Appropinquandosi
di
soppiatto scorse una fanciulla issata su di una roccia nei pressi del
placido rio, e dato che ella era sola la causa del pianto non poteva
che esser lei. Una qualsiasi altra persona si sarebbe scioccamente
precipitata di gran passo verso la ragazza ma non il furbo
Gianandrea: egli infatti sapea che in quelle terre era uso comune dei
ladroni ordir trappole per gli stolti di aspetto assai simil a
questa. Dunque il pazzo ma savio Grandenaso continuò la sua
avanzata
di sottecchi pronto a balzar al minimo segnal sospetto, ma non ce ne
furon; quella era per vero una fanciulla di aiuto bisognosa e, come
ogni cavalier che si rispetti, Gianandrea celermente si
presentò per
darle soccorso mentr'ella avea ancora il viso tra le mani a
singhiozzar. Dopo la presentazione del prode cavalier (in cui
descrisse ogni suo gesto ed impresa) la fanciulla infin alzò
la
testa e con lo suo aspetto fece restar il suo povero interlocutore
sanza fiato. In un istante Gianandrea si innamorò dei suoi
occhi
scuri e del lungo crine nero ed appena ella parlò la sua
voce lo
stregò:
“Oh prode cavalier io
mi scuso e mi dispiaccio
se avete udito il mio
lamento,
certo, non volevo
mettervi d'impaccio
ad ascoltar lo mio
tormento.
Tormento che non uno è,
son più d'uno, son molti
ognuno ha il suo perché
e son così assai che
impiegherei mille notti
sol per nomarli tutti...”
E qui Gianandrea la
interruppe dicendo che non necessitava di sentir altro,
perché una
bella fanciulla era sempre nel giusto ed eran coloro che le facevan
piangere nel torto. La ragazza sorrise timidamente allo sconosciuto
cavaliere e si presentò, il suo nome era Chiara Pureziosee,
al sol
sentir tal soave nome pronunciato dalla sua leggiadra voce il nostro
buon protagonista perse di completo il num della ragion innanzi
all'impetuosa forza amorosa che gli spingea nel petto e
giurò sul
suo onore che avrebbe trovato il responsabile delle lagrime di quella
fanciulla per punirlo di essersi macchiato di 'sì grande
colpa. Ella
però non volea parlar ed con grande astuzia aggirava le
domande
postele facendone altre, sicché poco a poco lei conosceva
tutta la
vita di lui e lui non sapea niente di lei. Infin ella si
congedò con
un sorriso lasciando il pover cavalier da solo (il fido Andrea si era
recato a caccia) coi suoi pensieri. Decise che per impressionare e
conquistar la donzella avrebbe sconfitto il mostro nomato Grande
Piaga e le avrebbe portato la testa di tal orrida creatura come
trofeo. E con questo pian di conquista nella mente tornò in
parte
savio, e da lì il suo ingegno mesciò con pazzia
producendo
congetture di catture che solo i migliori birboni della contea sapean
far. Divenne pazzo e savio e, come san pur i fanciulli, non
c'è
peggior pazzo di chi sa di esserlo e della sua condizione si diverte.
E il nostro Gianandrea sapea ben essere pazzo, ma era d'altrettanta
bravura nell'esser savio. Per sette die e sette notti stette privato
dello sonno rigenerator e di suoi benefizi. Al mattin dell'octavo
giorno isbucò da sua tenda ed annunciò al fido
Andrea, che in quei
giorni avea provveduto al piccolo accampamento e avea tenuto sazio il
suo cavalier, che era infin giunto il momento di partir per compier
sua più grande e memorabile impresa: l'assassinio della
Grande Piaga
per “la povera gente del luogo, che nonostante mi abbia
scacciato
mi sono impegnato a salvare”. E con questa falsità
sulle labbra
convinse lo stolto Andrea nell'esser appoggiato in suo folle piano.
Essi, con velocità degna di ceruleo porcospino, riusciron a
reperir
tutto lo materiale occorrente a Grandenaso per la sua trappola ed in
poco più di tre die realizzaron il tutto. E così
post dieci giorni
dall'incontro di Gianandrea con la fanciulla di etereo aspetto la
più
mastodontica trappola in storia umana mai realizzata era infin pronta
a servir allo scopo di sua creazion. La trappola era sì
pronta, ma i
due ignoravn come poterla utilizzare e come potervici attirar
l'oggetto di loro attenzioni. L'entusiasmo dei due giovani
sparì e
nell'animo del fido compagno si insinuò la tristezza, in
quello del
prode cavalier ribollivan solo rabbia e delusion. “Or come
potrò
intrappolar e trucidar quella ributtante creatura? Come
potrò
ripresentarmi dalla dolce fanciulla, padrona del mio cuor, sanza sua
testa da portarle in trofeo? Come potrò attirar le sue
attenzioni in
altro modo? Altro modo? Non c'è un altro modo! Devo trucidar
la
bestia se voglio che ella si accorga di me.” e questi e altri
mille
pensieri simili offuscavn la mente di Grandenaso e ben presto la
delusion si fece da parte in favor di disperazion e le lagrime
segnaron le gote del ragazzo che, in preda al furor della rabbia, non
si accorse neppur dello suo pianto. Passaron dei minuti interminabili
in cui urlò, scalciò, strepitò, si
dimenò, pianse e infin,
afflitto, si lasciò cadere sulla terra e diede fertile acqua
all'erba. Andrea rivolse e distolse lo sguardo più e
più volte,
combattuto da due istinti diversi: l'aiutar lo suo padrone e il non
poterlo osservare in quelle condizioni di lascivo abbandono. Decise
però che non era il caso che intervenisse, onde evitare di
venir
coinvolto tra gli oggetti malmenati dal padrone e di prender
scapaccioni indesiderati sul groppone (dove già tanti gliene
diedero
ai tempi di sua carriera da giullare); aspettò quindi che la
crisi
passasse e poi si avvicinò al suo cavalier porgendogli la
mano per
aiutarlo a rimettersi in piedi. “Orsù padron mio,
si calmi, di
grazia. La trappola che abbiam realizzata è un magnifico
capolavoro
di ingegno e poco importa che non la si possa spostare, anzi, tanto
meglio! Vi ricordo che siete stato scacciato dai vari villaggi non
per ordine scritto, ma per ordine fisico, che fa più male ed
è più
temibile. Or dunque non crucciatevi perché sapete ben che
Ella si
sposta di continuo di villaggio in villaggio e di certo un die
passerà sopra nostro capo e la trappola il suo dovere
potrà
compiere. Dobbiamo sol aver pazienza ed attendere quel
giorno.”. Le
parole del fido Andrea ebbero un grande effetto su Gianandrea che
recuperò la saviezza in parte e si decise che il suo
sempliciotto,
ma astuto scudiero avesse ragione.