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Autore: Bill Kaulitz    15/03/2014    1 recensioni
«Sai, Tom, c’è un vecchio mito giapponese...e dice che: se due amanti sfortunati commettono un suicidio, si reincarneranno come gemelli.» fece una pausa. «Ed io sono convinto che, quei due amanti, quei due gemelli, siamo proprio noi due.» - Questa è una FF twincest quindi, se non gradite il genere, siete pregati di non leggere. Peace&Love Thanks!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ti ricordi di me?'
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- Capitolo 3 -

Dicembre 2004

Tom era seduto a gambe incrociate sul tappeto marrone del salotto, stava sfregando le mani davanti al caminetto. Di tanto in tanto guardava fuori dalla finestra: nevicava ancora molto forte. Si mise in piedi, facendo pressione su di una mano per potersi alzare e si diresse verso la finestra ad ammirare la bufera di neve. Poggiò entrambi i gomiti sul piano di sostegno in marmo bianco e si mantenne il mento con le mani, guardando in seguito fuori dalla finestra. Il vento era fortissimo e i fiocchi di neve battevano con violenza contro il vetro, e nell’aria si alzava un turbine bianco che gli impediva di vedere in fondo alla valle, complice anche il buio. L’unica cosa chiara che poteva notare era la macchina dei genitori completamente sepolta dalla neve, illuminata dal lampione posto sul ciglio della stradina che conduceva a casa loro. Tom, così come suo fratello, adorava la neve. Quella stessa mattina della vigilia di Natale, erano rimasti fuori quasi tutto il giorno, in attesa dell’arrivo dei parenti. Quando poi ripensò a ciò che era successo, il suo stomaco fece una capriola e cominciò nuovamente a sentire al suo interno le farfalle che svolazzavano felici e beate. Restò a fissare un punto qualunque, poi la sua mente si resettò per un attimo, riportandolo a quella mattina.

Quella stessa mattina

«Tom! Giuro che se mi vai a tirare un’altra volta una palla di neve ti pentirai di avermi come fratello.» Bill cercava di ripararsi dietro ad un albero mentre Tom, invece, cercava in tutti i modi di colpirlo con una palla di neve. Più volte c’era riuscito.

«Esci fuori allo scoperto se hai il coraggio!» disse con un tono di sfida, accumulando vicino ai suoi piedi abbastanza neve da poterci fare un pupazzo. Bill non si voltò. Restò con la schiena appiccicata al tronco di quel pino, con le mani lunghe sui fianchi, respirando pesantemente. Dalla sua bocca uscivano una serie di nuvolette di condensa, mentre le sue gote, così come il naso, erano di un rosso vivido a causa del freddo. Il cappello di lana vergine, la sciarpa, i guanti, le due maglie, il maglione, il pantalone in tessuto pesante e gli scarponi da neve, cominciarono a dargli fastidio. Si sentiva leggermente impedito nei movimenti e se fosse dovuto scappare per non essere preso dalla furia omicida del fratello, di sicuro sarebbe inciampato non poche volte.

 Lasciò passare una manciata di minuti, ma Tom non si stava facendo sentire. Si sarà forse arreso? Pensò successivamente. Fece capolino da dietro l’albero, ma nemmeno il tempo di mettere a fuoco la situazione che una palla di neve lo colpì in pieno volto.

«Ahia!» Bill strizzò gli occhi più forte che poté per non far entrare dei fiocchetti di neve dentro gli occhi. Serrò la bocca e storse il naso in un’espressione tra il dolore e la rabbia. «Sei un idiota!» urlò successivamente, racimolando tutta la neve che poteva, per poi sollevarla con le braccia e lanciarla verso Tom. Andò dappertutto, tranne che sul fratello.

«Sei una pizza, Bill!» Rise Tom, mettendosi in ginocchio e cominciando a ridere tenendosi lo stomaco fra le braccia. Bill lo fulminò con lo sguardo. Strinse forte i pugni e si mise a correre verso di lui per poi farlo cadere. Cominciò a dargli tanti piccoli schiaffetti sulla testa, senza fargli realmente male. Non si rese conto che era sopra di lui, a cavalcioni.

«Non è giusto, spetta sempre a te tutto il divertimento. Io devo sempre prendermi la neve in faccia. Uffa! Uffa!» continuò a ‘picchiare’ Tom come se stesse scacciando via le mosche. Tom non la smetteva di ridere. Bastò mettersi le mani davanti al viso per non farlo colpire da quelle manine così delicate. D’un tratto, bloccò gli esili polsi di Bill con una presa ferrea ma delicata nello stesso momento. Per una manciata di secondi si guardarono intensamente negli occhi, senza dir nulla. L’uno era perso nello sguardo dell’altro. Bill era rimasto immobile, a cavalcioni su Tom. Si sentivano solo i loro respiri e di tanto in tanto, lo stridere dei pneumatici sull’asfalto ghiacciato.

«Tom?»

«Mh?»

«Mi sta battendo forte il cuore.» Bill avvampò in un batter d’occhio.

«A me fa male lo stomaco.» affermò successivamente Tom. «È come se un mucchio di farfalle vi stesse svolazzando freneticamente felice e contento. »

«Che cosa vuol dire?»

«Non lo so» Tom continuava a tener stretti i polsi di Bill fra le sue mani. Ogni tanto distoglieva lo sguardo dal suo e fissava un albero, o un mucchietto di neve racimolata per fare un pupazzo di neve, poi lo riguardava di nuovo. «È come se dovessi vomitare.»

Bill continuava a fissare Tom negli occhi ma poi, involontariamente e inaspettatamente – per quanto inaspettato potesse essere – il suo sguardo si posò sulle labbra rosee e carnose del fratello. Oh cazzo! Distolse rapidamente lo sguardo, sperando che Tom non se ne fosse accorto. Sbagliato.

«Cosa c’è?»

«Mi dispiace. Non volevo!» fece per alzarsi, ma Tom glielo impedì rafforzando la presa. «Ti prego, fammi alzare!» riprovò facendo leva sulle ginocchia, ma non si spostò di un centimetro.

«Vedi che non sono uno stupido.» Bill continuava a divincolarsi per poter liberare le proprie mani; ma Tom non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare.

«Tom, per favore.» voltò lo sguardo dall’altra parte per non commettere lo stesso errore di prima ma Tom, lasciando libero un polso del fratello, portò il pollice e l’indice al mento di Bill per farlo nuovamente girare verso di sé.

«Guardami.» sussurrò, facendo lievemente pressione sul mento del fratello. Bill oppose leggermente resistenza. «Guardami, Bill!»

Così fece. Bill voltò leggermente lo sguardo verso quello del fratello, perdendosi nuovamente fra quegli occhi nocciola così profondi e chiari.

«Bill, ti ho detto di guardarmi!»

«Ma lo sto facendo!» disse poi, confuso.

«Non così.» sorrise lievemente. «Come prima. Guardami come prima.» arrossì improvvisamente e Bill avvampò in un lampo. Sgranò gli occhi e si morse quasi a sangue il labbro inferiore. Se n’è accorto, pensò. Tom lasciò anche l’altro polso ed andò ad accarezzare leggermente una guancia arrossata del fratello. «Ti prego, fallo ancora.» sussurrò poi. Bill abbassò prima lo sguardo, fissando il manto bianco di neve alla sua destra, dopodiché tornò a guardarlo nello stesso modo in cui lo guardò prima. Tornò a fissare le labbra per una manciata di secondi e prima che potesse dire qualcosa Tom, con un colpo di reni, si sollevò abbastanza da poter congiungere lievemente le labbra con quelle di Bill.

*

«Thomas? Ma non ci senti? C’è un’ordinazione al tavolo 20. Stanno aspettando da cinque minuti. Sei con noi o no?» un suo collega lo fece tornare alla realtà. Per un attimo si era perso nei suoi pensieri. Aveva avuto un’allucinazione o stava sognando ad occhi aperti? Cos’era quella ‘visione’? «Tom!!!» Gabriel lo chiamò ancora e Tom rinvenne del tutto.

 «Scusami! Ero sovrappensiero» disse Tom, prendendo il block-notes per poi dirigersi verso il tavolo 20, dove sedeva un uomo sulla cinquantina.  «Vuole ordinare?» Tom si accinse a prendere appunti. L’uomo ordinò della zuppa di ceci, bistecca al sangue e un caffè. Serve altro? No. Si scusò per l’attesa, l’uomo fece un cenno disinteressato con la mano come per dire che gli non importava.

«C’è molta gente, oggi.» disse poi l’uomo, mentre Tom si accingeva ad andare verso il retro del bancone per prendere ciò che aveva ordinato.

«Sì! Davvero molta!» concluse lui, mettendo il block-notes nella tasca posteriore del jeans una volta che aveva strappato il foglietto con su scritto ciò che l’uomo aveva richiesto.

Andò dietro il bancone per vedere se ci fosse ancora della zuppa di ceci. Fortunatamente notò che ce n’era ancora un po’. Con l’aiuto di un mestolo versò tutto il contenuto rimasto in un piatto. Nel frattempo, aveva messo la bistecca a cuocere sui ferri. L’avrebbe lasciata lì poco più di cinque minuti poiché l’uomo la voleva al sangue. Quando anche il caffè fu pronto portò in equilibrio su una sola mano il vassoio con tanto di scontrino fiscale e dessert alla frutta al cliente. Allo sguardo scettico dell’uomo Tom rispose che il dessert alla frutta lo offriva sempre la casa. Forse perché faceva davvero schifo e nessuno lo ordinava; così il direttore decise di metterlo come ‘omaggio’ Ecco a lei, sono 25 euro

L’uomo lo ringraziò con un cenno del capo e gli dette una banconota da 50 euro aggiungendo che poteva tenere lui il resto. Tom sgranò gli occhi: non avrebbe mai immaginato che qualcuno potesse dargli 25 euro di mancia. Ringraziò cordialmente – per quello che n’era capace – l’uomo e mise la banconota in tasca. Avrebbe cambiato in seguito i soldi. Mentre stava per andare, l’uomo l’afferrò improvvisamente per il polso. Tom lo guardò perplesso.

«Cosa vuole?» L’uomo, coperto in volto da un berretto con la visiera, alzò leggermente lo sguardo verso il petto di Tom per poter leggere l’etichetta con il suo nome. Thomas Trümper. L’espressione dell’uomo si tramutò in un ghigno; non voleva essere malevolo, ma era pur sempre un ghigno.

«Tom…» bisbigliò successivamente l’uomo, Tom non lo sentì nemmeno. Essendo più forte, con uno strattone si liberò facilmente dalla presa ferrea dell’uomo. Senza aggiungere altro, Tom lo fulminò con gli occhi e per non rischiare il licenziamento, non gli sferrò un bel pugno in pieno viso. Indurì la mascella e augurò all’uomo ‘buon appetito’. L’uomo non rispose, ma mentre mangiava, aveva sempre sul viso quel ghigno divertito che a Tom cominciava a dar fastidio. Preferì non fare cazzate. Schioccò la lingua, e con aria di superiorità tornò al suo lavoro.

Ma che cazzo voleva? Pensò, mentre prendeva altre ordinazioni. Di tanto in tanto, lanciava qualche occhiata furtiva a quello strano individuo che a quanto pareva, non era più interessato a mangiare il suo pranzo visto che smanettava furtivamente il suo cellulare come se stesse scrivendo un messaggio. Tom lo guardò ancora un po’, riducendo gli occhi a due piccole fessure per concentrarsi e cercar di capire qualcosa, senza però riuscirvi. Una volta finito il messaggio, si alzò dal tavolo facendo stridere la sedia sul pavimento. Rumore attutito dal forte vociare della gente. Tom tirò un sospiro di sollievo quando lo vide aprire la porta e andarsene via.

 

Ore 17:30

Mancava ancora una buona mezz’ora prima che il suo straordinario finisse. La gente, a differenza delle tre di pomeriggio, era decisamente meno… ma c’era. Ordinavano per lo più caffè e brioches, oppure latte e una fetta di torta, o ancora cioccolata calda. Tom era intento a preparare un caffè e a tagliare una fetta di torta alle pesche. L’ordinazione era da parte di una ragazza piuttosto bruttina. L’osservò da dietro al bancone storcendo leggermente il naso: aveva i capelli rossi – tinti – incollati alla testa probabilmente con una tonnellata di lacca. Il codino le scendeva lungo la spalla destra, ed anch’esso aveva l’aria di essere alquanto ‘unto’ dalla gelatina o dalla lacca. Scosse il capo per evitare di pensare altre cattiverie su quella povera ragazza; prese il vassoio e vi poggiò il piatto con la fetta di torta, il caffè e – com’era solito suo fare – lo scontrino fiscale sotto la tazzina.

«Ecco la sua ordinazione.» posò il vassoio sul tavolo e aspettò che la ragazza gli desse il conto. «Sono 4,50 euro.» aggiunse successivamente. La ragazza prese lo scontrino, lo guardò. Ti ho detto che sono 4,50 euro, stronza. Cosa cazzo guardi lo scontrino? Pensò Tom, irritato dal fatto che la ragazza non gli avesse dato fiducia. Cominciò a frugare nella borsa in cerca del suo borsellino. Dopo una manciata di secondi lo trovò, estraendo poi una banconota da 5 euro.

«Tieni pure il resto.» disse poi la ragazza, senza nemmeno guardarlo negli occhi. Cozza! Disse Tom fra sé e sé afferrando la banconota da 5 e mettendola in tasca. Quel giorno aveva guadagnato in più ben 25,50 euro.

 

Si avviò verso l’auto; ormai erano le sei passate. Mentre camminava scalciava di tanto in tanto qualche sassolino. Si incaponì con uno in particolare... di quel passo, senza dubbio, se lo sarebbe portato fino alla macchina. Aveva le mani in tasca, e il capo chino; a volte si stringeva nelle spalle per il freddo.  Alzò lo sguardo sulla croce verde di una farmacia lì vicino: segnava -8 gradi. Piuttosto freddo per essere primavera. Il pensiero gli tornò a quell’uomo. Che cosa voleva da lui? Lo conosceva forse? Si stava torturando il piercing al labbro, in cerca di una risposta che però non arrivò.

«Sicuramente mi avrà scambiato per un’altra persona.» concluse poi ad alta voce; cercando di darsi pace con quella soluzione e riuscendo così a tranquillizzarsi, più o meno. Una volta arrivato all’auto, smise di scalciare il sassolino. Restò a fissarlo qualche altro secondo prima di aprire lo sportello ed entrarvi senza troppi indugi.

 

«Mamma, sono a casa!» urlò, chiudendo dietro di sé la porta a vetri e appendendo sull’appendiabiti il cappotto e la sciarpa «Accendo i termosifoni, fa un freddo cane e si gela.» disse, prima di avviarsi verso la caldaia e di girare al massimo la manovella della stessa per poter riscaldare l’abitazione, talmente fredda da sembrare più un igloo che una casa di città.

«Mamma, ci sei?» ripeté, non avendo prima ottenuto risposta. Si sfregò le mani e vi soffiò sopra, dopodiché salì le scale e provò a cercarla. «Mamma? Sono tornato!» si avvicinò alla porta del bagno e sentendo il rumore dell’acqua che scorreva, pensò si stesse facendo una doccia e decise di bussare.

«Ehi, Tom, sei tu? Vieni, entra pure!» rispose una voce bianca, delicata, piacevole da ascoltare. La voce di Simone era tra le più belle in assoluto. Ora si spiegava Tom il perché, quando era bambino, si facesse leggere ogni notte, prima di addormentarsi, una storia dalla mamma. O almeno, così lei gli diceva.

«Mamma, ti ho chiamato più di una volta.» sospirò, mentre richiudeva la porta dietro di sé per non far entrare freddo nella stanza.

«Ti chiedo scusa, non ti ho davvero sentito.» chiuse l’acqua e aprì di botto la tendina della doccia.

Tom divenne paonazzo, tanto da confondersi con il tappetino sotto la vasca e le mattonelle del bagno. Girò rapidamente lo sguardo dall’altra parte prima che Simone potesse vederlo.

«Dio mamma, per piacere, mettiti qualcosa addosso, non sono più un bambino!» si mise una mano sugli occhi e le porse l’asciugamano. Simone l’afferrò rapidamente, imbarazzata per l’accaduto, e si avvolse come uno strudel alle mele. «Perdonami tesoro, è che non sono abituata a vederti così grande. Delle volte dimentico che non sei più il bambino di una volta. Sei un uomo oramai e…» si bloccò d’un tratto, guardando fisso davanti lo specchio che in quel momento stava riflettendo la sua immagine sfocata e opaca per la condensa formatasi.

«Qualcosa non va, mamma?» Tom si alzò dalla tazza sulla quale si era precedentemente seduto, dandosi una spinta con le braccia e facendo leva sulle ginocchia. Si avvicinò a lei e le mise una mano sulla spalla. Simone, di riflesso, sovrappose la sua a quella del figlio e la strinse forte. Guardò l’immagine riflessa di Tom dallo specchio; gli sorrise tristemente, per poi voltarsi verso il figlio e abbracciarlo forte.

Tom rimase dapprima immobile con le braccia lunghe per i fianchi, poi decise di ricambiare l’abbraccio.

«Ti voglio bene, Tom. Non dimenticartelo mai, okay? Qualsiasi cosa succeda in futuro, sappi che l’ho fatta solo ed esclusivamente per il tuo bene.» Tom non capì. Si allontanò leggermente da Simone, giusto quel tanto per guardarla negli occhi e notare che stava piangendo.

«Mamma, che succede? È successo qualcosa a lavoro?» le accarezzò la guancia, asciugandole una lacrima che tristemente, le stava rigando il viso.

«No, Tom, sta tranquillo. Sono solo stanca e stressata.» lo rassicurò, sorridendogli e prendendogli il viso fra le mani, stampandogli successivamente un casto e sonoro bacio sulla guancia «Sei il mio bambino.» disse infine, per poi prendere i vestiti puliti e andare in camera sua.

 

«Tom, per favore, potresti andare a comprarmi queste cose al supermercato mentre preparo la cena? Non farmi uscire… andresti?» disse Simone dal piano di sotto, sventolando per aria un foglietto stropicciato come se Tom lo potesse vedere, probabilmente la lista della spesa. Tom non si degnò nemmeno di risponderle: in camera sua era ed in camera sua sarebbe rimasto. Era disteso sul letto con il portatile sulle gambe, a chattare con una ragazza bulgara su Facebook.

«Tom, mi hai sentita?» ripeté stizzita Simone, cominciando a salire un gradino dopo l’altro, fino ad arrivare alla porta chiusa della camera del figlio. Un cartello affisso sul davanti faceva capire nettamente che in quel momento non voleva assolutamente essere disturbato. Simone bussò ripetutamente sulla porta, infischiandosene del cartellino ‘Don’t Disturb’ affisso sul pomello della porta, fino a farsi male alle nocche, e finalmente dopo un’infinità di minuti Tom decise di alzare il culo dal letto e aprire la porta della sua stanza, girando due volte la chiave.

«Ti sto chiamando da più di dieci minuti e sono qui fuori da non so quanto. Hai sentito quello che ho detto?» Tom fece una smorfia e si stropicciò gli occhi, dopodiché fece uno sbadiglio così grande da far scorgere la sua ugola.

«No mamma, non ti ho proprio sentita. Dimmi, cosa c’è?» disse, fingendosi assonnato e poggiandosi sullo stipite della porta con la spalla e incrociando le braccia al petto. Simone lo guardò con un sopracciglio alzato porgendogli poi il foglietto con una notevole quantità di cose da comprare. «Dio, mamma, ti prego, sono una marea di cose!» esclamò, dando una rapida occhiata alla lista, ma una cosa in particolare lo colpì maggiormente. «TAMPAX?!» urlò, spalancando gli occhi, sobbalzando «Non ti comprerò mai quei cosi, mamma. Insomma, è troppo imbarazzante. Non lo farei neanche sotto tortura. »

Simone scoppiò a ridere e dette uno schiaffo sulla sua spalla, dicendogli che sarebbe andata lei a prenderli un’altra volta. Aggiunse però che ciò che era scritto era davvero importante averlo subito. Tom sbuffò pesantemente, per poi chiudersi dietro la porta mormorando un okay svogliato. Mise il foglietto sulla sua scrivania e aprì l’armadio prendendo una camicia nera, un maglioncino bianco col collo a ‘V’, un jeans bianco sporco e li lanciò sul letto, dirigendosi poi in bagno per farsi una doccia.

 

Chiuse la porta con il piede e mise lo stereo ad alto volume per vestirsi. Si sfilò l’accappatoio e lo lasciò cadere per terra. Prese la camicia e l’abbottonò fino al colletto, poi prese il suo maglioncino preferito e se lo infilò accuratamente, facendo attenzione a non scompigliarsi i dreadlocks che aveva da poco sistemato

«Tom!» urlò una voce dal piano di sotto. «Non devi mica farti bello per andare al supermercato sotto casa. Sbrigati prima che chiuda!» In quel momento Tom bestemmiò in tutte lingue che conosceva. Non fece molto caso alla madre e continuò a fare tutto con la massima calma possibile.

Tom odiava molte cose, e una di queste era proprio andare a sbrigare delle odiosissime commissioni cui la madre lo costringeva: non erano adatte ad un uomo, bensì ad una donna.

Solo dopo aver fatto urlare per la quarta volta Simone, Tom decise di scendere dalla sua camera.

«Pensavo fossi caduto nella tazza del cesso, vista la flemma che hai avuto.» disse Simone, porgendogli una banconota da venti euro. «Si può sapere dove devi andare? Hai per caso un appuntamento? Ti sei messo per caso mezza boccetta di acqua di colonia? Emani un profumo così penetrante che persino un morto riuscirebbe a sentirla.» continuò poi, storcendo il naso, facendo capire a Tom che forse aveva un tantino esagerato con l’acqua di colonia. Tom avvicinò il naso appena sotto l’ascella e inspirò. L’odore fu talmente tanto forte che gli venne da starnutire. Simone scoppiò a ridere.

«Ma dico io, perché ti sei conciato in questo modo solo per andare a fare la spesa?»

«Alle dieci mi viene a prendere Andreas. Andiamo a ballare.»

«Non sei già andato ieri sera?»

«Ci vado tutti i giorni.» prese la banconota da venti e la mise in tasca senza aggiungere altro. Uscì di casa diretto al supermercato che fortunatamente era dietro l’angolo. Dovette semplicemente scorgere il capo per vedere se fosse chiuso. Era aperto. Che palle. Pensò, sbuffando in seguito. Accelerò il passo, sebbene fossero appena le sette e mezzo. Non aveva ancora cenato. Mi prenderò qualcosa al panificio più tardi. No.. La mamma avrà già cucinato… si arrabbierà.

 

«Sono 19,20 euro.» la ragazza della cassa finì di passare tutta la spesa e attese che Tom le pagasse la somma. Tom infilò la mano in tasca e prese la banconota da venti porgendola alla ragazza. Era davvero molto, molto carina. Un po’ troppo magra forse, per i sui gusti. E non aveva un briciolo di seno. Peccato. Aveva i capelli di un colore nero corvino legati a coda di cavallo, gli occhi erano di un color nocciola intenso, molto simili ai suoi, forse un po’ più chiari, ed erano leggermente truccati con un po’ di mascara; le labbra erano molto carnose, proprio come le sue. Luccicavano per il gloss. Avrebbe giurato che fosse alla frutta. Alla ciliegia per la precisione. Il colore rosato che rilasciava sulle sue labbra lasciava intendere solo quello. Dopo tutti i lucidalabbra che aveva ‘assaggiato’, ormai poteva definirsi un buon intenditore. La ragazza prese delicatamente il denaro e chiese gentilmente se avesse venti centesimi. Tom scrollò le spalle, assottigliò le labbra e scosse il capo. Niente, mi spiace. Mentre la ragazza digitava il codice per aprire la cassa, Tom cercava in tutti i modi di vedere il cartellino appeso al camice bianco e azzurro della ragazza per poter sbirciare il suo nome. Riuscì ad intravederlo: Valerie. Non appena la ragazza prese il resto, si girò totalmente verso di lui. Sorrise non appena riuscì a leggerlo del tutto, compreso il cognome: Valerie Kaulitz. Continuò a sorridere. La ragazza si guardò intorno con aria perplessa.

«Le serve altro?»

Tom sorrise ancora di più. Stava facendo la figura dello stupido. Per fortuna si ricordò quello che successe la mattina al fast-food. Ma quella ragazza non sembrava poi così giovane… forse avrebbe avuto diciotto, massimo diciannove anni. Rientrava nella sua ‘fascia d’età’.

«Le serve altro?» ripeté, con tono cordiale. Tom socchiuse gli occhi e scosse il capo.

«No. Stavo semplicemente ammirando quanto fossi bella.» L’ho detto per davvero? La ragazza divenne improvvisamente rossa, quasi da confondersi con il golfino che portava indosso sotto il camice. Cominciò a guardarsi intorno, come aveva fatto in precedenza. Non diede molta importanza a ciò che disse Tom visto che un’anziana signora cominciò a schiarirsi la voce per far intendergli che stava letteralmente bloccando la fila. Tom la guardò in cagnesco, ma non poteva dire nulla. Sbuffò pesantemente, prese la busta della spesa e dopo aver guardato per un’ultima volta la ragazza – notando che anche lei lo stava fissando – decise di fargli l’occhiolino, aggiungendo anche un sorriso ammaliante. Questa volta, Valerie Lo ignorò completamente.

 

Una volta tornato a casa, erano le 19:30. Simone l’attendeva in sala da pranzo, dove aveva già – come aveva supposto Tom – preparato la cena. Toast, uova e piselli. Simone sorrise non appena vide il figlio con la busta della spesa; lo ringraziò dandogli un sonoro bacio sulla guancia.

«Grazie mille, figliolo. Vieni, è pronto!»

Poggiò la busta della spesa sul piano da cucina, l’avrebbe sistemata in un secondo momento. Andò nella sala da pranzo – dove Tom era già seduto al suo posto –. Tom prese una fetta di toast, due uova e un paio di cucchiai di piselli. Adorava i piselli.

«Tra quanto tempo viene a prenderti Andreas?»

Tom fece spallucce e addentò il cucchiaio colmo di piselli. Contemporaneamente diede un morso al toast. Le uova le lasciò per ultime. «Abbiamo della senape?» disse con il boccone pieno. Simone annuì, si alzò da tavola ed andò a prendere il barattolo della senape.

«Non credi sia poco salutare per uno che tiene molto alla sua salute?» Tom scoppiò a ridere. «Cosa?» chiese Simone, non capendo il perché di quell’improvvisa risata.

«Mamma, io posso mangiare, bere, fumare qualsiasi cosa… sono in piena forma. Ho un fisico da far paura. Guarda!» posò la forchetta sul tavolo e pompò leggermente il petto, poi fu la volta dei tricipiti e bicipiti. Simone scosse la testa e sorrise.

«Sì okay. Ma io avrei qualcosa da ridire sul bere e fumare. »

«Mmh! Non rompere.» disse ironico Tom, facendo un gesto con la mano. «Sono sano come un pesce…» fece una breve pausa. «Nonostante tutto quello che ho passato. Sono sano come un pesce.» l’ultima frase fu come più di un sussurro. Simone lo guardò con occhi compassionevoli. Allungò la mano sinistra libera poggiandogliela sul polso, e lo strinse forte come per dargli coraggio.

«Ti ho messo le pillole sul comodino della tua camera. Non appena finisci di mangiare prendile. Okay?» Tom non la guardò nemmeno negli occhi. Quelle pillole erano orribili. Facevano più che schifo. Ma per guarire erano utili. Anche se, secondo lui, bastava solo la magnifica presenza di Scotty, che anche quella sera aveva entrambe le zampe poggiate sul ginocchio di Tom, in attesa di poter recapitare qualcosa. Lo guardava con occhi quasi supplichevoli, di tanto in tanto piagnucolava o abbaiava, fino a quando – ormai esausto – Tom non gli dava qualcosa.

«Mamma mia sei un morto di fame! Ecco tieni.» cercò di cambiare discorso, distraendosi dando un pezzetto di toast al cane. Simone continuava a tenere la mano sul suo polso. Chiese se ci fosse qualcosa che non andasse. Tom rimase un attimo in silenzio. Sì, c’era qualcosa che non andava e lei lo sapeva, lo sapeva benissimo! Ma scosse il capo: non voleva dirgli che un uomo al bar, lo aveva afferrato per il polso e lo aveva guardato insistentemente, come se lo conoscesse. Ma chi era?

«Tom, puoi dirmi tutto. Lo sai benissimo. Non devi tenermi nascoste le cose!» Tom la guardò per un istante, poi abbassò lo sguardo rapidamente. Cosa doveva fare? Doveva dirlo?

«Sì, okay. Però tu devi dirmi come mai, quando sono tornato da lavoro, mi hai abbracciato e detto quelle cose!» prese del vino rosso e se ne versò un’ingente quantità nel bicchiere di vetro. Simone si morse le labbra e guardò Tom in modo quasi supplichevole, come se non volesse dir nulla. Ma un modo c’era per camuffare la situazione che si era venuta a creare: mentire. Come aveva sempre fatto d’altronde e, come temeva, questo stava cominciando a ripercuotersi su di lei.

«Nulla di grave, Tom. Davvero! Nulla di grave. Il lavoro è davvero tanto impegnativo. Mi porta via un sacco di tempo ed energie. E a volte temo di non dedicarti mai abbastanza tempo.» una menzogna bella e buona.

«Non è così mamma. Sono io che ho qualcosa che non va. Non sei tu.» fece una pausa, bevendo un sorso di vino e addentando un pezzo di toast. Poi continuò a parlare – con la bocca semi piena – «ho sempre dei flash, sogno ad occhi aperti, vivo ricordi che… Che non sono i miei…o almeno, io non li ricordo… a volte ho la sensazione che questa vita non sia la mia, ma di qualcun altro.» un altro sorso di vino. Prese una cucchiaiata di piselli.

Simone lo stava ascoltando, e molto attentamente. Dentro di sé si sentiva morire; era come se qualcuno le stesse infiammando tutto il corpo e vi stesse soffiando sopra per far alimentare ancor di più le fiamme. Aveva paura, troppa paura. Deglutì e invitò il figlio a continuare con un cenno della mano.

«Poi, la cosa che più mi ha fatto trasalire… È un fatto che è successo questo pomeriggio, mentre ero a lavoro. Un uomo continuava a fissarmi, insistentemente. Sono andato vicino per segnare la sua ordinazione e mi ha afferrato con forza il polso. Ha guardato la mia targhetta sul camice, credo. Non ho mai visto quell’uomo in tutta la mia vita.»

Simone socchiuse gli occhi e ispirò profondamente, poi tentò di far finta di niente, scuotendo rapidamente il capo e ponendo una qualsiasi domanda: «Ti ha fatto del male?» domanda più stupida non poteva porre.

Tom la guardò stralunato. Certo che no! Simone cominciò a girarsi i pollici, inquieta.

«Mamma, che hai?» Simone non rispose. Sorrise in modo forzato al figlio e chiese gentilmente se potesse sparecchiare la tavola e fare i piatti. Si sentiva improvvisamente poco bene, le girava la testa. Tom senza fare altre domande, acconsentì con un cenno del capo e Simone gli diede un bacio sulla fronte e gli disse di divertirsi. Lei sarebbe andata a letto, sebbene fossero appena le otto.

Quando si coricò, cominciò a rannicchiarsi su se stessa, piangendo, e soffocò i singhiozzi con il cuscino affinché Tom non sentisse. Continuava a ripetersi il perché… ma in fondo lo sapeva: perché sono una cattiva madre. Affondò le unghie nella federa del cuscino e spinse ancor di più il volto contro di esso. Quel messaggio di Jorg, nel pomeriggio, l’aveva distrutta.

‘Ciao Simone. È passato tanto tempo, non trovi? Bene, ti scrivo per dirti una cosa: che cazzo ci fai qui a Berlino? Io sono alla tavola calda sulla Kurfürstenstraße, e sai chi ho visto? Tom. Quando mi avresti detto del tuo trasferimento? O che Tom lavorasse in una tavola calda? È vero che siamo divorziati, ma ho comunque il diritto di sapere dove vai, soprattutto se c’è di mezzo una situazione come la nostra. Per fortuna non mi ha minimamente riconosciuto. Pare che il nostro piano funzioni ancora. Visto che ci sono, ti dico anche che Bill sta bene, e anche lui non ricorda assolutamente nulla… anche se a volte dice di avere degli incubi, dei ricordi di qualcun altro, come se la sua vita attuale, non fosse la sua. È capitato anche a Tom? Un’altra cosa negativa, è che continuano a piacergli gli uomini. Su questo, non ho potuto far nulla. Non ho niente contro di lui, sia chiaro, ma è una cosa che non mi va giù. Da sempre, e lo sai. Ho dovuto subire per molto tempo atti di bullismo nei suoi confronti, quando eravamo a Magdeburgo. Lo deridevano e mi deridevano. Ora capisco perché Tom insisteva così tanto a prendere lezioni di pugilato. Per difenderlo! Io non sono in grado di farlo, per questo ho deciso di trasferirmi qui, a Berlino. Ho persino provato con lo psicologo: mi ha detto che non può far nulla su questo, è nella sua natura. Gli ha suggerito di vestirsi da donna per far sì che gli atti di bullismo cessassero. All’inizio ero assolutamente contrario, ma poi, ho notato che la situazione era migliorata radicalmente. Lo fa solo quando è fuori casa però. Pare davvero una ragazza. Dopotutto, ha sempre dato quell’impressione. In questo modo Tom non potrà riconoscerlo. Dobbiamo continuare a tenerli nascosti l’un l’altro, Simone. Non dobbiamo lasciare assolutamente che si incontrino. Non possiamo farlo. Se ti va, possiamo vederci un giorno e chiarire qualcosa riguardo i nostri i figli. Tra l’altro, ho ancora delle cose di Tom con me. Le ho in soffitta e non vorrei che Bill le vedesse… sono alcuni album di famiglia. Pare che tu non li abbia presi tutti. Jorg. ’

Lesse e rilesse quel messaggio una miriade di volte. Non si dava pace... eppure pensava di aver preso tutto. Ma non era così. La situazione stava man mano peggiorando. Come poteva dire a Tom che quell’uomo della tavola calda, era suo padre?

C’era soltanto una soluzione a tutto questo: non dirglielo affatto!

   
 
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