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Autore: Clary F    15/03/2014    5 recensioni
Per colpa di un inconveniente nel rituale di Lilith, Jace si trasforma in Jonathan e Jonathan in Jace. A causa dell'ennesimo piano diabolico organizzato da Valentine, Clary intraprende un viaggio alla ricerca di Jace, insieme a Jonathan, mentre i suoi sentimenti diventano sempre più confusi e sbagliati. A New York, Alec, Magnus, Isabelle e Simon cercano di capirci qualcosa, prima di lanciarsi in una missione di salvataggio suicida.
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Clarissa, Jace Lightwood, Jonathan, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Simon Lewis, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
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CHAPTER 1
TWISTED SOULS
 
 
L'oscurità sembrava non voler abbandonare la mente di Jace. Fatta di strani sogni, incubi per la maggior parte del tempo, in cui il viso di Jonathan e quello di Valentine si sovrapponevano ad intermittenza. A volte gli capitava di sentire delle voci, voci che sussurravano attorno a lui.
«I Fratelli Silenti saranno qui fra poco.»
«Non dovrebbe stare qui, in infermeria, il suo posto è all'inferno.»
«Come sei tragico, Kadir,» disse la seconda voce di uomo. «Credo che la prigione alla Guardia andrà benissimo. Marcirà là dentro.»
Risate.
Con un'enorme sforzo di volontà, Jace aprì gli occhi. Sentiva le palpebre pesantissime, era quasi un dolore fisico riuscire ad alzarle. Le risate si zittirono all'improvviso. Con il cuore che batteva forte, tentò di mettersi seduto ma si accorse di avere polsi e gambe legati. Si sentiva la bocca arida come un deserto.
«C-cosa succede? Dove sono?» Biascicò ai due Cacciatori, in piedi ai lati del suo letto.
«Sei nell'infermeria dell'Istituto di New York, Jonathan Morgenstern. Ma ancora per poco. Presto verrai affidato al Conclave ed allora, rimpiangerai di essere nato.»
Spalancò gli occhi e si agitò nel letto. Un dolore gli trafisse il petto, ma non vi badò più di tanto.
«Cosa hai detto?» Sbottò ferocemente.
«Ho detto,» ripeté Kadir, in tono lento e autoritario. «Che ti trovi nell'infermeria -»
«No!» Lo interruppe Jace, quasi gridando. «Come mi hai chiamato? Come?»
Kadir sembrò confuso, per un attimo, poi disse in tono perentorio: «Jonathan Morgenstern.»
«Io non sono Jonathan Morgenstern!» Urlò il ragazzo, tentando invano di muovere braccia e gambe. Oltre alle catene, dovevano avergli fatto una runa vincolante. «Io … sono Jace Lightwood!»
«Sì, sì. Come no.» Rispose freddamente l'altro Cacciatore. «E io sono Jonathan Shadowhunters.»
«E io l'Angelo Raziel.»
Aggiunse una terza voce di uomo.
I Cacciatori risero.
Jace si sentì invadere da una rabbia ceca, ma prima che potesse aggiungere qualcosa, le sue guardie smisero di ridere. Sentì un rumore sordo, delle urla, il suono delle lame angeliche estratte dal fodero e poi, proprio mentre due mani fredde gli serravano le braccia, non vide più nulla. Cadde di nuovo nella nera oscurità, per la seconda volta in quel giorno.
 
 
La luce soffusa della biblioteca dell'Istituto gettava bagliori argentei sulla chiama dorata di Jonathan. Tecnicamente non era la sua chioma, ma quella di Jace. Le parole scritte sulle pagine ingiallite del volume che stava leggendo, Culti Indicibili, sembravano sovrapporsi l'una sull'altra. Sentì le palpebre farsi pesanti e chiuse gli occhi, posando il viso sulle braccia incrociate davanti a sé.
Jonathan ha otto anni. Valentine lo porta spesso a caccia con lui, nella foresta di Brocelind. La caccia si estende, oltre alla normale selvaggina, alle creature del Popolo Fatato, lupi mannari e vampiri. Valentine sguaina le sue spade angeliche, i suoi pugnali intrisi di acqua benedetta, l'arco con le frecce e la polvere d'argento. È pronto ad ogni evenienza contro i Nascosti che popolano il bosco. Valentine lo attira giù da cavallo, è strano il suo tocco. Non tocca mai suo figlio. Jonathan affonda con i piedi nella neve e stringe i piccoli pugni mentre osserva suo padre affondare le mani nel sangue di un giovane elfo, lacerato e scorticato, privo di vita. La neve si tinge di rosso e Jonathan guarda la scena rapito, intimorito. Suo padre si raddrizza e tocca, attraverso i guanti, il viso del ragazzo. Jonathan è piccolo e le lunghe dita di Valentine coprono quasi interamente il suo viso, una maschera di sangue e pelle. Quando allontana le mani, c'è sangue su tutto il volto del bambino, sangue nei suoi fini capelli biondo platino, sangue sulla sua bocca. Jonathan fa una smorfia, come se il sapore fosse amaro.
«Cosa devi dirmi, adesso, Jonathan?»
«Grazie, padre.»
I contorni innevati della foresta di Brocelind sembrano tremare, lasciando posto ad una stanza dalle pareti chiare, colma di letti bianchi e paraventi. Jonathan non capisce, questo non è un suo ricordo. Un rumore sordo, delle urla, il suono delle lame angeliche estratte dal fodero, Cacciatori a terra e due mani fredde gli afferrano le braccia.
Jonathan si svegliò di colpo, gli occhi sbarrati e il corpo in tensione. Era solo un sogno, si disse nella mente, anche se non ne era del tutto convinto. In quel momento sentì la porta della biblioteca cigolare ed una figura esile, con capelli rossi come il fuoco, entrò nel suo campo visivo. Clary si avvicinò a lui, con un sorriso incerto sulle labbra. Nonostante i suoi abiti da mondana, jeans e una felpa, Jonathan la trovava bellissima ugualmente. Il suo viso si illuminò in un sorriso.
«Clary.»
Con un gesto abile nascose la copertina di Culti Indicibili con un altro libro.
«Ehi. Che stai facendo?»
«Leggo, no?» Le rispose alzando un sopracciglio biondo, sorridendole angelicamente.
Clary si sedette sul bordo del tavolo e lanciò un'occhiata in tralice ai libri sparsi sul tavolo. «Orgoglio e Pregiudizio?» Trattene a stento un sorriso ironico. «Non credevo ti piacesse Jane Austen.»
«È cosa nota e universalmente riconosciuta che un Cacciatore largamente provvisto di spade angeliche debba sentire il bisogno di ammogliarsi … o di uccidere demoni, come preferisci tu.» Recitò lui, in una parodia dei primi versi del libro.
«Non credo dicesse esattamente così -»
Ma non riuscì a terminare la frase. Jonathan si era alzato dalla sedia ed ora si trovava in piedi davanti a lei. L'afferrò per la vita, attirandola sul bordo del tavolo, più vicina a sé. Le mise le mani sul viso, tracciando con i pollici i contorni degli zigomi. Il suo respiro era caldo e sfiorava le sue labbra socchiuse. La stava guardando con un'intensità che la bruciava dall'interno. I suoi occhi dorati erano più scuri, quasi neri, come ogni volta che la guardava con desiderio.
«È da ieri sera che ti aspetto. Mi chiedevo se saresti mai arrivata.» Le sussurrò sulle labbra, facendola rabbrividire.
«Scusa, mia madre ha voluto che le raccontassi tutto per filo e per segno.» Jonathan si irrigidì e Clary lo guardò con dolcezza. «Non preoccuparti, lei non ti incolpa per quello che è successo. Nessuno lo fa, Jace.»
Le sorrise, un sorriso freddo e tagliente come una lama.
«Quindi ora ho la sua benedizione per uscire con te?»
«Un passo alla volta.» Clary rise piano, poi abbassò lo sguardo. «È molto scossa per Sebastian. Insiste ancora che vuole vederlo, ma Luke sta cercando di convincerla in tutti i modi che non è una buona idea. Quel mostro -»
«Clary,» la interruppe. «Non ho voglia di parlare di lui, adesso.»
«E cosa hai voglia di fare, allora?» Chiese, nascondendo un sorrisino dietro una cascata di capelli rossi.
«Qualcosa come questo.»
Il cuore di Jonathan iniziò a battere più velocemente. Non gli capitava spesso di sentirsi così. Alzò il mento di Clary con due dita, avvicinando le sue labbra alle sue. La vide chiudere gli occhi e socchiudere la bocca. Aveva voglia di baciare ogni singola lentiggine sul suo viso. Era così piccola, così bella, così ingenua. Le sue labbra erano a pochi millimetri di distanza …
La porta della biblioteca si spalancò con un colpo, facendo sobbalzare entrambi.
«Non ti hanno insegnato a bussare, Isabelle?» Sibilò Jonathan, con forse un po’ troppa freddezza. Ma la ragazza non sembrò farci caso, aveva il fiatone ed era molto pallida.
«Oh, per l'Angelo, prendetevi una stanza! E comunque, Sebastian è scomparso.» Ribatté lei, altrettanto freddamente.
Vide Clary sbiancare letteralmente e saltare in piedi come una molla. Lui cercò di assumere un'espressione sorpresa, scossa, ma del resto, quella notizia non gli risultava nuova.
 
 
«Ancora non posso crederci,» stava dicendo Simon, camminando lungo il marciapiede del quartiere di Greenpoint. Era sera e la strada verso casa di Magnus era semideserta. «Sebastian è fuggito e noi cosa facciamo? Andiamo a una festa.» Scosse la testa esasperato e i capelli scivolarono via dalla fronte, mostrando parte del Marchio di Caino. Vide Jace guardarlo di sottecchi.
«Senti, Magnus dice che non da una festa dalla sera in cui ci ha conosciuti.» Disse Alec, con voce piatta. «E poi il Conclave ci ha espressamente detto di non intervenire, andare contro ordini così espliciti è andare contro la Legge. Quindi, comportatevi bene e non rovinate la festa.»
Clary mise il broncio. «Ma noi ci comportiamo sempre bene!»
«Certo, come no. L'ultima volta Simon si è fatto trasformare in un topo.» Borbottò Alec.
«Io mi sono fatto trasformare in un topo?!» Simon si puntò un dito al petto con fare esasperato. «Questo è assurdo …»
«Finitela.» Disse Isabelle in tono secco. Indossava un abito di velluto blu davvero corto, che lasciava ben poco all'immaginazione. Simon distolse lo sguardo in fretta. «Per stasera se ne può anche occupare il Conclave. Ci meritiamo un giorno di vacanza dopo tutto quel casino di ieri.»
Simon pensò che fosse tutto davvero troppo strano. La sera prima aveva ridotto ad una pioggia di sale un Demone Superiore antico milioni di anni e adesso, eccolo lì, come se nulla fosse, per le strade di Brooklyn, diretto ad una festa organizzata da uno stregone. Sospirò, guardandosi attorno. Jace era rimasto silenzioso per tutto il tragitto in metro, tanto che Alec lo affiancò mettendogli una mano sul braccio e sussurrandogli qualcosa che suonava molto come: «va tutto bene?» Vide Jace osservare con sguardo perso la mano di Alec sul suo braccio, poi il suo parabatai, con occhi altrettanto smarriti, come se nessuno gli avesse mai chiesto una cosa così assurda.
La casa di Magnus svettava tra gli altri magazzini di Greenpoint. Le finestre erano illuminate di una luce violacea, così forte e innaturale che Simon si ritrovò a chiedersi cosa ne pensassero i vicini. Probabilmente non la vedevano neanche, grazie ad un incantesimo. Alec aprì il portone e li precedette su per le scale. Non appena varcarono la porta di ingresso rimasero tutti e cinque immobili sulla soglia. La casa era irriconoscibile. Sembrava più grande, quasi priva di mobili ad eccezione di tavolini in stile liberty, divani in pelle e un bancone. Più che un appartamento somigliava ad uno di quei locali di lusso dell'Upper East Side. Tranne che per gli invitati ovviamente. Fate, stregoni, lupi mannari e vampiri si mescolavano in un turbinio di colori accesi, abiti stravaganti e musica assordante. Simon riconobbe una vampira dell'hotel Dumort, Lily. Distolse in fretta lo sguardo, mentre un ragazzo di circa diciannove anni, alto in modo spropositato e molto magro si avvicinava a loro a braccia aperte e un drink in mano. Magnus era più luccicante che mai: il glitter che aveva sugli occhi da gatto sembrava brillare di luce propria. I capelli neri erano ritti sulla testa, in un'acconciatura degna di un modello da prima copertina di Vogue. Indossava pantaloni di pelle strettissimi, una camicia argentea e una giacca elegante rosa shocking con borchie annesse sulle spalle. Alec sembrava terrorizzato, ed al tempo stesso affascinato, da quella luminosa visione.
«Ben arrivati!» Li invitò ad entrare con un gesto della mano, chinandosi a dare un rapido bacio sulle labbra ad Alec, che aveva l'aspetto di uno appena folgorato da un fulmine. «Ciao tesoro. Vedo che non hai messo la maglia che ti ho regalato.» Magnus alzò un sopracciglio, scrutando Alec.
«Ehm, no. Il colore non mi si addiceva.» Alec era visibilmente imbarazzato.
«Ma era cangiante! Avrebbe cambiato colore in base al tuo umore!» Aggiunse Magnus.
«Allora non sarebbe stata tanto diversa dalla maglia che indosso ora.» Borbottò Alec, abbastanza piano da farsi sentire solo dallo stregone. Magnus fece scivolare lo sguardo sui vestiti del Cacciatore. Maglia e pantaloni neri. Socchiuse gli occhi e fece un respiro esasperato.
Simon dovette trattenersi dal ridergli in faccia, guadagnandosi una gomitata in un fianco da parte di Clary.
«Non ridere di loro.» Gli disse con voce divertita. «Sono carinissimi.»
«Carinissimi.» Ripeté Jace sprezzante, parlando per la prima volta da quando erano usciti dall'Istituto.
«Hai ritrovato l'uso della parola, vedo.» Iniziò Simon. «Peccato, iniziavo ad abituarmi al tuo mutismo.»
«Portami da bere, vampiro.» Rispose Jace, con un ghigno storto.
«Non sono mica il tuo maggiordomo!»
«La volete smettere?» Sbottò Clary, dirigendosi verso un divanetto di pelle bianca. Tra le mani teneva un drink viola acceso. Simon si chiese quando lo avesse preso.
«Non vorrai berlo?» Farfugliò terrorizzato.
«Oh, smettila. Stasera nessuno si trasformerà in un roditore.»
Si sedettero sul divanetto. Isabelle era sparita, notò Simon con una piccola stretta allo stomaco. Alec e Magnus si stavano dando da fare in un angolo, evidentemente il loro litigio era già passato in secondo piano. E lui era rimasto intrappolato con Clary e il suo terrificante fidanzato. Beh, alla fine Jace non era poi così male … doveva ammetterlo. La voce di Clary lo risvegliò dai suoi pensieri, sovrastando la musica.
«Dovremmo essere là fuori a cercare Sebastian.»
«Forse dovremmo cercare la Kryptonite dei Cacciatori.» Disse Simon.
«Ma la Kryptonite uccide! Non possiamo uccidere Sebastian, è legato a Jace.»
«Vi ho già detto che per me potete farlo a pezzi.» Aggiunse Jace, che sedeva mollemente sul divano, un braccio attorno alla vita di Clary.
«Smettila con questa storia dell'autolesionismo. E comunque non dicevo la Kryptonite verde, mi riferivo, ovviamente, alla Kryptonite rossa, che priva Superman dei suoi poteri.» Disse Simon.
«Sbagli ancora, è la Kryptonite dorata che gli annienta i poteri, mentre quella rossa lo trasforma in...»
«Ragazzi … la realtà!» Isabelle era apparsa come una proiezione alle loro spalle.
«Stare con voi è delizioso! Non capisco neanche metà di quello che dite.» Disse Jace, con sarcasmo.
«Beh, neanche stare con te è il mio hobby preferito.» Sbuffò Simon.
«Ma questo è impossibile! Io sono … » Jace si picchiettò un dito sulle labbra, con aria pensierosa. «Ora che ci penso non c'è una parola umana abbastanza favolosa per descrivermi.»
Simon stava per aprire la bocca per controbattere ma non lo fece, era una causa persa.
«Okay, tregua. Che ne dici di ballare, Jace?» Intervenne Clary, a metà tra il divertito e l'esasperato.
 
 
«Perché continui a guardare la porta?» Chiese Alec a Magnus, che sembrava ascoltare le sue parole solo a metà.
«Come? Oh, scusa, Alexander.» Rispose Magnus con una scrollata di spalle. Piccoli brillantini gli caddero dai capelli.
«Cosa c'è?» Disse Alec, con rabbia crescente, svicolando dall'abbraccio dello stregone. «Stai forse pensando a Will
«Non essere sciocco, Alexander.» Lo liquidò lui, con un gesto teatrale della mano.
«Smettila di chiamarmi Alexander. Sembri mio padre.»
Magnus sembrò ferito da quel paragone. «Alec. Scusami, è che sto aspettando una persona. Le ho detto che avrei dato una festa e mi ha confermato che sarebbe venuta per le nove. Ma sono già le undici.»
«Ah, e chi è? Una dei tuoi innumerevoli ex?» Chiese freddamente il Nephilim. Magnus fece un respiro profondo, come a voler mantenere il controllo.
«Questa storia continuerà ancora per molto?» Disse, con voce stanca e piatta.
«Finché non mi dirai chi è Will e con quante persone, esseri viventi e non, sei stato a letto.»
Magnus fece una smorfia. «La persona che sto aspettando è una mia cara amica. Non vedevo l'ora che arrivasse per potervi presentare, ma ora non sono poi così sicuro di volerlo fare.»
E con queste parole si allontanò verso un gruppetto di fate danzanti, lasciando Alec solo, imbarazzato e con un pesante senso di colpa a schiacciargli il petto.
 
 
Clary era al centro dell'ampio salone di Magnus, le braccia allacciate attorno al collo di Jace e lo sguardo perso nei suoi occhi dorati. Sentiva la pressione delle dita di lui sui suoi fianchi e questo non le permetteva di pensare lucidamente. Chiuse gli occhi per un momento, ondeggiando al ritmo della musica che inondava la stanza.
«Questa musica è davvero pessima.» Le sussurrò Jace all'orecchio. Clary riaprì gli occhi e lo guardò divertita. Sul volto del ragazzo c'era quel suo ghigno inconfondibile e arrogante.
«A me piace.» Rispose lei, stringendosi più forte a lui. Ogni superficie dei loro corpi era a contatto. Una dolce agonia. «Sai perché mi piace?»
Jace alzò un sopracciglio, facendole scorrere le dita sulla schiena. «Perché?»
«Perché è molto simile alla musica che c'era al Pandemonium, la prima volta che ti ho visto.»
Era una cosa stupida da dire, Clary ne era cosciente. Ma forse Simon aveva ragione, non avrebbe dovuto bere quel drink dal dubbio colore. Vide gli occhi di Jace velarsi, per un istante, di una patina opaca, come se stesse cercando quel ricordo in un qualche cassetto nascosto della sua mente.
«Non ti ricordi?» Gli chiese Clary, confusa.
«Certo che mi ricordo. Tu credevi che fossi uno spietato assassino.» E lo sono.
«Non puoi certo biasimarmi!» Esclamò lei, fingendosi indignata.
Jace rimase in silenzio.
«Che ne dici di cercare un posto più appartato? Non sopporto più questo casino.» Le accarezzò il viso dolcemente, scostandole una ciocca di capelli e attorcigliandosela fra le dita. «Voglio stare da solo con te.»
Clary avrebbe voluto rispondere, ma le mancava il respiro e il battito furioso del suo cuore le rimbombava nelle orecchie, stordendola. «Anche io voglio stare sola con te.» Riuscì a sussurrare alla fine, così piano che temette di non essersi fatta udire. Ma il viso di Jace si era aperto in un sorriso luminoso, da togliere il fiato.
«Seguimi.»
Le disse prendendole una mano e avviandosi verso l'ingresso. Clary si lasciò trascinare come una marionetta, giù per le scale e poi fuori, nell'aria fredda della notte, nel giardino sul retro della casa. Non aveva bisogno di sapere dove la stesse portando o cosa volesse fare. Era Jace. E aveva la sua più piena e incondizionata fiducia. Lasciò andare la presa sulla sua mano e la guardò negli occhi. Non c'era niente in quel cortile. Solo erba bruciacchiata, il muro dell'edificio e loro due. Non si accorse neanche di stare tremando, fino a che lui non glielo chiese.
«Hai freddo?»
Certo, era autunno e indossava solamente un paio di stivali e un vestito nero corto, di un tessuto lucido e leggero simile alla seta. Ma non era per quello che stava tremando. Vide Jace avvicinarsi a lei, con passo agile e deciso. Posò le sue mani calde sulla sua vita, spingendola contro il muro di pietra. Fece scorrere le dita sulla sue gambe nude, poi fra i suoi capelli, facendola rabbrividire ancora di più. Le baciò il collo, prima con delicatezza, poi con più foga, mordendo e succhiando. Lei lo strinse a sé, aggrappandosi a lui con tutte le sue forze e cercando le sue labbra con le sue. Non si baciavano dalla sera prima, sul giardino sul tetto e Clary stava quasi impazzendo dalla voglia di farlo. Jace appoggiò la fronte sulla sua e chiuse gli occhi per un momento. Sembrava quasi che non volesse fare quello che stava per fare, come se temesse qualcosa. Riaprì gli occhi e finalmente le loro labbra si incontrarono. Prima dolcemente, poi con più passione. Clary si abbandonò al tocco familiare della sua lingua contro la sua, al tocco dei suoi capelli sul suo viso, al suo profumo. Profumo di sapone, di sole e di … pepe nero?
Lo allontanò bruscamente. Sgranò gli occhi e si appiattì contro il muro. Un freddo simile al ghiaccio si stava diffondendo dal suo petto fino in tutte le ossa del corpo. Il cuore era impazzito contro la gabbia toracica; ma non per la passione o il desiderio, ma per paura.
«Chi sei tu
Sibilò con rabbia. Anche se temeva già di sapere la risposta. Aveva già sentito quel vago sentore di pepe, prima di allora.
   
 
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