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Autore: arya_stranger    07/03/2014    2 recensioni
Quando ti svegli in un luogo assurdo e non ti ricordi più niente la paura ti attanaglia lo stomaco e le viscere. Però un piccolo ricordo affiora lentamente, un viso, quello di un ragazzo. E se poi scoprissi che sei morto e che l’unica soluzione per tornare in vita è superare una missione? E se la missione fosse quella di aiutare delle persone confuse a ritrovare il loro cammino? Accetteresti?
E se poi ti innamorassi? Cosa faresti?
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(dal testo)
«Non sarei riuscito a descrivere a parole lo spettacolo delle stelle in una notte d’inizio agosto come quella. Forse perché non ce ne sono. Se non l’hai visto non potrai mai capire come è realmente. Sarebbe come spiegarlo ad un cieco. [...]
Da dove stavo, le stelle mi sembravano solo minuscoli puntini brillanti che luccicavano accanto alla luna; ma il realtà sono enormi masse di gas e nemmeno concentrandomi riuscivo ad immaginare la loro grandezza. Ci sono concetti, come l’infinito, che l’uomo non potrà mai capire per quanto si possa sforzare. [...]
Non siamo concepiti per comprendere queste cose. L’uomo è piccolo e non è altro che un acaro di polvere paragonato all'universo.»
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[FANFICTION REVISIONATA IL 19/08/15]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Second Chance'
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1

Quando niente ha un senso





 
Non capivo deve fossi.
Cercai di aprire gli occhi, lentamente; ma una luce accecante mi colpì e li richiusi subito.
Non mi ricordavo nulla, né dove fossi, né tanto meno come ci fossi arrivato. La mia testa era come avvolta dalla nebbia, una nebbia fitta che confonde i ricordi e non te li lascia vedere.
Mi resi conto di essere disteso a pancia in giù su qualcosa di terribilmente freddo. La mia guancia destra percepiva una superfice liscia, molto liscia, come di marmo. Toccai con una mano quello che pensavo fosse il pavimento, ma non vi trovai nulla sopra.
Cercai di schiudere di nuovo gli occhi, gradualmente. La luce era davvero forte, e non vedevo bene, ma dopo qualche secondo riuscii a mettere a fuoco quello che era effettivamente un pavimento.
Mi girai su un fianco, e poi mi misi seduto.
Non sembrava un luogo reale, non aveva senso quel posto.
Prima di tutto non vedevo le pareti, e non esistono delle stanze senza pareti, giusto? Cioè, forse sì, ma non nel senso che intendevo io. Quella era una stanza a tutti gli effetti, ma non se ne vedeva la fine. Era come immensa ed infinita.
Seconda cosa assurda: era tutto completamente e fastidiosamente bianco. Se guardavo in alto era tutto bianco, a destra uguale, a sinistra pure, ed anche quel pavimento duro e freddo era di un bianco abbacinante, quel bianco che fa male agli occhi.
Terza cosa: non esistevano i rumori. Battei la mano sul pavimento, ma il mio gesto non produsse alcun suono. Non riuscivo nemmeno a sentire il lieve fruscio del mio respiro. Le opzioni erano due: o ero diventato sordo (e all’inizio lo pensai veramente), o stavo sognando.
Mi scostai una ciocca di capelli dalla fronte, e incrociai le gambe. Provai a darmi un pizzicotto, ma non mi svegliai. Allora mi diedi uno schiaffo (che ovviamente non fece rumore), ma nemmeno quello sembrò funzionare.
Dove ero finito?!
Mi alzai di scatto e cominciai a correre. Dopo un po’ capii che la mia corse era assolutamente inutile. Non sarei arrivato da nessuna parte, semplicemente perché quel posto era ‘da nessuna parte’.
Lo so che è difficile concepire un posto che non c’è, ma c’è, ma credetemi, era così. Non c’era un’altra soluzione. Quel luogo sfidava le leggi della fisica e l’unica possibilità era che non esistesse veramente.
Assimilai questa informazione come un dato di fatto. Sono sempre stato bravo ad auto-convincermi delle cose. Certe volte torna utile avere una dote del genere. Per esempio, se sei in una situazione che ti terrorizza, tu ti ripeti che non hai paura e se sei bravo come me a persuaderti, allora quella situazione non ti spaventerà più, semplicemente perché tu hai deciso che non ne devi aver paura, e quindi non ne avrai.
Per me è facilissimo auto-convincermi, riesco a controllare le mie emozioni e le mie azioni grazie a questa capacità. Non so se altre persone siano in grado di farlo, ma alla fine chi se ne importa se altri lo sanno fare oppure no? Lo so fare io, e questo è quello che conta, no? Certo che è questo che conta. Se lo decido sarà così, capito come funziona?
Alla fine caddi per terra, stanco dopo una corsa infruttuosa, che non mi aveva portato da nessuna parte se non in un luogo del tutto identico a quello di prima.
Ormai mi ero completamente abituato alla luce accecante che proveniva da chissà dove, non che la cosa mi interessasse, a quel punto. In realtà non mi importava proprio di niente, volevo solo svegliarmi nel mio letto, sotto un piumino morbido.
Ripresi fiato dalla corsa. “Okay, e ora? E ora un cazzo!” pensai.  Capii solo in quel momento che in quel posto molto probabilmente non esisteva nemmeno il tempo. In effetti aveva una sua logica: se un certo luogo non ha un dove, come fa ad avere un quando? Quindi la parola ora, non aveva significato, non lì almeno.
Perfetto, almeno due cose erano chiare. Non mi servivano a molto per andarmene da lì, ma più cose sai e più facilmente puoi tenere la situazione sotto controllo, o almeno è così che io volevo che fosse.
Cominciai a fissarmi le unghie, non che fossero molto interessanti; certo lo erano più di quel bianco abbacinante. Contai tutte quelle macchioline bianche che si formano sulle unghie. Sette. Bene.
Dopo aver esaminato ogni dettaglio esaminabile sulle mie unghie iniziai a mangiarle. Forse non mi piaceva mangiarmi le unghie, ma mi stavo davvero annoiando, e quello mi sembrò un passatempo più che lecito.
Continuai a tormentare le mie povere unghie finché non cominciai a vedere la carne viva, faceva anche male. Ma si può essere così stupidi? Mi dovevo per forza fare male per passare il tempo?
Mi resi conto che anche la parola passatempo non aveva alcun senso in un luogo dove il tempo non esisteva. Cavolo, lì tantissime parole non avevano una logica. Mi misi a fare un elenco mentale di tutte quelle parole.
La prima che mi venne in mente fu orologio. Magari lì gli orologi nemmeno funzionavano, oppure si bloccavano. Peccato che non avessi uno con me. Sarebbe stato divertente vedere cosa succedeva. Seconda parola: luogo. Come ho già detto, quel posto, non c’era, anche se io ero lì.
Destra e sinistra. Se non esisteva uno spazio definito, tutti i riferimenti geografici, come anche i punti cardinali, non esistevano.
Poi, la classica domanda “come hai trascorso la giornata?” sarebbe stata ridicola perché non avresti avuto niente da trascorrere.
Sarei potuto andare avanti per sempre. Ecco un'altra parola: sempre. Non aveva senso. Se non c’è il tempo, come fa ad esserci un sempre? Non potrebbe nemmeno esserci un mai.
Mi distesi su quel pavimento freddo, fissai per un po’ un niente che non stava da nessuna parte, quando un’immagine mi si affacciò nella mente. Il che era strano perché da quando mi ero svegliato la nebbia non era ancora andata via.
Vidi il volto di un ragazzo. Aveva gli occhi nocciola, e i capelli scuri gli ricadevano scomposti ai lati del viso e sulla fronte. Nell’immagine che avevo in testa sorrideva, ma non era un sorriso allegro, era un sorriso triste, come se quel ragazzo fosse stato alla ricerca di un motivo per piegare gli angoli della bocca verso l’altro ma non l’avesse trovato.
La cosa mi lasciò piuttosto turbato. Non riuscivo a capire se conoscessi il ragazzo, non ero sicuro di averlo mai visto prima. Intendo prima di tutto questo, perché lì (si fa per dire) la parola prima non avrebbe avuto senso.
Mi concentrai cercando di ricordare cosa fosse successo. Cercai in tutti i recessi della mia mente, mi sforzai di far riaffiorare anche un solo piccolo ricordo, anche insignificante, ma niente, non mi ricordavo assolutamente nulla. Nella mia testa c’era solo quello che era successo dal mio risveglio e il viso del ragazzo, nient’altro.
Okay, la cosa cominciava davvero a darmi sui nervi. Non ricordare niente mi dava uno strano senso di disagio, non so come spiegarlo, ma mettetevi nei miei panni. Come vi sentireste a svegliarvi in un “luogo” assurdo che molto probabilmente, ma sicuramente, non esiste, e non ricordarvi assolutamente niente?
Ve lo dico io come vi sentireste: persi e confusi, fottutamente persi e confusi, ve lo garantisco.
Cosa ci facevo ancora lì? Perché non mi svegliavo e basta?
Oltre ad essere perso e confuso ero anche frustrato. Forse l’immagine del ragazzo nella mia mente non aveva fatto altro che confondermi ancora di più le idee. Almeno avevo qualcosa a cui pensare, anche se pensare tutto il “tempo” alla faccia di una persona di cui non ricordi niente può annoiare.
Mi rialzai in piedi. Per quello che avevo da fare sarei anche potuto restare seduto, ma mi rendeva più nervoso di quello che non fossi già.
Mi misi le mani in tasca, con le dita che ancora mi facevano male dopo essermi mangiato le unghie fino a farle sanguinare. Perfetto, quindi indossavo dei jeans? Abbassai gli occhi per guardarmi le gambe. Sì, indossavo dei jeans un po’ stinti sulle ginocchia. Ai piedi avevo un paio di scarpe da ginnastica bianche che di bianco avevano ormai poco, e infine indossavo una felpa nera, con il cappuccio e una grande tasca al centro.
Non so perché, ma prima non mi ero reso conto di come fossi vestito, non che m’importasse.
Quindi avevo le mani nelle tasche dei jeans e sapevo come fossi vestito.
Se ci fosse stato un qualcosa (qualsiasi cosa) che spezzasse tutto quel bianco, sarebbe stato già un passo avanti per evitare la mia quasi certa pazzia. Che ne so… magari anche solo la mia ombra? Ah, perché il concetto di ombra lì non esisteva, proprio per niente. Ciò però aveva senso. Infatti per generare l’ombra si deve avere una precisa fonte di luce, no? Ma lì, anche se era tutto dannatamente luminoso, non c’era alcuna sorgente luminosa! Lo so che non ha senso, ma ricordate? Lì niente aveva un senso logico.
Oh, avevo trovato un’altra cosa di cui essere certi. Avevo fame, molta fame. Tutto quel bianco e quella luminosità insensata faceva venire fame.
Ricapitolando: non ricordavo nulla, se non il viso di un ragazzo sconosciuto, ero “lì” dove nulla aveva senso, dove era tutto bianco e luminoso (eccetto me), dove non esistevano suoni e tutto procedeva contro le leggi della fisica, dove non c’era né un “dove” o un “quando”, avevo fame, e per terra era troppo freddo per dormire. Inoltre ero confuso, nervoso, arrabbiato, mi sentivo in idiota e se vogliamo dirla tutta avevo anche un po’ di paura.

 
 
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