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Autore: Ruki    30/06/2008    3 recensioni
Sequel di LOVIN' BASKETBALL.
Due anni dopo.
Uriko Sakuragi è tornata a Tokyo,forse anche per dimenticare.
Come se fosse semplice.
Genere: Romantico, Malinconico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1: The Shadow Of The Day

And the shadow of the day
Will embrace the world in grey
And the sun will set for you

La luce aranciata dell’ennesimo tramonto di città invade il consueto campetto diroccato di periferia, cimelio storico di anni di partitelle disputate in questo luogo. Ogni cosa, qui, dal cemento usurato ai canestri annichiliti sa di storia, e storia vera.
Ho sentito dire che questo rettangolo d’asfalto esiste addirittura dagli anni settanta. Mamma me ne ha parlato una volta, e anche se starla a sentire mentre si fa un tuffo nel passato non è esattamente uno dei miei passatempi preferiti, quando ha iniziato a descriverlo per ciò che questo campetto era quando ancora le retine dei canestri potevano essere definite tali non sono stata capace di far altro se non di ascoltarla avidamente, chiedendomi come sarebbe potuto apparire nella sua perfezione di struttura sportiva appena realizzata.
Kagome ed io ne abbiamo discusso a lungo. Lei pensa che, anche ai suoi tempi d’oro, il nostro amato campetto non dovesse essere un granché. Io, invece, ho voluto dargli una possibilità. Sono sicura che, anche allora, era già il più bel posto del mondo.
E anche oggi, mentre mi accascio per terra dopo un massacrante one on one, respirando a pieno coi polmoni doloranti, condivido con la mia compagna di canestri questa mia convinzione.
-Naaa, tu non ci stai con la testa, Uri-chan…- mi apostrofa lei con una risatina sommessa, gli occhi smeraldini puntati su quella che, fino alla scorsa settimana, era l’ultima panchina utilizzabile rimasta, prima che un deficiente qualsiasi decidesse di sfondarla. –questo posto fa schifo…- Faccio per dire la mia, ma lei prontamente mi interrompe, continuando -…niente a che vedere coi campetti a Kanagawa, eh? Fumie mi ha telefonato proprio ieri dicendomi che ne hanno aperto un altro al pubblico…uno bello grande, e ben curato.-
-ah…un altro…- commento, mentre il mio cuore fa una capriola… -beh, non sarà niente di speciale- aggiungo rapida, giusto perché non mi va di ammettere che i campi da basket a Kanagawa sono a dir poco perfetti. No, non mi va. Perché qualsiasi campo venga calpestato dalle sue scarpe non ha merito di essere definito così.
Kagome mi osserva senza fiatare quando smetto di parlare, e so bene che se mi voltassi incontrerei il suo sguardo accusatore; uno sguardo che sembra dirmi “io lo so perché dici questo”. Uno sguardo che, al momento, non mi va di affrontare.
Ed è per questo motivo che mi alzo, e incateno gli occhi alla palla color del mattone che, immobile, aspetta ai piedi del canestro che io la raccolga e la riponga nella sacca nera. A quella sfera perfetta rivolgo tutta la mia attenzione, e non mi interessa se Kagome mi penserà una maleducata. Con lei, tanto, è sempre così. Si litiga, si, ma è sempre una discussione e via. Niente di cui preoccuparsi. E poi, al momento, non troverei neppure la forza di preoccuparmi. Averlo fatto costantemente negli ultimi due anni mi ha stancata nel profondo, rendendomi insensibile a tutto ciò che mi circonda. Mi sento come un involucro vuoto, niente di più.
-te ne vai di già?- mi domanda Kagome, titubante, mentre dirigo i miei passi là dove la palla sembra farmi l’occhiolino, invitandomi ad agguantarla e a scappare il più lontano possibile; cosa che farei volentieri, perché ho il sospetto che, se restassi qui, Kagome troverebbe il pretesto giusto per parlare ancora di lui, ed è proprio l’ultima cosa di cui ho bisogno, ora come ora.
Perciò, raccolto il pallone mi volto decisa ed annuisco; niente potrà trattenermi qui un minuto di più. Muovo qualche passo determinato ed eccomi già in strada; avverto lo sguardo di Kagome puntato su di me, ma cerco di non farci caso. Non è certo la prima volta che torno a casa prima delle otto; non penso se la prenderà, o almeno, non più di tanto.
Marcio spedita senza guardarmi alle spalle, quindi, e già intorno la sera si fa viva, distendendosi sul marciapiede come un tenue manto ombrato. Un motorino mi passa accanto rombando, il fragore di un clacson d’automobile esplode un po’ più in là.
E le quattro mura sporche che sono la palazzina dove abito si mostrano in tutta la loro squallida monotonia. Odio la mia casa. Ma è quello il mio posto. Giro le chiavi nella toppa et voilà, sono dentro. Un passo solo nella semioscurità dell’ingresso,poi mi appoggio al muro freddo. Fortunatamente il custode è già andato a casa, la gabbiola è vuota. Con un brivido, lascio che il mio cuore rallenti i suoi battiti frenetici. Sono stanca, penso, stanca di doverci ripensare continuamente. Stanca di dover rivivere ogni attimo, ogni secondo, tutto nella mia mente.
Stanca di questa esistenza a metà, sospesa tra quella che era la mia vita a Kanagawa e quella che è ora, vissuta nel ricordo.
Ma è passato ormai del tempo, non dovrebbe essere difficile dimenticare quei volti, quelle risate.

Kaede.


Con un sospiro mi costringo a staccare le spalle dal muro, a procedere verso l’ascensore, ascensore che fin troppo presto arresta la sua corsa, rivelandomi la lucida porta nera di casa.
Al di là di essa mi attende un’altra tediante serata con la mia famiglia.
Che meraviglia...
Suono il campanello, esaltata come lo si può essere ad una veglia funebre, e vengo accolta da mia madre, con addosso un cappellino totalmente idiota; la mia amata genitrice sta canticchiando un motivetto per niente adatto alla serata, una di quelle canzoncine patetiche che si cantano solo ai compleanni…
Non ne vedo l’utilità, non è il compleanno di nessuno. Ma poi, come al risveglio da un sogno, il mondo mi crolla addosso, ed io, un po’ barcollante, mi faccio strada evitando baci e abbracci fino alla porta della mia stanza. Oggi è il compleanno di mio padre, e questo significa doversi sorbire una serata con i miei genitori e tutti i loro amici.
Si salvi chi può.



Qualche ora festosa e chiassosa passa così, fin troppo lentamente, e sfinita, alle dieci e mezza mi rinchiudo nuovamente nella mia camera, al sicuro.
Una serie illimitata di animali di peluche mi osserva silenziosa dalle mensole; alcuni di loro hanno espressioni curiose, altri vagamente inquietanti.
Ma per lo meno adesso avrò un po’ di compagnia come si deve. Lancio una breve occhiata ad una pila immensa di libri sulla scrivania prima di spegnere la luce e distendermi sul letto a guardare le bizzarre stelline fosforescenti appiccicate al soffitto: non ho ancora aperto un libro, nonostante la mia delicata situazione scolastica. E la scuola inizierà tra qualche settimana appena.
Ignorando il pressante senso di colpa mi costringo a pensare ad altro. So che Naromi si è iscritta al mio stesso istituto, e insieme affronteremo l’ultimo anno di scuole superiori. E dire che avremmo già dovuto essere diplomate e tutto… due anni persi di scuola ti cambiano la vita: vedi tutti gli altri andare avanti senza di te, perché tu rimani inesorabilmente indietro. Non è disonorevole, è solo molto triste.
Dopo il periodo passato a Kanagawa, culminato inevitabilmente nella mia prima bocciatura, mi ero fatta forza e avevo affrontato il seguente anno scolastico, cercando di sopportare i miei compagni di classe idioti e le squallide mura grigie di quella che tempo fa ero sicura sarebbe rimasta per sempre la mia ex scuola. Occupavo ancora il mio solito posto accanto alla finestra, per fortuna. La vista del campetto mi sosteneva, giorno dopo giorno. Nel frattempo, facevo esercizi correttivi per la schiena. Ero già stata operata ai piedi durante l’estate, ma la riabilitazione non era certo finita.
Fu un anno tediante, quello, speso a ristudiare cose già studiate. Un anno speso lontano dai campi di basket. Venni promossa senza sbavature, e i miei genitori ne furono particolarmente sollevati. Non era affatto dignitoso avere una respinta in famiglia, come aveva ripetuto spesso mio padre dopo la mia bocciatura, e anche se io stessa conoscevo le conseguenze alle quali questa avrebbe portato, non avevo potuto far altro se non seguitare a disprezzare lui, mia madre che gli dava corda, e mia sorella, la secchiona di casa, che dopo aver saputo la “bella” notizia non faceva altro che guardarmi con aria profondamente compassionevole, come se fossi un’irrecuperabile malata di mente.
Comunque, grazie a questa mia promozione, le cose cominciarono ad andare decisamente meglio: tutti sembravano apparentemente dimentichi del fatto che io, un anno l’avevo già perso.
Le cose, purtroppo, sono precipitate del tutto quest’anno. In Settembre ho riaperto i contatti con le mie migliori amiche di Kanagawa (Chiyako, Ai, Yumi, Nanaka, Yuki, Haruko e Fumie) e spesso ho ricevuto lettere ed e-mail da loro. Yumi in particolare mi ha scritto quasi tutti i giorni, e continua a farlo, con mia grande gioia.
Questo, purtroppo, ha bruscamente risvegliato in me i ricordi mai del tutto cancellati, e applicarsi a scuola è stato difficile, se non addirittura impossibile. A fine anno scolastico mi sono vista costretta a far fronte all’ennesima bocciatura. Ho trascorso questo diciottesimo anno di vita tra sguardi continui di disapprovazione e commenti malevoli fatti sempre e comunque alle mie spalle dalle ragazze del mio corso.
Nessuno aveva mai troppa voglia di parlare con me, ma per fortuna mi rimanevano sempre le mie amiche del campetto e il basket; con la consapevolezza di un avvenire lavorativo ormai distrutto e le costanti brutte notizie che mi giungono ogni giorno da Kanagawa quest’estate mi sono tuffata a capofitto in un allenamento intensivo.
Kagome si allena ancora con me, ovviamente, ma lei tra pochi giorni tornerà ad allenarsi con la sua squadra, e allora addio one on one tra di noi.
E giocare contro sua sorella Ruriko e le sue compagne di classe non è proprio lo stesso…
A parte Fumie, ora residente a Kanagawa, Kagome è l’unica vera giocatrice con cui valga la pena confrontarsi. Con un sospiro porto una mano a cercare l’interruttore dell’antica abatjour posizionata strategicamente sul mio comodino; apparteneva a mia nonna, è un pezzo di deliziosa fattura.
Dolce, una luce rosata illumina il mio letto attraverso la tendina riccamente decorata, e le stelle sul soffitto perdono parte della loro intensità rilucente.
Il mio enorme gattone rosso e peloso si acciambella accanto a me, sbadigliando e serrando meccanicamente i tondi occhi gialli,mentre io allungo una mano sul comodino e la chiudo su un foglio di carta appallottolato.
Si tratta di una lettera di Ai recapitatami dal postino qualche giorno fa, la peggiore lettera che mi potesse mai venire consegnata.
Anche se so già che cosa ci troverò scritto, la spiego risoluta e prendo a leggere lentamente, sperando inconsciamente che il suo contenuto vari.

Carissima Uri-chan,
come va la vita nella capitale?
So che non ti scrivo lettere da molto, ma so pure che Yu lo fa di continuo, e quindi mi sento un po’ meno colpevole, anche perché Nana dice di non fare altro che intasare la tua casella e-mail dalla mattina alla sera ed io le voglio credere (beh, diciamo che le devo credere, sai come è fatta!).
Sicuramente ti sarai chiesta il perché di questa mia mancanza, e tutto quello che ti posso dire è che avevo le mie ragioni.
Chiya-chan non ha fatto che ripetermi che avrei dovuto scriverti per tutta l’estate; sai, abbiamo passato le vacanze insieme in montagna con i miei e i suoi, ma ora siamo tornate a casa, in attesa di cominciare i corsi universitari.
Appena arrivate in città abbiamo incontrato Hanamichi, Yuki e Yohei che bighellonavano davanti alla sala giochi. Certo che manchi davvero tanto a tuo cugino, non fa che parlare di te, e so che vi sentite molto spesso".

Mi abbandono ad un sorriso. Certo che sento molto spesso mio cugino; avverto continuamente la sua mancanza, per me lui è come il fratello che non ho mai avuto, ed è parte integrante del mio mondo.
Mi abbandono per un attimo ai ricordi migliori della mia convivenza passata con il mio rossissimo Hana, ma poi, quell’attimo di distesa contentezza si scioglie come neve al sole. Ricordo esattamente il vero punto di quella lettera. L’ansia si fa nuovamente strada nel mio cuore, e nessuno bel ricordo è in grado di arrestarne l’incedere; tuttavia, il mio sguardo torna a posarsi sulla lettera, dove la calligrafia sinuosa di Ai mi invita nuovamente alla lettura...

Ad ogni modo, cambiando argomento, ora che io, Chiya, Yu, Nana e Kicchan abbiamo lasciato lo Shohoku, la povera Fu (Sai, purtroppo è stata bocciata, ma proprio per un soffio.. una vera iella, guarda.) dovrà vedersela con una serie di matricole attirate dal nostro strepitoso successo tutte pronte a diventare le nuove Kiran Rukawa! Divertente,no? La faranno impazzire, questo è certo!"

Ridacchio appena, immaginandomi Fumie alle prese con tante piccole impacciate Chiyako, ma c’è ben poco da ridere, e lo so. Le cattive notizie sono lì, scritte proprio sotto quell’innocente punto esclamativo, a nascondere malamente gli evidenti segni di almeno quattro differenti cancellature. Dev’essere stato parecchio difficile per Ai scrivere quelle poche, decisive, parole. Quando mi costringo a ricominciare a leggere, mi tremano le mani.

Ma basta, so benissimo che sei ansiosa di sapere perché non ti scrivevo…e ti chiedo di non prendertela con le altre o con Hanamichi o Yuki o Haruko se non hanno voluto dirti niente nelle loro lettere o e-mail, perché è abbastanza comprensibile.
Vedi, quest’anno a scuola abbiamo avuto una nuova compagna, Sakura Kudo. Si è trasferita da Osaka… una menosa insopportabile, Nanaka l’ha adocchiata immediatamente e le ha affibbiato una serie di soprannomi volgari che non ripeterò.
Comunque, fin da subito ha cominciato a ronzare intorno a Kaede.
Noi eravamo tutte più che tranquille, più che altro quello che ci dava fastidio era il modo in cui quella scema trattava noi della squadra. Ci snobbava, diceva che le ragazze non devono giocare a basket, che è decisamente poco elegante.
E poi continuava a dare a Yumi della Gorilla… non che noi non lo facciamo, ovvio, ma sai, lei lo diceva usando un tono abbastanza offensivo.
Yu si è davvero offesa, sai, ha anche pianto; Fumie voleva prenderla a botte a quella là.
Ma si è incazzata ancora di più quando ha scoperto che Sakura è la ragazza di Kaede, e quando ce l’ha detto, Nanaka era talmente incredula e devastata che ha tentato il suicidio. Davvero, io e Fu abbiamo dovuto trattenerla se no si lanciava dalla finestra della classe.
Ma chi la presa proprio malissimo è stata Naromi: in gelateria a momenti si strozza col gelato. Per lei tu e Kaede, anche se non siete mai stati ufficialmente insieme, eravate un simbolo. E adesso pare che lei, Fu e Nana abbiano organizzato una specie di squadra di sabotaggio.
Non le ho mai viste così, fanno paura. Naromi ha detto che non vede l’ora di raggiungerti. Studierete nella stessa scuola, non è vero?
Kiran non dice niente, non sapeva neanche che Kaede avesse trovato una ragazza. Le cose non vanno più come prima tra di loro.
E comunque adesso certo non potrà più controllarlo, dato che è partita di nuovo per il Canada. È andata a trovare sua sorella e suo fratello, e pare che frequenterà almeno il primo anno di università lì a Montreal.
Io, nel frattempo, mi sono comprata un gattino…

Ma del gattino di Ai non mi interessa molto, esattamente come non me ne è interessato affatto quando ho letto questa lettera la prima volta, lettera che accartoccio nuovamente, non prima d’aver lanciato un’occhiata alla sua conclusione:

Spero che non penserai a ciò che hai letto e che se lo farai ci riderai su. Kaede è un idiota totale, Kiran non ha fatto che ripetercelo prima di partire.
E comunque, ricordati che le tre superchicche sono pronte a suonargliele come si deve, a lui e a Sakura, ed io di certo non le fermerò.
Manca una settimana alla partenza di Naromi, e sono sicura che riusciranno a combinare qualcosa nel frattempo.
Stammi bene e rispondimi presto!
La tua amica,
Ai
P.S. Ti ho trovato cinque biglietti per il concerto di Miyavi a Tokyo il 12 Ottobre. Mamma li ha avuti gratis, non te li farò certo pagare! Potresti andarci con Naromi, so che anche lei stravede per quel tipo bizzarro. Chi vi capisce…"

Già, il concerto di Miyavi. Proprio quello che mi serve per distrarmi da un po’. Peccato che al dodici ottobre manchi un’eternità…
Mi tolgo gli occhiali e li appoggio sul comodino. È proprio ora di dormire. Non c’è niente di meglio da fare, dopotutto. E, almeno, potrò anche fare a meno di pensare. Un enorme macigno sembra pesare su di me sempre di più, ogni ora che passa.
Il piccolo display del cellulare si accende nel buio, lampeggiando: è Hanamichi che mi chiama, ma io non risponderò.




Sometimes beginnings aren't so simple
Sometimes goodbye's the only way
And the sun will set for you
The sun will set for you
[The Shadow Of The Day – Linkin Park]






Eccolo qua, il primo capitolo di ES!
Chi di voi si è appassionato alle vicende di Uriko Sakuragi spero lo troverà di suo gradimento. Tutto ciò che vorrei è che commentaste per dirmi cosa ne pensate :3
Ricordate che sto lavorando per me, ma soprattutto per voi^^
Grazie ancora per il meraviglioso supporto che mi avete dato mentre scrivevo LB!
Ma i giochi non sono ancora finiti..la partita deve continuare!
Vi voglio bene, e vi prometto che ne vedrete davvero delle belle.
Ruki
  
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