“Non mi hai fatto male. Non mi hai
fatto male per niente.”
I suoi zigomi luccicano di sudore e mentre il tuo braccio la rigira,
sporcandosi di sangue, sai che sta mentendo.
La luce non si spegne mai.
Filtra attraverso le persiane e la catturi, per vedere lei.
Luce, meravigliosa luce le si staglia lungo la gamba pallida e morbida,
incrociata sulla tua.
Certe cose sono adeguate anche senza essere perfette.
Come la curva gentile dei suoi seni, su cui premere il viso per poter
sprofondare nel bianco e dimenticare, ricevendone un conforto quasi materno.
Le sue palpebre non intendono
abbassarsi prima delle tue. Non questa notte.
Se potessi, sussurreresti un
grazie dagli occhi, annacquando i ricordi per attenuarne il dolore.
Ma non lo farai, perché anche quel semplice discorso silenzioso potrebbe
spezzare la perfezione.
La luce potrebbe andare via.
E tu non potresti più vederla.
Che sciocchezza.
-
La porta si spalanca.
E’ penetrato nella locanda senza troppe cerimonie, scovandovi, incredulo.
Forse si è, quasi paternamente, preoccupato del vostro mancato ritorno.
Forse vi ha fatti cercare non appena gli è giunta notizia del buon esito della
missione.
Forse ha desiderato sapere
che stavate bene.
Come è possibile?
“Mia figlia. Mia figlia, come hai
potuto!?”
Troppo grigio, che male, la testa, la
testa, la testa!
“Eri come un figlio per me! Lo eri, lo eri davvero!”
Ma tu non sei mai stato un padre per lei.
Il lenzuolo scivola a terra e
lei è al tuo fianco, completamente nuda; spezza facilmente, interferendo col
suo byakugan, il dolore alla tua fronte.
Sei nato per lei, dopotutto.
E’ così scontato che lei abbia tanto controllo su di te in maniera naturale…
Ma non ha mai voluto usarlo
per ferirti.
Fa per stringerti, ma tu la allontani bruscamente, stanco di esserle tanto
nocivo quanto lei ti è innocua.
Una volta libero, Hyashi-sama ti è già addosso.
E’ tempo di minuti, forse quarti d’ora.
Alla fine tu sei quello crollato in terra, ma lui è quello che non respira più.
Il suo crollo è come il rintocco di un enorme orologio, rumorosamente lì ad
avvisarti che il tempo è scaduto.
-
Non una lacrima, non davanti a te.
Non senti odio, perché questo sentimento che hai saputo dare così per scontato
non lo è mia stato per lei.
Vorresti dirle tante cose, ma anche se sei più alto di lei di venti centimetri,
la tua bocca rimane ferma.
Da qualche parte, il tuo cuore è ancora quello di un bambino spaventato.
E scorgi in lei qualcosa che non hai
mai visto, mentre pian piano si riveste e si alza dal letto.
Non ti abbraccia, non ti
bacia.
Capisci che quello che sta
per dirti farebbe abbastanza male da giustificare le distanze.
“Sarò io ad assumermi la responsabilità di tutto quanto, Neji,
portando il corpo con me. Tu tornerai tra qualche giorno, quando si saranno
calmate le acque. Se sarà necessario, testimonierai contro di me.”
“Ma verrai cacciata dal villaggio
o forse rinchiusa per sempre!”
Non uccisa, ti prego no, no, no, no, no…
“Non importa, Neji, perché tu verresti sicuramente
ucciso. Ed è l’unica ipotesi che non vorrei mai affrontare.”
“Non devi farlo!”
Brevemente ed inaspettatamente, le sue labbra s’incurvano gentilmente all’insù.
“Forse. Ma lo farò lo stesso, Neji.”
“No, io mi costituirò e tu…”
“Non potrai. Perché se ci proverai costringerò il tuo marchio a bruciare, e non
potrai parlare. Lo farò perché ti amo, Neji, e per
questa ragione sai che potrei farlo e lo farò.”
“Hinata…”
“Neji”,
sorride lei, e non vorresti davvero guardare quel sorriso, ma sei costretto a
farlo perché sa di speranza, “sai che succede se il membro della casa
principale alla quale hai dedicato la tua vita muore?”
Non rispondi. Non puoi rispondere perché hai già intuito la risposta e ne hai
il terrore.
“Il marchio scompare.”
E capisci che il prezzo per
la libertà è sempre, sempre troppo alto per essere accettabile.
Di aver combattuto per anni una battaglia persa in partenza.
Le strappi un’ultima,
dolorosa occhiata, mentre lei si affretta a rivolgerti la schiena.
Speri che la tua voce la
fermi, o lo faranno le tue braccia.
“Libertà è stato amarti, Hinata. Va bene così, io sono felice. Quindi ti prego, non
andare via.” le sussurri, speranzoso.
“Anch’io sono stata libera, e
sono fiera di me.”
Il sorriso sulle sue labbra non muore mai.
Il suo nuovo coraggio vuole che risulti credibile,
probabilmente.
“Ricordati che ti amo, Neji. Ora e per sempre”
Ti bacia di un bacio profondo che pretende di bastare a una vita, e quando vi
separate realizzi, improvvisamente che, per opera delle sue dita che hanno
finto di sfiorarti distrattamente il petto, non puoi più muoverti.
Il tuo corpo ha dimenticato
come fare.
Vedo, oh, ora la vedo. La disperazione di
una donna cambiata dai sentimenti, e la debolezza di un uomo rammollitone.
“Mi dispiace. Non odiarmi, ti prego.”, ripete con
affetto, ma se ne va comunque.
Ti senti sciocco quando
indugi nell’accarezzare una guancia al nulla, perfettamente immobile.
Non ti sei ancora abituato a
questa sensazione di vuoto ghiacciato al tuo fianco, dove poco prima c’era Hinata, ora solo l’impronta del suo corpo. Presto, neanche
quella.
“Non ti ho mai odiata.”,
mormori al vento, ora che hai consapevolezza e fiato sufficienti a farlo.
Ma il vento, inclemente, non
risponde.
-
Note finali:
Ho voluto giocare un po’ sul
concetto del “nato per proteggerla”, facendone quasi una regola specifica, per
non dare questo assurdo controllo su ogni cadetto a Hyashi,
ma solo un relativo controllo, perché il legame più profondo lega il segno di Neji a Hinata, suppongo.
Sono tutte speculazioni, ma non mi è mai stato dimostrato il contrario,
dopotutto XD;, quindi…
E’ mia speculazione anche presumere che possa essere mandata in missione una
squadra di due membri, in tempi di penuria di forze e in una missione facile.
Inoltre, come ultimi appunti che potrebbero essere scontati ma non ne sono
certa, i primi pezzi, ma per lo più è comprensibile, non seguono un ordine
cronologico, ma il disordinato filo dei ricordi. Solo dall’esame in poi sono in
ordine, e da lì in poi c’è uno spazio di tempo che intercorre tra i pezzi vari,
che è appena accennato ma esiste.
Anche il finale è
giustificato dal passare degli anni e dal mutare del carattere di lei, così
come è diventato più mite quello di lui.
Come ultimissima cosa, la
scena del bacio sul marchio a me è venuta naturale ._.;;,
non avevo letto molte fic della sezione Naruto al tempo della prima stesura, e se fosse stata
inserita anche in altre fic è del tutto involontario.
Ho fatto caso, ultimamente, che, è una segno
rintracciabile anche in alcune fan-art, ma la credevo quasi originale quando
l’ho scritta. Oh, amen XD;
Sono felice di essermi piazzata assieme a Kaho, sissì, e tanti complimenti anche a Kokky
e Arwen <3.
Per il resto, ho postato a
discapito del mio mancato betaggio perché, Onda cara,
non ti voglio dare lavoro già dopo l’Inferno, quindi posto lo stesso e amen XD;, mi tolgo un pensiero e lavoro a quel che posterò in onore
della fine dei tuoi esami.
E perché sono impaziente. E
perché così ti rilassi del tutto, appena rientrata. Poi se becchi errori
madornali correggo qui, eh XD.
Un grosso grazie anche a ValHerm e Chibi, per le risposte
al questionario. Non so come avrei fatto senza di voi <3
E detto questo mi ritiro, lieta che questa storia assurda, pur essendo la mia
prima Hyuugacest, sia piaciuta.
Questo Neji rabbioso è pieno di me, e del rapporto
tra loro ne capisco qualcosa per motivi vari, quindi mi tocca molto sapere che
non è indecente.
Amerò finanche più del solito qualunque commento, quindi, ma è scontato, credo.
Grazie anche solo per essere
arrivati a leggere fin qui.