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Autore: Harriet    13/03/2014    0 recensioni
In un mondo simile al nostro, dove la storia ha preso tutto un altro corso, in un ipotetico inizio Novecento, c'è una città indipendente sulla costa egiziana, dove ogni giorno c'è qualche storia che vale la pena di raccontare.
Queste sono le storie della città, e di quattro dei suoi figli più bizzarri. Gente particolare, dal passato oscuro o doloroso, gente dai modi singolari e dai principi a volte discutibili. Ma una cosa è sicura: quando vogliono aiutare la città, hanno uno stile inconfondibile e molto efficace.
{Raccolta di 4 storie, delle quali la prima e l'ultima sono leggibili da sole. Ambientazione vagamente steampunk + magia.}
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Almiressa'
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III
Generatore di discordie


I
15 maggio, ore 19,51

- Io un'idiozia del genere non l'avevo mai vista.
Così sentenziò Zakaria, e io e Rebecca ci limitammo ad annuire, senza staccare lo sguardo dal palazzo che aveva appena ingoiato un nostro conoscente, probabilmente per non risputarlo mai più.
- Che guardi, vecchietto?
Per poco non mi prese un colpo. Nel silenzio sbalordito, all'improvviso qualcuno ci aveva raggiunti. Mi voltai di scatto, trovandomi accanto la rotonda e pacifica signora Abenet, l'erborista.
- Vecchietto? E la tua galanteria dov'è finita?
- Tu sei vecchio, Kheti. Non quanto me, ma giù di lì. Allora, che succede?
- Niente di buono.
- Quello lo capivo anche da me. È il covo di Dalmar, quella che state fissando. La gente che ci entra tende a tornare fuori con qualche pezzo in meno. O spezzettata. Come il tuo dio Osiride.
- Sfotti i tuoi dei e lascia stare i miei. Comunque, non c'è molto da ridere, sai?
- Chi si è messo nei guai?
- Mirick Drevna. Lo scienziato. L'hai presente, no? Lungo, magro, bianco, capelli rossi...
- Cosa?- La baldanza di Abenet svanì. - Com'è successo? Che ha combinato?
- È entrato di sua spontanea volontà lì dentro.- Rispose Zakaria, scuotendo la testa.
- L'ha fatto per evitare che gli uomini di Dalmar se la prendessero con me.- Mormorò Rebecca. Poi la sua faccia addolorata mutò espressione, a partire dall'insolente sopracciglio sinistro che fece una mossa chiara di forte incazzatura. - Che coglione! Se si fa ammazzare e mi costringe a sentirmi in colpa per il resto della mia vita, giuro che vado a ripescarlo nell'aldilà e lo prendo a calci!
E questa era Rebecca, in breve.
- Volete spiegarmi esattamente come stanno le cose?- Domandò Abenet.
Io assunsi la mia navigata aria da narratore ed esperto della città.
- Adesso ti racconto tutto. Dall'inizio. Dal cortile.


II
Il cortile da cui era cominciato tutto se ne stava tra quattro edifici diversissimi tra di sé, e ti veniva un po' da chiederti come avesse fatto a comporsi così, quel pezzo di città. Zakaria invocava spesso la necessità di controlli più rigorosi da parte del governo sull'urbanistica, ma era un'utopia – e comunque, lui aveva costruito un casottino nel retro della sua bisca, dove teneva a dormire i clienti troppo ubriachi per lasciare il locale, e quel posto non era certo a norma di legge, quindi avrebbe dovuto solo starsene zitto.
Insomma, ad Almiressa la gente aveva sempre fatto un po' quel che voleva, e per questo si era arrivati ad avere un cortile incastrato tra la locanda di Rebecca, la serra-frutteto di Angelica, il palazzone di Dalmar e un miserevole edificio che ospitava appartamenti cadenti da due soldi, strapiena di disperati di tutte le risme. Dicono che questo quartiere, Alessandria, sia quello in cui succedono le cose più interessanti, e io non so se sia vero, ma la guerra del cortile era senza dubbio pittoresca.
L'edificio a nord di questo agglomeratoera la locanda, un parallelepipedo basso e scuro di rara bruttezza, ricoperto di luci e decorazioni da quando la gestione era passata a Rebecca, tre o quattro anni prima di questa faccenda.
A sud si trovava il frutteto-serra di Angelica. La serra era lunga e stretta, di un bel vetro azzurrino, particolarmente curata ed elegante, per essere una piccola proprietà di una piccola commerciante. Ma si sa, come costruiscono le cose gli etiopi, nessun altro. Dentro la serra c'erano le piante che hanno bisogno di freddo e pioggia per venir su bene, e noi, passando accanto alla struttura trasparente, vedevamo le gocce d'acqua e a volte anche la neve, prodotte con uno di quei sistemi che mischiano le scienze etiopi con le nostre piccole magie egizie. Roba che vedi spesso, ad Almiressa, ma che è sempre bello vedere, perché ognuno queste tecniche le mescola e le trasforma in qualcos'altro, e a me piace, la genialità degli esseri umani.
Un po' meno mi piace l'imperterrita stronzaggine degli esseri umani, e con questa introduzione vi porto a ovest, davanti al palazzone di Dalmar, il posto dove eravamo riuniti quella sera, a chiederci quanto ci avrebbe messo quell'intollerabile verme a far fuori Mirick. Dalmar era un pezzo grosso del crimine, all'epoca, e lo sapevano tutti. Era scappato dalla Somalia dopo aver fatto infuriare la governatrice, che era andata a portare le sue rimostranze agli imperatori d'Etiopia. C'erano taglie su Dalmar in tutto l'Impero, ma lui era stato così sfacciato da venire a fare i cavoli suoi ad Almiressa, che è indipendente, sì, ma non così tanto lontana dalle terre imperiali, che praticamente occupano tre quarti dell'Africa del nord e del centro.
L'ultimo pezzo della nostra scena è il palazzo a est, una cosa bucherellata, i resti di un'edilizia disgraziata di sicuro importata dall'Europa. Era di proprietà di una vecchia usuraia, Sela, che affittava appartamenti indegni di essere abitati persino da un animale ai più disperati del quartiere, e viveva in quello in cima al palazzo, che era l'unico decente e persino tenuto bene.
Il problema del cortile condiviso era che su di esso si affacciavano quattro sistemi di rifornimento energetico che avevano la tendenza ad andare in tilt a catena.
C'era una specie di totem sul retro della locanda, un palo ricoperto di piante, fiori, iscrizioni e cianfrusaglie. A detta di Rebecca, era impregnato di non so quale magia (roba europea complicata e inaffidabile) che raffrescava le stanze al piano di sopra, grazie a non so quale incantesimo che convogliava gli elementi dell'aria e li ricombinava in qualcosa di più freddo (non la saprei spiegare meglio di così. Sono un calzolaio, e gli unici incantesimi che so usare servono per far durare di più le mie candele e per la manutenzione dei miei attrezzi. Una volta ne ho provato uno per farmi passare prima la sbornia, ma il risultato fu fallimentare. È stato tanto tempo fa.)
La serra, ve l'ho già detto, aveva questo sistema mirabile per produrre pioggia e neve, e il suo motore era contenuto in scatola di vetro, posta sul famigerato cortile. Non era grosso, ma era sempre attivo, un affare pieno di rotelle, molle e ingranaggi senza posa.
Dalmar aveva un ascensore a motore, che sparava una cabina di legno dal fondo alla cima del palazzone in un paio di minuti. Una cosa che mi faceva venire la nausea solo a vederla da lontano. La cabina e l'immenso ammasso di cosi e pistoni e sbuffi di vapore che azionava il meccanismo se ne stavano in un capanno sul cortile.
Per ultimo c'era il palazzo derelitto, che non aveva niente di rimarchevole, ma quella stronza della proprietaria teneva nel cortile un enorme motore, coperto alla buona con delle assi di legno. Era il motore di una nave (ma non uno di quei motori alchemici che vanno adesso: era un prototipo, una roba risalente a decenni fa, quando i motori una volta su tre ti incendiavano la nave.) Nessuno sapeva a cosa le servisse, ma lei pretendeva che rimanesse lì, sudicio e puzzolente di tutti i principi alchemici che una volta l'avevano fatto funzionare.
Ogni tanto qualcuna di quelle macchine spaventose andava in confusione. La magia del totem di Rebecca dava ordini sbagliati alla serra di Angelica, e uno strato di neve sommergeva tutte le piante. Un balzo improvviso dell'ascensore veniva scambiato dalla serra per qualche impulso magico, provocando un'alluvione che poi esondava nel cortile, trasportando ruggini e veleni del motore e disturbando la magia irrequieta del totem. E così via.
Io ci ho sempre capito il giusto, di tutto questo, ma gente più brava di me ha cercato di spiegarmi per sommi capi come funzionava la faccenda, e credo che il succo sia questo: erano quattro sistemi troppo delicati, e allo stesso tempo troppo rappezzati e artigianali, per coesistere in quel piccolo spazio della discordia.
E la discordia non mancava mai. Ho visto risse, ho sentito liti furiose da una finestra all'altra, ho assistito a scene leggendarie, come due scagnozzi di Dalmar armati di coltelli che venivano disarmati da Angelica con un rastrello, o Sela e Rebecca che lottavano lanciandosi avanzi di cibo avariato, e simili meraviglie, che fino ad allora non erano mai sfociate in tragedia.
Fino a quella sera, e al susseguirsi di eventi che ci aveva condotti tutti lì, davanti alla casa di Dalmar, a pregare per la sua clemenza. O per l'anima di Mirick Drevna, un bizzarro scienziato che in tutto questo non c'entrava niente, ma che faceva parte di una famiglia arrangiata, con la tendenza a non capire mai quando era il caso di chiudere la bocca, voltarsi e andare per la propria strada.


III
- Quindi la faccenda del cortile sta così.- Disse Abenet, fissando le finestre buie e la sagoma dell'ascensore, fermo a metà facciata. - Ma perché Mirick è stato portato dentro?
- Per aiutare me.- Rispose Rebecca. - Poco fa l'ascensore di Dalmar è partito all'improvviso. Due dei suoi sono arrivati alla mia locanda con i coltelli sguainati, e io sono uscita ad accoglierli con una mannaia, e sarebbe finita molto male, lo so.
- Mi chiedo per chi...- Borbottò Zakaria, e si beccò un'occhiataccia da Rebecca, più affilata della sua mannaia.
- E che è successo, poi?- Incalzò Abenet.
- È arrivato Mirick e ha chiesto di essere portato dal loro capo, per spiegargli cos'ha che non va il nostro cortile.
- Cosa?
- Già.- Borbottò Zakaria. - Anche ammesso che ci capisca veramente qualcosa, chi è tanto idiota da infilarsi spontaneamente tra le zanne di Dalmar? Anche se è andato con l'intenzione di aiutare, è comunque una pazzia. Circolano strane storie sulla gente che entra lì dentro offrendo il suo aiuto a Dalmar. Come quella dell'idraulico che finì di sotto dal decimo piano. O il farmacista avvelenato. Dalmar non prende molto bene l'aiuto altrui, se non risolve le cose esattamente come vuole lui.
- Sì, ma Mirick non è un mezzo genio? Insomma, ho sentito dire che ha pubblicato dei libri, e una volta lo hanno chiamato all'Università di Almiressa a fare una lezione.
- E campa su una nave con tre disgraziati?- Zakaria scosse la testa. - Secondo me è un ciarlatano e basta.
- Sono un po' strani, ma non sono disgraziati.- Li difesi io, che a quei quattro dovevo molto. - Si sono trovati nei guai, si sono aiutati a vicenda e adesso vivono decentemente e onestamente. Credo. Insomma, sanno fare di tutto, e se sei un poveraccio ti fanno pagare anche poco. Mi hanno riparato una finestra, la bicicletta e la macchina da cucire.
- A me hanno costruito una scala per il negozio.- Disse Abenet. - Me l'ha costruita l'amico di Mirick, quell'arabo alto e grosso, Dara. E il bambino che stanno tirando su... Aurel. Ecco, lui è più buono e istruito di un sacco di figli di gente perbene, che mi vengono in bottega e me la buttano giù!
- Adi è mia cliente fissa.- Disse Rebecca.
- La sarta muta?- Chiese Zakaria. - Mi fa paura. Non perché non parla. Ma è come ti guarda. Ti dà l'idea di una che, se ti vuole male, povero te!
- Oh, sì.- Rebecca fece un sorriso. - Lo penso anch'io. Se Adi ti vuole male, povero te. Ma fortunatamente mi sembra più interessata a godersi la vita che a volere male al prossimo. Comunque, sono brava gente, e sono tutti molto talentuosi, nel loro campo.
- Gente a cui non augureresti mai del male.- Dissi io, che cominciavo a preoccuparmi seriamente.
- Anche perché sono bravissimi a tirarselo addosso da soli.- Ribatté Zakaria.
In quel momento uno degli argomenti della nostra conversazione arrivò di corsa e si piazzò in mezzo al nostro gruppo, nel suo metro e novanta di altezza.
- Cos'è successo?- Ci apostrofò Dara, agitato. - Sono venuti a dirmi che Mirick è in casa di Dalmar! - Ciao, Dara.- Lo salutò Zakaria. - Rilassati e respira. E non pensare nemmeno per un momento di buttarti anche tu là dentro, per tirare fuori il tuo amico, perché non te lo permetteremo. Basta la sua idiozia, per stasera. Non mettertici anche tu.
Dara si incupì e lanciò un'occhiata storta a Zakaria, e io avrei voluto infamarli entrambi: Zakaria per la sua notoria mancanza di delicatezza, Dara per la sua evidente intenzione di entrare nel palazzo e fare casino. Feci due passi e mi piazzai davanti a lui. Gli altri tre mi si misero attorno, nella vana speranza di bloccare eventuali tentativi stupidi da parte di quell'omone che rivaleggiava con Zakaria in quanto a stazza (Zakaria era molto più largo, ma Dara lo superava di dieci centimetri buoni.)
Io lo guardai dal basso del mio metro e sessantacinque scarso e artritico, e cercai di assumere un'aria da persona sapiente e affidabile – che non sono mai stato. Ma Dara è un bravo ragazzo e tende a prenderti in considerazione, se gli parli seriamente.
- Aspettiamo un po', eh?. Non c'è ragione di preoccuparsi.
- Ci sono tutte le ragioni per preoccuparsi, Kheti. Ora, per favore, spostatevi di lì. Vi ringrazio per la vostra premura, ma ho intenzione di entrare e di capire cosa...
Tacque bruscamente e spalancò gli occhi per la sorpresa, fissando un punto alle nostre spalle. Ci voltammo tutti, e assumemmo immediatamente la sua stessa espressione meravigliata e un po' idiota, e anche parecchio sollevata. Dal palazzone stava uscendo Mirick, sano e sorridente, scortato da due scagnozzi di Dalmar, insolitamente concilianti.
- Ringraziate ancora il vostro capo per la sua disponibilità!- Li salutò Mirick. Poi ci venne incontro, con una lieve aria di perplessità. - Voi che ci fate, qui?
- Ci chiedevamo come ti avrebbero ammazzato.- Rispose Zakaria. - Ma sembri molto intero.
- Perché avrebbero dovuto ammazzarmi, scusate?
- Perché quello è Dalmar.- Rebecca fece un vago cenno verso il palazzo. - E lui è... Lui fa...
- Ho offerto il mio aiuto e ho risolto il problema che vi affligge da qualche tempo.
Silenzio. Quel silenzio dei cervelli che lavorano tutti insieme e non riescono a produrre un singolo suono che esprima quanto poco stiano capendo.
- Hai risolto il problema del cortile?- Mormorò Rebecca, che guardava Mirick come si guarderebbe una manifestazione di un dio.
- Sì.
Ero davvero sicuro che gli sarebbe cascata in ginocchio davanti.
- E come...
- Oh, non era niente di che. Mi dispiace di non averci pensato prima. Beh, credo che sia l'ora che io torni a casa. Fai la strada con me, Dara? Buonanotte a tutti!
Se ne andarono così. E noi rimanemmo a guardarli, come degli ebeti, chiedendoci cosa fosse davvero successo in quell'oretta scarsa in cui il buio e il mistero di Dalmar avevano ingoiato Mirick Drevna.
Non lo avremmo mai saputo. Ma da quel giorno il cortile non fu più maledetto. Non solo: Sela, l'usuraia, cambiò drasticamente regime, abbassando i prezzi e occupandosi delle condizioni di vita dei suoi affittuari. Dara fu ammesso nel palazzo cadente e fece una serie di riparazioni e aggiunte. Se Mirick era un signor scienziato, lui era un signor costruttore. Lo rese persino gradevole, quel rudere.
Insomma, nessuno capì mai cosa esattamente fosse accaduto, ma di qualunque cosa si fosse trattato, il risultato fu più che positivo, e quindi alla fine nessuno se ne preoccupò più di tanto. Siamo gente curiosa, sì, ma il quieto vivere a volte quieta anche la nostra curiosità.
Più di tutto, io fui contento che Mirick se la fosse cavata.


IV – Epilogo dietro le quinte
Quella notte

- Mirick, mi vuoi spiegare esattamente cosa...
- Stai calmo, Dara. Sono vivo, no?
- Sì, ma...
Mirick sollevò una mano e un sopracciglio, e fortunatamente questo bastò a quietare le ansie di Dara. L'altro gli fece cenno di andare avanti a parlare e rallentò il passo furioso.
- Tu lo sai che c'erano dei problemi, in quel cortile, no?- Riprese Mirick.
- Certo che lo so. Ci si scannano a giorni alterni.
- Ecco. Diciamo che avevo un sospetto sulla causa, e mi sarebbe piaciuto andare a vedere di persona di cosa si trattasse. Ero uscito a comprare un paio di cose e stavo tornando a casa, quando ho assistito a uno scontro verbale tra Rebecca armata di mannaia e due tizi con dei coltelli. Ho capito che c'erano di nuovo problemi nel cortile, e ho pensato dovevo di aiutare Rebecca. Beh, ho pensato anche che finalmente avevo l'occasione di controllare questa faccenda. Così ho offerto la mia consulenza.
- E ti sei fatto portare nei quartieri generali di uno dei peggiorni stronzi di Almiressa. Una mossa di una prudenza impressionante.
- Non accetto ramanzine da te, sull'argomento della prudenza. Se non erro, mentre uscivo da quel posto, tu stavi pensando di venire a cercarmi. Io sono entrato sapendo esatamente cosa fare. Tra l'altro, Dalmar è stato davvero contento del mio aiuto. Mi ha persino offerto un omicidio gratis.
- Cosa?
- Sì, mi ha detto che, se voglio, manderà uno dei suoi sicari ad ammazzare una persona a mia scelta. Declinare è stato quasi imbarazzante, da quanto l'offerta è stata genuina. Sai, Dalmar è una persona piuttosto deprecabile, e una di quelle che lo mostrano senza problemi. È un piccolo uomo ricoperto di ornamenti e armi, e seguito da una decina di persone per farlo sembrare più temibile. Mi sono stati addosso per tutto il tempo in cui ho lavorato in cortile.
- E cos'hai fatto, in cortile?
- Ho disattivato il generatore di Sela. Sì, la signora meschina che sfrutta la disperazione dei suoi affittuari e li relega in quel postaccio al limite dell'umano. Il problema nasceva da lì. A dire il vero, l'avevo già intuito, ma devo ammettere che dà una piacevole sensazione di fiducia nelle proprie capacità, l'avere conferma delle proprie teorie.
Dara gli rifilò uno sguardo che Mirick ormai conosceva, e che significava: taglia corto e soddisfa la mia curiosità.
- Insomma, entra nel dettaglio.
- Quel marchingegno che Sela spacciava come motore da nave in disuso in realtà è un generatore di energia collegato all'appartamento all'ultimo piano del palazzo, quello dove abita la proprietaria. E questo generatore rubava alimentazione a tutte e tre le altre fonti lì presenti. Con una serie di cavi interrati, risucchiava energia magica dal totem di Rebecca, un tipo diverso di magia dalla serra e addirittura l'energia generata dalla spinta del motore dell'ascensore. Capisci abbastanza di tutto questo da indovinare da solo il problema, vero?
- Credo di sì. La magia applicata alla tecnologia è una cosa molto complessa, ed entra facilmente in contrasto con magie differenti. Immagino che questo generatore abusivo facesse collidere in qualche modo i sistemi degli altri tre meccanismi, provocando i guasti.
- Esatto. Sela usava l'energia altrui per portare beneficio al suo appartamento, ed avere luce, calore per la cucina, un po' di fresco per conservare i cibi. O almeno, immagino che lo usasse per queste ragioni. Può darsi che utilizzasse il freddo per conservare cadaveri. Non saprei. Non mi piace molto, quella donna. Beh, direi che dovremmo denunciarla alla polizia.
Dara si fermò all'improvviso, posandogli una mano sul braccio.
- No. Non le faranno nulla: non esiste una vera e propria legislazione sull'uso improprio della magia, in questa città. E la metà dei suoi affittuari sono clandestini o gente in fuga. Se la polizia indagasse su quel posto...
- Potrebbe scoprire che lì si nasconde qualche altro criminale.
- Oppure potrebbero finire nei guai persone scappate da qualche situazione orribile, che hanno bisogno di mantenere l'anonimato.
- Vuoi lasciare Sela impunita? Va bene che le ho disattivato il generatore, ma...
- Potremmo dirle che la denunceremo, se non abbasserà i prezzi degli affitti e se non ci permetterà di fare qualche riparazione nell'edificio.
- D'accordo. E io le chiederò di cedermi il suo generatore: potrei trasformarlo in qualcosa di meno potente ma più legale. E se intendesse rifiutare, la minaccerò di rivelare tutto a Dalmar.
- Stiamo risolvendo i problemi della città con il ricatto. Non so se esserne fiero o sentirmi una persona spregevole.
- Stiamo risolvendo i problemi della città in maniera efficace. Non è questo il punto?
L'altro annuì in silenzio, mentre proseguivano il cammino verso il porto e la loro nave-casa.
- Sei sprecato a passare la tua vita su una nave con noi.- Esordì Dara all'improvviso. Mirick studiò il viso dell'altro, per capire la percentuale di scherzo e quella di serietà presenti nelle parole del suo amico. Per lui era una delle cose più complesse del mondo: disattivare generatori tecno-magici era uno scherzo, in confronto.
- Perché parli così?- Chiese, fallendo la prova di decifrazione.
- Perché hai capito il problema del generatore basandoti solo su qualche racconto impreciso.
- Ma se so qualcosa di magia lo devo solo a te! Tre anni fa non sapevo usare nemmeno un accendino a magia, e ora...
- Ora io continuo ad avere l'infarinatura magica che avevo tre anni fa, e tu sei un esperto di occulto. È così con tutto quel che decidi di studiare. Trovi il modo di padroneggiarlo in poco tempo. A volte penso che ti stia precludendo un altro futuro, rimanendo con noi a fare lo scienziato ambulante.
- E che dovrei fare? Ricominciare seriamente una carriera accademica? Ormai ho perso l'abitudine a fare lo scienziato rispettabile, lo sai.
- Hai trent'anni, non trecento. Puoi riabituarti, se vuoi.
- Ma non voglio. Ascoltami, Dara. Se mi dedicassi di nuovo completamente allo studio, tornerei a dimenticarmi che esiste il resto del mondo, e sarei una persona molto sola. Per favore, smetti di tirare fuori questo argomento.
- Scusa se a volte mi viene spontaneo farlo. È solo un modo per dimostrarti ammirazione.
- L'ammirazione della miglior persona con cui abbia mai collaborato è un onore più che sufficiente, per me.
- Sai cosa? Qualche tuo collega meno bravo di te avrà riconoscimenti ufficiali, ma a te hanno offerto un omicidio su commissione gratis. Quanti professori possono vantarlo?
- Ora che ci penso, hai ragione: è una forma di onorificenza insolita, ma interessante.
Ormai il porto doveva essere vicino. Forse. Gli sembrava di sì, ma non era proprio sicuro. Non era un grande esperto della città, anche se ormai si sentiva abbastanza cittadino. Dara invece aveva fatto amicizia con Almiressa da subito, e così anche Adi e Aurel, le altre persone che avevano invaso di prepotenza la vita di Mirick da qualche tempo. Rendendola meno confortevole ma più dinamica.
- Sai la cosa a cui stai lavorando?- Dara ruppe di nuovo il silenzio. - Fa rumore. È normale?
- Oh. Non proprio. Immagino che abbia bisogno di altro lavoro. È un catalizzatore per incantesimi di volontà, da applicare su oggetti semoventi. Per adesso è una specie di motore a batterie, ma forse devo progettarlo meglio. Pensavo che potrebbe esserci utile se prima o poi volessimo dedicarci alla costruzione di automi di qualche genere.
- Perché dovremmo costruirli?
- Non lo so. Perché no?
Dara rise, poi gli posò un braccio sulle spalle e lo guidò in un'altra direzione, in un intrico di stradine che Mirick non avrebbe mai saputo sbrogliare, e alla fine il porto e il mare si aprirono di fronte a loro, e nel buio, le luci della loro nave, adottata da Almiressa.
Uno strano posto a cui appartenere, forse, ma per uno che tendeva a lasciare dietro di sé i suoni dello scorrere del mondo, abitare lì era una buona soluzione. Almiressa fa troppo rumore, per permetterti di dimenticare di essere vivo.

   
 
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