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Autore: arya_stranger    14/03/2014    3 recensioni
Quando ti svegli in un luogo assurdo e non ti ricordi più niente la paura ti attanaglia lo stomaco e le viscere. Però un piccolo ricordo affiora lentamente, un viso, quello di un ragazzo. E se poi scoprissi che sei morto e che l’unica soluzione per tornare in vita è superare una missione? E se la missione fosse quella di aiutare delle persone confuse a ritrovare il loro cammino? Accetteresti?
E se poi ti innamorassi? Cosa faresti?
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(dal testo)
«Non sarei riuscito a descrivere a parole lo spettacolo delle stelle in una notte d’inizio agosto come quella. Forse perché non ce ne sono. Se non l’hai visto non potrai mai capire come è realmente. Sarebbe come spiegarlo ad un cieco. [...]
Da dove stavo, le stelle mi sembravano solo minuscoli puntini brillanti che luccicavano accanto alla luna; ma il realtà sono enormi masse di gas e nemmeno concentrandomi riuscivo ad immaginare la loro grandezza. Ci sono concetti, come l’infinito, che l’uomo non potrà mai capire per quanto si possa sforzare. [...]
Non siamo concepiti per comprendere queste cose. L’uomo è piccolo e non è altro che un acaro di polvere paragonato all'universo.»
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[FANFICTION REVISIONATA IL 19/08/15]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Second Chance'
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2

Qualche spiegazione





 
Fu un sussurro, un mormorio appena percettibile. Ma quando non senti nessun rumore da tanto, anche il più lieve dei respiri sembra una bomba che scoppia.
Ero per terra, su quel pavimento bianco e mi alzai di scatto. Ebbi l’impulso di gridare qualcosa, del tipo “chi è?!”. Ma forse non sarebbe servito a nulla, anche se, a pensarci bene, ancora non avevo provato a parlare.
Ancora un volta sentii quella voce appena accennata. Non riuscivo a capire cosa dicesse e nemmeno da dove provenisse. Beh, considerando che quel posto c’era, ma non c’era, la voce doveva necessariamente provenire da qualche parte, ma da nessuna.
Un fruscio come di un abito lungo. Quindi c’era una donna? Probabile, ma non certo.
Rimasi immobile, e poi presi la mia decisione. Era vero che ancora non avevo provato a parlare, ma non era detto che non lo potessi fare. Aprii piano la bocca, cercando una frase da pronunciare.
«C’è qualcuno?»
Eliminai velocemente dalla lista delle cose assurde che accadevano in quel posto il fatto che non esistevano i rumori.
Ovviamente non ebbi nessuna risposta. Ritentai. «Ehi!» gridai più forte. «C’è nessuno?»
Nessuna risposta, ma risentii il fruscio di quello che a quel punto fui certo fosse davvero un abito lungo da donna.
Mi stavo davvero innervosendo. Io sapevo che lì c’era qualcuno, ma perché non voleva rispondere? Forse non poteva parlare? O forse mi ero immaginato tutto? In ogni caso la mia voce non era di certo frutto della mia immaginazione.
«So che c’è qualcuno! Rispondimi! Dimmi chi sei!» Continuai ad alzare la voce. «Fatti vedere! Ho bisogno di parlare con qualcuno. Dove sono? Perché sono qui?!»
La mia voce si faceva via via più alta e disperata, perché ero disperato.
«Calmati, è tutto apposto.»
Mi voltai. Una donna era in piedi di fronte a me. Come avevo immaginato indossava un abito lungo, rosso. La pelle era bianca come tutto in quel luogo. Sembrava quasi una bambola, con le labbra vermiglie. I capelli neri e lucidi le ricadevano sulle spalle e sul viso. Ma la cosa che più mi colpì furono gli occhi. Erano assolutamente inquietanti e ne ebbi paura.
Quegli occhi erano completamente neri. Non neri nel senso che aveva gli occhi molto scuri. No, erano tutti neri, non solo la pupilla e l’iride.
Feci un passo indietro.
«Non devi aver paura di me» mi disse. Okay, questa era una richiesta un po’ difficile. «Non sono qui per farti del male, ma per aiutarti.»
«Dove sono?» domandai con voce instabile.
«Ti sei già risposto a questa domanda.» Quindi ero in quel posto che in realtà non esisteva. Un po’ come l’Isola-che-non-c’è.
La fissai con aria interrogativa. Come faceva a sapere che io in realtà avevo capito dove mi trovassi?
La donna sorrise, mostrando tutti i suoi denti immacolati. «Non è così difficile da capire.»
«Cosa?» feci titubante.
«Che leggo nel pensiero.» Certo, era ovvio.
«Scusa, ma tu chi sei?»
La donna si avvicinò a me. «Non ho un nome.»
«Tutti hanno un nome» ribattei.
«Io no, semplicemente perché non esisto realmente» mi spiegò. «Come fai a dare un nome ad una cosa che non è reale?» Questa era una bella domanda.
«Ma non ha senso.» Le mie idee erano ancora più offuscate.
«Okay» disse calma. «Facciamo un gioco. Tu mi fai delle domande, e se posso rispondere, lo farò.»
Mi sembrava una cosa più che ragionevole, dopo tutto meritavo della spiegazioni.
«Sono in un sogno?» Prima domanda che mi tormentava da troppo.
«No, non è un sogno.»
«Va bene, non è un sogno» sospirai. Ma forse se non era un sogno non ero così sicuro di voler sapere cosa fosse.
Passai alla seconda domanda. «Perché è tutto bianco?»
«Bianco?» chiese lei stupita.
Annuii. «Sì, ho chiesto perché è tutto bianco.»
Lei mi guardò. «Non so perché tu vedi tutto bianco, ma di sicuro una ragione c’è. Prossima domanda?»
Ma che razza di risposata era? Lei non vedeva tutto quel bianco? Decisi di lasciar perdere e di passare oltre.
«Perché tu sei qui?
«Ho già risposto. Sono qui per aiutarti.»
«Bene, allora aiutami. Aiutami a ricordare, perché io non ricordo niente.»
La donna mi sorrise di nuovo e si sedette per terra, invitandomi ad imitarla.
Anche se era un soggetto inquietante mi stava simpatica, era gentile, e sorrideva, anche se non c’era un vero motivo. Mi sentii un po’ più calmo e rilassato.
«Io non posso aiutarti a ricordare. Posso solo aiutarti a capire come fare.»
«E come? Io voglio ricordare.»
«Va bene» acconsentì. «Per ora ricorderai solo le cose più semplici, ma col tempo ricorderai tutto. Devi solo avere pazienza.» Annuii.
«Molto bene. Chiudi gli occhi.»
Feci ciò che mi diceva, anche se mi sentivo un po’ in soggezione. Chiudendo gli occhi non potevo avevo il controllo su ciò che potenzialmente poteva accadere. Tuttavia, avevo il disperato bisogno di ricordare.
«Adesso ascoltami bene. Dimmi come ti chiami.»
Rimasi stupito da quella domanda. Non aveva senso. Come mi chiamavo? Mi chiamavo Gerard. Eppure in tutto il tempo (si fa per dire) che ero stato lì, non ci avevo mai pensato.
«Io mi chiamo Gerard.»
La donna rise compiaciuta. «Vedi come è semplice?» constatò. «Eppure ancora non ci avevi pensato!»
«Gerard, dimmi quale è il tuo cognome.»
Way, il mio cognome è questo. «Way, Gerard Way.”
«Perfetto!» esclamò. «Ora puoi aprire gli occhi.»
Mi sentivo davvero meglio. Come mi ero potuto scordare il mio nome?
«Per favore, continuiamo» la supplicai.
«Non ce n’è bisogno. Ora hai capito come fare a ricordare le cose, non è vero?»
Sì, in realtà avevo capito come funzionava. Bastava farsi una domanda e concentrarsi solo su quella.
«I ricordi più complessi ancora non puoi elaborarli, ma vedrai che col tempo ci riuscirai.»
«Grazie» mormorai.
«Non mi devi ringraziare, io non ho fatto niente. Comunque se vuoi puoi continuare con le domande.»
«Oh, sì.» Pensai un attimo. «Fino ad ora non ricordavo niente, tranne una cosa.» Feci una pausa. «Nella mia mente c’è l’immagine di un ragazzo. Chi è?»
Quella era la domanda che più in assoluto mi premeva, ma non l’avevo formulata prima. Non saprei dire il motivo, ma avevo paura della risposta.
La donna mi rivolse un’occhiata che non riuscii a decifrare. «Questo lo capirai.»
«Ma sta bene?» Non so perché, ma improvvisamente mi preoccupavo per qualcuno che nemmeno conoscevo.
«Sì, certo. Sta bene.»
Feci qualcosa che sembrava un sospiro di sollievo.
«Ma perché sei qui? Sì, ho capito per aiutarmi, ma ora che ho capito come fare a ricordare, deve esserci un altro motivo che giustifica la tua presenza.» Non era nelle mie intenzioni alzare la voce, ma lo feci comunque.
«In realtà non hai capito proprio tutto del posto in cui ci troviamo.»
Aveva assolutamente ignorato la mia domanda. «Cosa vuoi dire?»
«Non hai capito la funzione di questo posto.»
«E che funzione avrebbe?»
«Ha il compito di ospitare le anime, prima di trovare loro un posto.»
La mia bocca si seccò in un istante, le mie sinapsi smisero di funzionare per qualche secondo, e il mio cuore molto probabilmente perse un battito. Anche se forse le anime non hanno un cuore.
Okay, anima. In che senso anima?
«Nel senso che sei morto, Gerard.»
Non riuscivo a parlare, era tutto ritornato come prima. Non sentivo nessun rumore, vedevo tutto bianco, e la mia mente era vuota, completamente annebbiata.
Mi sentii scuotere per un braccio, ritornai alla “realtà”.
«Gerard? Tutto apposto?»
«Tutto apposto?» Mi alzai di scatto, decisamente arrabbiato. «Mi ritrovo qui, che poi dire ‘qui’ non ha senso. Non mi ricordo niente, e ora arrivi tu che mi dici che qui si accolgono le anime! Fammi capire: sarei davvero morto?!»
Ero davvero infuriato. Non poteva annunciarmi che ero morto in quel modo!
«Gerard calmati!»
«E invece non mi calmo! Perché sono morto? Perché?!» Stavo gridando.
«Io non ti posso dire perché sei morto, ma se mi ascoltassi forse capiresti la vera ragione per cui sei qui!»
Avrei ascoltato, ma questo non voleva dire che mi sarei calmato. Mi sedetti di nuovo, in silenzio, per darle la possibilità di parlare.
«Gerard, sì, è vero, sei morto, non te lo posso negare, ma…»
La interruppi bruscamente. «Ma, cosa?»
«Ma hanno deciso di darti una seconda possibilità.»
Una seconda possibilità? Non sapevo che ai morti si potesse dare una “seconda possibilità”. E poi che genere di possibilità?
Le rivolsi uno sguardo che racchiudeva tutte le mie domande, e possibilmente anche altre che ancora non mi erano venute in mente.
«Non è facile da spiegare,» mi disse. «Diciamo che hai ottenuto una seconda occasione, e devi semplicemente decidere se ne vuoi coglierla o no.»
Cercai di formulare la domanda nel modo più quiete. «Chi mi avrebbe dato questa seconda occasione? E perché me l’ha data?»
«Questa seconda occasione ti è stata data da chi è in grado di decidere sulla tua vita e su quella di tutti gli esseri viventi. La ragione per cui ti è stata data è perché, secondo chi te l’ha concessa, la tua vita sulla Terra non doveva ancora terminare.»
«Ma se questa occasione mi è stata data da chi può decidere sulla mia vita, non poteva subito evitare che io morissi?»
«In realtà è più complicato di come la stai mettendo tu.» Abbassò lo sguardo. «Ci sono dei casi in cui non si può fare niente e la morte di qualcuno è inevitabile.»
«Ho capito.»
Mi fermai un attimo a pensare. Il fatto che qualcuno potesse decidere cosa fare della mia vita mi dava davvero fastidio. Non aveva senso, la mia vita mi apparteneva, e allora perché qualcun altro era libero di disporne come voleva? Non mi sembrava una cosa giusta. La gente che muore ogni giorno è tantissima, certo, ma ci sono delle volte in cui proprio non riesci a non arrabbiarti. Per esempio, non puoi lasciare una madre e un padre senza un figlio, magari piccolo. Chi sarebbe in grado di fare una cosa del genere? Oppure lasciare un figlio senza un genitore o addirittura senza nessuno dei due. Forse in questo caso è anche peggio. Come fa a cavarsela un bambino piccolo senza i suoi genitori?
La donna mi sorrise nuovamente. «Allora, vuoi accettare questa seconda opportunità o no?»
Certo che volevo, ma che razza di domanda era? «Sì, certo.»
«Perfetto, mi aspettavo questa risposta.»
«Ma aspetta, se accetto ritornerò in vita, giusto? Come?»
«Certo, se accetti la seconda occasione tornerai in vita.»
Okay, la cosa non mi tornava. Cioè, io ero morto e così da un momento all’altro tornavo vivo e vegeto?
«Ma lo sai che sei furbo?» Ovviamente aveva sentito tutto il mio ragionamento.
«Sì, grazie. Lo so» dissi. «E allora? A che condizione posso tornare?»
«Ti hanno concesso di tornare, se porterai a termine una specie di…» ci pensò un attimo. «Chiamiamola missione.»
Mi toccava anche fare l’eroe. «E sarebbe?»
«Avrai un periodo di prova sulla Terra. Questo periodo ha due funzioni. La prima è quella di recuperare completamente la memoria, la seconda è appunto, quella della missione.» Sì inumidì le labbra e poi riprese a parlare. «Ti saranno affidate due persone. Avrai due mesi di tempo con ciascuna. Queste persone hanno entrambe bisogno d’aiuto. Tu dovrai aiutale ad andare avanti. Tu, Gerard, le devi salvare.»
«Salvarle?» Ero rimasto impietrito. Come potevo salvare due persone con un tempo di soli due mesi per ciascuna? Era impossibile, e io non ero nemmeno la persona più indicata per portare a compimento una missione del genere.
«Se ti è stato affidato questo compito significa che sei in grado di portarlo a termine. Non ti devi sottovalutare in questo modo!»
Non mi stavo sottovalutando, ero solo consapevole del fatto che molto probabilmente, se non sicuramente, non ci sarei riuscito. Era un dato di fatto. Non sarei di sicuro stato in grado di aiutare delle persone ad uscire dai loro problemi e a ricominciare a vivere. Prima di tutto perché nemmeno io ero completamente vivo. Secondo, ero troppo confuso, e non ricordavo nulla della mia vita passata. E terzo, come ho già detto, ma lo ripeto, io non ero il tipo di persona adatto ad aiutare gli altri. Non che non lo volessi fare, semplicemente non potevo. Okay, è complicato da spiegare, ma in ogni caso mi dovete credere.
La donna mi guardava. Ero più che sicuro che avesse ascoltato il mio discorso “interiore”. Forse vi sembrerà strano, ma il fatto che lei potesse sentire quello che pensavo non mi dava affatto fastidio. Probabilmente lo darebbe a tutti, ma a me la cosa era indifferente. Non so come mai, ma davvero, era così.
«Non devi dirmi subito se accetti o no» mi informò. «Hai tutto il tempo che ti serve. Quando avrai preso una decisione, devi solo chiamarmi.»
«Ma se non accetto, e in ogni caso se fallisco, sarò morto a quel punto.» Lei annuì. «E resterò qui per sempre?»
«No, Gerard» disse il mio nome con estrema gentilezza. «A quel punto verrai giudicato e ti verrà scelto un altro posto. Qui si accolgono solo le anime di passaggio.»
Abbassai la testa sconsolato. Quindi in pratica dovevo scegliere se andare all’Inferno in quel momento o quattro mesi dopo. Wow, bella prospettiva, sempre se l’Inferno esisteva. Perché se c’era davvero io ci sarei andato. Non ricordavo nulla della mia vita, ma chi è stato così bravo da andare in Paradiso? Secondo me nessuno, quindi…
La donna mi prese il mento fra le sue mani e mi alzò la testa in modo che la guardassi negli occhi.
«Hai bisogno di un po’ di tempo per pensare.» Non era una domanda, era semplicemente un’affermazione. «Non dovrei, ma se vuoi posso farti apparire qui quello che vuoi, così ti rilassi un po’ mentre pensi.»
Era una bella idea. Mi ritrovai a pensare a quello che volevo che lei facesse comparire. Chiusi gli occhi pensando a quello che mi piaceva fare. Mi concentrai il più possibile, e mi feci una domanda: “cosa mi piace fare?”. Certo, a me piaceva disegnare.
«Un album da disegno e qualche matita?» le chiesi. «E magari anche un letto e una scrivania già che ci siamo. Per favore.»
La donna rise e mi fece cenno di voltarmi. Dietro di me c’era un bel letto piuttosto grande coperto da un piumino blu scuro, e con testata in ferro battuto. Accanto, una grande scrivania di legno con un blocco da disegno e un portapenne pieno di matite.
Le sorrisi. «Grazie.»
«Di niente.»
«Allora quando ho deciso devo solo chiamarti.»
«Giusto» confermò.
«Ma se non hai un nome come faccio?»
«Giusto anche questo» concordò. «Perché non me lo dai tu un nome?»
«Io?» Io dovevo darle un nome?
«Sì, dai» replicò entusiasta. «Pensa a qualche nome e scegli quello che più ti piace. Non è difficile.»
Richiusi gli occhi per l’ennesima volta. E mi domandai quale fosse un nome da donna che mi piaceva, o che comunque mi ricordassi.
«Helena» affermai soddisfatto. «Ti piace?» In realtà lo avevo deciso perché mi ricordava qualcosa, ma era comunque un bel nome.
«Perfetto! Quando avrai deciso non dovrai altro che pronunciare il mio nome.»
«Va bene» annuii.
«Ci vediamo, Gerard!»
«Alla prossima Helena.»
Non feci in tempo a salutarla che era già andata via. In realtà era letteralmente sparita, ma ormai le cose strane non mi facevano più effetto. Mi ci stavo abituando.
Comunque il letto mi attirava troppo. Mi tolsi le scarpe e mi ci infilai completamente vestito.
Tuttavia avevo deciso di farmi qualche altra domanda prima di dormire.
Prima di tutto mi ripetei le cose su di me che già sapevo ad alta voce.
«Sono Gerard Way e mi piace disegnare.»
Proseguii con altre domande “Quanti anni ho?” Non che mi servisse a molto, ma ero curioso. Gerard ha 19 anni. Ero morto così giovane? Poco male, quel che è fatto è fatto.
“Cosa mi piace oltre a disegnare?” A Gerard piacciono i fumetti. Oh, sì, i fumetti, ora ricordavo.
Pensai ad un’altra domanda, e me ne venne in mente una. In realtà non sapevo se fosse il caso o no di formularmela, prima di tutto perché, come aveva detto Helena, i ricordi più complicati sarebbero venuti in superfice col tempo, non subito, e poi avevo come paura della risposta. Inoltre, quando l’avevo chiesto a lei, non aveva voluto rispondere. Però ero curioso, troppo curioso. Era la prima cosa che mi era venuta in mente in quel posto, come potevo non esserlo?
Ci provai. Presi un profondo respiro e espressi la domanda. “Chi è il ragazzo che ho nella mente da quando sono arrivato qua?”
Aspettai una specie di illuminazione come era successo fino a quel momento, ma niente, non riuscivo a far riemergere il ricordo che era gli era collegato. Più ci pensavo e mi concentravo, e più sentivo che la risposta si allontanava. Avevo capito che era inutile continuare a pensarci.
Trovai una posizione comoda sotto quelle morbide coperte, e provai a non pensare a nulla per un po’, in modo da addormentarmi più velocemente. Non pensare a nulla quando hai così pochi ricordi potrebbe apparire semplice. Ma è tutto il contrario. Questa cosa mi rendeva così nervoso e mi portava a pensare troppo. Provai allora a concentrarmi su un unico ricordo. Il viso del ragazzo.

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