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Autore: zara94_    15/03/2014    0 recensioni
Cinquanta, la metà di cento. Un voto insufficiente alla maturità.
Cinquanta non è la fine, cinquanta è un nuovo inizio. È fare i conti col proprio passato, per Matteo è suonare di nuovo in una band. Ma cinquanta è anche rischiare per qualcosa di nuovo, per Matteo è conoscere emozioni mai provate prima. Quel cinquanta è ciò che dà inizio a tutto, è scoprire che la musica ha sempre ragione, che due occhi estranei imparano in fretta a indagare nella nostra anima. Cinquanta è ricominciare ad amare anche quando eravamo convinti che il nostro cuore fosse in grado di battere solo a metà.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Uno dei grandi quesiti irrisolti dei più importanti filosofi è: quando l’uomo è realmente completo?
Nessuno potrà mai trovare quella completezza che gli permetterà di affermare senza dubbio: io ho visto e provato tutto ciò che l’universo ci offre. Ma di una cosa ero certo. Non mi importa quali altre strade avrei potuto scegliere; io la mia completezza l’avevo trovata in lei.
 
Dopo 3 settimane Alessandra tornò a casa. Non poteva uscire, quindi cercavo di passare più tempo possibile con lei. Provava a camminare con le stampelle, ma il braccio rotto non le facilitava le cose. Ed era così buffa che mi veniva da ridere e lei si arrabbiava.
 
Quel giorno c’erano le prove con i Monsters, ma prima avrei voluto passare da Alessandra.
Suonai alla porta e mi venne ad aprire David. Dal giorno dell’incidente non ci eravamo quasi scambiati una parola, ma la situazione tra di noi si era calmata. Speravo che Federico avesse confessato la sua colpa.
«Sta in cucina, vieni». Seguii David in cucina, dove trovai Alessandra con gli occhi che le brillavano.
«Matteo!» provò ad alzarsi, ma ricadde sulla sedia. «Credo sia meglio che venga tu» disse rassegnata. Mi avvicinai a lei e la baciai.
«David, hai finito di fissarci?» sbottò Alessandra, divertita. Anche io avevo notato lo sguardo di David.
«Sì scusate» disse ridacchiando. Suonò di nuovo il campanello.
«Ecco fai qualcosa di utile. Vai ad aprire la porta!» disse Alessandra.
Era la voce di Yvonne. Mi sembrava che Alessandra fosse infastidita dalla sua presenza. Mi guardò dispiaciuta, ma la rassicurai: «Non ti preoccupare, tanto io devo andare via». Sorrise.
Arrivò David seguito da Yvonne.
«Yvonne! Ciao!» la salutò.
Yvonne aveva la stessa espressione spaesata che aveva a scuola, quando si sedeva sul muretto.
«Matteo sta andando via. Che ne dici di andare a parlare un po’ su in camera?»
«Sì va bene».
Mi incamminai verso la porta, ma sentivo lo sguardo di Alessandra su di me. Mi ero dimenticato di darle un bacio.
 
Raggiunsi il tendone delle prove. Gianluca e Federico erano già arrivati.
«David non viene?» mi chiese Gianluca.
«Non lo so, penso stia per arrivare» risposi
«Ma non stavi a casa sua?»
«Sì, ma lui stava aiutando Alessandra».
Gianluca non fece in tempo a rispondere, perché David arrivò.
«Scusate il ritardo». Poi mi guardò. «Certo me lo potevi dare un passaggio! Lo sai che il mio motorino non è più degno di essere chiamato tale»
«Non sapevo venissi». David mi guardò senza capire.
«E tipo…chiedere?»
«Vabbè, vogliamo iniziare?!» ci interruppe Federico.
 
Provammo tutto il pomeriggio, cercando di rimediare le giornate perse nelle ultime settimane. Ad un certo punto la mia attenzione fu catturata da una figura familiare che si avvicinava.
«David, quella non è Alessandra?» chiese Federico.
«Quella è proprio una scema!» fu la risposta di David.
Alessandra entrò nel tendone. «Salve a tutti! Lei è Yvonne».
Mi avvicinai per salutarla, ma mi bloccò e mi fece cenno che me l’avrebbe spiegato dopo. Yvonne, intanto, era attratta da qualcosa dietro di me, probabilmente Federico.
«Federico, ti dispiace se Yvonne prova un attimo a suonare la batteria?» gli chiese Alessandra. Yvonne la guardava terrorizzata.
«Ha già suonato» continuò, ignorando le suppliche di Yvonne.
«Ok dai. Vieni» acconsentì lui.
Yvonne si sistemò e prese le bacchette con mano esperta, ma continuando a sostenere di non saper cosa suonare. Fissava la batteria mentre noi fissavamo lei.
Prese fiato e cominciò a suonare. Conoscevo la canzone e il mio piede aveva iniziato a tenere il ritmo. Era bravissima, ma sulle ultime note andò meno decisa. Le lacrime avevano iniziato a scenderle sul volto. Improvvisamente si alzò e se ne andò.
Federico la raggiunse e questo non ci permise di continuare le prove, ma mi permise di andare da Alessandra per chiederle spiegazioni del comportamento di prima.
«Yvonne mi ha confessato una cosa. Te la dico perché mi fido di te, anche se in realtà è una cosa privata» mi rispose lei. Continuava a fissarsi le scarpe, senza dire una parola.
«Dimmela allora»
«Ecco, le piaci. Mi ha chiesto di aiutarla a “dimenticarti” quindi evito di baciarti davanti a lei. A me darebbe fastidio». Mi guardava con occhi colpevoli. «Non glielo dire che te l’ho detto».
«Ti ha chiesto di aiutarla a dimenticarmi e l’hai portata qui?»
«Bhè Federico è la prima persona che mi è venuta in mente di presentarle. Solo qui l’avrei potuto trovare. E comunque non mi sembra che stia andando tanto male». Diede una sbirciatina a Federico e Yvonne, prima di continuare: «E noi che facciamo?»
«Io devo continuare a provare, ma se vuoi ti posso accompagnare a casa»
«Oddio, tu muovi le tue chiappe per fare un favore a me?!» chiese ridendo.
«Non fare la sarcastica, signorina» le risposi, lanciandole un’occhiataccia.
«Nono, aspetta! Cioè ascoltate tutti!» si rivolse a David e Gianluca. «Matteo ha detto che se voglio mi accompagna a casa!». Finsero di essere sorpresi.
«Addirittura!» esclamò David.
«Avete finito tutti quanti? Quanto a te!» dissi voltandomi nella sua direzione e puntandole il dito contro. «Torni a casa a piedi!».
«Ok, ciao!». Si incamminò verso l’uscita, zoppicando a causa del gesso. Mi faceva ridere.
«Sali in macchina, stupida».
 
Accompagnai Alessandra a casa e tornai a fare le prove. Yvonne e Federico avevano finito di parlare e questo ci permise di ricominciare a provare. Ad un certo punto ci fermammo perché David non riusciva più a suonare a causa della fasciatura alla mano.
«Scusatemi, ma mi fa male» disse lui, scusandosi. «Casomai riproviamo domani».
«Riposati e quando ti senti pronto di nuovo ricominciamo» gli disse Gianluca. «Non importa se saltiamo una settimana di prove, l’importante è che arrivi sano e salvo al contest!».
Misi apposto la chitarra e mi avviai verso la macchina. Yvonne si guardava intorno spaesata.
«Ti serve un passaggio?» le chiesi.
«No vabbè, non ti preoccupare». Non sembrava molto convinta.
«Ti avrei accompagnato io, se avessi avuto un casco in più» disse Federico con rammarico.
«Dai, vieni. Non ci sono problemi per me» le dissi, cercando di farle capire che quello che dicevo era la verità.
Mi seguì, ma, una volta arrivati alla macchina, aprì lo sportello posteriore. Era veramente strana.
«Ti fa schifo sederti vicino a me?» le chiesi. Diventò tutta rossa e cercò di farfugliare parole. Poi rinunciò, aprì lo sportello anteriore e si sedette vicino a me.
 
Dopo aver accompagnato Yvonne, tornai a casa di Alessandra per passare un po’ di tempo con lei. Mi aprì la madre e mi salutò dicendomi: «Lo so che ‘sta volta non sei venuto per David!». Le sorrisi e andai in camera di Alessandra.
Sembrava che fosse scoppiata una bomba. C’erano vestiti ovunque, alcuni divisi in pile, altri sparsi a casaccio.
«Vuoi una mano?» le chiesi, quando la vidi portare una pila di vestiti in bilico sull’unica mano che aveva a disposizione.
«Anche due, tu che puoi!». Presi le due pile di vestiti che rimanevano.
«Puoi anche portarne una alla volta, non vorrei piegarli di nuovo tutti da capo»
«Sei stata tu a ricordarmi che ho due mani!».
«Spiritoso, se li fai cadere li ripieghi tu».
«Ma non abbiamo finito?». O almeno così mi sembrava. Evidentemente mi ero sbagliato, perché si mise a ridere.
«Questo è quello che pensi tu! Dobbiamo prendere le buste e metterci dentro i vestiti»
«E poi? Che ci fai con tutti questi vestiti?!»
«Non so. Pensavo di darli a Yvonne. La maggior parte delle volte viene vestita con degli abiti messi e rimessi»
«Già, l’ho notato anch’io». Si avvicinò alla porta, ma non mi andava di uscire. Glielo dissi: «Dobbiamo consegnarglieli proprio oggi?».
«Non lo so. Non so se è a casa» mi rispose lei. «Vabbè non fa niente. Ormai si è fatto tardi e non mi va di uscire» aggiunse.
Ero sollevato, ma c’era qualcos’altro che ancora non le avevo detto e che non volevo nasconderle. La guardai e capii che era l’unica persona che mi avrebbe ascoltato senza giudicarmi. Di lei potevo fidarmi.
«Il 12 marzo abbiamo la prima tappa del contest» dissi tutto d’un fiato.
«Eh bhè! Non sei contento?! Cavolo Matteo hai una faccia come se avessi appena visto un fantasma!»
«Sì certo che sono contento».
No. Non ero pronto a tirar fuori cose che per troppo tempo si era insediate dentro di me.
«Ma…?»
«Niente ma. Era solo a titolo informativo».
Alessandra mi guardava, aspettando che dicessi qualcosa. Si fermò a guardarmi i piedi.
«Perché mi fissi i piedi?»
«Quei calzini non si possono guardare».
«Che hanno di sbagliato?»
«Se indossi i pantaloni corti, non puoi metterti i calzini lunghi». Ero contento che avessimo cambiato discorso.
«Perché?»
«Perché stanno male!»
«E chi lo dice questo? Dove sta scritto che con i pantaloni corti vanno i calzini corti?»
«Ma da nessuna parte, è una cosa che si sa!». Rise.
«Ma guarda un po’! Che mi frega a me dei calzini che mi metto! Chi mi sta a guardare i piedi?»
«Nessuno, ovvio! Ma è una cosa che risalta agli occhi, specialmente se te li metti bianchi!»
«Vabbè dai, la prossima volta li metterò neri»
«La prossima volta ti metti i fantasmini».
Sbuffai. Era testarda quasi quanto mia sorella. Quasi.
 
«Hai fame? Perché io sto morendo!». Annuii.
«Vuoi mangiare qui? Chiedo a mamma se aggiunge un posto a tavola»
«Tua madre non c’è. E neanche tuo fratello. Ci sono io a farti la guardia»
«Dove sono andati?» chiese lei, sorpresa.
«E che ne so io, sei tu che abiti in questa casa»
La cosa non doveva turbarla molto, perché subito dopo aggiunse: «Cosa mangiamo, quindi? Ti avverto! Non sono una brava cuoca»
«Bene. Direi che la cosa migliore è ordinare qualcosa. A meno che tu non voglia uscire»
«Possiamo prendere le pizze e portarle qui» propose e si avviò a spasso spedito verso la porta. «Ehm, Alessandra?»
«Dimmi»
«Sei proprio sicura di voler uscire in pigiama?».
 
Eravamo quasi arrivati a casa, quando Alessandra propose di andare a mangiare al Colosseo. Non c’era ancora tanta gente in giro la sera, quindi ci sedemmo sul prato di fronte al Colosseo e iniziammo a mangiare le nostre pizze.
Dopo un po’ mi appoggiò la testa sul braccio. Lo faceva sempre anche Claudia. Mi dava fastidio ricordarla, ora che ero con Alessandra, ma stetti zitto, perché non potevo dirle niente.
«Scusami, non riesco a mangiare» dissi invece.
«Romanticismo saltami addosso!» disse lei e si scansò. Si era offesa, ma almeno avevo ottenuto il mio scopo.
«Dai, non essere permalosa! Mi hai portato qui a mangiare e poi ti appiccichi come un koala!» le dissi, cercando di sorriderle per farle capire che stavo scherzando.
«Non ti va di stare qui?» mi chiese.
«Certo che mi va, altrimenti te l’avrei detto. Perché?».
«Dalla risposta che mi hai dato prima sembrava che volessi stare da  tutt’altra parte»
«Perché? Che ho detto?»
Sorrise, scostandosi la frangetta da davanti gli occhi. «Niente, lascia perdere. Se non te la ricordi significa che hai parlato senza pensare. Meglio così».
Tornai a mangiare la mia pizza.
  
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