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Autore: Uccellino Assurdo    16/03/2014    1 recensioni
Trieste ha una scontrosa / grazia. Se piace, / è come un ragazzaccio aspro e vorace, / con gli occhi azzurri e/ mani troppo grandi / per regalare un fiore; /come un amore / con gelosia. (Umberto Saba, Trieste)
Trieste, 1914. Nella città "crocevia di popoli e di culture" per eccellenza la storia dei due fratelli Vargas, Romano ed Alice, che vedono la loro vita sconvolta dall'avvento della Grande Guerra e dell' amore...
Nota: presente Fem/Italia del Nord
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sì, sono ancora viva e non mi sono dimenticata di questa fan fiction. Mi scuso ancora una volta per il ritardo ma, purtroppo o per fortuna, non ho in questo periodo molto tempo a mia disposizione. Ma, per tutti coloro che mi seguono: non preoccupatevi, Buongiorno, Trieste! continuerà e verrà conclusa sicuramente, quindi spero vogliate continuare a seguirla! Per commenti, domande, richieste, critiche e insulti… fatevi avanti!

Grazie a tutti e perdonate gli eventuali errori! Buona lettura

Cap. III

I

Anche quella sera Alice era allegra; stava trafficando affaccendatamente in cucina canticchiando a mezzavoce un motivetto incomprensibile: «Disegna un cerchio è la Terra! Stai un po’, questa è la Terra! Ah, un mondo favoloso che si può vedere con un pennello…»

Romano, accanto a lei, tagliuzzava verdure e la guardava perplesso di tanto in tanto. «Ma dove l’hai trovata questa canzonetta assurda?»

«Non lo so, mi risuona sempre in testa! Qualcosa dovrà pure significare»

«…»

«Oh, Romano sei ancora con quei peperoni? Il signor Carriedo sarà qui a momenti.»

«Pfui», sbuffò Romano, «guarda che non c'è bisogno di premurarsi tanto per quello lì, non ho ancora capito perchè ti è saltato in mente di invitarlo a cena».

«Perchè è stato lui a raccomandarmi al signor Ludwig, e di questo gli sarò grata per sempre!»

A Romano vennero stranamente dei brividi. «Fai che vuoi...», disse, «e comunque fai con calma, figurati se quel bastardo arriva puntuale».

In quel momento esatto si sentì un fragoroso scampanellìo proveniente dall'ingresso. «Deve essere il signor Carriedo!», esclamò la ragazza e si diresse di corsa ad aprire la porta. «Buonasera, benvenuto nella nostra ca...».

Alice ammutolì per la sorpresa. Chissà perchè aveva sempre immaginato lo spagnolo che lavorava con il fratello come un signore di mezz'età un po' burbero e scostante, un padrone severo del quale Romano si lamentava spesso, lo "spagnolo bastardo" appunto. Invece si trovò di fronte un bel ragazzo dal viso fresco e aperto e con un sorriso gentile; la simpatia che provò a pelle per lui fu subitanea.

«Tu sei Alice, vero?», chiese l'ospite, «Piacere, io sono Antonio Fernandez Carriedo; Romano non mi aveva specificato di avere una sorellina così graziosa!»

Alice arrossì, ancora di più quando le porse un piccolo mazzo di fiori. «Solo un pensiero per ringraziarti della tua gentilezza!»

Arrivò Romano, visibilmente irritato.«Cerca di fare poche chiacchiere ed entra! I fiori non erano necessari...»

«Scusa Romanito, la prossima volta li porterò anche a te se ci tieni!», e rise.

Seppur non più ricchi Alice sapeva come ricevere adeguatamente un ospite così lo invitò ad accomodarsi nel salotto e sistemò il mazzettino di fiori in un piccolo vaso.

«Grazie, signor Carriedo, è un piacere averla con noi! La ringrazio per tutto quello che ha fatto, se non fosse stato per lei...», iniziò cerimoniosa Alice.

«Ma di niente! Questo e altro per la sorellina di Romano e poi, ti prego, chiamami Antonio e dammi del tu!»

«Antonio, allora...Puoi accomodarti, la cena sarà pronta fra poco, intanto Romano ti farà compagnia», disse, facendo un gesto al fratello che intanto aveva assistito a quei convenevoli in modo manifestatamente irritato.

Rimasti solo con Antonio però iniziò a sentirsi in imbarazzo: al di là del lavoro non si erano mai frequentati, non avevano mai avuto il tempo di sedersi a fare una chiacchierata aspettando la cena, senza contare che Romano non era tipo da saper intrattenere gli ospiti e cose del genere. Per un attimo scese un silenzio imbarazzante.

La casa aveva mantenuto una patina dell'antica raffinatezza borghese che un tempo l’ aveva contraddistinta, le tende di pizzo, i mobili antichi, i soprammobili, le cornici con ritratti e le vecchie foto di famiglia collezionate sopra le mensole, le foto che più di una volta nella giornata i due fratelli si fermavano a guardare. Fu a queste che si diresse Antonio con sguardo incuriosito.

«Mi piacciono le foto; questi siete tu ed Alice?»

«Sì, sono vecchie foto», rispose Romano, sollevato da un lato di avere almeno un diversivo di cui parlare, ma dall'altra infastidito che fosse proprio riguardante la sua famiglia.

«Ah, ah! Da piccoli vi somigliavate, che teneri! Avete anche lo stesso ricciolo ribelle!»

«Già...»

«E lei chi è?». Era il ritratto ovale di una giovane donna con lunghi capelli castano scuro e splendidi occhi neri, aveva uno sguardo che lasciava trasparire grande fermezza di carattere ma anche fragilità; i suoi occhi sembravano voler penetrare il cuore di chi la guardava. Antonio non ci mise molto a riconoscere negli occhi di quella bellissima donna quelli di Romano. «Tua madre?», si rispose anticipando Romano.

«Sì, era mia madre», rimandò il ragazzo, spostando lo sguardo dal ritratto e allontanandosi. Voleva chiudere quella conversazione.

«Era davvero splendida!» esclamò con rispettosa e sincera ammirazione lo spagnolo. «Ti assomigliava...», aggiunse poi. Romano arrossì di colpo: era un complimento? O forse una semplice osservazione senza fini?

«Lo dicono in molti. Alice invece somiglia più mio padre, anche caratterialmente».

Pregò che Alice avesse finito con quella maledetta cena. Forse lo spagnolo gli avrebbe chiesto dove erano i loro genitori, come fossero morti, altre domande sulla sua famiglia a cui Romano non voleva rispondere; invece non chiese nulla, si limitò ad annuire leggermente sulla foto e si risedette sul divano.

«La cena è pronta!», squillò una voce proveniente dalla sala.

Le ore che seguirono trascorsero veloci e piacevoli; Alice e Antonio si mostrarono trovarsi immediatamente d'accordo e passarono la serata a ridere e chiacchierare come vecchi amici; erano a quanto pare anime affini.

«Complimenti, era tutto squisito! Era da tempo che non mangiavo così bene, sei una cuoca eccezionale!»

«Grazie, ma mi ha aiutato anche Romano! Sai, anche a lui piace molto cucinare», rispose Alice rivolgendosi al fratello, che era rimasto per un'ora buona in silenzio a rimuginare su come facessero quei due a fare da soli tutto quel rumore, per giunta con la bocca occupata nel mangiare.

«Io non sono molto portato invece, a casa mia l'unica che si diletta ai fornelli è mia sorella»

«Oh Antonio, hai una sorella?»

«Sì, ho anche un fratello»

«Davvero?! E dove sono?»

«A casa, in Spagna, con i nostri genitori»

Antonio con dei fratelli, dei genitori, una casa in un paese lontano.

«Come vivevi in Spagna prima di arrivare a Trieste? I tuoi genitori di cosa si occupano?», chiese Alice.

«Alice!», la rimproverò Romano, «fatti gli affari tuoi!».

La ragazza sembrò rimanerci male; «Ma cosa ho detto che non va...?»

«Ma niente!», si affrettò Antonio, «non mi hai chiesto niente di male!». Eppure sembrò cercare con più cura del solito le parole da pronunciare: «I miei hanno...dei terreni, campi da coltivare...»

«Ah, dei contadini!», esclamò Alice realizzata.

Lui annuì con un sospirò quasi sollevato.«Sì, sono dei contadini...»

Antonio con dei fratelli, con i genitori contadini, una famiglia semplice che coltivava la terra, magari proprio pomodori, sotto il sole cocente della Spagna. Nella mente di Romano, a tasselli, stava prendendo forma la figura del ragazzo con cui lavorava. Probabilmente aveva vissuto un'esistenza serena e semplice ed era partito per l'Italia in cerca di fortuna, come molti altri.

«Parlami della tua casa Antonio!», continuò Alice.

Antonio non rispose, si limitò a sorridere ma con una soffusa malinconia nello sguardo. Rimase per un attimo in silenzio.

«Non ho molto da raccontare...».Sembrava stesse per dire qualcosa, lentamente, ponderatamente, come se volesse cercare le parole giuste per qualche concetto inesprimibile. Romano lo fissava. Non capiva perché poi avrebbe dovuto avere una qualche curiosità sul passato di Antonio, un passato probabilmente ordinario e addirittura noioso.

«Ah! Stavo per dimenticarmene!», esclamò Alice d’u tratto. Corse in cucina e tornò un momento dopo, soddisfatta, con una torta dall’apparenza soffice e dorata. «Mancava il dessert, è una torta di mele».

«Ma che perfetta ospitalità», fece Antonio estasiato alla vista del vassoio, «hai addirittura preparato il dolce!»

«Non l’ho fatta io…»

«Alice, non…»

«…è stato Romano!».

Due occhi verdi, stupiti e divertiti, si posarono sopra di lui. «Romano è bravissimo a preparare dolci e ti ho detto che sa anche cucinare molto bene! La sua salsa di pomodoro è squisita e non ti dico come fa la pizza!»

«Guarda, guarda…un aspetto che non avrei mai pensato in lui», disse Antonio, mentre il ragazzo era ormai rosso dall’imbarazzo.

«L’ho solo aiutata per fare più in fretta», fece, «e per evitare che combinasse troppi guai in cucina».

«Che ragazzo encomiabile!», disse con leggerezza lo spagnolo, accettando prontamente la sua porzione di dolce, «gran lavoratore, fratello responsabile, abile cuoco e bellissimo… beata colei a cui darai il tuo cuore!». Romano, che stava sprofondando, venne infossato ancora di più con quella.

«Ah, è vero! Romano, secondo me saresti un marito perfetto!», rispose Alice, «Antonio, mio fratello non ha ancora una fidanzata, è troppo timido, non conosci una bella ragazza da presentargli?»

«Va bene, Alice, basta così adesso!»

«Non molte, ma potrei chiedere al mio amico Francis, a lui le ragazze non mancano di certo; ti ricordi Francis, vero Romano?»

«Non mi interessa ness…»

«Oh, sì Antonio ti prego! Trovagli una bella fidanzata! Ho sempre desiderato avere una cognatina!»

«Se vuoi organizzo un’uscita, a Francis e Gilbert sono sicuro che farebbe piacere riveder…»

«Ma porc…!», sbraitò furibondo Romano, «ingurgita una volta per tutte quella maledetto pezzo di torta e strozzatici!!». E si alzò d’un tratto a sparecchiare, scappando prontamente in cucina.

«Mi ha fatto immensamente piacere conoscerti Antonio», disse Alice, allo stipite della porta d’ingresso, a conclusione della serata, «dobbiamo assolutamente rivederci!»

«Sicuro! Ma la prossima volta Romano dovrà farmi assaggiare la sua pizza»

«Contaci…», sputò a mezzavoce.

«Allora arrivederci; ho passato una piacevolissima serata», salutò lo spagnolo.

«A presto!»

«E prendi questa strada qui dietro, fai prima ad arrivare…», aggiunse Romano, …e fai prima a toglierti di torno, pensò.

«Che ragazzo carino!», sentenziò convinta Alice, salutando ancora una volta la figura dello spagnolo che si allontanava, «sono contenta che sia tuo amico».

«Io e lui non siamo amici», si affrettò a precisare il fratello, «semplicemente lavoriamo insieme».

«Non ti piace?»

«No che non mi piace!»

«A me sì…e secondo me anche a te!», e sorridendo rientrò in casa.

II

Eravamo a marzo e con l’arrivo della primavera le giornate fredde e piovose vennero scacciate dal leggero sole della bella stagione, il tempo si rischiarò fino a mostrare il terso colore del cielo e l’aria divenne frizzante e leggera. Era la stagione preferita di Alice, che poteva finalmente dedicarsi a lunghe passeggiate con Elizabetha, nel tempo libero, come era loro abitudine. Il sabato, giorno libero dal lavoro, di solito ne approfittavano per andare al mercato o a fare un giro per i negozi.

«E allora ti ha permesso di rimanere in fabbrica?», chiedeva Elizabetha, visibilmente incuriosita.

«Sì», annuì convinta Alice, «avresti dovuto vedermi, ero tutta sporca di caffè, ma lui è stato gentile; mi ha detto che sono un’ ottima impiegata e che sarebbe bastato stare più attenta a non farmi male! Il signor Ludwig è davvero un signore gentile!», ripeteva trasognata. Ormai i loro discorsi vertevano principalmente sulla vita lavorativa di Alice ed Elizabetha, sicuramente meno ingenua, aveva subodorato già da un po’ di tempo come stessero le cose. Ormai conosceva Alice da troppo tempo, erano praticamente cresciute insieme, e si intenerì a capire i sentimenti dell’amica prima che ci riuscisse lei stessa. «E Romano di tutto ciò che pensa?», chiese, con una punta di preoccupazione.

«Cosa dovrebbe pensare, è felice che mi trovi bene al lavoro…».

«Ed è felice anche che parli continuamente del signor Ludwig con quell’aria imbambolata e le pagliuzze negli occhi?», aggiunse Elizabetha con malizia.

Alice avvampò. «Co…cosa vuoi dire?! Mi sembra normale provare rispetto per il proprio datore di lavoro!».

«Sì, sì, rispetto», rispose, «a proposito, guarda, non è Romano quello laggiù?». Le ragazze camminando erano arrivate al mercato centrale che di sabato mattina era particolarmente gremito di gente; da lontano scorsero proprio Romano intento a parlare con una coppia di giovani e Antonio.

«Grazie ma non mi interessa uscire con voi…», diceva Romano, facendo finta di preoccuparsi di sistemare meglio le zucchine.

«Ma come, Antonio diceva che volevi una ragazza», lo scherniva Francis, «te ne presenterò quante ne vuoi!». Romano non ci vide più: «Sarebbe meglio che voi e quel dannato spagnolo bastardo vi facciate gli affari vostri se non volete trovarvi questa infilata in punti inconsueti!», sbraitò agitando una zucchina.

«Romanooooo!!», cantilenò Alice agitando la mano da lontano.

«Che ci fate voi qua?»

«Che domande», rispose Elizabetha, «siamo venute a fare la spesa! Tu che ci fai con quella zucchina in mano piuttosto?». Romano poggiò delicatamente l’ ortaggio insieme ai suoi simili.

«Alice, che piacere rivederti!»

«Ciao Antonio!». I soliti convenevoli, mentre il depravato e il buzzurro fissavano un po’ troppo marcatamente e sospettosamente le due fanciulle.

«Oh, ma allora il nostro piccolo Romano in fondo conosce l’universo femminile…ed è anche un universo molto grazioso», disse Francis prendendo languidamente la manina di Alice e portandola alle labbra, congelandosi a metà strada quando si accorse che Romano stava nuovamente brandendo la zucchina. «Io sono Francis, piacere…».

Anche Elizabetha era piuttosto risentita. «Cerca di tenere le mani lontane dalla mia amica se non vuoi una padellata in testa!».

I ragazzi scoppiarono a ridere. «Una padellata!?», intervenne Gilbert ridendo sguaiatamente, «cos’è questo, un nuovo modo delle italiane di presentarsi? Più che una ragazza mi sembri un generale d’armata se non fosse per il davanzale che ti ritrovi! Ah, ah, ah!».

Ciò che accadde nei secondi che seguirono fu istantaneo ma agghiacciante. Perché Elizabetha, impassibile, estrasse dalla borsa della spesa una padella. E colpì Gilbert. Un doloroso suono metallico riecheggiò per tutta la piazza.

«Ma da do…dove l’hai tirata fuori?», balbettò Antonio, guardando esterrefatto l’amico che imprecava in lingua non ben specificata.

«L’ho comprata stamattina», rispose la ragazza rimettendo a posto l’arma, «così la prossima volta il tuo amico ci pensa due volte prima di aprire bocca».

III

In pochi mesi l’ufficio del signor Ludwig, prima austero e spoglio, si trasformò grazie ad Alice in una specie di serra. Piante, rampicanti e vasi di fiori vennero piazzati in tutti i buchi disponibili: Ludwig all’inizio sbruffò per quel fastidioso tentativo di ingentilire l’ambiente di lavoro, che andava benissimo anche prima per quanto lo riguardava, ma aveva poi dovuto ammettere che lavorare immerso nel verde non era poi male. Quello che non era ancora riuscito ad ammettere era che neanche la presenza di Alice in ufficio era poi male.

«Le va di fare una pausa?», chiese gentilmente Alice, «le faccio del caffè». Ludwig annuì. Alice aveva ormai capito che il suo capo era piuttosto parco di parole e si alzò a preparare da bere.

«Sa, ho conosciuto suo fratello!», continuò, «è un ragazzo…estroverso…». Aveva ancora in mente la sanguinosa scena a cui aveva dovuto assistere qualche giorno prima, fra bestemmie, giuramenti di odio eterno e vendetta e anatemi lanciati da una parte e dall’altra. Alice, spero proprio per te che il fratello non assomigli a quel bifolco bellimbusto e maschilista!La prossima volta non gli lascerò tutti i denti in bocca! , aveva detto Elizabetha, mai vista così infervorata verso qualcuno. Un’antipatia a pelle…! Certe volte capita fra persone…

«Ehm, sì, mi ha raccontato del suo incontro con lei e con…ehm, la sua amica», rispose Ludwig imbarazzato, «le mie scuse da parte sua. Quel cretino mi ha sempre portato problemi!», aggiunse.

Alice si sorprese a sentirlo parlare così, ma ne era piacevolmente divertita. Era felice che piano piano lui si stesse sciogliendo. Rispetto ai primi giorni, nei brevi momenti di pausa, capitava che chiacchierassero del più e del meno; Alice non aveva mai avuto il coraggio di chiedergli qualcosa di privato anche se ne aveva grande curiosità, ma anche solo restare così a parlare di bazzecole era per lei piacevole e prezioso.

«Si figuri, anche io ho un fratello maggiore, sa!»

«Sì, ma non credo che suo fratello vada in giro a molestare le signorine facendo commenti poco eleganti…»

«Neanche io però vado a prendere a padellate la gente!», esclamò la ragazza.

Ludwig si mise a ridere, era la prima volta da quando si erano conosciuti. Alice dovette arrossire violentemente perché si sentì un calore improvviso riempirgli il viso e il cuore prese a battere in modo così forte che ebbe paura che lo si sentisse. Non avrebbe mai pensato di avere una reazione del genere solo a vederlo sorridere così. I freddi occhi azzurri di Ludwig presero per un attimo una sfumatura nuova, più calda e luminosa; non aveva mai visto qualcosa di più bello. «Lo faccia ancora…»

«Cosa?», chiese Ludwig riprendendosi.

«Sorrida ancora», rispose, «dovrebbe farlo più spesso».

Ludwig distolse imbarazzato lo sguardo da lei. «Sarà meglio che ci rimettiamo al lavoro!». Alice rimise tutto in ordine e ritornò alla sua scrivania.

«Signor Ludwig?»

«Dica»

«Le piacciono le fiere?».

Ludwig rimase interdetto. «Come prego?»

«Sì, le fiere! Le feste di quartiere, dove portano le giostre, le bancarelle con i dolci e i giocattoli, lo zucchero filato, la banda!».

«Non saprei…non me lo hanno mai domandato. Credo di sì…»

Alice approfittò subito della risposta positiva. «Domenica prossima ci sarà una fiera nel mio quartiere; io e Romano ci andiamo ogni anno, ma questa volta lui è impegnato. Vuole venire lei con me?».

In un modo o nell’altro quella ragazza riusciva sempre a lasciarlo sbalordito. Ludwig boccheggiò un attimo mentre la fissava: le stava proponendo in pratica di uscire insieme. Si rendeva conto di cosa significava uscire da sola con un uomo in pratica sconosciuto, per giunta in pubblico? Si rendeva conto che molti avrebbero potuto interpretare certe proposte in modo quanto meno malizioso o interessato? Evidentemente no, perché continuava a guardarlo con il suo solito sorriso e un’aria talmente ingenua da fargli capire che per lei si trattava solo di un’innocente passeggiata. «Ah, credo che…», balbettò, «credo che sia meglio che finisca quel lavoro altrimenti domenica prossima non avrà il tempo neanche di uscire fuori di casa!»

Alice sorrise soddisfatta e, sorridendo fra sé e sé, si rimise a lavoro. Molte volte quel giorno alzò gli occhi dai suoi conti e fatture e li diresse verso Ludwig, chiedendosi come sarebbe stato vedere ancora una volta il sorriso che lo aveva illuminato qualche ora prima e immaginando di passeggiare insieme a lui in una bella giornata di sole, fuori da quell’ufficio, in mezzo alla musica e ai colori.

Forse si sarebbe sorpresa a sapere che anche Ludwig faceva di nascosto esattamente la stessa cosa.

«Romano, ti devo chiedere un favore»

«No, a prescindere»

«Ti prego, mi sdebiterò!», chiese umile Antonio a mani giunte, «ricordi il contadino che mi porta ogni domenica la frutta direttamente dalla campagna?»

«Sì, e quindi?»

«Questa domenica non può venire, a quanto pare sua figlia si sposa», continuò, «ma ha detto che mi farà trovare la frutta pronta e sistemata nelle cassette se andrò a prenderla io direttamente! Dovresti venire con me, non ti arrabbiare, ma mi serve aiuto»

«E come hai intenzione di portare venti casse di frutta dalla campagna alla città?», rispose con il consueto garbo Romano, «te le carichi in spalla?! Hai intenzione di affittarti un mulo? Perché non c’è scritto mulo sulla mia fronte! E poi di domenica, sei pazzo?! Avevo pure promesso ad Alice di accompagnarla alla fiera!»

Antonio si assorbì eroicamente tutte le sbraitate. «Il mio vicino di casa mi presta il suo carro. Lo so che è domenica ma mi serve davvero, ti pagherò ovviamente». Romano lo guardò. Gli faceva troppa compassione quel cretino: «E va bene… ma mi devi un favore e un mucchio di soldi!»

«Grazie Romanito! E poi, dai, pensa che faremo una bella passeggiata in campagna!»

Romano sospirò. «Alice se la prenderà di sicuro…!»

   
 
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