Ciao!
Ecco, per farmi perdonare del lungo ritardo, oggi posto un altro
capitolo …
Sono un po’ di fretta e sto guardando Hannibal Lecter le
origini ( in pratica, sono in contemplazione mistica, indovinate a chi
sono rivolti i miei occhi! XD )
Ringrazio con il cuore le persone che ieri mi hanno
recensito! Scusate se non vi ringrazio una per una, ma, se volevo
postare questa sera, non potevo fare altrimenti!
sophie_95,
emily
ff, PenPen,
alice
brendon cullen, ery,
_sefiri_,Wind,
BellaSwan95,
Gocciolina,
AngelOfLove,
momob,
francy94,
giulia9_91,
yuyutiamo,
_Natsuki_,Ransie88219,
yumisan,
memi16,
Giulls,
novilunio,
Deimos,
Hele91,
hachicat(indovina con chi sono!),
Lilian
Potter, Raki.
Volevo ringraziarvi e dirvi che il mio dito è perfettamente
guarito, era una semplice scottatura! Grazie a tutte voi che recensite
e a tutte coloro che leggono!!!!!
A presto!!! Spero che questo capitolo vi piaccia
… (è, insieme
al prossimo e al decimo, il mio preferito!)
Ah, rinnovo l’avviso, ho scritto una ficcy su The Host , per
chi avesse letto il libro, mi farebbe piacere se la leggeste!
Ciao
Cassandra!
Bella's Pov
Le ore trascorrevano lente ed
inesorabili ed io, rinchiusa nella mia prigione fatta di stucchi e
rifiniture d’oro, non sapevo cosa fare.
Leggevo, scrivevo, disegnavo … Tentavo di far passare il
tempo.
Tra quelle mura di pietra, cercavo di non impazzire tenendomi impegnata
come meglio potevo. I libri erano scritti tutti in inglese e questo era
un vantaggio per la mia salute mentale. Se non avessi avuto loro,
probabilmente sarei impazzita.
Le mie giornate venivano scandite dai pasti che, svogliatamente, le mie
guardie mi portavano.
Sebbene sia una cosa assurda, attendevo con impazienza il loro arrivo,
anche se i miei controllori si limitavano a portarmi il cibo, a
verificare che tutto fosse a posto, e ad andarsene. La loro comparsa mi
ricordava che oltre quella maledetta porta il mondo continuava, anche
senza di me …
L’unico tra i miei severi
custodi che mi rivolgeva la parola era Alec.
Si era dimostrato essere il più gentile di tutti. Si fermava
sempre qualche minuto, per chiedermi come stessi, se avessi bisogno di
qualcosa. Quando aprivano la porta, speravo sempre fosse lui.
Mi diceva che dovevo stare tranquilla. Che nessuno voleva farmi del
male. Cercava di tranquillizzarmi.
Un giorno gli chiesi
perché fosse così gentile con me e lui mi disse:
< Sai, perché tu mi ricordi me e mia sorella
… Anche io all’inizio avevo paura. Aro ci aveva
avvicinato e, intuite le nostre capacità, ci ha poi
trasformati. In realtà, sono molto felice adesso. E sono
sicuro che quando anche tu sarai stata trasformata, capirai che per
quelli come noi la cosa migliore che può capitare
è vivere al servizio dei volturi. È un grande
onore. E tu avrai l’onore più grande. Dare un
erede di sangue al più importante tra tutti noi. Sarai
ammirata e trattata con rispetto e deferenza …
> Mi sorrideva convinto.
Cercava di persuadermi. Io in tutto
quello non ci vedevo niente di entusiasmante. Semmai, mi veniva il mal
di pancia.
Ciò che in quella
prigione soffrivo di più, era l’isolamento, e il
non vedere mai il cielo. Sapevo che Aro sfruttava questa mia condizione
per costringermi senza l’uso della forza a concedermi a lui,
sapeva che non avrei sopportato tutto quello ancora a lungo. Io
d’altronde non avevo nessuna intenzione di cedere. Non gli
avevo più parlato, dal giorno in cui mi aveva fatto scrivere
la lettera. In fondo, ne ero contenta.
Un altro colpo pesante dato alla
mia felicità, consisteva nel svegliarmi e nel non trovare
Edward, sdraiato al mio fianco, pronto ad abbracciarmi e a consolarmi.
Pensavo a lui continuamente ma ormai, non piangevo neanche
più. La mia sofferenza andava oltre le lacrime. Era
più infima e profonda. Talmente forte da levarmi il respiro.
Edward, che era costantemente nei miei pensieri, mi mancava in maniera
atroce e spesso, mentre cercavo di tenermi occupata in qualche modo, mi
sentivo male improvvisamente. La solitudine e la lontananza mi stava
lentamente logorando. Bastava che l’occhio mi cadesse sulla
fede perché mi cominciasse a mancare l’aria.
Là sotto, stavo diventando claustrofobia.
Aro aveva insistito, tramite Felix,
perché qualcuno venisse a fare le pulizie ma io lo avevo
praticamente supplicato, tramite Alec, di lasciarmi fare almeno quello.
Quello che non potevo lavare io, lo davo alle guardie che provvedevano
a riportarmelo pulito. Ogni cosa potesse impedirmi di pensare alla mia
situazione, mi aiutava a restare padrona delle mie azioni.
L’unico a cui permettevo di aiutarmi era proprio Alec. Se si
offriva di darmi una mano nel riordinare, acconsentivo. Mi faceva
compagnia, mi parlava … distoglieva la mia mente dai brutti
pensieri.
Da quando ero stata rinchiusa
lì dentro, avevo ricevuto una sola lettera del mio sposo.
Insieme ad essa, che mi era stata recapitata aperta, un fazzoletto con
il suo profumo. Nei momenti di maggior sconforto, quando sentivo la
disperazione prendere il sopravvento, lo annusavo ed inspiravo
l’odore di Edward, per farmi coraggio.
Io continuavo a scrivergli ma non sapevo se realmente le mie lettere
venissero consegnate.
< Qualcuna … > Mi aveva detto una volta Alec,
dopo che gli ebbi posto la domanda.
< Quelle che Aro ritiene possano tenerlo lontano da qui
… >
< Capisco … > Avevo risposto sospirando.
Sapevo, anzi ero certa che lui
continuasse a scrivermi con la speranza che me le recapitassero.
Naturalmente, a me non le davano. Probabilmente speravano che pensassi
di essere stata abbandonata e che quindi, presa dalla disperazione,
cedessi. Ma sapevo che Edward pensava costantemente a me. Lo conoscevo
bene. Avrei cercato di essere più rassicurante nelle mie
lettere. Forse in questo modo, Aro glie le avrebbe fatte avere. Se io
non potevo avere sue notizie, mi auguravo che almeno lui potesse stare
tranquillo sapendo che, nonostante tutto, stavo abbastanza bene.
Questo lo pensavo finché
non mi ammalai. Allora in quel momento, molto egoisticamente, sperai
che non rispettasse le mie richieste e venisse a prendermi. Stavo
davvero molto male ed ero spaventata. Sapevo che prima o poi sarebbe
accaduto, che il mio fisico non avrebbe retto alla prigionia.
Mi sentii male per la prima volta
all’improvviso. Non so se fosse notte o giorno.
Mi rigiravo nel letto senza riuscire a prendere sonno.
Prima sul fianco destro, poi su quello sinistro, infine tornavo su
quello destro.
Non riuscivo a trovare tranquillità.
Avevo mangiato da poco e, siccome mi ero sentita stanca, ero andata a
sdraiarmi.
In fondo, che altro avevo da fare?
Le coperte, che quel giorno erano color azzurro, mi parevano pesanti,
opprimenti.
Sudavo. Mi bruciava lo stomaco. La testa mi girava.
Ad un certo punto, mi alzai e mi diressi di corsa in bagno. Vomitai
tutto quello che avevo mangiato.
Mi sentivo un vero schifo.
Mi lavai la faccia e constatai quanto malata sembrassi. Avevo le
occhiaie, profonde e scure, il volto stanco e pallido, emaciato. Parevo
quasi un vampiro, se non fosse che non ero bellisima.
Ero dimagrita ancora.
Le guardie passarono molte volte a
portarmi il cibo con la solita regolarità e io tutte le
volte, dopo aver inghiottito qualcosa, mi ritrovavo in bagno
…
Continuai a vomitare per non so quante volte, ma non dissi niente a
nessuno. Non riuscivo neanche a stare in piedi e dormivo molto.
Mangiavo a fatica.
Presa dalla disperazione, ad un certo punto smisi direttamente di
mangiare, ma per non insospettire i miei custodi, buttavo via un
po’ di cibo nel gabinetto. Andò avanti
così per un bel po’.
Dovevano essere passati diversi giorni. Trascorrevo la maggior parte
del tempo a letto, troppo debole per fare altro.
Dopo non so quanto, quella
maledetta porta si aprì per l’ennesima volta ma
per fortuna, finalmente, entrò Alec.
Io ero sdraiata a letto. Mi voltai nella sua direzione e lo salutai
sorridendo debolmente. Stavo proprio male.
Lui se ne accorse subito e, dopo
aver poggiato il cibo sul tavolo, mi venne vicino e mi chiese:
< Tutto a posto? >
< No… > Fu la mia risposta laconica. <
Ma non dirlo a nessuno … >
< Sì, così se muori poi nei casino ci
finisco io. Che cos’hai? >
< Tutto … > Dissi girandomi dalla parte
opposta.
< Non credo che ti faccia bene restare qua sotto. Dovresti
uscire a prendere un po’ d’aria. Ne
parlerò con Aro. > Ogni volta che pronunciava quel
nome trasparivano rispetto e deferenza.
< No, non voglio. >
< Insomma, più di sei settimane chiusa qui dentro
… ci credo che ti riduci in questo modo … Hai
proprio una brutta cera. >
< Quanto hai detto che sono rimasta qui dentro? > Chiesi
sconvolta, con una nota isterica nella voce.
< Quasi sette settimane. >
Oddio, avevo completamente perso la
concezione del tempo. Non esistevano più mattine
né pomeriggi né notti nella mia vita, fatta ormai
solo di buio e di paura …
Quei nomi ormai non significavano più niente.
La sveglia l’avevo spaccata lanciandola contro il muro in un
attacco di rabbia, poco dopo che mi era stata data … Non
sopportavo di vedere il tempo scivolarmi tra le dita.
La consapevolezza della
realtà mi piombò addosso e mi sconvolse.
Tutti quei giorni là dentro, lontana dalla mia famiglia,
lontana da Edward … Non ce l’avrei fatta ancora a
lungo.
La disperazione che tentavo di reprimere prese il sopravvento. Ero
scossa da singhiozzi asciutti.
< Puoi chiedere ad Aro di farmi avere la lettera di Edward?
Quella che mi ha mandato per il mio compleanno? Per favore, almeno
quella … > La mia voce era tremolante, bassa. Ero
sicura che lui me ne avesse spedita una per il 13 di settembre, ne ero
certa. Volevo leggerla. Almeno quello potevano concedermelo
… Osservai la fede e sospirai.
< Va bene, glie lo chiederò … > La
sua voce era dubbiosa e
provocò in me un ulteriore ondata di disperazione.
< Ti prego Alec, ti prego … > Lo supplicai.
Lui, a differenza della sorella che, con uno sguardo infliggeva
sofferenze atroci, era in grado di convincere le persone. Me lo aveva
rivelato lui stesso, mentre mi riaccendeva il fuoco, una volta
… Era un dono molto utile., anche se su di me non aveva
effetto.
< Va bene Isabella, va bene … ma non piangere adesso
… > Sembrava preoccupato.
Piangevo? Sì, e anche tanto. Dopo non so quanto tempo le
lacrime tornarono a scorrermi sul viso. Ero stupita.
Lui se ne accorse e mi disse:
< Se stai male, dovremo portarti da un medico. Certo, si tratta
di poche ora, ma potresti pur sempre uscire. E poi, non hai davvero un
bell’aspetto. Credo che tu abbia seriamente bisogno di farti
controllare. Forse sarà meglio che si faccia
così. >
< vuoi farmi uscire? >
< Solo per qualche ora. Di più non riesco a
convincerli … te la senti di mangiare qualcosa adesso?
> Mi chiese indicandomi il cibo.
< No … > Tenevo le mani sul volto per
nascondere la mia disperazione.
Si alzò e prese il vassoio e andò alla porta.
< Tornerò fra poco. Un’ora circa
… >
Non gli risposi. Pensavo alla mia famiglia, alla loro ansia, alla
lontananza da Edward.
Una ferita invisibile mi lacerava
il petto. Il cuore mi batteva forsennato. Ogni suo battito mi ricordava
le parole del mio sposo: < Questo è il suono
più bello che abbia mai udito. Ne sono così in
sintonia che lo riconoscerei a kilometri di distanza …
>
I miei pensieri vennero interrotti
dalle parole di Alec.
< Mi dispiace … > levai le mani dagli occhi
gonfi e l’osservai.
< Cosa? > rantolai.
< Per te e per tuo marito … Non fai altro che
ripetere il suo nome. Proprio come ora. Quando dormi, quando sei
soprapensiero … sempre. >
Chiusi la bocca. Non mi ero resa conto di aver sussurrato il suo nome,
né quella volta né mai …
In realtà Aro non è cattivo. Solo che per lui,
per noi, le cose hanno un aspetto differente. Non lo fa per farti un
torto … >Sembrava volesse giustificarlo.
Se ne andò senza dirmi altro, lasciandomi nel letto.
Rimasta sola, pensai …
Pensai a Charlie, Reneè,
i Cullen, Edward …
In fondo, per tornare a casa, avrei semplicemente dovuto obbedire ad
Aro, dargli quel maledetto bambino che voleva tanto … La
fase peggiore sarebbe durata poco, o per lo meno non moltissimo. Alla
fine, avrei dovuto solo aspettare che il bambino nascesse e poi me ne
sarei andata. In fondo, si poteva anche fare. Sperando di restare
incinta al primo tentativo. Già una sola volta con Aro mi
disgustava. Non so se avrei retto l’idea di dovermi concedere
a lui più volte. Tremai di orrore e paura.
Certo, sarebbe stato orribile, ma
almeno avrei evitato la pazzia.
Se non avessi accettato le condizioni di Aro, sarei morta in quel
dannato sotterraneo, lontana da tutto e da tutti.
Dovevo fare come voleva Aro.
Edward avrebbe capito.
Non potevo fare altrimenti …
Era l’unico modo che avevo per poter tornare a casa
…
Ma poi, me la sarei sentita di abbandonare un figlio che, in fondo,
sarebbe stato anche mio? Ecco cosa intendeva Aro quando mi
ripeteva:
< Forse sarai proprio tu a voler restare … >
Bastardo.
Se io fossi rimasta, con me sarebbe venuto Edward, ed Aro avrebbe avuto
tutto: il bambino e anche i poteri di mio marito …
E poi, mentre ormai mi ero decisa a dire ad Aro che aveva vinto, che
avrei fatto tutto quello che mi chiedeva, dovetti alzarmi per andare a
vomitare di nuovo.
E mentre mi trovavo in bagno, seduta a terra e con la schiena contro il
vetro freddo dello specchio, mi portai le mani allo stomaco che
bruciava.
< Quasi sette settimane
… sette settimane … > Mi ripetevo ad occhi
chiusi, la testa fra le mani. ondeggiavo avanti e indietro. Le
ginocchia contro il petto … sentivo il freddo
dell’oro della fede contro la mia pelle …
< Tutto questo tempo … Edward, Edward …
Sette settimane lontana da te … > Lacrime calde mi
solcavano il volto arrossato.
Improvvisamente spalancai gli occhi e mi portai le mani alla bocca.
< Cazzo! > urlai.
No, no … non poteva
essere …
< Sette settimane? > ripetei con voce agitata …
Merda.
Non avevo avuto il ciclo …
Possibile?
Sicuramente era colpa della stress.
Doveva essere colpa dello stress …
Non poteva essere … non potevo essere incinta …
Non era possibile …
No, no, non potevo assolutamente essere incinta.
Un altro conato di vomito.
Porca miseria, sì che ero incinta.
In quel preciso istante, provai una
paura tremenda, come non l’avevo mai provata prima.
E dire che io avevo avuto modo di incontrare la morte, e persino cose
ben peggiori, più di una volta nella mia vita …
In tutte quelle occasioni non avevo mai provato una sensazione di
angoscia pura come in quel momento. Era indescrivibile.
Stavo andando in iperventilazione.
Sussultavo convulsamente, scossa dai singhiozzi.
Quella paura era totalmente diversa da quelle provate in precedenza,
era paralizzante.
Adesso in gioco non c’era più solo la mia vita.
Non era me che dovevo proteggere …
Non era a me che dovevo pensare. Rabbrividii.
Non sapevo cosa fare.
Aggrappandomi al lavandino mi
rimisi in piedi. Mi tremavano le ginocchia ed ero malferma sulle gambe.
Appoggiandomi al muro, in qualche modo riuscii a tornare a letto e
scoppiai in un pianto isterico.
Appoggiai le mani sul mio ventre e mi feci piccola piccola
nascondendomi sotto le coperte.
Tra i singhiozzi sussurravo:
< Edward, Edward … >
Mi accarezzavo la pancia e pensavo
che i quel momento, avrei dovuto essere felice.
Era un miracolo. Né io né Edward pensavamo che
una cosa del genere fosse possibile.
Eppure, io in quel momento ero disperata, sola. Sentivo il bisogno di
abbracciare mio marito, di dirgli cos’era successo. Volevo
vedere il suo volto, il suo sorriso. Saperlo felice per ciò
che era accaduto … Ma sapevo che probabilmente tutto
ciò non sarebbe mai successo.
E proprio pensando a lui, al mio
Edward, capii realmente in che razza di situazione mi trovassi.
In quale pericolo fossimo, io e il mio bambino.
Né Aro né nessun altro lì dentro
avrebbe dovuto sapere che ero incinta.
Se lo avessero scoperto, mi
avrebbero impedito di portare avanti la gravidanza.
E io quel bambino lo volevo, con
tutto il cuore. Era il mio bambino, mio e di Edward.
Per la prima volta, realizzai che
la mia unica possibilità era la fuga.
Me ne dovevo andare, e prima che si accorgessero della situazione.
Se fino a quel momento non avevo preso neanche in considerazione
l’idea di fuggire, adesso quella mi pareva la mia unica
speranza.
Avrei dovuto riuscirci prima che Aro si spazientisse e venisse a
pretendere il mio corpo.
Avrei dovuto riuscirci prima che la mia condizione fosse evidente.
Sarebbe stato difficile, molto
difficile, ma io avrei fatto di tutto per poter tornare ad abbracciare
Edward.
Per dare alla luce il nostro bambino.
Tanto, non avevo niente da perdere.
Fuori dalla stanza, oltre la porta,
dei passi veloci, delle voce concitate. Una fra tutte, quella di Aro.
Il rumore della catena e del chiavistello.
Stavano per entrare,
Mi asciugai le lacrime con la
manica del pigiama e portai le mani sulle coperte, lontano dalla mia
pancia.
Non dovevo destare sospetti.
Feci un respiro profondo e
sussurrai:
< Edward, ti amo … >
Poi la porta si aprì e
io mi voltai verso Aro che veniva verso di me con un espressione
preoccupata dipinta sul suo volto antico.
Mi ripetei nella mente:
“ Tanto, non ho niente
da perdere.
Farò tutto il
possibile per far vivere questo bambino. Tutto il possibile
…
Te lo giuro, Edward
… tutto il possibile … ”