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Autore: Dicembre    29/06/2008    3 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Da questo capitolo in poi, penso che lo stile della storia migliori parecchio. All'inizio ci sono tante, tante ingenuità stilistiche che dopo un po' sono riuscita a limare. Ovviamente, ben lungi dall'essere perfetta, ma se non altro, ci sono dei miglioramenti. E ci si muove, un pochettino, da questa staticità che ha caratterizzato i primi capitoli. Ma suvvia, dovevano conoscersi a fondo, i nostri eroi. Inoltre, in tempi come il XIV secolo, è impensabile che morale e religione (sopratuttto da personaggi che ci credevano fermamente) venissero accantonati troppo velocemente ^_^ Un bacio a chi legge, due a chi recensisce ^*^

 

 

Capitolo Tredici - Dipendenza (parte seconda)



 




I fuochi brillavano su tutta la piazza e proiettavano ombre lunghe sui muri che la delimitavano. Ormai il sole era quasi tramontato, tuttavia le danze continuavano. Nessuno si preoccupò dell’ora ma proseguirono tutti a godersi quel giorno di festa, anche se ormai s’era alle porte di dicembre e l’aria era piuttosto fredda. I bambini giocavano fra di loro, alcuni si rincorrevano, altri si credevano adulti e ballavano nel modo buffo - e al contempo tenero - che spesso caratterizza i piccoli. Solo una di loro rimaneva in disparte, tutta intenta ad intrecciare dei fiori secchi che lei stessa aveva dipinto e profumato quella mattina. Ne aveva di rossi e di blu, di gialli e di rosa, ma non riusciva a decidersi sul da farsi.

Aaron notò la bimba quando questa, per l’ennesima volta, mosse un passo verso di lui per poi ripensarci. Era piccola, cinque o sei anni al massimo, con i capelli leggermente arruffati. Sembrava che ogni passo verso il gazebo le creasse delle palpitazioni, difatti risoluta all’inizio, cambiava idea dopo pochissimo e ritornava indietro, guardando la sua corona di fiori e stringendola un po’ più del dovuto, tanto che qualche petalo cadeva ogni volta.





L’attenzione del Lord fu distolta dalla bambina quando si unirono al gruppo gli altri cavalieri: Guardia, Levante e Chiaro. Solo Nero e Forgia mancavano. E se Aaron sapeva che quest’ultimo era rimasto al castello - troppo debole per la festa - si chiese come mai l’altro non venisse. E si ritrovò ad essere impaziente di vederlo e, allo stesso tempo, a temerne l’arrivo.

“Pensavo foste partiti…” apostrofò Cencio
”Certo, senza salutare il nostro mocciosetto preferito?”

“Ma tu sentilo! Ma dico io” disse poi rivolto a Luppolo con aria irritata “devi smetterla di prendermi in giro”

Luppolo fu colto di sorpresa “Ma come, te la prendi con me anche quand’è Guardia a darti del moccioso?”
”E’ ovvio” rispose Cencio con la solita vocina petulante che aveva quando fingeva d’essere arrabbiato con l’amico “se tu la smettessi di chiamarmi moccioso, sono certo che Guardia non si sognerebbe mai di chiamarmi così”

“E’ qui che ti sbagli” incalzò l’amico che non voleva dargliela vinta “Guardia ti chiama moccioso perché è quello che sei”

Cencio mise il broncio e si girò verso Guardia per cercare un appoggio che sapeva non sarebbe arrivato. Difatti questi se ne lavò le mani.

“Non coinvolgete me nei vostri battibecchi!”

Poi, rivolto verso Cencio sussurrò: “Certo che se fai quel muso imbronciato, faciliti le cose a Luppolo”

Ci fu una risata collettiva, poi Guardia riprese in tono serio.

“Saremmo dovuti partire oggi, ma abbiamo sentito che questa notte pioverà. E’ meglio partire col bel tempo. Inoltre “si rivolse verso Lord Aaron “volevo personalmente ringraziarvi per tutto quello che avete fatto. So che il capo è il nostro portavoce, ma devo scusarmi per avervi giudicato male, il giorno in cui siamo arrivati al castello”.

E così dicendo s’inchinò.

“Anch’io vorrei scusarmi” disse d’improvviso Chiaro “Io più di tutti devo dire d’essere stato diffidente, ma mi sono sbagliato. E spero di avere modo, durante la mia permanenza qui, di farmi perdonare”

“Ma come Chiaro” chiese Luppolo stupito “Non hai detto che saresti partito anche tu?”

La risposta che ne sarebbe venuta, non fece che confermare quello che gli aveva detto Cencio poco prima:

“Ho cambiato idea. In fondo” cercò poi le parole più adatte al suo stato d’animo “è inutile che me ne vada” sospirò.

Apparve sconfitto. Vinto. Incapace di fare fronte all’evidenza che Nero non sarebbe mai tornato con lui.

Lord Aaron lo guardò, così come, per un attimo, fecero tutti gli altri, ma nessuno disse nulla.

Dipendente, completamente assuefatto alla presenza del proprio capo, non era in grado di una qualunque autonomia.

In quell’istante Chiaro sembrò più vecchio e sofferente, le poche rughe sul suo viso risaltarono, quasi fossero profonde, su l volto pallido.

Agli occhi di Aaron, parve stanco, i solchi profondi delineavano tutta la sua impotenza di fronte alla realtà della cose: Nero non aveva bisogno di lui quanto lui di Nero.

Cencio sorrise, un po’ tristemente, e guardò la gente che continuava a ballare e a bere, sotto un cielo che ormai s’era fatto scuro.

“Potete rimanere tutto il tempo che vorrete, la mia casa rimarrà aperta” il tono che aveva assunto era forse un po’ troppo secco e distaccato - non era questa l’intenzione iniziale - ma Aaron non era riuscito a modulare esattamente la voce come avrebbe voluto. Non che avesse appena detto il falso, tutt’altro. Ma il ricordo delle parole di Cencio di poco prima non gli avevano permesso di essere del tutto naturale: il ragazzo aveva ragione. Tutti coloro che avevano avuto a che fare col cavaliere sembravano creare con lui un rapporto di dipendenza che sicuramente non poteva far piacere a Nero. E lui non faceva eccezione. Lui che da ore lo cercava fra la gente di fronte a lui, cercava quegl’occhi neri che desiderava per sé e quella sensazione di gioia che provava quando gli era vicino; lui che non aspettava altro che quell’uomo venisse in piazza da loro; lui stesso che durante i giorni precedenti aveva trovato come unica soluzione al suo stato d’animo la completa assenza dalla vita del castello…

Lui uguale a tutti gli altri.

Si chiese se tutto questo davvero risultasse un fardello ingombrante per Nero. L’affetto e la devozione dei suoi uomini probabilmente no, la dipendenza sì.

Sorrise perché si rese conto che lo stesso peso che ora vedeva addossato su Nero, era quello che aveva sempre cercato di allontanare da sé: l’affetto, l’amore, l’ubbidienza di tutti. Mai nessuno lo trattava da eguale. Ed ora, sotto circostanze completamente diverse e con uomini completamente diversi, vide riproporre di fronte ai propri occhi la stessa scena che lui stesso viveva ogni giorno.

Però ancora una volta, passò i suoi occhi sulla folla prima e sulla strada maestra dopo, nella speranza di vederlo, ma Nero era troppo ben nascosto per essere visto da chiunque.

Non sapeva bene neanche lui perché rimaneva lì nell’ombra a guardare i suoi compagni, il Lord e le altre persone sedute loro vicine. Da dov’era, poteva sentire esattamente quello che i cavalieri dicevano, nonostante la musica alta e il vociare della gente. Era arrivato poco dopo gli altri, ma aveva preferito non farsi vedere, aveva preferito rimanere in disparte e posticipare ancora un po’ la sua partecipazione alla festa.

Osservava i suoi compagni, ma più di tutti osservava Lord Aaron. Il nobile rimaneva in disparte dal resto del gruppo, educato e premuroso, non si lasciava però coinvolgere. Sembrava che qualcosa lo turbasse anche se Nero non era vicino a sufficienza per capire se la sua sensazione fosse immotivata oppure fondata. Non l’aveva visto per diversi giorni, da quando gli aveva dato il libro sull’alito di Dio e da quando aveva condiviso con lui…

Nero non sapeva dire esattamente che cosa avesse condiviso, se un pensiero o una sensazione, se un inganno oppure una realtà. Ma la nostalgia di quel momento era quanto mai viva. Più ci pensava e più gli sembrava che quella sera in biblioteca non fosse mai esistita e che fosse solo frutto della sua mente; ma al contempo il ricordo era così assordante che ormai non riusciva più a separarsene.

Lo stringeva e lo voleva per sé, lo riviveva nella sua mente in continuazione e si chiese come avesse potuto prima, vivere senza.

E forse per questo era lì, nascosto dall’ombra di una casa, a guardare i suoi compagni ed amici senza unirsi a loro: per non dover accantonare quella sensazione, per avere modo di riviverla ancora una volta, nella sua mente.





Vide una bambina impacciata avvicinarsi ad Aaron e porgergli una corona di fiori secchi in modo un po’ brusco.

“Questa è per voi” disse diventando tutta rossa. Questo gesto catturò l’attenzione di tutti. Imbarazzata quindi indietreggiò un pochino e fu tentata di scappare via, se non che il Lord la fermò

“Non scappare! Dimmi come ti chiami e il perché di questo bellissimo dono”

“Io sono Emily, i fiori sono perché siete un angelo” Non si trattenne più e corse via, verso la folla.



Il Nero s’intenerì alla vista di questa scena, ingenua ma sincera.

I riflessi dei fuochi nei bracieri brillarono sui capelli dorati del Lord. Forse la bambina non s’era sbagliata.





L’attenzione di Nero venne riportata sul gruppo quando sentì Chiaro dire che non avrebbe lasciato Castello Thurlow. Gli venne da ridere: se lo aspettava. Come del resto s’aspettava che gliel’avrebbe rinfacciato, prima o poi. Ma lui non se ne curava, ormai aveva fatto l’abitudine ai suoi capricci.

Chiaro non lo avrebbe mai capito, né Nero aveva intenzione di spiegarsi più a fondo di quanto aveva già più volte fatto.

Notò benissimo che le parole di Chiaro provocarono un sorriso in Cencio e si chiese perché, ma fu subito distratto dalla risposta di Aaron e della sua voce, algida e molto più distaccata rispetto a quella a cui era abituato sentire durante i loro dialoghi. E fu proprio quella voce a fargli fare un passo avanti e farsi scorgere dagli altri. Voleva sentirla e risentirla ancora, non in quel tono formale di poco prima, ma con quello caldo a cui era abituato.

E fu proprio Aaron ad accorgersi dell’arrivo di Nero, immediatamente appena questo fece un passo dall’ombra.

Lo stava aspettando e il suo passo era inconfondibile, si girò nella sua direzione e lo guardò.

Ci furono solo loro, per un attimo, nessun compagno e nessuna festa, solo la musica delle danze, lontana, e il leggero vociare della gente che ballava.

Per quanto avesse pregato, per quanto avesse chiesto aiuto a Maria, il solo vederlo gli diede una gioia tale che dimenticò le sue preghiere e le sue domande.

Quei giorni passati senza vederlo gli erano parsi eterni, e vederlo lì, improvviso ma aspettato, lo fece sussultare:

“Ben arrivato” riuscì solamente a dire.



La sua voce…



“Era ora, capo, che ti facessi vivo, Forgia ha insistito molto perché rimanessi?”

“Ho dovuto istruire Cleto, deve andare nella capitale e portarmi notizie…”

“Ma non avevi detto che eravamo in vacanza?” rispose Cencio preoccupato che il capo avesse cambiato idea.

Nero rise “Lo siamo, non ti preoccupare. Non chiedevo informazioni militari di alcun genere…”
Vedendo che Nero non aveva intenzione di spiegare il perché avesse mandato Cleto alla capitale, Luppolo cambiò discorso

“La birra che viene servita è deliziosa, se fossi arrivato un po’ più tardi, sarebbe finita tutta”

“In pancia tua!”
”Taci ragazzo, è così raro trovarne di questo genere, malto perfettamente amalgamato…”
”E’ un po’ amara, però”

“Si vede da quel che dici che sei un moccioso”

“E questo ora cosa c’entra?”
”Certo che voi due” li interruppe Guardia “non passate un momento senza litigare. Ma non vi stancate mai?”

“Del resto” aggiunse Chiaro “non sei stato proprio tu, Cencio, a dare il nome a Luppolo in suo nome, mi sbaglio?”

“Quindi questo fa di me un po’ suo padre?” disse in un misto di entusiasmo e scherzo il ragazzo

“Non offendere così la memoria di mio padre” gli urlò dietro l’amico accompagnando le sue parole ad uno scappellotto sulla nuca.

“Sei un violento!” si lamentò Cencio e poi si rivolse a Chiaro “l’ho chiamato così perché la sua è un’ossessione, più che una passione. Questa novità del luppolo nella birra a me, vi dirò, non piace molto”
”Ma si conserva meglio” gli fece notare Chiaro

“Ed è molto più buona”

Nero rise, il clima di festa sembrava aver contagiato anche i suoi compagni.

Cencio, esasperato, cercò appoggio e qualcuno che parteggiasse per lui

“E voi signore, pensate anche voi che l’aggiunta di Luppolo alla birra la renda più buona?”
Aaron in realtà non aveva ascoltato il discorso perché la sua attenzione era stata richiamata da alcuni uomini vicino a lui che però se ne andarono quasi subito.

“Perdonatemi? Ero distratto”
”Ci sono dei problemi? Sembrate preoccupato”
”Ti ringrazio Cencio, ma non è nulla di grave. Ci sono delle miniere di stagno ad ovest, pare che ci sia del malcontento nei confronti di qualche minatore…”

“Possedete delle miniere?”

“Molte. Sembra ci siano dei disaccordi che richiedono la mia presenza. Se volete” aggiunse poi rivolgendosi a Luppolo “mi farebbe piacere m’accompagnaste. Lì vicino si trova un piccolo monastero che produce buona parte della birra che avete bevuto qui”
Gli occhi di Luppolo s’illuminarono “Volentieri signore”

“Questo vuol dire che date ragione a lui?” Cencio mise il broncio

“Mi piace la birra, sia con che senza luppolo, anche se preferisco il vino del Sud. Ma il monastero, devo ammettere, produce una delle migliori birre che abbia mai assaggiato”.

“Dio ci scampi” Cencio roteò gli occhi esasperato, ma poi continuò “Ecco, si vede che ve ne intendete! Il vino…” continuò con aria trasognata. “Potrei venire anch’io al monastero?”

“E per cosa? Per ubriacarti?”

“Guardia, non ti ci mettere anche tu…”
Cencio sembrava davvero abbattuto, mentre gli altri risero di gusto

“Altro che Cencio” disse Luppolo “ti avremmo dovuto chiamare moccioso”.

“Forse è una domanda che vi hanno posto in molti, ma la mia curiosità è eccessiva, qual è il significato dei vostri soprannomi?”

Nero si sedette vicino a lui, ma Aaron non osò guardarlo negli occhi. Un gesto così semplice aveva accelerato il suo cuore e il Lord temeva che questo fosse palese sul suo volto. Ebbe buon gioco perché fu Luppolo a parlare e a presentare la scusa per girarsi e guardare altrove… Ma sentiva la sua presenza, lì vicino. Era come se i suoi sensi fossero amplificati, nonostante cercasse in ogni modo di metterli a tacere.

“Io e Cencio abbiamo incontrato Nero, Levante e Chiaro in Italia, quando questi già non usavano più il loro nome. Era una cosa naturale per loro chiamarsi così, questa piacque subito a Cencio. Impressionabile com’era il ragazzo ai tempi, scambiò questa loro usanza per degli appellativi da eroe. Decise, quindi, il giorno stesso dell’incontro, di chiamarmi Luppolo perché sapeva di questa mia inclinazione per la birra del continente… disse che era un nome buffo, ma appropriato”
”Certo, questo perché io ho un animo gentile e nobile. Tu invece, m’hai dato un nome che non mi merito”

Luppolo rise “E’ vero, te l’ho dato io, ma non è vero che non te lo meriti. Se fosse così non sarebbe stato utilizzato anche dagli altri.”
”Ma tu mi hai imposto a loro quel nome”
”E da quando hai perso la lingua per difenderti?”

“Sei tu che non sei gentile per niente!”

Luppolo non rispose e lasciò correre, perché, per un attimo, una nota malinconica s’era impossessata di lui. La realtà era ben diversa, avrebbe chiamato quel ragazzo in tutt’altro modo e con tutt’altro tono, ma non poteva. Non poteva lì, non poteva anni prima in Italia e non avrebbe mai potuto in futuro. Vedendolo lì, col viso imbronciato e quegli occhi maliziosi ed irrequieti , ebbe voglia di stringerlo a sé e di promettergli un nome da re. Si limitò a guardarlo e a desiderarlo per un istante, per poi distogliere lo sguardo e scacciare il desiderio lontano.

Riprese quindi il discorso:

“La realtà è che quello che siamo e per la vita che conduciamo, i nostri nomi appartengono al passato. La coesistenza e la coesione di sette persone così diverse fra loro per provenienza e cultura è stata resa possibile dal fatto che in qualche modo abbiamo ricominciato da capo, quando ci siamo incontrati”



Aaron non chiese ulteriori dettagli, anche se fremeva per sapere altro. Questo forse sarebbe venuto, in seguito, intanto non potè fare a meno di chiedersi perché, Nero, avesse iniziato lasciando alle spalle il proprio nome, e che cosa significasse. Si chiese se Chiaro avesse preso il suo per puro spirito di contrapposizione, oppure di emulazione. Si chiese della storia di Cencio… E si chiese se mai avrebbe avuto il coraggio di chiedere loro di più, si chiese quale fosse il vero nome di Nero se se mai avrebbe avuto l’onore di pronunciarlo, anche solo per una volta.

 

***
 

 

BiGi: Ehehehe, Cencio, in effetti, è la persona che meglio di tutti capisce gli animi umani. Non a caso è italiano. Secondo me, ha un'innata capacità di vedere le sfumature di ognuno ^_^

Stateira: Aaron ha un modo molto diretto direlazionarsi con la religione. Del resto, essendo un prescelto, ha praticamente una via preferenziale XD Anche se, devo dire, non sempre gli è di gran conforto. Onestamente, durante la stesura di Liberaci dal Male, a volte ho avuto la tentazione di scuoterlo dal suo fermento religioso, ma avrei alterato troppo il personaggio XD Un bacione

lili1741: ciao *_* Sono proprio felice di risentirti. Sei stata in vacanza? Di flashbacks ce ne saranno abbastanza (e di flashforward, se così possiamo definirli XD), perchè a me piace troppo non dare una linea temporale continua alla storia. Ma devi capirmi, è una mia malattia ehehehe Un bacio grande
 

  
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