Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: kiara_star    11/03/2014    5 recensioni
[Sequel de “La carezza di un'altra illusione”]
[a sort of Thorki; fem!Thor]
~~~
C'erano cose di cui Thor non parlava mai, c'erano storie che forse non avrebbe mai narrato. C'erano domande che Steve porgeva con qualche dubbio.
“Perché continui a vedere del buono in Loki?”
“Perché io so che c'è del buono.”
[...]
Siamo ancora su quel balcone?
Ci sono solo io?
Ci sei solo tu?

“Hai la mia parola, Loki, non cambierà nulla.”
Ma era già cambiato tutto dopo quella prima menzogna e non era stato suo fratello a pronunciarla.
~~~
~~
Ancora oggi Nygis riempie il cielo di stelle continuando a piangere per il suo unico amore, nella speranza che un dì ella possa tornare da lui.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Incest
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'La leggenda di Nygis'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
cap17
L' ultima lacrima



XVII.





«Ricordami perché lo sto facendo» sospirò Sigyn mentre poggiava il palmo sulla maniglia della porta.
Loki non rispose ché con un sorriso.
Scosse il capo e prese un lungo respiro.
Loki aveva ragione: Fury non avrebbe mai dato l'autorizzazione per lasciare la struttura dello S.H.I.E.L.D. tanto meno Midgard, né a lei né a Loki.
Ma era l'unica alternativa che aveva alla disperazione.
Doveva tornare ad Asgard e chiedere aiuto a suo padre. Doveva pregarlo di sbloccare i poteri di Loki e fare in modo che lui le indicasse la via per raggiungere Styrkárr; quel Vanr era una minaccia che il grande padre non poteva ignorare.
Loki diceva di non sapere i suoi veri intenti. Non sapeva se credergli o meno.
Ma non aveva altra scelta: era questa la sua unica speranza.
E quando non si aveva altro che quella, si era disposti a fare di tutto.
Aprì la porta in modo da potersi affacciare senza mostrare l'interno della camera.
Gli agenti di guardia erano dieci, tutti uomini ben addestrati e dalla corporatura importante.
«Ho bisogno di un volontario» enunciò guardandoli attentamente.
Nessuno di loro fiatò.
Pregò di saper interpretare quel ruolo senza lasciar loro modo di dubitare.
Poggiò poi infine gli occhi su un uomo più esile degli altri.
«Tu.» Lo indicò con l'indice. «Entra.»
L'agente cercò come sempre lo sguardo dei colleghi e soprattutto quello dell'uomo che l'aveva accolta quando era entrata in quel reparto. Era abbastanza palese fosse lui il comandante della squadra.
L'uomo fece un cenno con il capo appena percettibile e l'agente che Sigyn aveva indicato raggiunse con pochi passi la porta.
Ma prima di farlo entrare, Sigyn lo fermò poggiando un palmo sul suo petto.
«Il tuo taser.» Ruotò poi la mano e piegò più volte le dita per invitarlo a porgerglielo.
«Perché?» Le chiese diffidente l'uomo cercando di guardare l'interno della stanza.
Non poteva permettere che scoprisse cosa stesse accadendo sul serio.
Si avvicinò ancora al viso dell'agente e lo fissò negli occhi neri.
«Perché ne ho bisogno» affermò con fermezza.
Per favore...
Nell'angolo in alto a destra, l'occhio rosso di una telecamera li spiava.
Si chiese se Tony le avesse detto il vero e che quindi nessuno poteva sapere cosa stesse accadendo il quel luogo.
Doveva per forza di cose essere così, altrimenti avrebbe già ricevuto la visita di una squadra nel momento stesso in cui aveva curato Loki.
Non le era permesso comunque rischiare.
«Hai qualche problema con l'udito, soldato?» chiese con tono di rimprovero.
L'uomo sembrò irrigidirsi a quel richiamo e si udì il mormorio divertito dei suoi colleghi.
«Coraggio, John. Daglielo...» Era stato il comandante a fare quel commento chiaramente allusivo.
In un'altra occasione gli avrebbe spaccato i denti con una gomitata, ma in quel momento doveva fare in modo che nessuno degli presenti facesse domande.
L'agente di nome John emise un ringhio contrariato mentre estraeva l'arma dalla cintola. Sigyn non poté non notare il luccicare di piccole chiavi di metallo legate a un anello di acciaio.
Con poca gentilezza le poggiò il teaser nel palmo e la guardò alquanto spazientito.
«Bravo, John. Non era difficile, visto?»
All'ennesima battuta ci fu l'ennesimo risolino degli agenti.
Sigyn non riuscì a reprimere un'occhiata gelida verso il comandate della squadra che le rispose alzando divertito le sopracciglia.
«Entra» ordinò poi a John chiudendo immediatamente dietro le sue spalle la porta.
Ora non poteva più tirarsi indietro.
«Ma che è successo?» brontolò l'agente allo scoprire che le macchine erano state manomesse.
«Scusami...»
«Cos-»
Ci fu il sibilo della scossa che attraversava il collo dell'uomo prima che cadesse a terra con un tonfo.
Sigyn soffiò fuori l'aria e abbassò la mano con il taser guardando il corpo privo di sensi del soldato terrestre.
Aveva giurato di proteggerli e invece...
«Li hai ingannati per bene. Sono impressionato.» Vide Loki sorridere dal letto ma evitò di rispondergli.
Si inginocchiò invece sul corpo dell'uomo afferrando le chiavi d'acciaio.
«Prega che siano quelle giuste altrimenti userò questo su di te.» Lo minacciò con il taser raggiungendo la branda e cercando di aprire le manette.
«Tutti gli agenti ne hanno un mazzo» la informò Loki mentre udiva lo scattare dell'apertura. Alzò gli occhi nei suoi quando il suo polso fu libero. «Li ho studiati bene e, come ben sai, ho sempre avuto una predilezione per i dettagli.»
Lasciò le chiavi nel suo palmo e tornò dall'agente.
«Sono nove e tutti armati» spiegò sfilando dal corpo la giaccia e sbottonando velocemente i bottoni della camicia bianca.
Cercò di non badare al senso di colpa che bruciava nello stomaco mentre guardava il viso tramortito del soldato.
«Non sarà un problema» sospirò dal letto Loki facendo scattare anche le altre manette e sollevando il busto per sedersi sul letto.
Sigyn osservò i suoi gesti mentre si affrettava a sfilare anche i pantaloni.
Loki stava sciogliendo le bende sporche di sangue che avevano legato il suo addome.
Quando le fece cadere sulle lenzuola, il suo petto non mostrava alcun tipo di ferita, solo lo sporco del sangue rappreso.
Ancora non credeva di essere stata lei a essere riuscita a sanare le sue ferite.
Risentì la sensazione avvolgente che aveva provato poco prima, una sensazione quasi estasiante.
Scacciò poi ogni pensiero; non era questo il momento.
Afferrò il cumulo di vestiti e lo raggiunse gettandoli con pochi riguardi sulle sue gambe ancora coperte dal lenzuolo.
«Fa' alla svelta» ordinò tornando a guardare la porta. «Potrebbero entrare.»
Udì un risolino insieme al rumore confuso della stoffa.
«Non essere in imbarazzo. Mi hai visto nudo altre volte.»
Non poté impedire al suo viso di accaldarsi per la rabbia - vergogna?
«Non dire assurdità! Controllo che non entri nessuno» ribatté però senza voltarsi.
«Oh, certo...»
«Sono ancora in tempo per rimetterti in quel letto più livido di prima.» Ennesima minaccia, ennesima risata.
Anche la telecamera sulla cima della porta puntava verso di loro.
Perché si era lasciata convincere ancora, non lo sapeva.
Loki l'aveva già pugnalata alle spalle una volta, cosa gli impediva di farlo ancora?
Non era più fiducia la sua. Allora cos'era?
Ancora il fruscio degli abiti prima che lui l'affiancasse chiudendo i bottoni della camicia.
«Prendi la sua pistola.»
«Non pensarci neanche!» affermò con sdegno.
Sul viso di Loki solo un'espressione annoiata.
«“Sono nove e tutti armati”. Parole tue» rispose chiudendo l'ultimo bottone  del polsino. «Non ho alcun potere. Devo arrangiarmi.» Sollevò poi il colletto indossando la giacca.
«Allora trova un altro modo per “arrangiarti”.»
Non poteva permettergli di far del male a quegli uomini privi di colpe. Stavano solo eseguendo degli ordini. Erano loro i fuorilegge in quel caso e no, Loki non avrebbe preso nessuna delle loro vite.
«Le scarpe?»
Lo guardò spazientita e gli indicò l'uomo a terra.
«Sono lì!»
Loki le sorrise assottigliando lo sguardo.
«Sempre gentile...» sibilò andando a recuperare le scarpe nere che giacevano accanto all'agente.
«Sei già fortunato che ti rivolga ancora la parola. Non cercare gentilezza perché qui non ne troverai.»
Quando Loki fu ormai vestito con gli abiti dell'uomo la guardò con espressione seria. Avrebbe potuto facilmente passare inosservato fra le fila degli uomini di Fury se non fosse per l'assenza della nera cravatta.
«Porgimi il taser» la invitò.
Non ebbe tentennamenti e anzi fu grata che avesse scelto di non far loro del male... o meglio, non più del necessario.
Gli porse l'arma e Loki la studiò per poi guardarla ancora.
«Sei sicuro di farcela?» chiese e lui sollevò un angolo delle labbra mostrandole ancora il taser stretto nella mano destra.
«Mi arrangerò.»
Sigyn ispirò e poi espirò profondamente umettandosi le labbra.
Un cenno di intesa e la porta si aprì.



*



Tony era più che sicuro di aver perso un terzo dell'udito dopo l'urlo di Fury, e c'era anche una buona probabilità che qualche schizzo di saliva gli fosse finito in faccia durante il testa di ca-
«Spiegami!»
Indietreggiò di un passo mostrando i palmi in segno di resa.
«Non ho fatto nulla, Nick.»
Fu costretto a farne ancora due quando Nick letteralmente gli fu addosso.
Una mano a stringere la sua giaccia e quell'unico occhio che aveva rabbia per quattro!
«Sei di nuovo entrato nei nostri sistemi?»
Deglutì e sorrise. «Ehm... c'è la remota possibilità che Jarvis abbia attivato automaticamente qualche protocollo. Sì.»
Nick lo spinse via con rabbia e Tony si massaggiò il petto. Dannato Fury e le sue maniere da regime fascista.
Sapeva bene che non si stava bevendo nessuna delle sue scuse, sapeva bene che quando aveva visionato quelle riprese pressoché mute aveva già progettato dieci diversi modi per farlo fuori –in maniera dolorosa, ovviamente. Sapeva bene che Nick Fury amava minacciare e amava mantenere fede a quelle minacce, sapeva bene che lui si era più che meritato ognuna di esse.
Ma doveva guadagnare un po' di tempo, doveva permettere a Sigyn di parlare con Loki.
Aveva mantenuto la parola: non aveva visto alcuna ripresa né udito alcun audio. Jarvis stava trasferendo il flusso di immagini in un server protetto alla Stark Tower. Sugli schermi della sala controllo dello S.H.I.E.L.D., chiunque stesse controllando il reparto in cui era Loki, avrebbe continuato a vedere a loop le immagini riprese prima dell'arrivo di Sigyn.
«Tony, smettila di prendermi per il culo e dimmi cosa è successo in quella stanza prima che ti ci faccia finire io a calci!»
Poteva vedere il vapore sulla sua pelata e i denti così digrignati da aver timore che iniziasse a ringhiare sul serio.
Si schiarì la voce e annuì.
«Nessun problema. Ho cercato di far perdere le staffe a Loki e lui le ha quasi fatte perdere a me perché è uno stronzo psicopatico» spiegò e poi sorrise. «Fine della storia.»
Nick non sorrideva. Nick continuava a fumare e a ringhiare. Nick stava per infilargli la canna di una pistola in qualche posto nascosto e molto poco confortevole...
«Stark...» iniziò con tono ombroso. Tony non riuscì a non deglutire. «I miei tecnici più preparati stanno cercando di recuperare le tue riprese e quando lo faranno - perché lo faranno, non dubitarne - io visionerò personalmente ogni singolo frame, trascriverò a mano ogni singola parola, prenderò nota di ogni tuo battito di ciglia.» Gli era di nuovo di fronte con i suoi mille occhi da killer. «Perché, Stark, quando avrò quelle immagini e saranno totalmente differenti da ciò che mi stai raccontando, farò in modo che i metodi di Torquemada sembrino giochetti da asilo al confronto di ciò che ti farò con le mie stesse mani.»
Se c'era un buon momento per gettarsi a terra e piangere invocando pietà, Tony sapeva era quello.
Annuì soltanto con falsa sicurezza e aspettò che Nick gli desse le spalle.
Quando lo fece buttò fuori l'aria e ne riprese ancora nel momento in cui Fury tornò a voltarsi.
«Dov'è?»
Cavolo...
«Ehm... chi? Cap? Credo stia facendo qualche serenata alla bella asgardiana o forse sta cercando un libro con le figure che spieghi come è fatta una donna dalla cintola in giù.» Fece un gesto verso il basso con l'indice ma Nick non aveva voglia di ridere.
«Dov'è Thor?»
Arcicavolo...
«Non ne ho idea» mentì scrollando le spalle. «Sarà con la Foster.»
«La dottoressa è in laboratorio con Banner.»
«Allora Clint-»
«Barton e la Romanoff sono al diciassettesimo piano a supervisionare i tecnici che stanno sistemando i tuoi casini con il nostro sistema... Tony, dimmi immediatamente dov'è Thor.»
Guardò velocemente l'orologio sulla parete della stanza. Non era passata neanche un'ora da quando Sigyn era andata da Loki.
Forse era troppo poco, forse era abbastanza.
«Nick, se vuoi sapere dov'è, chiedi ai tuoi amati tecnici. Ci sono milioni di telecamere in questo edificio! Perché dovrei saperlo io?»
«Perché sei tu il genio del “dai un taser alla bionda e mandala dentro!”»
«Wow, memoria d'acciaio, Nick. Complimenti...» mugugnò in leggera difficoltà.
Un'ora.
Poteva bastare.
Fattela bastare, Barbie.
Quando Nick avrebbe saputo della tresca illecita fra Loki e suo fratello di certo la sua irruzione nei sistemi dello S.H.I.E.L.D. sarebbe passata in secondo piano.
«Thor è da Loki?» A quella domanda ci fu un breve silenzio.
«Ci sono le telecamere, Nick. Controlla tu se è lì.»
Nick piegò le labbra in un sorriso che aveva lo stesso effetto di un sibilo di una bomba sganciata sulla testa di qualcuno, in quel frangente, la sua.
«Telecamere... certo... affidabili. Vero, Tony?»
Non rispose. Non ce n'era bisogno.
Nick aprì la porta e lo guardò nuovamente.
«Se lo trovo in quella stanza...»
«Ci finisco anche io. Afferrato.»
Quando lo seguì subendosi altre allegre minacce, Tony sperò almeno che ne fosse valsa la pena.
 


*



Jane era silenziosa. Bruce dal canto suo non sapeva neanche che discorso iniziare.
Stavano organizzando le ultime notizie che arrivavano con rapidità da ogni osservatorio sparso sul globo e tutte riportavano la presenza di fenomeni stellari nell'orbita terrestre.
Le cose stavano tornando alla normalità, il che voleva dire che qualsiasi cosa ci fosse prima - barriera mistica o incantesimo o qualsiasi altra diavoleria senza leggi fisiche avesse messo in atto Loki - al momento non era più in atto.
Era una buona notizia.
Doveva esserlo, perché ultimamente stavano collezionando una pessima notizia dietro l'altra.
Faceva ancora fatica a mandare giù la storia che era saltata fuori per ultima, e Bruce si chiese quanto davvero fosse in grado di controllare le sue reazioni.
Forse aveva più autocontrollo di quanto la sua scarsa autostima gli permettesse di vedere.
Forse era solo questione di ore, questione di minuti.
Cercò di scacciare via quella stretta alle viscere che gli prendeva ogni volta.
Guardò Jane: stava digitando qualcosa su una tastiera.
Il viso era stanco, gli occhi cerchiati di leggere occhiaie, le labbra prive di un qualsiasi sorriso.
«Perché non provi a dormire un po'?»
«Non adesso, Bruce.»
Fine del discorso.
Al successivo tentativo di riprendere parola, Jane semplicemente lo aveva ignorato.
Bruce sospirò e tacque.
Sarebbe stata una lunga notte e l'alba che li stava aspettando sarebbe stata anche peggio.



*



Nel momento esatto in cui svoltarono l'angolo, Tony percepì un brivido viaggiare lungo la sua spina dorsale. Non sapeva dire con sicurezza se fosse per la vista degli uomini stesi al suolo privi di sensi, o per il tremore che stava attraversando le spalle di Nick.
«Ehi?» D'istinto si chinò sul primo agente scuotendolo e controllando le pulsazioni. Era ancora vivo. Si chiese se lo fossero anche gli altri.
Udì i passi di Nick che giungevano rumorosi alla stanza e vide l'espressione rabbiosa che aveva piegato il suo viso.
Deglutì sollevandosi da terra e raggiungendolo a sua volta.
Non puoi avermi fatto questo, Point break...
Quando i suoi occhi guardarono la stanza, tutto ciò che videro fu un letto sfatto e vuoto, e due paia di manette appese alle sbarre laterali.
Poi Nick lo guardò e il pugno che si schiantò velocemente nel suo stomaco lo obbligò a piegarsi in due.
Crollò con un ginocchio sul pavimento mentre Nick dava direttive ai suoi uomini per avere soccorsi e preparare una squadra d'assalto.
Tossì portandosi una mano contro lo stomaco e guardò ancora la stanza vuota.
Il pugno che gli aveva rifilato Nick non era niente rispetto alla pugnalata che stava bruciando dietro le sue spalle.
Che tu sia maledetto, Thor!



*



Percorsero velocemente un paio di corridoi prima di infilarsi con rapidità in una stanza.
«Entra!» Loki chiuse la porta alle loro spalle.
Era riuscito a tramortire tutti gli agenti. Nonostante la mancanza delle sue arti illusorie, Loki non aveva perso un solo granello di abilità nel combattimento.
Sigyn lo aveva visto scivolare e nuotare con grazia e rapidità fra gli uomini armati e metterli a terra uno dopo l'altro senza quasi riuscire a vederne i veri movimenti.
Si era sentita impotente e fastidiosamente inutile.
Si era sentita debole ancora una volta.
Ma Loki l'aveva incitata a seguirlo velocemente e non c'era stato più tempo per sentire niente.
«Che ci facciamo qui?» chiese guardandosi attorno. C'erano delle attrezzature alla parete e dei monitor come quelli che si trovavano nella Tower di Tony.
Cercò di ignorare l'ennesima sensazione di colpa per ciò che stava facendo. Per la seconda volta gli aveva mentito, per la seconda volta aveva scelto di non fidarsi di loro.
«Cerchiamo un modo per uscire da questo palazzo» rispose Loki indaffarato a premere qualche pulsante.
Sigyn non capiva la tecnologia terrestre mentre Loki sembrava averne grande familiarità.
Lo affiancò studiando i vari monitor ma riuscendo a scorgere solo parole e numeri per lei privi di significato.
Osservò poi il suo viso concentrato nella lettura e non poté impedire al suo cuore di provare l'inopportuna gratitudine nel vederlo vivo.
Aveva davvero temuto, forse più di ogni altra volta, più di ogni altra battaglia in cui avessero lottato fianco a fianco a e poi faccia a faccia.
Quella volta aveva avuto paura di perderlo sul serio.
Loki si voltò e lei scostò lo sguardo davanti; percepì comunque le sue labbra sorridere.
«Dobbiamo raggiungere il parcheggio esterno per poter invocare il tuo amico Heimdall.»
«Non sarebbe più semplice giungere al tetto?» propose ignorando volutamente il tono irriverente.
Loki scosse il capo e pigiò ancora qualche tasto.
«È la scelta più semplice ma anche la meno sicura. In caso qualcosa andasse storto rimarremmo senza vie di fuga.»
Aggottò la fronte. «Cosa dovrebbe andare storto?»
Una volta aperto il Bifrost avrebbero raggiunto Asgard in un battito di ciglia.
Per questo dovevano raggiungere velocemente il tetto prima che gli agenti si accorgessero della loro fuga.
«In ogni piano qualcosa può andare storto, e al momento non abbiamo martelli che possano aiutarci a raddrizzarla in una tale eventualità.»
«E questo grazie a chi?» brontolò guardandolo di sottecchi.
Loki continuò a sorridere e smise di fare qualsiasi cosa stesse facendo.
«Ci siamo. Ora dobbiamo andare.»
Lo vide raggiunge nuovamente la porta e gli andò dietro.
Nel corridoio non c'era nessuno.
«Preparati a correre quando senti il sibilo.»
«Sibilo?»
«Esatto.»
Con il retro del taser Loki ruppe un piccolo quadrato di vetro sulla parete, scoprendo così un pulsante dal colore cremisi.
Non sapeva cosa stesse facendo, ma nelle fughe non era mai stata molto brava.
Non era mai fuggita da una lotta, non aveva mai voltato le spalle a uno scontro.
Combattere con onore, vincere con merito, perdere con dignità.
Era questo il suo credo.
Era questo il credo di ogni guerriero di Asgard.
Poteva ancora chiamarsi guerriero? Poteva ancora stringere nel cuore quella fede?
Ogni domanda fu spazzata via nel momento in cui Loki fece schiantare il pugno contro il pulsante.
Ciò che sentì non fu un sibilo, fu una vera e propria sirena assordante.
«Ma cosa hai fatto?» chiese con voce acuta per sovrastare il rumore.
«Andiamo!» le rispose Loki e poi iniziò a correre.



*



Steve sollevò lo sguardo verso la spia rossa che aveva iniziato a lampeggiare sulla parete a seguito dell'allarme.
«Cos'è questo suono?» A malapena riuscì a sentire Linn.
«È l'allarme antincendio» rispose mentre vide alcuni agenti correre per i corridoi.
Aveva perso la cognizione del tempo, aveva perso la cognizione del luogo, aveva perso anche la cognizione di se stesso.
Linn cercò la sua mano e la strinse con forza mentre si guardava intorno confusa. Steve avrebbe voluto tranquillizzarla ma udì il suo nome chiamato con urgenza.
«Capitano?»
Era Clint.
«Che sta succedendo?» chiese.
«Ho provato a chiamarti. Perché non hai risposto?»
Solo in quel momento si ricordò dell'auricolare gettato a terra.
Lanciò uno sguardo a Linn che lo guardava con la stessa aria colpevole.
Si era lasciato prendere dalle emozioni e benché fosse stato bello e intenso come poche altre cose che avesse provato, non poteva rischiare di dimenticare i suoi doveri.
Le sorrise comunque lasciando andare le sue dita.
Linn accettò il suo gesto e lo capì.
Linn in quei due giorni sembrava paradossalmente averlo capito meglio di chiunque altro.
«Clint, che succede? C'è un incendio nell'edificio?»
«Molto improbabile.» Mentre Barton gli rispondeva altri agenti correvano con le armi in braccio.
Non era un incendio, questo era palese.
Ad ogni modo la sirena dell'allarme non era ancora cessata.
«È scappato.»
«Chi?» Anche se l'aveva chiesto sapeva già a chi si stesse riferendo. «Loki?»
Clint annuì.
«Sì... E Thor è con lui.»



*



Natasha era entrata nel laboratorio con le mani occupate a stringere una pistola diversa dal solito.
Bruce la riconobbe subito.
«Che sta succedendo?» Alla domanda di Jane nessuno rispose.
Bruce osservò solo gli occhi di Natasha e assentì con il capo.
«Va bene.»
«Mi spiace, Bruce, ma la situazione è un po' complicata e  non possiamo rischiare.»
«Credimi, preferisco così.»
Un attimo dopo un dardo lo colpì al collo.
Perse i sensi immediatamente.



*



«Oddio! Bruce!» Jane si gettò immediatamente sul corpo di Bruce scuotendolo per una spalla. «Perché gli hai sparato?»
Natasha non le rispose di nuovo ma si inginocchiò accanto a lei recuperarono il dardo dalla sua pelle.
«Natasha, cosa sta succedendo? È un incendio?»
«Loki è fuggito.»
Scosse il capo incredula tenendo ancora la mano poggiata contro la spalla di Bruce.
«Cosa?»
Gli occhi di Natasha erano ghiaccio: bruciavano la pelle solo a guardarli.
La donna si rimise poi in piedi infilando la pistola con cui aveva sparato a Bruce in una fascia legata alla coscia.
Jane era più che certa che se non ci fosse stato il suono assordante dell'allarme avrebbe sentito il battere furioso del suo cuore risuonare per tutto il laboratorio.
«Dov'è Thor?» Dov'è Sigyn?
Nessuna risposta.
«Sta bene? Ti prego, rispondimi!»
Abbandonò momentaneamente l'amico svenuto per guardare con tangibile agitazione il viso dell'agente di Fury.
«Temiamo che sia stata Sigyn a far fuggire Loki.» Parole prive di tono che furono uno schiaffo sul viso. «Resta con Bruce.»
«Natasha, aspetta!»
Non aveva aspettato.
La porta si era spalancata e l'agente Romanoff era corsa via senza darle più alcuna risposta.
Jane guardò il viso addormentato di Bruce.
Si chinò su di lui recuperando gli occhiali dal suo viso. Li chiuse e li strinse in una mano.
Si sedette sul pavimento e gli spostò i capelli dalla fronte.
La sirena coprì anche il suono del suo pianto.



*



Le scale sembravano non avere mai fine. Scesero una rampa e poi ancora una e ve n'erano altre decine al di sotto.
«Arriveranno dozzine di agenti!» sospirò Sigyn con l'affanno dovuto alla corsa.
«Lo so!» rispose Loki che le era davanti.
«Che razza di piano di fuga è mai questo?»
«Uno che funzionerà.»
Non chiese altro, non perché non aveva domande ma perché non aveva più fiato nei polmoni.
Si poggiò sul passamani di metallo recuperando il respiro.
Loki si voltò a guardarla quando giunse all'ennesima svolta.
«Sbrigati!»
«Un attimo!»
Respirò ancora a fatica. Sentiva le gambe tremare e il petto ardere.
Alzò gli occhi a guardare i piani che avevano già superato. Non erano neanche la metà di quelli che li aspettavano.
«Abbiamo un vantaggio di pochi minuti.» Anche Loki sembrava respirare con difficoltà ma Sigyn sapeva bene era solo l'adrenalina. Benché privato della sua natura era comunque più forte e più resistente di un normale terrestre.
Ricordava bene la sensazione che aveva provato quando era accaduta a lei quella prima volta... quando Thor era stato un mortale.
Il suo attuale corpo invece era perfettamente umano, era soprattutto perfettamente fragile.
Prese un profondo respiro e riprese a correre. Se si fosse fermata in quel momento avrebbe sentito la fatica impossessarsi dei suoi muscoli e impedirle di continuare anche solo a camminare.
Giunse allo stesso livello di Loki e lo superò sentendolo poi andarle dietro.
«Siamo quasi arrivati» le sospirò affiancandola e saltando altri gradini di metallo.
«Per quanto durerà questo suono?» chiese con un fiato.
«Finché non troveranno il modo di farlo smettere e di far ripartire tutti i sistemi informatici dello S.H.I.E.L.D.»
Buttò un occhio al suo viso e poi tornò ai pioli.
«Hai boicottato le loro difese?... Come hai fatto?»
Loki sorrise.
«Non c'è bisogno di magia per farlo. Basta qualche conoscenza rudimentale delle loro nozioni informatiche. Tutti i sistemi sono offline, tranne quelli di emergenza. In caso di allarme automaticamente vengono aperte tutte le uscite ed è possibile bloccarle solo manualmente. Ho inibito temporaneamente questa loro possibilità.»
Ascoltò distrattamente la sua spiegazione.
Il suo ginocchio cedette e si aggrappò al passamani per non cadere di faccia sulle scale.
«Dannazione...» ansimò rimettendosi in piedi.
«Vuoi che ti porti in braccio?»
Lo fulminò con un'occhiataccia. Non era neanche certa stesse scherzando.
«Piuttosto mi getto di sotto!» Guardò davvero in basso considerando l'eventualità.
Udì la sua risata e poi avvertì le dita bianche raggiungere e stringere quelle della sua mano.
Guardò confusa il suo viso con le spalle che si alzavano e abbassavano velocemente.
Il calore che partì dal palmo raggiunse in breve il resto del suo corpo.
La stanchezza scemò e i polmoni smisero di bruciare.
«Il seiðr?» chiese trovando un respiro più regolare.
Loki sollevò solo un angolo delle labbra e tornò a correre senza risponderle.
Non lasciò la sua mano finché non giunsero alla fine di quelle scale.


Una volta aperta l'enorme porta, si trovarono di fronte al parcheggio sotterraneo dell'edificio.
C'erano numerosi veicoli tutti del medesimo colore.
«Per di là.» Loki le indicò una salita di cemento che percorsero velocemente finché non giunsero all'esterno dello spiazzale. Ad accoglierli la notte fredda di Midgard e la vista caotica di una moltitudine di agenti impegnati a correre apparentemente privi di meta.
«Loki!» Lo chiamò allarmata.
Era stato inutile. Se quegli agenti si accorgevano di loro non avrebbero neanche avuto il tempo di chiamare Heimdall, e benché abile, Loki non avrebbe potuto competere con il numero di soldati che si sarebbe trovato a fronteggiare.
E le armi che impugnavano erano armi letali.
«Vieni!»
Loki prese una via fra dei cespugli che si diramavano attraverso lo spiazzale.
Gli agenti non sembrarono accorgersi di loro; Loki riusciva a confondersi fra di essi grazie agli abiti che indossava. L'unica che avrebbe attirato davvero l'attenzione era lei.
Continuarono a correre finché non raggiunsero un luogo alle spalle del palazzo.
In lontananza ancora si scorgevano degli uomini armati, ma erano abbastanza distanti per poter tentare.
Loki si fermò e la guardò con leggero affanno.
«Avanti...» La invitò.
Sigyn portò gli occhi al cielo nero pece con poche stelle che sopravvivevano al bagliore delle luci di New York.
«Heimdall! Apri il Bifrost!» comandò con voce ferma.
Non accadde nulla.
Prese un respiro e provò ancora: «Heimdall! Aprici la via per Asgard! Adesso!»
Sentiva gli occhi di Loki bruciare sul suo viso.
Si voltò a guardarlo quando per la seconda volta non ci fu risposta.
«Il velo è tornato?» chiese credendola l'unica possibile spiegazione.
In lontananza si udiva il vociare degli agenti.
«Impossibile» spiegò Loki. «La barriera si reggeva su tre pilastri energetici. Bloccando il mio seiðr Amora ha fatto collare l'equilibrio mistico che l'attivava.»
Scosse il capo confusa e guardò ancora il cielo nero.
«Allora perché?»
«Perché lui non vuole farci tornare.»
Quelle parole le fecero gelare il sangue nelle vene. Abbassò lo sguardo sul viso di Loki che però teneva il suo verso un albero poco distante.
Su un ramo, nelle ombre della notte, brillavano due piccoli occhi. Piume nere e lucenti.
«Huginn...[1]»
Non credeva possibile che Loki avesse ragione.
Il corvo spiegò le ali e volò via con un verso acuto.
Guardò a terra il cemento umido.
Huginn era lì con un chiaro messaggio: non erano i benvenuti ad Asgard.
Suo padre non aveva intenzione di aprir loro alcuna via di ritorno.
Era finita sul serio.



*



Loki non si aspettava reazione diversa da quel vecchio; come se si potesse pretendere il contrario.
Gettò uno sguardo alle sue spalle: gli agenti si stavano organizzando.
Sarebbe passato poco prima che i sistemi fossero di nuovo in uso e loro fossero localizzati e braccati.
E stavolta Fury non ci sarebbe andato leggero.
«Dobbiamo andare» sospirò cercando velocemente con gli occhi la prima grata che conduceva nei condotti sotterranei della città.
La trovò a qualche decina di metri.
La sua memoria non l'aveva tradito.
«Per fortuna non abbiamo seguito la tua idea del tetto. A quest'ora-»
Quando voltò lo sguardo verso di lei ogni parola si spense.
Gli occhi di Sigyn fissavano persi il cemento, le sue mani immobili, le sue spalle avevano anche smesso di alzarsi con fatica.
Il vento della notte le spettinava senza cura i capelli.
Loki tornò con la memoria a quel giorno alla lingua di Dourn; il suo smarrimento era lo stesso.
Padre. Dobbiamo andare da Padre e raccontargli tutto, lui ci aiuterà”, aveva detto allora.
Dopo tanti secoli, dopo tante ferite, ancora credeva di poter chiedere aiuto a quel padre.
Dopo tanti secoli, dopo tante ferite, ancora gli permetteva di deluderla.
Si sfilò la giacca e gliela porse.
Sigyn lo guardò ancora con espressione immutata.
«Farà freddo dove stiamo andando» le disse.
Le sue mani raccolsero la giacca nera ma non la indossò. Guardò la stoffa senza realmente vederla. La gola sussultò. Gli occhi tornarono a guardare il suolo.
«E dove possiamo andare, Loki?... Dove?» chiese con un filo di voce.
«Non possiamo stare qui né tornare indietro. I tuoi amici impiegheranno un battito di palpebre per rinchiuderci entrambi in una cella.» Sigyn lo guardò e solo allora sembrò riprendere vigore. Sorrise della sua ingenuità. «Non avrai creduto davvero che ti avrebbero perdonato l'avermi aiutato?... Di nuovo.»
Ancora uno sguardo alle squadre in avvicinamento.
«Basta parlare. Non abbiamo tempo.»
Nella cintola che apparteneva all'agente di cui stava indossando le vesti, trovò una piccola torcia.
Nulla sarebbe stato più utile.
Controllò velocemente che funzionasse e la strinse nel pugno.
«Siamo bloccati qui... Senza possibilità di fare niente!»
Una crisi isterica era l'ultima cosa che invece serviva alla loro situazione.
«Ho un piano di riserva» mentì e lei gli credette.
I suoi occhi si allagarono speranzosi.
«Quale?»
Sorrise e raggiunse la grata facendole segno di seguirlo.
«Lo vedrai.»



*



«I sistemi di videosorveglianza sono fuori uso e la sicurezza di ogni singola uscita dell'edificio è stata compromessa.»
Clint ingoiò un nodo acido mentre ascoltava le parole di Nat.
«Dobbiamo setacciare ogni angolo di questo palazzo personalmente?» chiese con rabbia.
«Non abbiamo altra scelta» rispose lei cercando di sovrastare l'assordante rumore della sirena. Erano minuti che continuava a suonare senza smettere. «Dov'è il capitano?»
«Con Linn. Credo stia trovando un luogo dove sia al sicuro...» brontolò premendo due dita sugli occhi. «Cazzo! Thor non ne sta facendo una giusta!»
Come aveva potuto aiutare a farlo evadere? E come avevano fatto?
Loki era mezzo moribondo in quel letto e lui era chiuso dentro un corpo utile solo a una cosa.
E soprattutto perché?
«Forse Loki ha recuperato i suoi poteri.» Udì appena le parole di Natasha.
«Forse non li ha mai davvero persi» sostenne. «E noi ci siamo ricaduti di nuovo con tutte le scarpe.»
«Ehi!» Steve li raggiunse tenendo ancora i suoi abiti civili ma impugnando lo scudo nel braccio destro. «Stark sta cercando di sistemare la questione dei computer.» Li informò.
«Speriamo si sbrighi!»
Non terminò neanche di dirlo che fu finalmente silenzio.
Sospirò con una nota sollevata sentendo comunque le sue orecchie dolere per la tortura inflitta loro in quei lunghi minuti.
«Avrà sistemato anche le telecamere?» chiese a quel punto.
Steve scosse il capo guardandosi intorno e Natasha lasciò andare un sospiro.
«Andiamo a chiederglielo.»
 


*



Quando quel suono stridente era cessato, Linn aveva aperto gli occhi.
Il silenzio fittizio che ne era seguito le aveva permesso di ascoltare il suo respirare ansioso.
Guardò la porta chiusa sentendo il passo svelto dei soldati.
Nessuno sarebbe entrato, nessuno l'avrebbe cercata.
Steve l'aveva portata nella sua stanza e le aveva detto che sarebbe stata al sicuro.
Linn sfiorò la stoffa del piccolo letto singolo e vagò con lo sguardo sulle pareti nude.
Una croce di legno di fronte a lei, una piccola cornice poggiata sulla scrivania.
La raggiunse e l'afferrò fra le mani.
Era un dipinto senza colori che raffigurava due giovani sorridenti: uno era Steve, l'altro era un ragazzo moro dallo sguardo profondo.
Bucky...
Non poteva che essere lui, l'amico di cui Steve le aveva raccontato nel pomeriggio, l'amico che aveva visto morire davanti ai suoi occhi senza poter fare nulla.
Linn accarezzò con le dita i due visi e poggiò nuovamente il ritratto sulla scrivania.
La stanza di Steve era piccola e accogliente eppure trasudava tanta solitudine.
Si avvicinò all'armadio e ne aprì le ante: pochi abiti, poco colore, ma il suo profumo era su ognuno di essi.
Raccolse una maglia e l'avvicinò al viso, chiuse gli occhi ispirando forte e poté risentire le sue braccia e le sue labbra.
Si sentì arrossire e sorrise con una profonda tristezza.
Non aveva neanche avuto il tempo per comprendere ciò che stava accadendo in lei, che era stata travolta dall'ennesima tormenta.
Il principe era fuggito e con lui anche Lady Sigyn.
Non era triste per la loro fuga, non era triste per la situazione in cui si erano ritrovati ancora una volta i terrestri. Linn era triste perché non poteva ammettere a voce alta quanto fosse sollevata nel saperli lontano da lì.
Qualcosa le diceva che stavano bene, che ovunque fossero ora e ovunque fossero diretti, era lì che dovevano essere.
Era egoista, era anche stupido forse, ma saperli insieme la rendeva serena.
Aveva taciuto quelle parole a Steve, aveva scosso il capo quando le era stato chiesto se ne sapesse qualcosa.
Lady Sigyn non mi ha detto nulla.”
Era la verità e sembrarono crederle.
Avrebbe voluto pregarli di non cercarli, di non inseguirli con la stessa rabbia con cui si insegue un cervo ferito. Avrebbe voluto dir loro di lasciarli semplicemente liberi di trovarsi.
Piegò nuovamente la maglia e la ripose nell'armadio.
Tornò a sedersi sul letto a guardare la porta chiusa, aspettando che si aprisse e che Steve tornasse da lei.
Sapeva che lo avrebbe fatto.





ஐஐஐ





Frigga aveva udito Odino rientrare, non perché egli le avesse proclamato il suo arrivo, ma perché l‘intero palazzo tremò dalle fondamenta.
La sua rabbia silenziosa raggiunse ogni granello di polvere che si posasse sulle superfici, l'aria era irrespirabile tanto densa era diventata.
Chiuse gli occhi, la regina, e inspirò a fondo.
Il Bifrost non si era aperto, nessun ritorno era stato annunciato eppure lei aveva udito la voce di una chiamata.
Non era la voce di Loki, non era la voce di Thor.
Eppure era la voce di un figlio.
Immensi furono i secondi che trascorsero finché non decise che ciò che una regina non poteva chiedere, una madre lo poteva semplicemente pretendere.
Chiese un cavallo e raggiunse il guardiano immobile.
«Il principe ha chiesto che gli fosse aperta la via.» Non si perse in sciocchi convenevoli. Fronteggiò l'uomo con l'audacia di chi è pronta a tutto. «Cosa impedisce al Guardiano di permettere a un principe il suo ritorno?»
Già conosceva la risposta eppure volle udirla comunque.
«L'ordine di un re, mia regina.»
«La vita dei miei figli vale più di un ordine!» sentenziò. «Apri loro il passaggio. Adesso!»
Heimdall schiuse le labbra senza guardarla.
«Non posso» enunciò con voce profonda.
Frigga sentì l'impotenza di fronte a quella realtà. Non poteva comandare nulla, non poteva fare nulla.
Un regina con oro sulla testa e gemme fra le dita, vestita di seta eppure incapace di farsi udire.
«Ti prego, Heimdall... falli tornare.»
I comandi cessarono e giunsero le suppliche.
Avrebbe anche gettato via la sua dignità e si sarebbe prostrata dinanzi ai piedi del guardiano se fosse servito.
Ma gli occhi di Heimdall erano destinati alla vista del cosmo non alle preghiere che stavano luccicando negli occhi stanchi di una donna debole.
«Non posso» ripeté semplicemente senza scostare la vista. Le mani strette nella possente spada e il viso glaciale.
Si sentì mozzare il fiato nella gola.
Quanto forte era l'orgoglio di suo marito? Era più forte dell'amore di un padre? Più forte della lungimiranza di un sovrano?
«Se accadrà loro qualcosa, se accadrà qualcosa al tuo principe sarai ritenuto responsabile agli occhi delle Norne! E farò in modo che nelle Ere a venire il tuo tradimento non venga mai dimenticato!»
Sentì le labbra tremare mentre pronunziava parole sconvenienti e minacce vili.
Heimdall non rispose e lei gli diede le spalle per raggiungere il destriero che l'avrebbe portata a palazzo, che l'avrebbe portata a guardare negli occhi il Grande Padre di tutto.
«Mia regina?» Udì la voce levarsi dietro di lei. Non voltò il capo ma arrestò il passo. «Benché possa suonare blasfemo, sono più al sicuro in quel mondo di quanto possano essere qui... Sotto il giudizio del Padre degli Dèi.»
Sentì una lama scendere nella sua gola.
«E il tuo di giudizio, Guardiano?»
Heimdall sapeva, così come lei aveva sempre saputo forse, così come negli occhi di Thor aveva visto tanto e troppo, aveva letto sentimenti che la spaventavano. Negli occhi di Loki era sempre stato difficile leggere per chiunque, tranne per lei. Frigga aveva visto il verde calmo di un prato e il tossico tormento della rabbia.
Frigga aveva sempre saputo che ogni volta che una sfumatura violava quegli occhi di smeraldo, era perché erano volti a guardare Thor.
Solo un tempo aveva scorto una nuova luce, solo un tempo lontano e felice. E non era il viso di Thor quello che Loki aveva guardato con spaventosa perdizione.
«Il mio compito è osservare, mia regina. Non spetta a me emettere sentenze.»
Eppure sapeva bene che tutta Asgard ne avrebbe pronunziata una e non ci sarebbe mai stata alcuna clemenza.





ஐஐஐ





L'unico rumore che aveva accompagnato i loro passi, era il gocciolare laconico dell'acqua dalle pareti.
Sigyn seguiva silente il camminare di Loki che si faceva strada attraverso decine di condotti nel sottosuolo della città, aiutato solo dalla tenue luce di una candela artificiale.
Ogni svolta era sicura e priva di incertezze.
«Come conosci questi luoghi?» chiese udendo la sua voce risuonare attraverso il vuoto del buio corridoio.
«Conosco questa città meglio di chi si proclama suo difensore, come conosco questo intero pianeta. Non puoi pretendere di conquistare un forte senza averne studiato ogni anfratto.»
Se avesse potuto vedere il suo viso, sapeva che avrebbe trovato un'espressione di semplice compiacimento.
Quasi fu lieta che le ombre glielo celassero.
«Conosci bene anche l'edificio che accoglie lo S.H.I.E.L.D.?» Non era una domanda, era una semplice constatazione.
Aveva attraversato quei corridoi decine di volte eppure non avrebbe saputo orientarsi senza una guida, mentre Loki aveva mostrato di saperne davvero ogni angolo.
«Quante volte sei stato lì?» Quella era la domanda e la risposta di Loki fu una debole risata.
«Un paio...» Girarono ancora per un altro ombroso condotto dall'odore poco piacevole. «Di solito non era neanche necessario ricorrere a un incantesimo. Mi bastava qualche codice con cui entrare nei loro sistemi.»
Il passo si arrestò, Loki fece luce verso una scala d'acciaio che portava di nuovo in superficie.
«Siamo arrivati?» chiese e lui annuì.
La debole luce le permise di vedere il suo viso sorridente e anche qualche goccia di sudore che gli scendeva dalla fronte.
Lei aveva davvero dovuto indossare la sua giaccia perché le temperature che governavano in quelle grotte erano davvero basse.
Loki invece aveva anche arrotolato le maniche della camicia.
La guardò e le fece segno di salire.
«Prima le signore.»
Non era in vena di ribattere nulla.
Loki le porse la luce e lei la prese iniziando a salire le scale.
Il ferro era scivoloso e umido e dovette procedere con passo cauto.
Arrivata in cima c'era ancora una grata a chiudere il passaggio. Non aspettò che Loki la invitasse a spingerla. Lo fece di propria iniziativa e poi si sollevò con le braccia per uscire all'esterno.
L'aria sembrò scaldarsi benché fosse notte.
Si mise in piedi mentre Loki la raggiungeva e chiudeva la griglia alle loro spalle.
Era il vicolo di una strada, c'erano dei palazzi sulla destra e sulla sinistra. In lontananza si vedevano le forti luci dello S.H.I.E.L.D.
Anche se avevano camminato a lungo, non sembravano essersi allontananti di molto.
«Non faranno fatica a trovarci» sospirò non comprendendo ancora il piano di cui aveva parlato Loki.
«Non ci troveranno. Fidati.» Loki le prese la luce dalle mani e la spense infilando poi in tasca la piccola torcia.
C'era un alto lampione che illuminava il vicolo e qualche finestra dei palazzi mostrava che non tutti erano persi nel sonno.
La chiamavano la città che non dorme mai.
Una volta aveva sentito Pepper dire che al mondo non esisteva nessuna città bella come New York.
Avrebbe voluto mostrarle Asgard, avrebbe voluto che la sensibilità per la bellezza delle cose di Pepper si estasiasse dinanzi all'oro della sua casa.
Sentì lo stomaco torcersi.
Nella sua casa, adesso, non era più benaccetta.
«Seguimi.» La voce di Loki la riportò al buio della notte.
Gli andò dietro mentre si dirigeva verso un palazzo, saliva i pochi gradini e iniziava a cercava qualcosa fra le foglie di una pianta.
«Che stai facendo?» chiese tentando di comprendere lo scopo dei suoi gesti.
«Prendo le chiavi.» Le rispose con tranquillità facendo luccicare un mazzo di chiavi nella mano.
Scosse la testa confusa. «Le chiavi di cosa?»
Loki le inserì nella serratura del vecchio portone e in breve fu aperto.
Si voltò poi con un sorriso.
«Le chiavi di casa mia.»





ஐஐஐ





Odino accarezzò con le mani stanche e incallite i braccioli del suo seggio.
Un lungo sospiro abbandonò le labbra secche e l'unico occhio che ancora gli restava si chiuse con pesantezza.
Dal balcone, Huginn annunciò il suo arrivo.
Sollevò il viso verso la bestia e allungò il braccio per chiamarlo a sé.
Le zampe si posarono sulla sua veste e gli occhi di Huginn gli parlarono.
Ascoltò ogni cosa.
«Grazie...» sospirò. «Adesso va' e sii la mia vista.»
Un nuovo gracchiare si levò a salutare il Re e Huginn riprese il volo.
Odino guardò la piuma nera che cadeva lentamente, quando toccò il pavimento sembrò fare un rumore assordante.











***






Note:
[1] Huginn, insieme a Muninn, è uno dei corvi fedeli a Odino.









NdA.
I nostri fratellini sono riusciti a scappare ma le cose non sono andate secondo i piani...
E sì, Loki ha una casa a NY e no, non posso darvi l'indirizzo.
Sorry!
Papà Odino intanto sembra alquanto contrariato, e ne ha ben donde.
Ma adesso?
Adesso appuntamento a martedì prossimo con il capitolo “problematico” (chi ha orecchi, intenda...)
Un abbraccio e un grazie a chiunque dedichi una goccia del suo tempo per leggere questa storia ^^
Vi voglio bene <3
kiss kiss Chiara
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: kiara_star