1. Giochi
d’anime e d’ombre
Con la bocca
come chiesa, ché ci
entri dentro, in ginocchio, sul sagrato, con i calci allo stomaco del
desiderio
nascente -occhi negli occhi-. Ungimi di oli interni, sciolti,
fluidificami
durante la nenia delle nostre conversioni. Pelle su carne, carne su
ossa, ossa
su desideri. Miscele di amari martiri di frenesia animale.
La
carrozza sobbalzava sulla strada dissestata, mentre il costante rumore
della
pioggia non dava segno di voler smettere. In quello spazio angusto e
buio
circondato da robuste assi di legno stavano due uomini, in silenzio ad
ascoltare chi la pioggia, chi il suono del proprio cuore, troppo veloce
da un
paio d’ore a quella parte.
L’aria
lì dentro si era fatta umida e l’acqua che correva
sul legno e sul vetro dava
ancor più la sensazione di essere bagnati fino alle ossa.
L’uomo più grasso e
agitato non riuscì a trattenere un brivido mentre
l’altro spostava il suo
sguardo d’oro sul suo viso, senza dare
l’impressione che quell’ uomo potesse
essere più interessante della pioggia che fino a quel
momento aveva guardato.
“Siamo
quasi arrivati.” Disse lui, non tanto per rassicurare
l’altro che aveva
iniziato a torcersi nervosamente le mani grasse e sudate, quanto per
preparare
anche se stesso a una situazione che avrebbe richiesto parecchia
pazienza; cosa
di cui lui era praticamente del tutto sprovvisto.
Accavallò
le gambe si sistemò più comodamente sui sedili di
rosso velluto della carrozza
proprio mentre un ultimo sobbalzo la scuoteva, seguito dallo sbuffo dei
cavalli
che la trainavano, ora fermi. Guardò il mercante che si
costrinse a fare
profondi respiri e a non alzare lo sguardo.
“Non
abbiate paura, ho solo bisogno che lei risponda ad alcune mie
domande.” La sua
voce era melodiosa e come tirato da fili invisibili il grasso uomo si
ritrovò a
osservare la sua figura; stava seduto sullo stesso mantello che
avvolgeva i
suoi fianchi, i muscoli del torso coperti da uno strato di sottilissima
stoffa
nera, le sue braccia –ed erano quelle che terrorizzavano il
povero mercante-
non sembravano appartenere ad un essere umano; lisce, prive di ogni
movimento
che potesse far intuire che fossero composte da muscoli, sembravano
componenti
essenziali e perfetti di una macchina, e le sue mani non erano da meno,
rigide
come quelle di un’ armatura dagli artigli eccessivamente
lunghi che sembravano
fusi con le dita stesse. I suoi capelli biondi
scivolarono sulla spalla quando inclinò la
testa per studiare l’espressione
dell’ uomo.
“Signore,
ho bisogno di sapere cosa sa della pietra filosofale.” Detto
questo si chinò in
avanti pronto ad ascoltare ciò che aveva da dire.
L’uomo sembrò dover
raggruppare le informazioni in suo possesso per fare un discorso
lineare.
“Beh, ci
sono molte informazioni riguardanti la pietra, non tutto ciò
che si dice su di
essa può essere considerato oro colato.”
“Mi dica
quello di cui è a conoscenza, sono qui per
ascoltarla.” Un angolo della sua
bocca si sollevò lasciando però intuire che
quello che era apparso sul suo
volto non era un sorriso, quanto un segno di impazienza.
“Bene;
la pietra filosofale è conosciuta come l’elemento
perfetto, in grado di
risanare la materia dalla corruzione; può curare qualsiasi
tipo di malattia, ma
non è vero che dona l’immortalità,
perché l’immortalità non esiste,
nessun…”
“Mi
risparmi questa parte, so bene che per quanto una creatura possa essere
longeva
e resistente non può sopravvivere a tutto. Non sono le
nozioni basilari a interessarmi.”
Il mercante fece un’altra pausa prima di riprendere,
perché i suoi occhi dorati
lo avevano catturato per un istante nel quale un’orribile
sensazione di vuoto
si impadronì di lui.
“Non è
vero che doni l’onniscienza, ma può tramutare
metalli, e non solo, in qualcosa
di differente. C’è chi dice che sia una pietra
lucente e più rossa del rubino
più puro, c’è chi dice invece che sia
polvere, chi liquida, o stolti che sono
convinti del fatto che la pietra filosofale sia in ognuno di noi. Ma la
verità
è che è una pietra delle dimensioni di un occhio,
più scura della tormalina ma
dai riflessi sanguigni, inalterabile nel tempo come
l’oro.”
“Queste
sono cose che so anche io, ciò che voglio sapere
è se ha potere sulle anime.”
“Anime?”
“Anime
perse, anime dannate, rubate e immonde. Controllate.”
Inclinò di nuovo la testa
in un gesto animale; come un lupo che osserva la sua preda divorata
dalla
disperazione agitarsi, in cerca di una via d’ uscita, mentre
i suoi occhi
luccicavano di una luce che di umano aveva ormai poco.
“Io non
so niente di anime.” Finalmente ebbe tregua e
riuscì ad abbassare lo sguardo,
ma solo perché l’altro si alzò, facendo
un piccolo passo verso il lato della
carrozza come se volesse uscire, invece scostò appena le
tendine
semitrasparenti per guardare la pioggia che continuava a scendere,
trattenne la
rabbia, il nervoso e la frustrazione per aver perso altro tempo.
“Sono solo un
misero mercante, se volete sapere come purificare un’anima
sul confine della
città c’è il Tempio Nero,
c’è chi dice che lì vi sia
custodita.” Ancora,
inclinò la testa, prima da una parte poi dall’
altra, per scacciare la tensione
che si era impadronita dei tendini del suo collo, alzò la
mano e con un
movimento lento fa scorrere il lungo artiglio contro il vetro,
producendo un
suono orribile che fece contorcere il mercante, che lentamente stava
raggruppando il poco coraggio di cui era dotato.
“Ho sbagliato
di nuovo.” Sussurrò appena distogliendo
l’attenzione dalla pioggia e bloccando
con il chiavistello la porta, sentì il frusciare degli abiti
costosi del grasso
mercante e di una lama corta che veniva snudata.
Sentì la
lama tagliare l’aria con un sibilo sinistro, prima di
sentirla penetrare nella
sua schiena tra le sue vertebre. Non sentì alcun dolore,
solo un gelido
fastidio in mezzo alla schiena.
“Un
essere come te non dovrebbe esistere, cosa sei? Quale Dio ha permesso
la tua
lurida esistenza?” Dalla ferita sgorgò sangue
scuro che schizzò sul volto del
mercante, questo arretrò quando l’ altro si
voltò con un’ espressione
indecifrabile dipinta in volto, provava pena per quell’ uomo
che era così
legato alla sua misera vita.
I suoi
occhi tremavano, il terrore di un cadavere nel vedere il proprio corpo
mangiato
inesorabilmente da vermi e corvi.
“Saresti
sorpreso nel sapere che è lo stesso che veneri tu, misero
essere.” Alzò appena
l’avambraccio distendendo le dita lunghe e artigliate mentre
sui polsi del
mercante di avvolgevano stretti dei fili invisibili di metallo, un
sorriso
sofferente si allungò sul suo volto, tirato dal dolore che
iniziava, seppur
lentamente, a invadergli la schiena.
Si
avvicinò al mercante con passo lento mentre i suoi polsi si
facevano sempre più
vicini, intrappolati da manette invisibili.
“È un
peccato.” Allungò l’altra mano dietro la
schiena per sfilare il pugnale,
inutilmente perché troppo lontano dalle sue dita, con una
smorfia tornò a
osservare il mercante. “Un vero peccato.” Si
avvicinò ancora, ora erano a pochi
centimetri di distanza e poteva benissimo sentire il tanfo del terrore
che il
suo corpo emanava in quel momento. Tentò di liberarsi da
quei fili affilati che
si stringevano sempre di più. “Ma almeno
avrò da divertirmi un po’.” Sul suo
volto si distese una maschera di terrore quando l’altro gli
sorrise.
Aveva
visto la carrozza fermarsi nel bel mezzo della strada che portava al
Tempio Nero,
era rimasto fermo sotto la pioggia per vari minuti mentre i cavalli
battevano di
tanto in tanto gli zoccoli sul lastricato bagnato scuotendo i crini ora
fradici. Ed era ancora lì, nascosta alla pioggia sotto un
albero una ragazza
osservava rapita quella carrozza da ricconi, aspettando che ne uscisse
magari
un bel giovane. Ma quando la porticina cigolò e
dall’interno sgocciolò fuori
una grande quantità di sangue riuscì a malapena a
trattenere un urlo; la
porticina permetteva a malapena il passaggio di un uomo alto e dal
petto
coperto su cui ricadevano alcune ciocche di capelli biondi, dietro le
sue gambe
era riuscita ad intravedere un altro volto orrendamente sfigurato, ma
prima di
distogliere lo sguardo era riuscita a carpire troppi dettagli;
l’ uomo era
riverso a terra e a decorare la sua espressione terrorizzata
c’erano delle
profonde incisioni sui suoi zigomi, che partivano da sotto l’
occhio privato
ora di palpebre e arrivavano fino alle guancie, lasciando intravedere
oltre al
rosso puro del sangue le gengive e la dentatura al di sotto di quei
solchi,
sulla sua fronte vi si trovava invece una mezza luna tratteggiata con
noncuranza. Il suo volto era una maschera di terrore e sangue e solo
quando
aveva distolto lo sguardo in mente si fece strada anche l’
immagine delle
labbra strappate via, lasciando a quel volto un sorriso grottesco. A
quel
punto, senza ulteriori indugi, si voltò e corse verso il
tempio, terrorizzata
da ciò che sarebbe potuto accadere se si fosse premessa di
indugiare.
Si
dovette però fermare dopo poco, quel rosso ora le impregnava
la mente, la
riempiva di angoscia e la faceva stare male. Cadde in ginocchio sotto
la
pioggia boccheggiando tra un conato e l’altro, vomitava a
vuoto e ringraziò il
cielo per il fatto di non aver ancora pranzato mentre lacrime di dolore
le
annebbiavano la vista.
Combattendo
contro le gambe molli si mise in piedi scacciando l’immagine
di quel viso
straziato e del sangue che denso colava fuori dalla carrozza,
mescolandosi con
la pioggia.
Guardò
dritta davanti a sé e stringendosi tra le braccia si diresse
a passo svelto e
malfermo verso il tempio.
“Ebbene?
La pietra?” Scese sul lastricato
bagnato per rivolgersi al cocchiere, che ovviamente aveva sentito
tutto, ormai
non cercava neanche più di nascondergli le cose, vista la
sua innata capacità
di immischiarsi negli affari altrui, oltre a quella di percepire la
pietra.
“Sì, è
vicina, la sento chiaramente. È molto probabile che sia
davvero al Tempio.”
Sorrise tra sé. “Infondo a qualcosa serviva quel
vecchio.” Storse
la bocca, gli scocciava parecchio aver
bisogno di qualcuno, ma era stato parecchio fortunato a trovare una
persona con
capacità del genere, anche se in quell’ ultimo
periodo non avrebbe saputo dire
chi si stava servendo di chi.
“Non
dubitare mai.” Si ripromise di sbarazzarsi di lui il prima
possibile.
“Muoviamoci.”
Il sapere non
è sempre una buona
cosa, Ayn.
Una
ragazza, poco distante, ascoltò quelle ultime parole,
tremando.
Vuoto.
La messa
che si svolgeva tutte le mattine in tutti i templi di tutte le
città era ormai
finita da tempo e i suoi passi pesanti rimbombavano nel piccolo spazio
vuoto
dove il silenzio poco prima inghiottiva tutto, ora anche le gocce che
cadevano
dalle punte dei suoi capelli biondi e dai suoi abiti fradici sembravamo
assordanti. Aveva il cuore che correva più di quanto avesse
fatto lei fino a
poco prima. Si fermò solo un attimo, per appoggiare le mani
alle ginocchia e
riprendere fiato, prima di riprendere a camminare e scendere nella
cella di
sotto.
Raggiunse
l’altare e scovò la piccola botola di cui solo
fedeli adepte come lei e i
sacerdoti conoscevano l’ esistenza; le sue mani tremavano
mentre maldestre
tentavano di aprire la serratura. Nella sua testa ancora il rumore di
passi e
la sensazione di essere seguita, osservata, braccata. Dalle sue labbra
uscivano
respiri nervosi, perchè ormai era una corsa contro il tempo.
Finalmente
si sbloccò e poté sollevare la piccola anta
nascosta nel pavimento, vi si
infilò senza esitazione, tornando a sentirsi al sicuro.
Fiaccole
dal fuoco azzurro illuminavano quello spazio ampio e circolare,
l’ umidità
impregnava l’ aria e una vibrazione di energia e vita
percorreva le sue spesse
mura. E al centro quella pietra rossa a cui tutti ambivano, era
l’ unico
sprazzo di colore rosso in quell’ ambiente che possedeva i
colori di un incubo.
Vi si
avvicinò sentendosi subito più tranquilla quando
il lieve bagliore che emetteva
riscaldò il suo viso freddo e bagnato, ma questa piacevole
sensazione svanì
all’ istante quando forse solo nella sua testa
rimbombò il suono i passi
pesanti su una superficie non troppo resistente. Tutti i suoi muscoli
si
irrigidirono mentre il cuore prendeva a pulsare con forza, quasi
impedendole di
prestare l’ attenzione che avrebbe voluto a ciò
che accadeva al di fuori di
quel buco più o meno sicuro.
Di
nuovo, questa volta però ne era certa, era certa che
qualcuno si trovasse più
vicino di quando lei stessa avrebbe mai voluto, era certa che non
sarebbe
passato molto perché scoprissero lei e il suo rifugio, era
del tutto certa che
avrebbe dovuto prestare più attenzione; delle orme bagnate
che terminano appena
prima del velluto scuro del tappeto sopra la botola non danno troppi
sospetti,
certo che no.
Più
forte, qualcuno stava battendo con molta più forza su quella
piccola porta di
legno, e lei tremava, come il legno e le camole dentro di esso.
Uno
schianto e una nuvola di polvere venne illuminata dalla luce che ora
penetrava
in quell’ ambiente, le fiamme sulle fiaccole attaccate ai
muri tremarono
sollevandosi rabbiose, allungando le ombre in modo spettrale.
Vide le
sue gambe fasciate da abiti neri scendere lentamente le scale appena
sotto la
botola, tremò di nuovo quando si fermarono e vide il suo
busto piegarsi; prima
delle ciocche di capelli che dovevano essere biondi, poi un volto
affilato
dalle labbra sottili, e un paio di occhi dorati che la fissavano.
Quando si rimise
in posizione eretta per finire di scendere le scale la sua paura
diventò
qualcos’ altro, i tremiti che correvano su per la sua schiena
erano comunque
spiacevoli, ma erano diversi da prima, si intensificarono sempre di
più mentre
lui si avvicinava, fino a che non ci fu più abbastanza
spazio dentro il suo
corpo.
“A
quanto pare sono in ritardo per la messa.” Qualcosa dentro di
lei decise di
fare ciò che un qualsiasi umano temerebbe più
della morte; come in trance
infilò la mano in quel piccolo spazio dedicato alla pietra
mentre, voltando le
spalle all’ uomo che aveva ripreso a scendere le scale e,
ripetendosi che
quello era il suo dovere, avvicinò quel calore che ora si
ritrovava tra le mani
al viso, socchiuse la bocca, sempre più sicura di
sé e sentendola prima sulla
lingua la spinse giù; raschiò contro le pareti
della gola e trattenne le
lacrime di dolore sforzandosi di mandarla giù. Un sapore
salato simile a quello
del sangue le invase la bocca mentre un forte dolore iniziava a
bruciarla dall’
interno. Si piegò su se stessa tossendo, mentre brividi di
altro dolore le
correvano su tutto il corpo. La sua coscienza sembrò
isolarsi da tutto, l’
unica cosa a cui riusciva a pensare era quello che sentiva dentro di
sé l’
unica cosa che vedeva era il terreno
lucente di quella strana cripta, sentì a malapena che
qualcuno la prendeva
malamente per i capelli e le tirava indietro la testa.
Stava
rannicchiata per terra, con la schiena contro una di quelle fredde
colonne del
tempio, tremava nel silenzio assordante che si era creato dopo lo
sparo.
Di
nuovo, non riusciva a muoversi, aveva paura come anni prima, il
silenzio
immobile sembrava avvolgersi su di lei rendendo anche il suo corpo
parte di
quel quadro fisso e stabile. Si chiese come lo fosse venuto in mente di
tornare
dentro dopo aver sentito lo sparo, neanche avesse voluto apposta
buttarsi di
testa nei guai.
Aprì gli
occhi che non si era accorta di chiudere e davanti a lei, con la testa
lievemente piegata da un lato, c’era un corvo nero come la
notte che la
fissava, immobile. I suoi occhi erano tunnel d’ ombra e il
becco appuntito e
lucido era come una lama puntata verso di lei. Rimase immobile,
sperando che il
volatile la lasciasse perdere, ma questo sembrò innervosirsi
e si agitò
sistemandosi nelle ali, poco prima di spalancarle e gracchiare due
volte verso
di lei, come se stesse ridendo.
Poi dei
passi. Vicini.
Una
scarica di paura e adrenalina la fecero scattare in piedi, fuori da
quel
nascondiglio per niente sicuro che si era trovata, si mise a correre,
con le
suole degli stivali ancora bagnati che scivolavano sul pavimento
liscio;
sentiva lo sbattere frenetico delle ali dietro di lei, quando senza
alcun
preavviso un braccio forte e freddo le avvolse la vita facendola
strillare
appena.
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Appunto: il tribale là
sopra è per separare le due 'situazioni' visto che questa
storia tendenzialmente proseguirà su due strade
più o meno parallele per quanto riguarda il tempo e i gruppi dei personaggi
Grazie a recensisce, aggiunge a preferite/seguite e a tutti i lettori
silenziosi