POV DRACO
Prima la
luce, poi il buio.
Non un buio
qualunque; questo era la tipica oscurità di quando ti svegli
nel cuore della
notte dopo aver fatto un incubo, urlando, e anche l'ultima candela che
avevi
lasciata accesa si è spenta. Il gelo penetrava attraverso il
maglione, la
camicia, la pelle, fin dentro alle ossa e fin dentro al cuore. Attorno
a lui
tutto era immobile, non un rumore, non un respiro. Era paralizzato dal
terrore.
All'improvviso
un forte fischio, come un sibilo, gli squarciò i timpani;
urlò di dolore
tappandosi le orecchie con le mani, ma il fischio era dentro alla sua
testa e
non accennava a smettere. Cadde in ginocchio respirando a fatica. Poco
dopo
sentì una fitta di dolore percorrergli la schiena e risalire
fino alla punta
delle dita, poi una voce si insinuò nella sua mente e
sillabò parole dal suono
raccapricciante -Mi rincresce doverti incontrare così,
Draco-
Il ragazzo
calmò il respiro e cercò a tastoni accanto a
sé una via d'uscita, ma subito il
fischio ricominciò assordante e un nuovo strato di ghiaccio
si posò sulla sua
carne. Urlò.
-Smetti di
frignare- ricominciò a parlare la voce -ecco
perché sei qui; non posso ancora
fidarmi di te-. Gli occhi gli bruciavano ma non si bagnarono di
lacrime. Ingoiò
a stento la saliva e parlò -cosa vuoi?-
-Voglio che
mi giuri lealtà. Ti voglio dalla mia parte, pronto per
quando sarà il
momento... Voglio che non disonori il nome della tua famiglia. Voglio
che tu
serva me, il Signore Oscuro-
Draco
esitò.
In quel mare di tenebre si sentiva più abbandonato che mai,
ma sapeva che da
qualche parte c'era qualcuno che lo aspettava.
-Ginevra
Weasley?- Ricominciò la voce, stridente come il graffiare
sulla lavagna -Sei
caduto proprio in basso, caro ragazzo... se non ti unisci a me la
torturerò e
la ucciderò lentamente-
Un terrore
ancora più cupo e orrendo si impadronì del cuore
di Draco. Come poteva lasciare
che la vita della creatura che più amava sulla faccia della
terra venisse
stroncata, come la corolla di un bel fiore che viene reciso dall'aratro
di uno
stolto contadino? Non poteva.
Sentì
un
forte bruciore all'avambraccio sinistro, come se lo marchiassero a
fuoco, come
se gli strappassero via della pelle, come se versassero dell'acido che
corrodeva e penetrava i tessuti e si mischiava al sangue, e iniziava a
bruciare
in tutto il corpo. Urlò più volte di dolore,
cadde per terra, si raggomitolò su
sé stesso, avrebbe preferito strapparsi il braccio piuttosto
che patire quella
pena, e mentre la sua mente era annebbiata dal dolore, la voce
lacerante parlò
un ultima volta: -Da ora, e per sempre, tu mi appartieni-.
Poi
sparì,
portandosi via con se il gelo che ghiacciava l'aria.
Draco rimase
raggomitolato, aspettando che il dolore si affievolisse almeno un poco.
Sentì
il sapore del sangue in bocca, si era morso il labbro più
volte. Dopo molto tempo
il dolore lasciò il corpo di Draco, concentrandosi
unicamente sul braccio
sinistro, e diffondendo uno sgradevole torpore sia nelle membra che
nella
mente. Rimase steso a terra; pensò a Ginevra. Quella piccola
nana rossa che
odiava essere protetta dai fratelli ora le sembrava fragile e in
pericolo,
ignara della scure che pendeva sul suo capo. L'amava, forse troppo. Non
avrebbe
permesso che le venisse fatto alcun male, l'avrebbe allontanata. Con
quel
pensiero si abbracciò forte il petto, dimenticando il dolore
al braccio, per
concentrarsi sul suo cuore che si frantumava in mille pezzi.
Le lacrime
gli rigarono il viso per la prima volta dopo tanto tempo.
Poi
più
niente.
POV DEMELZA
Demelza
sapeva che non poteva uscire dal dormitorio e dire, nel caso in cui un
professore l’avesse vista: -Ops, mi scusi! Stavo solo andando
a prendere un
bicchiere d’acqua! Sa, questa raucedine mi
distrugge…-
Si rendeva
conto che far finta di svenire forse non era l’idea migliore
perché
sgattaiolare fuori dall’Infermeria era rischioso al
quell’ora di sera e se non
altro Madama Chips l’avrebbe imbottita di calmanti.
Capiva che
prendere, ehm, in prestito la spilla di prefetto di Hermione Granger e
fingere
di perlustrare il castello non era possibile perché non era Hermione Granger e
perché proprio in quel momento lei
stessa stava perlustrando il
castello.
Demelza
voleva sbattere la testa contro il muro: -Non posso prendere la scopa,
non ho
pozione Polisucco! Come faccio?-
Vide un
biscotto smangiucchiato da Arnold sul comodino e improvvisamente
ricordò una
vecchia conversazione avuta con Ginny tempo prima, rimandendo stordita
dal
flashback che si ripresentava sotto i suoi occhi…
“Le
due
ragazze erano sedute nell’incavo della finestra, accostate
con il viso dell’una
vicino a quello dell’altra, trecce di capelli rosso carota
tra riccioli scuri.
Parlottavano tra loro, ridevano e sgranocchiavano i biscotti. Sembrava
un
quadretto di una scena familiare. Ad un certo punto Ginny si
alzò e scuotendo i
vestiti per far cadere le briciole raccontò entusiasta: -Sai
che Harry ha un
mantello che lo rende invisibile?-
Harry era
sempre presente nelle loro conversazioni: all’epoca Ginevra
aveva ancora quella
cotta stratosferica per lui ed ogni volta che ne parlava le brillavano
gli
occhi e le tremavano le mani dall’emozione.
L’affermazione aveva suscitato la
curiosità di Demi, me nemmeno tanto. Mentre frugava nel
sacchetto sulle sue
gambe in cerca di un ultimo biscotto con le gocce di cioccolato,
rispose: -Lo
so! Basta cospargere un mantello qualsiasi con una pozione o in un
incantesimo
di Disillusione! Sai che difficoltà-
-Ti sbagli-
sentenziò la rossa addentando un dolcetto al pistacchio,
–Quello del mio Harry-
pronunciò l’aggettivo
possessivo con una melensaggine da gareggiare con quella del dolce
–è
invisibilmente permanente!-
-Pfui!- Demi
l’aveva trovato, quel biscotto con le gocce di cioccolato,
l’ultimo del
sacchetto. Stava proprio per portarlo alla bocca quando Ginny glielo
sottrasse,
esclamando: -Oh, io a-d-o-r-o le gocce di cioccolato!-“
Il mantello,
certo! Harry condivideva la camera con Ronald e forse poteva sperare
che non
fossero presenti ancora, ma che scusa poteva trovare per intrufolarsi
nei
dormitori maschili?
-Per fortuna
che le scale non si appiattiscono come quelle dei gradini femminili!-
pensò
sollevata, raggiungendo la Sala Comune. Molti ragazzi, nonostante fosse
tardi,
erano sparpagliati nella Sala del
Dormitorio Grifondoro, sulle poltroncine, nei divani consunti davanti
al fuoco
crepitante. I più piccoli si facevano rassicurare dai
Prefetti, che
controllavano la situazione. Demelza si guardò intorno,
cercando una testa mora
ricciuta e una massa di capelli color tramonto: non ce n’era
traccia da nessuna
parte. Sbuffò abbastanza contrariata: sarebbe stato
più difficile impadronirsi
del manto invisibile. Guardandosi le spalle di sottecchi seppur con
molta
nonchalance costeggiò i muri, salendo le scale dei dormitori
dei ragazzi.
Arrivata in cima, espirò rumorosamente. Le stanze e il
corridoio erano
speculari a quelli femminili, disposti per età e quindi
familiari. Demelza
percorse i passi che la separavano dalle ultime porte, maledicendo a
denti
stretti le assi scricchiolanti e gli scarponcini pesanti. Un rumore di
chiacchiericcio di diverse voci proveniva da una stanza: la ragazza si
accostò
e percepì un discorso smozzicato.
-Non ho idea
di dove possa essere!-
-Perché
non
fa niente e si fa sostituire da quella vecchia megera?!-
-Oggi ho
intravisto le giarrettiere di Zoe Warwick sotto la gonna…-
-Neville,
Oscar sta scappando di nuovo- riconobbe in questa la voce profonda di
Dean
Thomas e capì che cosa doveva fare. Era uscita con Dean
diverse volte e con lui
era pure andata al ballo di Natale, però non c’era
mai stato nulla di fisico
tra loro.
Senza
pensarci oltre, perché probabilmente sarebbe scappata,
Demelza aprì la porta e
molto teatralmente si buttò tra le braccia di Dean con un
urletto, gridando:
-Oh Dean, Didino mio! Ho avuto così tanta paura, non puoi
nemmeno immaginare!-
Alzando
leggermente il viso dalla spalla del ragazzo registrò le
presenze nella stanza:
c’erano ovviamente Harry e Ronald, quindi Neville, Dean e
Seamus.
I ragazzi
erano sbalorditi e avevano gli occhi spalancati dalla sorpresa. Nessuno
spiccicava parola perciò Demelza dovette riempire tutto il
vuoto con dei
pigolii spaventati o delle effusioni melense. Dean, che probabilmente
non era
mai stato così vicino ad una ragazza in vita sua, la strinse
titubante tra le
braccia, lanciando occhiate di richieste di aiuto agli altri.
-Dai, Demi,
non fare così… Probabilmente è un
falso allarme; non si sa la verità…. E poi ci
sono, ehm, tutti i professori nei corridoi- cercò di
consolarla in modo goffo.
Ma Demelza
aveva già adocchiato che cosa voleva: un pezzo di stoffa
iridescente spuntava
da un baule disordinato tra cartacce di Cioccorane e pergamene
scarabocchiate. Era
sicuramente quello! Doveva tagliare la messinscena o sarebbero iniziate
le
domande inopportune, perciò tirò su rumorosamente
con il naso ed esclamò: -Mi
serve un fazzoletto! Mi sembrava di averne visto uno lì!-
Si
gettò sul
baule e infilò il mantello nella tasca della felpa che
indossava, mentre
frugava per estrarre un fazzoletto: -Ti spiace, Harry?-
domandò poi con gli
occhioni grandi come quelli di un cerbiatto; senza sentire la risposta
continuò:-Adesso
ragazzi, vado, ehm, a farmi la ceretta! A domani! Ciao Didino!-
Anticipò le
parole interrogative di Dean con un bacio sonoro sulla bocca,
zittendolo
immediatamente, quindi uscì. Si coprì subito con
il mantello, maledicendosi per
l’altezza considerevole che ogni tanto faceva sì
che un pezzo di caviglia o di
mano s’intravedesse dal nulla. Che cosa inquietante.
Sfruttando
l’entrata di un prefetto davanti alla porta,
riuscì a uscire senza dover dire
alla Signora Grassa la parola d’ordine e quindi senza farsi
irrimediabilmente
scoprire. E iniziò a camminare per il castello.
Più
volte fu
quasi scoperta da un caposcuola, molte altre aggirò un
professore per un pelo;
riuscì perfino ad inciampare sopra Mrs Purr, ma
arrivò comunque all’ufficio del
Professor Silente. I gargouille che facevano la guardia alla porta
erano
addormentati profondamente.
Demelza
provò un moto di stizza: aveva fatto tutta quella strada e
non riusciva nemmeno
a parlare con Silente? Quasi come se il Castello percepisse
l’urgenza dei suoi
pensieri, la porta si scostò di qualche centimetro senza un
suono. La ragazza
attribuì il segno ad un invito, così non si fece
scrupoli ad entrare. Regnava
un clima di calma e pace; sembrava che lo studio fosse in
un’altra dimensione:
lontano dalla realtà, dalla paura, dalle preoccupazioni.
Strumenti d’argento
vibravano dolcemente sui tavolini di legno scuro, tutti i muri erano
ricoperti
di scaffali di libri magici e una grossa scrivania di ciliegio dava
un’aria di
maestosità al tutto. Seduto dietro ad essa come se
l’aspettasse, mentre
accarezzava una fenice appoggiata al suo braccio, vi era il Professor
Silente.
Demelza si perse nel rimirare le sfumature rosseggianti e bluastre
della coda
dell’animale, che toccava terra. Quindi alzò gli
occhi sulla veste viola scuro
frusciante del preside, sulle mani vetuste, sulla lunga barba bianca e
infine
osservò le iridi color fiordaliso cerchiate da occhialetti
dorati a mezzaluna.
-Benvenuta,
Demelza. Siediti, sarai stanca- pronunciò con voce gentile.
Era riuscita ad
arrivare da Silente ed era effettivamente stanchissima, però
solo adesso
iniziava il difficile.
-Professore,
le devo parlare di una cosa molto urgente- Era sorpresa di non essere
stata
rimproverata per essersi allontanata dal suo Dormitorio.
Prendendo un
grosso respiro, disse solenne ma con tono d’urgenza dettato
dalla situazione:
-Draco
Malfoy è scomparso. Penso che sia stato
rapito-
Silente la
osservò con espressione curiosa da dietro gli occhialini,
accarezzò la fenice e
la appoggiò sul suo trespolo davanti alla finestra. Dopo un
silenzio infinito,
nel quale la mora si domandò preoccupata se per caso non
avesse inteso la
domanda, chiese candidamente: -Gradisci un thè caldo?-
Demelza era
allibita, sconvolta, annichilita, arrabbiata. Gli aveva appena detto
che uno
studente della sua scuola era
scomparso e lui le chiedeva se gradiva un thè
caldo?
Fu allora
che l’ansia della responsabilità, le
preoccupazioni per Ginny, la paura per le
peripezie che aveva dovuto affrontare, la stanchezza le ribollirono nel
sangue
e la fecero esasperare: -Le ho detto che Draco Malfoy è
scomparso, o peggio, è
stato rapito e lei mi offre un thè?! Non so se mi ha capita
bene…-
-L’ho
capita
benissimo, mi creda, signorina Robins- nella sua voce non traspariva
rabbia o
irritazione; era sempre così gentile –Solamente
è che sono perfettamente
consapevole della scomparsa, come dice lei, anche se propenderei
più
sull’utilizzo di un’altra terminologia…
Vediamo, che ne pensa di “mancanza”? O
meglio “non presenza”?-
-Si, si,
quello che vuole. Quindi…?!- Demi si rendeva conto di
sembrare brusca ma dove
ricevere notizie da riferire a Ginny per rassicurarla. Le si strinse il
cuore
al pensiero di averla addormentata con la pozione Soporifera.
-Ergo, stavo
dicendo, l’assenza del signor Malfoy non è stata
notata solo da lei e, se non
sbaglio, dalla sua compagna di stanza, la signorina Weasley- a sentir
nominare
Ginny Demelza arrossì, ma il preside continuò
imperturbabile -Il Professor
Piton mi ha informato tempestivamente quando si è accorto
che il signor Malfoy
non rispondeva all’appello degli alunni.-
-E che cosa
facciamo adesso?- la sua voce tradiva un’ansia inaspettata.
-Ah,
signorina Robins, dobbiamo sempre fare qualcosa in questa vita,
nevvero? Per
fortuna non sono competenze che la potrebbero opprimere-
-Qualcuno lo
sta cercando vero?-
-Non
abbandonerei mai un mio studente- la scrutò profondamente
con quegli occhi da
bambino e da anziano insieme, così sinceri e benevoli
–Ma adesso Ginevra
Weasley ha bisogno di lei e del suo supporto. Potrebbe essere un brutto
colpo
per lei ritrovarsi sola quando si sveglia, non trova? Le auguro la
buona notte-
Demelza
capì
di essere stata congedata, così salutò con un
rispettoso cenno del capo ed
uscì.
Una cosa la
fece sorridere: con la coda dell’occhio intravide per
l’ultima volta il preside
che sorseggiava una tazza di thè, seguendola con lo sguardo.