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Autore: Water_wolf    10/03/2014    11 recensioni
ATTENZIONE: seguito della storia "Sangue del Nord".
Il martello di Thor è stato ritrovato, Alex e Astrid sono più uniti ed Einar non è stato ucciso da Sarah. Va tutto a gonfie vele, giusto? Sbagliato.
Alex ha giurato che sarebbe tornato ad aiutare Percy contro Crono, anche a costo di disobbedire agli ordini di suo padre. Quanto stanno rischiando lui e gli altri semidei?
I venti non sono a loro favore, ma loro sono già salpati alla rotta di New York.
«Hai fatto una grande cazzata, ragazzo» sussurrò, scuotendo la testa. || «Allora, capo, che si fa?» chiesi, dando una pacca sulla spalla al mio amico. «Se devi andare all’Hellheim, meglio andarci con stile»
// «Sai cosa?» dissi. «Non ti libererai facilmente di me, figlio di Odino. Ricordatelo bene.» || «Allora ce l’avete fatta!» esultai. Gli mollai un pugno affettuoso contro la spalla. «Da quando tutti questi misteri, Testa d’Alghe?» lo stuzzicai. «Pensavo ti piacesse risolvere enigmi, Sapientona» replicò, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Ci prepariamo a combattere (argh)!

•Alex•
 
Se c’è una cosa che mi piace degli Inferi di qualsiasi posto è che sei felice di andartene. Astrid mi fece uscire con un viaggio ombra e crollammo insieme sul prato del Campo Mezzosangue, spaventando due naiadi che stavano passeggiando tranquille ai limitari del boschetto. Appena spuntammo fuori dalle ombre, lanciarono degli urli spaventati e si smaterializzarono in un paio di nuvolette di clorofilla verde.
«Andiamo, dobbiamo informare gli altri!» dissi, dando una mano ad Astrid a rialzarsi.
Per un attimo le nostre mani indugiarono l’una nell’altra. Ero davvero tentato di dirle tutto, ma poi lei la ritrasse, abbassando lo sguardo, indicando, con gli occhi, un punto alle mie spalle.
«Ehi!»
Mi voltai, riconoscendo un certo Malcom, uno dei fratelli di Annabeth, richiamando la sua attenzione.
«Cosa c’è?» chiese, vedendomi.
«Le forze di Crono stanno per attaccare New York, dobbiamo avvertire tutti e prepararci allo scontro» lo informai, forse con un tono più preoccupato del dovuto, dato che lui sgranò gli occhi grigi.
«Vado… vado ad avvertire Chirone» balbettò, con l’aria di chi vorrebbe scappare.
Come dargli torto? Gli avevo appena detto che stavamo per morire tutti.
«Andiamo» mi incoraggiò Astrid, indicando l’arena.
Mentre passavamo notai i guerrieri di Ares seduti intorno alla loro casa con a capo Clarisse che, stranamente, non mi lanciò un occhiataccia – forse grata per essermi messo a suo favore nell’ultimo consiglio –, mentre, tutti gli altri erano all’arena e ai vari campi per allenarsi.
Appena arrivai vidi i figli di Thor e Tyr che si allenavano…. Be’, diciamo pure che se mai doveste vederli allenare, cercate di vederla nella loro ottica: erano terribilmente seri, in certi allenamenti e, probabilmente sembravano impegnati in una sanguinosa battaglia, ma per loro erano amichevoli pacche sulla spalla, nonostante si stessero dando dei colpi di ascia che avrebbero disintegrato un gigante.
Gli altri semidei, sia norreni che greci si tenevano prudentemente lontani dalla rissa, occupandosi di altre attività. I figli di Atena avevano trovato una grande sintonia con i figli di Ullr e si erano messi in un angolo ad ideare nuove strategie. I figli di Skadi erano presi ad allenarsi con i figli di Apollo scoccando valanghe di frecce, tanto che i bersagli sembravano dei porcospini.
I figli di Loki si erano messi a parlare con i figli di Ermes, probabilmente escogitando qualche altro scherzo per le altre Case. I figli di Freyja erano in un angolo a conversare di gossip con quelli di Afrodite, anche se alcuni dei primi si allenavano – dopotutto erano anche figli di una Dea della guerra.
Nora e Bethany stavano con Chirone, ai limiti del Campo, interessate alla magia di protezione che circondava il campo greco.
«Ehi, Alex!» mi salutò Kinnon, il figlio di Heimidallr che aveva individuato il pegaso di Percy. «Hai un’aria devastata… Sei andato a massacrare mostri senza di noi?»
«Credimi, sarebbe stato meglio. Raduna tutti, stiamo per scendere in battaglia» risposi, riprendendo fiato.
«Finalmente!» esclamò lui, facendo passare la voce.
La notizia fu accolta in modo diverso da tutti. In particolare i semidei greci sobbalzarono e si spaventarono al sentirla, nonostante ciò si prepararono al meglio. I miei compagni, invece, furono fin troppo entusiasti. La notizia della battaglia imminente fece lanciare un urlo di guerra a tutti i semidei del nord, che corsero a prepararsi.
«Dici che dobbiamo andare a New York? Ne sei sicuro? Dove siete stati voi con Percy?» indagò subito Annabeth, marciando verso di noi con l’aria di chi si sta rodendo dalla preoccupazione.
«Sarebbe troppo lunga da spiegare… ma sappiamo che Crono marcerà sulla città ‘sta notte» spiegai, correndo verso la Cabina Tre che Percy mi aveva offerto, insieme a Danny, Nora e Petra. Lei non sembrò molto contenta, ma corse ad organizzare i suoi fratelli, mentre Nora e Chirone mi raggiungevano di corsa.
«Allora è vero? Stiamo per essere attaccati?» chiese il centauro, agitando nervosamente la coda.
«Sì, e a quanto pare non ci saranno solo mostri greci. Anche mostri del nord verranno a farci visita. Sarà meglio prepararci» risposi, raccogliendo tutta la mia collezione di rune.
Chirone annuì, facendo sbattere più volte lo zoccolo sul terreno.
«Capisco. Sarà una dura battaglia, ma vi auguro di farcela. Intanto cercherò di radunare i miei simili per aiutarvi.»
«Grazie. Spero che arrivino altri rinforzi dal mio Campo» borbottai, mentre Astrid e Annabeth parlavano animatamente, davanti alla Cabina Sei.
«Me lo auguro anche io» disse il centauro, per poi correre ad una velocità incredibile, oltre le difese del campo.
Mentre Astrid si preparava, mi diressi all’arena per radunare i semidei greci che si stavano infilando le armature e prendevano le loro armi. In un angolo vidi Silena e Beckendorf che litigavano.
«Ti prego, no! È troppo pericoloso e tu sei ancora ferito!» stava urlando lei, indicando la gamba ancora fasciata e che il suo ragazzo muoveva a fatica.
«Devo farlo! È anche la mia guerra, non posso rimanere al Campo a riposare sapendo che tu e i miei fratelli state combattendo» replicò il figlio di Efesto con decisione. «Ma s-se ti succedesse qualcosa… io… ecco… hai rischiato troppo sulla Principessa Andromeda! No-non voglio… non voglio che tu sia in pericolo.»
Il tono della figlia di Afrodite mi sembrava un po’ strano, come se sapesse qualcosa di importante. Mi avvicinai facendo sobbalzare entrambi.
«C’è qualche problema?» chiesi con fare noncurante, come se non avessi sentito nulla.
Silena si voltò verso di me con lo sguardo colmo di una paura.
«Ti prego, fallo ragionare. È ancora ferito, non può combattere in guerra!»
«Non posso legarlo qui. Se te la senti, Charlie, vai. Ma sappi che le tue ferite ti saranno di intralcio» dissi, dopo un attimo di silenzio.
Nonostante fosse messo male, era un tipo tosto e si era rimesso in fretta dalle ferite.
«Diavolo, non siete i miei genitori!» sbottò lui, alzandosi in piedi per poi barcollare, subito dopo, sotto il peso della gamba ferita.
«Lo sappiamo, ma sei ferito. Facciamo così, ti portiamo con noi, però tu rimarrai nelle retrovie e organizzerai i tuoi fratelli senza esporti troppo» proposi in tono conciliatorio.
«No, lui non viene e basta!» scattò Silena, guardandomi malissimo.
«D’accordo…» borbottò, invece, il figlio di Efesto, sospirando.
Il patto non sembrò far felice la sua ragazza, ma capivo il desiderio di agire di Beckendorf.
«Amico, non preoccuparti!» intervenne Kinnon, il figlio di Heimdallr che li aveva salvati. Era già in tenuta da battaglia, con un grande scudo a torre sulla spalla e una lancia in mano. «Ci rivedremo alla fine di questa battaglia e potrai dire di essere sopravvissuto. Sono certo che ti farai valere.»
«Grazie» disse il figlio di Efesto. «Non ti ho ancora ringraziato per averci visti in tempo. Credo di doverti la vita.»
«Allora mi offrirai da bere, quando saremo tornati entrambi vivi da questa battaglia» propose il mio compagno, dandogli una vigorosa pacca sulla spalla.
«Allora vedi di rimanere vivo» accettò Charlie, sorridendo di rimando, mentre Silena continuava a torcersi le dita dalla preoccupazione.
Nonostante il disordine i gruppi si stavano formando: eravamo pronti a dirigerci a New York, anche se non avevo idea di come diavolo facesse un Titano a far marciare un esercito di orribili mostri attraverso una delle più popolose e importanti città del mondo, senza farsi vedere da nessun mortale. Di certo aveva escogitato qualcosa.
“Non sentivo presenza di mortali: solo semidei.” Le parole di Helen mi colpirono come un maglio e subito mi detti dell’idiota. Era ovvio che Crono e i suoi alleati avrebbero trovato il modo per allontanare i mortali, anche se ancora non sapevo cosa.
Mi avvicinai alla Casa Grande, dove mi aspettavano Nora e Helen, che stavano parlando con la figlia di Ecate sotto la stretta sorveglianza di Sain, figlio di Thor.
«Qualche novità?» chiesi, osservando la figlia di Frigg che si teneva cautamente all’ombra per non bruciarsi.
«Nulla. A parte che continuo a voler triturare Loki per aver messo nel sacco nostro padre» borbottò mia sorella di parte divina, stringendo così tanto la sua lancia che temetti di vederla spezzarsi.
«Non preoccuparti. Me la caverò» replicai, senza convinzione.
Stavo cominciando a pensare che la gente volesse farmi sentire in colpa per farmi tornare al Campo Nord.
«Io avrei delle informazioni» si intromise Helen, alzando gli occhi di un rosso inquietante. «Ho fatto un sogno, ‘sta notte. Era diviso in due parti.»
«Allora che aspetti? Racconta!» la esortò il figlio di Thor, interessato, come tutti noi.
«All’inizio ho sentito solo una strana presenza… Credo fosse Hell e un esercito di non-morti del nord che marciava su New York, e la nostra dea della morte che marciava al fianco di un Titano. Penso, almeno, che lo fosse. Poi il sogno si è spostato su qualcos’altro: il consiglio dei nostri Dèi. Sembra che alcuni spingano per venirci in aiuto» illustrò, inarcando le sopracciglia con aria pensosa.
«La prima parte sembra proprio una predizione. A quanto pare dovremmo vedercela anche con i nostri più mortali nemici» commentai, sentendo uno strano gelo, mentre pensavo con ironia che sarebbe stata proprio la dea della morte a portarmi nel suo regno.
«Però la seconda parte non sembra male. Cosa dicevano i nostri genitori? Stanno discutendo se aiutarci o no?» domandò mia sorella, speranzosa.
«Alcuni: Thor, Freyja, Freyr, Njordr, Eir, Ullr, Idunn e Viddar sono favorevoli all’intervento in nostro aiuto. Odino e tutti gli altri, però, sono contrari. Inoltre Loki fa di tutto per tenerli divisi e impegnati a discutere, come se volesse distogliere lo sguardo di nostro padre, tenerlo lontano dall’America» spiegò  Helen, stringendo le spalle.
«Perché Thor dovrebbe avere a cuore il destino dei greci? Scusate se mi intrometto, ma non dovrebbe essere uno dei nemici di Zeus e Ares?» chiese la figlia di Ecate, intromettendosi piano, silenziosa fino a quel momento.
«Mio padre è un tipo onorevole. Probabilmente si sente in debito per il suo martello, un mese fa. Vuole pareggiare i conti con i Greci» spiegò Sain con una calma che lo distingueva parecchio dai suoi fratelli, molto più irascibili.
«Capito. Forse potrebbe c’entrare mia madre, comunque, per quel che riguarda i mortali. Lei è la Dea della Foschia, potrebbe infittirla intorno alla città» disse la ragazza, stranamente collaborativa.
Mi guardava in modo strano, probabilmente grata per averla difesa da Clarisse, quando eravamo tornati al Campo.
«Questo non spiega l’assenza di mortali nella mia visione» le fece notare Helen, sempre più accigliata.
Lei era fatta così, rifletteva tantissimo, soprattutto sulle sue visioni che aveva da quando era nata. Nonostante questo, sottovalutarla era un grave errore: con la katana era capace di affettarti.
«Chi se ne import. Spaccheremo la faccia ai non-morti e ficcherò la mia ascia nel sedere di qualche gigante, così farò felice mio padre» replicò Sain, stringendo l’arma con l’aria di volerla sperimentare – speravo non sulla mia testa.
Osservai Helen, che si massaggiava le tempie pensierosa.
«Altri incubi?»
La figlia di Frigg si limitò ad annuire, per poi alzare lo sguardo su di me.
«Più ci avviciniamo alla battaglia, più i miei sogni mi fanno vedere il peggio. Ho visto molti dei nostri compagni morti. Lo sai anche tu che è difficile affrontare le mie premonizioni.»
Mi inginocchiai e le asciugai una lacrima che le rigava il volto. Provavo una gran pena per lei, costretta dalla discendenza a vedere morire i suoi amici prima della loro dipartita. Non riuscivo nemmeno ad immaginare la sua angoscia.
«Ehi… Ce la faremo, Helen. Ricorda, su di me puoi contare» sussurrai per rassicurarla, mentre le stringevo la mano.
«Grazie, scusami, ma non è facile» disse, riprendendo il suo solito contegno e afferrando la sua katana. «Farò di tutto per non vedere avverate le mie visioni.»
«Così si parla!» esclamò Nora, dandole uno scherzoso pugno sulla fronte. «Sei forte. Noi, che siamo fratellastri, dobbiamo rimanere uniti» asserì, abbracciandola.
«Avete ragione. Grazie, senza di voi sarebbe difficile sopportare questi incubi.» Sorrise, alzandosi, abbassando il cappuccio del vestito. «Vado anche io. Ci vediamo sul campo.»
«La seguo e finisco di prepararmi» aggiunse mia sorella, ammiccando.
Battemmo i nostri pugni l’uno con l’altro e lei se ne andò. Mentre loro andavano, mi rivolsi a Sain, che continuava a tenere la nostra prigioniera sotto controllo. La figlia di Ecate non aveva nemmeno tentato di fuggire. Se ne stava seduta, a gambe incrociate, lisciandosi, ogni tanto, la maglietta nera o i jeans scoloriti.
«Allora, amico, sei pronto?» chiesi, osservando la sua ascia che mandava scosse elettriche.
«Al, sono figlio di Thor. Io sono sempre pronto. Insegneremo ai mostri greci a temere la furia del Nord. E poi ti devo coprire le spalle, come ai vecchi tempi, quando io, tu e Lars ci nascondevamo nei cassonetti» mi ricordò lui, con un sorriso, posandomi la sua forte mano sulla spalla.
Già. Come dimenticare che, in passato, noi tre eravamo una squadra. Scappato a sette anni, un mese dopo li incontrai. Avevamo la stessa età, eravamo tutti e tre inseguiti ed eravamo pronti a tutto per sopravvivere. Anche se Astrid era la mia migliore amica, Sain e Lars mi avevano sostenuto parecchio. Pregai che rimanessero in vita.
«Di lei che ne facciamo?» domandò, all’improvviso, indicando la figlia di Ecate, che continuava a rimanere in silenzio, osservandomi.
«Dipende. Tu che vuoi fare?» le chiesi, rivolgendomi direttamente all’interessata.
«Che potrei fare?» borbottò, sospirando. «Crono sarà già stato informato del mio tradimento, dubito che mi vorrà ancora con sé. Giuro sullo Stige di non ostacolarvi» concluse, abbassando lo sguardo pensierosa.
«Non preoccuparti. Noi i patti li manteniamo, e vinceremo questa battaglia» la rassicurai, infine, dandole una mano per alzarsi.
«Lo spero» sospirò la figlia di Ecate, mentre seguiva me e Sain verso il grande assembramento di semidei che c’era davanti alla Casa Grande.
Astrid si affiancò a me e provai a prenderla per mano, per sentire la sua sfuggire la mia, come se avesse timore di essere avvelenata. Che avesse paura di me? Forse era risentita per il fatto che non le avevo risposto? O aveva paura che io la abbandonassi, morendo in battaglia?
In ogni caso, era meglio rimandare i nostri problemi al momento in cui non mi sarebbero più arrivati elmi a forma di cinghiale addosso. Questo perché Michael Yew e Clarisse stavano litigando di nuovo, sotto gli occhi di Lars.
«Che succede? Stanno ancora discutendo?» chiesi, osservando la figlia di Ares che si teneva il carro.
A quanto pare i ragazzi di Apollo avevano ceduto l’osso, ma dedussi che quelli di Ares si erano intestarditi.
«Secondo te? Stano litigando. E sembra che quella lì non voglia sentire ragioni» borbottò il figlio di Eir, scuotendo la testa con la sua solita rigidità.
Sembrava un comandante di un esercito pronto a scattare e a dare ordini. Mi chiesi come mai non avesse voluto sfidarmi per il comando.
«D’accordo. Ci provo io» sospirai, avvicinandomi ai contendenti con Astrid a fianco ed Einar che borbottava qualcosa sulla “testardaggine dei figli di Ares”.
Avevo un evidente livido sull’occhio sinistro, come se gli avessero tirato un cazzotto. Poco lontano da lui Sarah stava ridendo.
«Ti ho ridato il Carro. Ora, per Zeus, smettila di prendertela! Abbiamo bisogno di te!» sbottò il figlio di Apollo, battendo i piedi per terra.
«Già, solo adesso che vi servo mi ridai il carro, vero!? Be’, è troppo tardi! Hai offeso il mio onore, non combatterò per te, né per nessun altro» ringhiò, Clarisse, alzando fieramente la testa.
«Ora basta!» esclamai, usando il tono più autoritario possibile. «Ti ho sostenuta per riavere il carro, non intendo ignorare tuo padre, ma adesso è troppo! Non puoi continuare a fare i capricci come una bambina, hai ottenuto ciò che volevi!»
Lei mi guardò malissimo, ma non cercò di infilzarmi di nuovo.
«Non prendo ordini da te, figlio di Odino. Avete insultato il mio onore. Nessuno della Casa di Ares si unirà a voi.»
«Allora sei scema! Non capisci che dovete rimanere uniti?» scattò Astrid, al mio fianco, pronta a prendere di nuovo a pugni la sua testarda avversaria.
«Stai zitta, piccoletta! Non sono affari tuoi!» la aggredì, di scatto, quella, puntandole contro la lancia.
La figlia di Hell stava per rispondere a tono, quando Silena si fece coraggiosamente avanti. Non riuscivo a capire come potesse essere amica di quell’orchessa sotto mentite spoglie.
«Clarisse, abbiamo bisogno di te. La tua Casa potrebbe fare la differenza, così rischi di far cadere anche tuo padre» la pregò la figlia di Afrodite, con un tono incredibilmente convincente.
Probabilmente, la maggior parte dei maschi si sarebbe inchinata, sbavante, davanti a lei. La sua amica sembrò sul punto di cambiare idea, poi, però, scosse il capo.
«Mi dispiace, Silena, ma non posso ignorare l’onore di Ares. Non ci uniremo a questa battaglia. Vedremo quanto vi sarà utile l’aiuto dei norreni, senza di noi.»
Detto questo marciò rapida verso la sua casa e sbatté la porta. Silena Beauregard abbassò lo sguardo sconsolata.
«Scusate… è colpa mia. Non riesco nemmeno a convincerla a combattere.»
«Non dire sciocchezze!» Le detti una leggera pacca sul braccio. «Non ha neanche provato ad ucciderti, direi che è un miracolo. Almeno ci hai provato.»
Lei scosse il capo e si avvicinò a Beckendorf, che la rassicurò, dandole un leggero bacio sulla guancia. Il loro rapporto mi spinse a pensare ad Astrid che, ancora, stringeva i pugni furiosa. Sospirai. Se solo avessi potuto avere un po’ di tempo per parlare in modo più… intimo. Scossi la testa: avevo altro da fare, tipo guidare un gruppo di semidei in battaglia ed organizzarmi.
Annabeth si avvicinò a me, questa volta in tenuta da battaglia, con l’armatura e l’elmo sottobraccio. Accanto a me anche Astrid sembrava pronta e vidi che, ormai, la maggior parte dei miei compagni aveva indossato la corazza ed erano tutti decisi a combattere.
Notai con piacere che alcuni si erano affiancati ai greci, dandosi pacche sulla spalla e incoraggiandosi a vicenda. Ottimo. Un rapporto di reciproca fiducia poteva essere d’aiuto in momenti come questi.
«Come andiamo in città?» chiese, all’improvviso, Travis Stoll, inarcando le sopracciglia.
«Già. Senza Chirone, Argo non lascerà mai alle arpie la guida dei furgoncini» protestò Katie Garden, della Casa di Demetra, che si era offerta di riunire nella sua cabina i figli di Freyr.
«Nessun problema» li interruppi, prendendo dalla tasca la nave ripiegata. Non avevo idea di cosa avesse dato Einar per quella, ma ci sarebbe tornata molto utile. «Useremo la Skidbladinr.»
«Non sarebbe meglio un viaggio a terra?» domandò Michael Yew, dubbioso.
«Rilassati» risposi semplicemente, lanciando la nave verso la pianura, dove quella si espanse fino a raggiungere le dimensioni necessarie ad ospitarci tutti.
Alcuni greci strillarono, preparandosi alla scossa che lo scontro di una drakkar con il terreno avrebbe provocato e Annabeth mi lanciò un’occhiataccia terribile. Ma subito si trasformò in stupore, quando si rese conto che la nave stava letteralmente galleggiando sulla terra, come se quest’ultima avesse la consistenza dell’acqua.
«Dii Immortales! Questa poi! La vostra nave è… wow, fantastica! C’è qualcosa che non sa fare?» chiese, esterrefatta, mentre si avvicinava con l’aria di una bambina che vedeva il suo giocattolo preferito in vetrina.
«Be’, non sa volare, ma la Skidbladnir può viaggiare su qualsiasi terreno, con qualsiasi pendenza su qualsiasi elemento che non sia l’aria. Potrebbe scalare una parete di pendenza novanta gradi, solo che non è consigliato per chi viaggia a bordo della nave stessa» risi, mentre i miei compagni salivano a bordo entusiasti.
Non avevo idea di cosa avrebbero visto i mortali, ma lasciatemelo dire: quando c’è di mezzo la Foschia, meglio non farsi troppe domande.
«Alex, siamo tutti a bordo!» mi informò Nora, con un sorriso rassicurante in volto.
Nonostante Excalibur pesasse come un macigno, terribile ricordo di quello che stavo per affrontare, non potei non fare a meno di notare come i miei compagni non sembrassero affatto preoccupati. Avevano trovato un certo affiatamento con i greci, forse dovuto al fatto che questi non ci vedevano più come terribili nemici, ma come alleati. Sentii la dolce mano di Astrid poggiarsi sulla mia spalla, come per mantenermi aggrappato alla realtà. Avrei voluto così tanto abbracciarla in quel momento.
 
♠Percy♠

Quando me li vidi arrivare tutti davanti… Be’, diciamo che a New York se ne vedono di mezzi strani, ma vedere una nave vichinga che solca le strade come l’acqua, ancora mi mancava. Avevo chiesto ad Astrid di mandarmi direttamente nel centro di New York per organizzare meglio la difesa, così potevo osservare il loro arrivo.
La Skidbladnir era parcheggiata davanti all’Empire State Building e faceva scendere tutti i mezzosangue, greci e norreni, entrambi in assetto da battaglia. Per un attimo mi chiesi come fosse possibile che non fossimo stati attaccati: un numero così grande di semidei era per i mostri un grande cartello che diceva: “venite a mangiare che si fredda”.
Ma dall’aria che si respirava c’era ottimismo: l’arrivo di Alex ed i suoi aveva dato una scossa positiva al nostro Campo e, nonostante le poche possibilità di sopravvivenza, il morale era alle stelle. Con mio disappunto vidi che anche Alex e Charlie erano insieme al gruppo, cosa che non mi piacque per niente: il primo perché sapere cosa stava rischiando mi faceva sentire terribilmente in colpa; Il secondo, invece, era ancora debole dopo le ferite subite sulla Principessa Andromeda.
Alex si stava comportando come un amico leale e un comandante coraggioso ed esemplare, e suo padre, addirittura, lo condannava. Mi venne voglia di prendere a pugni Odino. La gamba di Charlie era ancora fasciata e ogni tanto lui barcollava, come se fosse sul punto di svenire. Avrei voluto dire ad entrambi di tornare a casa, ma dubitavo fortemente di poterli convincere. Nonostante i miei sospetti, feci un tentativo e mi avvicinai ad Alex.
«Non sei costretto a rimanere, sarebbe stato meglio che tu rimanessi al Campo» proposi, cercando di essere conciliante.
Lui sorrise mestamente e mi appoggiò la mano sulla spalla. «Sei un amico, Percy. Un mese fa sarei morto nell’Hellheim, se tu non mi avessi coperto le spalle. Voglio ricambiare il favore. Non mi ritirerò.»
«Rischi troppo, non mi devi così tanto» ribattei, deciso e allo stesso tempo preoccupato.
Perché cavolo dovevano essere le persone migliori a rischiare la vita?
«Ti sbagli. Io te lo devo eccome. Non me ne frega un fico secco se i nostri genitori si odiavano, secoli fa. Insieme, il mese scorso, abbiamo formato una squadra inarrestabile. Possiamo farlo ancora e non intendo fermarmi solo perché mio padre non ci vede nemmeno dal suo unico occhio» concluse il figlio di Odino, avviandosi verso i suoi, lasciandomi con l’amaro in bocca.
Mi sentivo come se stessi portando lui e tutti gli altri verso la morte. I miei occhi indugiarono su ogni mio amico, vecchi e nuovi: prima tra tutti Annabeth, così bella, anche in tenuta da guerra. Michael Yew era in testa ai suoi fratelli di Apollo, i fratelli Stoll, che stavano facendo a gara di barzellette e freddure con Alyssa e Einar. Katie Gardner, Silena Beuregard, Charlie, Polluce, Astrid, Denny. Lars, Sarah, Nora, Helen, Sain.
Tutti pronti a rischiare la vita. I miei occhi indugiarono un attimo sui capelli di Petra che, con quel colore blu mare, mi ricordava mia madre che mi preparava ogni sorta di cibo blu. Fui invaso da un senso di preoccupazione. Non volevo immaginare cosa stesse facendo, in quel momento, era sicuramente in ansia.
Unito questo pensiero alla sensazione di preoccupazione per i miei amici, non capivo nemmeno come facessi a non mettermi ad urlare al cielo.
«Ci siamo, Alex ci ha detto tutto» mi disse Annabeth, avanzando verso di me con aria preoccupata.
«Sì, venite. Abbiamo un appuntamento importante» risposi, indicando l’atrio.
Dovevo ammettere che sembravamo il più folle e assortito gruppo di semidei mai visti. Alex si era messo di nuovo Skidbladnir nel retro dei pantaloni – cosa che continuavo a trovare fantastica. Avrei voluto anche io una macchina così, almeno non avrei avuto problemi di parcheggio.
Non provai nemmeno a immaginare cosa vedessero i mortali al posto di un drappello di quasi cento semidei armati. Avevo imparato che la Foschia era capace di tutto. Probabilmente vedevano un grosso pullman di qualche gita scolastica, oppure un camion con su scritto “Trasporto Speciale”. Ma la cosa aveva poca importanza.
«Andiamo in piccoli gruppi, l’ascensore può portare solo una decina di persona alla volta.» Poi mi venne in mente una cosa. «Ehm… Forse è meglio se tu, Alex, e i tuoi non venite.»
Non era mia intenzione essere maleducato, ma considerati i precedenti, non mi piaceva l’idea di portarli sull’Olimpo con il rischio di scatenare l’ira degli Dèi su di loro. Fin ora potevano averli ignorati perché erano, comunque, rimasti al Campo, ma non avevo idea delle reazioni, in caso li avessero beccati sull’Olimpo.
«Che ne dici di farci salire soltanto? Potremmo venire con voi senza entrare nel palazzo dei vostri Dèi» propose, con tono conciliante, il figlio di Odino, notando gli sguardi disapprovanti dei suoi compagni, probabilmente sentitisi un po’ esclusi.
«D’accordo. Spero non faranno caso a voi, vista la presenza di Tifone» concordai, infine, dopo averci pensato.
Non serviva essere figlio di Atena per capire che, comunque, era sempre meglio rimanere uniti. Una decina alla volta salimmo sull’Olimpo, usando l’ascensore. Durante la salita i miei occhi indugiavano sul bel corpo perfetto di Annabeth, mentre la musica di Stayin’ Alive mi faceva affiorare alla mente la terribile immagine di Apollo con pantaloni a zampa e camicia di seta attillata, che suonava l’omonima canzone. Speravo di non doverlo mai vedere in quello stato.
Se Annabeth non abitasse nella Casa Sei, l’avrei scambiata per una figlia di Afrodite. I bellissimi capelli biondi, lunghi e mossi, le ricadevano sulla schiena come un mantello, il corpo magro, tonico e allenato sembrava quasi esaltato dalla stretta corazza che indossava e sembrava una dea della guerra, con quell’aria crucciata, sicuramente segno che stava cercando di elaborare ogni possibile strategia per difendere la città.
«Cosa c’è?» chiese, all’improvviso.
«Come “cosa c’è”?»
«Mi stai guardando in modo buffo.»
Ignorai il commento e feci un finto colpo di tosse. L’apertura delle porte sul seicentesimo piano mi salvò dallo sguardo indagatore di Annabeth. In poco tempo fummo tutti radunati sulla grande città sospesa a duemila metri sopra New York.
I ragazzi norreni erano davvero colpiti e un paio di ragazzi di Thor si misero a fare una gara a chi faceva cadere più in fretta la loro saliva. Il che era abbastanza disgustoso.
«Che cavolo» sussurrò Annabeth, accanto a me, mentre passava accanto ad una statua di Era.
«Cosa c’è?» chiesi, seguendo il suo sguardo. «Ce l’ha ancora con te?»
«Niente di particolare. Solo che… il suo animale sacro è la vacca, no?»
«Giusto.»
«Be’, mi ha messo le vacche contro. E adesso continuo a trovare i loro ricordini ovunque.»
Il nostro drappello proseguì lungo la strada principale, passando davanti alle grandi ville dei servitori e degli spiriti più vicini agli Dèi, fino alla grande dimora dei nostri genitori. Un gigantesco palazzo di colonne di bianco e candido marmo. Era una visione bellissima, ma tutto, lì, dava l’idea di una tristezza vicina. L’Olimpo era silenzioso: non c’era musica, non c’erano voci, non c’erano risa.
«Ok, ragazzi, rimaniamo qui» ordinò Alex, strappandomi dai miei pensieri.
Osservai i norreni borbottare contrariati, ma compresero la necessità di non indispettire le nostre divinità.
«Però uno o due di noi dovrebbero venire con voi» protestò Danny, nervoso.
Probabilmente lo erano tutti: il timore che i nostri Dei li fulminassero sul posto doveva essere, per loro, una prospettiva ben poco felice, ma ero certo che non sarebbe successo. Gli Dèi erano troppo impegnati.
«D’accordo. Andremo io ed Astrid, se a Percy non dà fastidio» propose il figlio di Odino, voltandosi verso di me.
Annuii e Alex dette alla sorella il comando dell’Orda per poi incamminarsi al fianco di Astrid, nel Palazzo degli Dèi insieme a me e ai miei compagni greci.
 

koala's corner.
Buonssssera tutti! Dal prossimo capitolo inizierà la battaglia!
Ci sarà da divertirsi *risata malvagia* La Skidbladnir può veramente navigare sulla terra ferma figa le navi norrene eh Alex ovviamente viene interrotto di continuo, Astrid si farà ancora filmini mentali...
Abbiamo davvero poco tempo, quindi questo angolino-sclero sarà ridotto. Grazie a tutti coloro che ci seguono, un bacio e alla prossima!
  
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