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Autore: mattmary15    16/03/2014    3 recensioni
Questa storia comincia con una giornata come un'altra al liceo Shohoku. La ascolterete da tre punti di vista: quello del bel tenebroso Rukawa, quello dell'inarrestabile Sakuragi e quello della forte Ayako. Insieme racconteranno di come la vita scorre, giorno dopo giorno, e riserva sorprese. Ma ci vuole poco a fare in modo che un giorno come un altro diventi ... l'inizio di una storia da raccontare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Ayako, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: OOC, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Che razza di giornata!

 

Incredibile! Stamattina non sono in ritardo. Non devo correre per non essere lasciato fuori dalla scuola. Devo correre in palestra però per il mio allenamento supplementare. Tra tre giorni ci sarà la sfida con il Ryonan e non mi importa di ciò che dice Ayako. Per me sarà come una guerra. Loro credono che me non importi nulla delle selezioni giovanili. Ho sentito Miyagi dire che sarei più contento di rimanere a casa con il campo sgombro dagli altri pretendenti di Haruko. Non hanno capito che a me interessa. Io voglio essere selezionato. Con loro dico che la cosa è scontata perché non ammetterei mai di sentirmi inferiore, però mi accontenterei di essere selezionato tra le riserve. So di non essere all’altezza di Rukawa o Akagi, tuttavia non voglio rimanere indietro. Non voglio restare qui con Haruko, voglio andare in ritiro con Rukawa!
Aspettate, non è proprio questo il concetto. O sì?
Arrivo alla palestra. Che strano, è aperta. Sta a vedere che la volpe è già qui che si allena? Non riesco ad immaginare nessun altro a parte me e lui tanto fissati per venire qui prima della scuola!
La palestra è vuota ma c’è una palla all’altezza dell’arco dei tre metri.
Tracce del volpino!
Raggiungo lo spogliatoio. Aprirò la porta di colpo così, quasi certamente, gli farò prendere un colpo!
Peccato che la porta sia già aperta. Entro. C’è un odore strano dentro e qualcosa in me comincia a dare segni di nervosismo. Qualcosa non va.
“Rukawa sei qui? C’è nessuno?”
Giro l’angolo degli armadietti e quello che vedo mi lascia completamente pietrificato.
Disteso a terra, in una pozza di sangue e acqua, c’è Rukawa. E’ riverso di lato, la testa piegata leggermente in avanti, le braccia completamente abbandonate, le gambe tirate un po’ verso il busto come a voler proteggere l’addome. Convinco il mio corpo a muoversi. Lo raggiungo e mi piego su di lui. Vorrei sollevarlo, scuoterlo ma una parte di me si rende conto che non ha preso parte ad una semplice rissa. E’ ridotto male. Ha solo i pantaloni addosso. Afferro la maglia della tuta che è a terra vicina ad una panca divelta e gliela poggio sulle spalle. Lo sollevo e sento che trema un poco. La testa gli si rovescia all’indietro. Esco di corsa. Non devono vederlo gli altri studenti o gli insegnanti. Lo caccerebbero via dalla scuola prima che possa svegliarsi per dare una spiegazione. Le risse all’interno del liceo sono punite con l’espulsione.
Inconsapevolmente sto correndo. Il pensiero che possa non svegliarsi mi ha gelato il sangue nelle vene. Me lo carico in spalla sperando che non abbia emorragie interne o traumi alla testa. Ma che diavolo gli sarà capitato? Chi può averlo raggiunto in palestra?
Il pronto soccorso mi accoglie con la sua solita confusione. Sembra che nessuno si sia accorto che il ragazzo che ho in spalla sta male. Nessuno pare volermi ascoltare. Urlo.
Tutti si fermano e un’anziana infermiera mi viene incontro. Un dottore chiama una barella e un’infermiera più giovane chiede una maschera per l’ossigeno. Lo guardo, pallido come mai, ricoperto di ematomi e bagnato del suo sangue, della pioggia e del mio sudore.
Seguo il lettino che lo porta nella sala emergenze fino a che l’anziana infermiera non mi dice che lì non posso entrare. Appena le porte si chiudono, scivolo a terra, schiena contro la parete. Guardo l’orologio. Sono le otto e quarantasette. Non c’è niente da fare. Anche stamattina ho fatto tardi a scuola. Ho corso. Come non ho corso mai. Non me ne frega un cazzo delle lezioni, ora non me ne frega neppure degli allenamenti di basket. Voglio solo che esca qualcuno da quella stanza a dirmi che Rukawa è vivo e sta bene. Come può un’ora cambiare così tanto la prospettiva della tua vita? Fino ad un’ora fa, tutto ciò che volevo era battere il Ryonan e andare in ritiro. Ora voglio solo che mi ridiano Rukawa. Sgrano gli occhi perché improvvisamente ho realizzato il senso di ogni cosa che ho fatto negli ultimi mesi. Devono ridarmi Rukawa perché senza di lui sparisce ogni progresso che ho fatto, tutta la fiducia in me stesso che ho conquistato, la gioia di giocare a basket. Lui è il termometro della mia felicità. Stringo i pugni cercando di capire perché quel maledetto volpino ora è nella sala emergenze di un ospedale. Ripenso a come l’ho trovato e rabbrividisco. Inoltre sono uno stupido. Non ho pensato che, quando gli altri arriveranno in palestra, troveranno gli spogliatoi sottosopra. Mi alzo e raggiungo un telefono. C’è solo una persona che posso chiamare.

“La signorina Ayako Sawa è pregata di recarsi immediatamente in segreteria, la signorina Ayako Sawa è pregata di recarsi immediatamente in segreteria.”
La voce all’altoparlante continua a dire la stessa frase già da qualche minuto. Mi sono messa a camminare veloce. Che cosa può essere successo? Mia madre? Mio padre? Lo Shohoku?
Busso e la porta della segreteria si apre e trovo la bidella con la cornetta del telefono in mano.
“Ayako Sawa?”
“Sì.”
“Al telefono. E’ urgente.”
La bidella esce e chiude la porta.
“Pronto?”
“Ayako, sono Hanamichi.”
Mi viene voglia di urlare.
“Cos’hai combinato, idiota?”
“Ayako…”
La voce dall’altra parte non esce. Capisco che Hanamichi è in difficoltà e ammorbidisco il tono.
“Hana, cosa è successo? Stai bene?”
Sospiro.
“Sì. Ho bisogno di un favore. Devi correre in palestra e mettere ordine negli spogliatoi. Non posso stare al telefono ora. Fidati di me. Troverai un po’ di casino ma non spaventarti.”
“Spaventarmi? Imbecille, sono già spaventata. Ora mi dici che è successo, capito?”
“Hanno pestato Rukawa. E’ in ospedale. Non so ancora nulla, i medici non mi dicono niente. Non lo devono sapere a scuola, capito?”
Le parole sono così veloci che credo di non aver compreso.
“Rukawa è in ospedale? Hanamichi chi è stato? Se tu c’entri in questa storia io ti ammazzo, lo sai vero?”
“Non sono stato io! Non potrei mai fare una cosa simile!”
La voce di Hanamichi è rotta dal pianto. Sono stata una stupida ad accusarlo di una cosa simile.
“Ok, ok. Della palestra mi occupo io. Devo dirlo agli altri però. Mi chiederanno che fine avete fatto. Dopo la scuola siamo da te, ok? Tieni duro finché stai lì da solo.”
“Aya?”
“Sì?”
“Bisogna chiamare suo padre?”
“Suo padre?” esito, non sono brava a mentire “No, Hana, meglio di no se non è grave. Vediamo che dicono i dottori, ok?”
“Ok.”
Attacco. Ora sì che corro. Le lezioni possono finire qui per oggi. La palestra è aperta. Speriamo non sia entrato nessuno. Mi chiudo dentro e raggiungo gli spogliatoi. Dei, ma quanto sangue c’è? Che è successo qui? Ripenso alle parole di Hanamichi: “Hanno pestato Rukawa”.
Chi può aver fatto una cosa simile? Nemmeno quando la banda di Mitsui è venuta in palestra ad attaccar briga, ho visto tanto sangue. Allora erano in molti ad essersi feriti. Questo sangue appartiene tutto a Rukawa.
Mentre cerco di sistemare tutto alla meglio e pulisco il sangue dal pavimento e dalle pareti, mi viene da piangere. Non mi accorgo del tempo che passa fino a che non sento vociare. Sono i ragazzi che si chiedono come mai la palestra è chiusa.
Apro la porta senza farmi vedere e li faccio entrare. Kogure si accorge subito che ho pianto.
“Che è successo Ayako?”
Ryota mi mette una mano sulla spalla. Vuole sapere. Guardo Haruko. Lei è innamorata di Kaede, come la prenderà?
“Ragazzi, è successa una brutta cosa. Stamattina Rukawa è stato aggredito negli spogliatoi.”
Tutti si allarmano. Akagi li zittisce e chiede.
“Dov’è ora? Chi è stato?”
“Quell’idiota di Sakuragi, vero?” esclama Ryota.
Scuoto il capo.
“Non lo so. Sakuragi l’ha trovato begli spogliatoi e l’ha portato subito in ospedale. Dovremmo andare lì.”
Non si perde tempo con i ragazzi. Loro afferrano al volo. Akagi chiama un taxi e arriviamo in ospedale in pochi minuti.
Ero pronta a vedere Rukawa in un letto, non lo sono a vedere Hanamichi nello stato in cui è.
Capo chino, un braccio abbandonato lungo il corpo, l’altro alla testa schiacciata contro il vetro della sala emergenze. Lì dentro c’è Kaede. Haruko corre da lui e succede una cosa strana. Lui quasi non la guarda. E’ Akagi a mettergli una mano sulla spalla e a chiedergli di raccontare.
“Non so niente. L’ho trovato così.” Dice indicando il vetro. Rukawa giace immobile bianco come le lenzuola su cui è disteso, due tubicini infilati nel braccio sinistro. Almeno respira da solo.
“Si può entrare?” chiedo.
Hanamichi annuisce.
“Allora perché stai qui?”
“Perché gli do fastidio. Dice sempre che sono rumoroso. Gli impedirei di dormire e lui ora deve riposare. E’ molto debole Ayako. Il dottore ha detto che ha rischiato un collasso. Gli si sarebbe potuto fermare il cuore.”
Mentre parla, non mi guarda negli occhi. Si vede che è sconvolto e tutti si affrettano a consolarlo.  Io entro.
Nella stanza c’è odore di disinfettante. Mi avvicino al letto. Se possibile, da vicino è ancora più pallido. Ha una ferita alla testa e diversi lividi e contusioni. Ha segni sul collo e sui polsi. Gli accarezzo la fronte. Lui non vorrebbe ma io posso permettermelo.
“Chissà se puoi sentirmi.”
“Nh.”
Il suo solito verso indica che è sveglio e apre lentamente gli occhi.
“Kaede” gli dico “come stai?”
“Ho freddo.”
“Dico all’infermiera di portare altre coperte.”
Esco e informo tutti che si è svegliato e che sembra stare bene. Tutti sorridono e fanno commenti su quanto quel tipo sia un duro o un tizio estremamente fortunato. Solo Hanamichi rimane zitto. Sta guardando due uomini che stanno entrando nella stanza di Rukawa.
Li raggiunge e io faccio lo stesso.
“Siamo della polizia. L’ospedale ci ha informati che c’è stata un’aggressione. Vogliamo informazioni per perseguire il reato.” Dicono brevemente al ragazzo nel letto.
Rukawa guarda noi e poi chiude gli occhi.
“Ogni mattina mi alzo alle sei per allenarmi prima di andare a scuola. Sono stato aggredito da un tizio nel campetto dietro casa mia.”
Gli uomini sembrano aspettarsi altri dettagli perché uno di loro tira fuori un taccuino.
“Cos’altro?”
“Nient’altro.”
A queste parole vedo Hanamichi stringere i pugni con rabbia.
“Non saprebbe descrivere l’aggressore?”
“Alto e grosso.” Risposta di Rukawa.
“Colore dei capelli? Occhi? Segni particolari?”
“Non ricordo.” Risposta di Rukawa.
“Magari quando si sentirà meglio.”
“Mi ha colpito alla testa. Non ricordo niente.”
“Se lei conosce il suo aggressore e non lo denuncia diventa complice di un reato.”
“Nh.” Risposta di Rukawa.
Per fortuna interviene il medico a spiegare che il ragazzo è traumatizzato. Noi che lo conosciamo però, sappiamo che non è così. O meglio, sappiamo che lui è sempre così.
I poliziotti se ne vanno e succede. Alla fine il vulcano esplode. Normale che fosse solo una questione di tempo.
“Si può sapere perché non hai detto niente, maledetto che non sei altro? Ti hanno massacrato di botte e tu non denunci il fatto? Non dici chi è stato?” Sakuragi è fuori di sé.
Rukawa accusa il colpo. Non reagisce e si ritrova l’altro a un palmo dal naso con entrambe le mani piantate ai lati del letto.
“Allora? Ancora non dici chi è stato?”
“Nh.”
“Sei un maledetto! Preoccuparmi per te! Come mi è saltato in testa! Vaffanculo Rukawa!”
Hanamichi esce sbattendo la porta. Stavolta non può vedere quanto le sue parole abbiano fatto centro. Rukawa piange. Ovviamente non immaginate singhiozzi e lamenti. Solo due lacrime silenziose.
Mi avvicino ma si volta dall’altra parte. Esco anche io. Gli voglio troppo bene per imporgli la mia presenza e lui ha già scelto.

Maledetto Rukawa!
Come mi è saltato in mente di stare male per quel deficiente? Si fa pestare e poi non vuole dire niente su chi sia stato!
Mi fermo davanti alla porta dell’ospedale. Non riesco ad uscire. Non riesco ad andarmene nonostante lo desideri con tutte le mie forze. Ho passato tutto il giorno a temere il peggio e sono stanco. Vorrei andare a casa, fare una doccia e dormire. Invece non riesco ad uscire da questo dannato ospedale. Perché nonostante tutto, lui è steso in quel letto ferito e tormentato e per di più non vuole dire niente.  Sto lì impalato quando il dolore che sto provando mi da una consapevolezza. Una cosa su cui non avevo riflettuto. Chi ha cercato Rukawa a quell’ora in palestra, sapeva che era lì. Lo conosce. Se Rukawa non ha voluto rivelare nulla sul suo aggressore, probabilmente lo conosce anche lui.  “Alto e grosso” ha detto. Che stupido che sono! Come ho fatto a non pensarci prima? So chi ti ha fatto questo, Rukawa. Io lo so. E tu non hai voluto denunciarlo. Perché? Perché! Ansimo facendo le scale al contrario, poi mi blocco di nuovo.
Anche se lo so, cosa cambia? Sono troppo arrabbiato, troppo nervoso e sono stato aggressivo. Non mi va di chiedere scusa a quella maledetta volpe. Riscendo e trovo i ragazzi davanti alla porta.
“Che fine hai fatto Sakuragi?” Mi chiedono.
“Tanto per cambiare, mi ha fatto saltare i nervi e ho preso aria.”
“Noi stiamo andando a casa.” Mi risponde Mitsui. Anche lui è teso “L’orario delle visite è finito.”
Nessuno si muove però. Deve intervenire il capitano.
“Andiamo tutti a casa. Credo che Rukawa passerà la notte in ospedale. Verremo a trovarlo domattina e decideremo anche se chiamare suo padre.” Conclude guardando Ayako.
Ognuno prende la strada di casa. Haruko mi ha chiesto se volessi incamminarmi con loro. Ho detto di no.
Decido di andare a piedi. Ha smesso di piovere e io ho bisogno di chiarirmi le idee.
Mi rendo conto solo dopo un’ora di non essermi allontanato per niente dall’ospedale. Ho girato in tondo come un cretino. Tuttavia l’ho fatto di proposito. Non mi va che rimanga sola quella stupida volpe. Anche se non posso entrare, rimarrò in sala d’attesa. Magari succede qualcosa. Potrebbe avere bisogno d’aiuto. Ayako non ha voluto chiamare suo padre e così la volpe non ha nessuno. Non riesco proprio ad immaginare il padre di Rukawa. Con il massimo della fantasia in mio possesso, mi figuro un Rukawa con un po’ di pancia e un paio di baffi. Sorrido pensando che se fosse vero, Rukawa invecchierà male.
Raggiungo la sala emergenze e mi prende un colpo. Il letto di Rukawa è vuoto. Mi giro in cerca di qualcuno che possa darmi una spiegazione. Il corridoio è deserto. Un’ansia incredibile mi assale fino a che non individuo la vecchia infermiera.
“Signora che fine ha fatto il ragazzo ricoverato nella sala emergenze?”
La signora ci pensa su un attimo e mi risponde bonariamente.
“E’ stato dimesso. Contro il parere del medico. E’ venuto a prenderlo suo fratello.”
Fratello? Rukawa non ha fratelli. O sì e non lo sapevo? No, Rukawa non ha fratelli.
“Lei l’ha visto questo ‘fratello’?”
“Oh sì, povero ragazzo! Era così preoccupato! Non faceva che chiedere al più piccolo se avesse dolore. Il paziente l’ha rassicurato dicendo al medico che non gli faceva male nulla e che si sentiva in grado di tornare a casa.”
“Era più alto di Rukawa?”
“Direi di sì, anche se portava i capelli in modo così strano che forse mi sbaglio.”
“Capelli a spazzola alti così?” chiedo in preda ad una collera crescente mimando, con la mano sopra la testa,  la smisurata altezza della messa in piega che ha visto l’infermiera.
“Già.” Dice lei invitandomi a lasciare la zona emergenze.
Maledetto Sendoh! Io ti ammazzo, sì ti ammazzo. E quella malefica volpe che si è lasciata portare a casa da lui! La causa delle sue condizioni.
Esco di corsa dall’ospedale con in testa solo un’idea.

Non me l’aspettavo.
Quando credevo che avrei passato la notte in ospedale, eccolo spuntare fuori di nuovo.
“Ero qui già da un po’” dice guardando il pavimento “e ho sentito che non hai dato informazioni alla polizia sul tuo aggressore. Ti ringrazio per non avere denunciato Fukuda, Kaede.”
Mi chiama per nome senza che io gli abbia mai dato il permesso di usarlo. Sendoh è fatto così. Lui fa tutto semplice. Come la volta che mi ha raggiunto sul campetto dietro casa mia chiedendo informazioni ai vicini sulle mie abitudini e mi ha detto sollevando la palla arancione a bordo campo: “Tu mi piaci molto”.
Ho imparato, col tempo, che lui parla anche “molto” ma solo con me. Per il resto è una persona amabile. Gentile come non ho mai conosciuto nessuno e sensibile. Gioisce e si rattrista per un nonnulla. Per questo non ho mai respinto apertamente i suoi sentimenti. Per me lui è un avversario. Il più temibile. Per lui io sono anche qualcos’altro. Gli piaccio. Molto. In quest’ultima parola c’è un universo intero. Conoscendolo significa che ci tiene parecchio al sottoscritto. Che non mi considera un’infatuazione di passaggio.
Mi chiedo perché tra tanti, abbia scelto di interessarsi a me. L’ho sempre trattato con estrema freddezza. Il motivo di tanta durezza è che lui mi ricorda che è possibile. E’ possibile avere un compagno, cosa che io ho sempre escluso nonostante lo desideri. Le ragazze non mi interessano. Neanche un po’. Però, so che diventerebbe tutto dannatamente complicato se diventasse un fatto di dominio pubblico che per compagno, invece che intendere quello di squadra, io cerco quello di vita.
Sendoh si comporta come se, oltre che compagni di squadra nazionale o professionistica, nel futuro potremmo essere compagni di vita.
Solo perché sono cinico, non significa che devo distruggere il suo lato gentile.
“Non lo avrei mai fatto. Accusare Fukuda. Lui lo ha fatto per te.”
Accusa il colpo e stringe i pugni.
“Non doveva. Voglio che tu sappia che gli ho detto di non osare mai più avvicinarsi a te e che se non ti chiederà scusa non gli passerò mai più una palla, né in partita né in allenamento.”
Conoscendolo significa che non gli rivolgerà mai più la parola. Non è giusto.
“Devi perdonarlo. Fukuda ti vuole bene. Se lo ferirai, mi odierà ancora di più.”
Il tono della nostra conversazione è pacato. Non è come quando urlo con la scimmia rossa. Ecco ancora che mi ritrovo a pensare a lui. Al modo in cui mi ha trattato prima di uscire e sbattere la porta.
Non poteva essere gentile con me come lo è Sendoh? Idiota. Provo a sollevarmi ma ho dolori dappertutto e una smorfia mi si dipinge sul viso. Sendoh mi è affianco in un istante.
“Vuoi che chiami un dottore?”
“Voglio andare a casa.” Rispondo. Ed è vero. Vorrei solo distendermi nel mio letto.
Sendoh sorride.
“Tienimi il gioco!” Dice uscendo e tornando con un medico ed un’infermiera. In pochi minuti monta una storia incredibile su come sia mio fratello maggiore e su come è necessario che prosegua le cure a casa nostra perché ho un esame di riparazione importante tra pochi giorni su cui i nostri genitori puntano molto.
Il medico si impietosisce ma resiste. Se mi faccio dimettere, sarà contro il suo parere. Ok, per me va bene. Firmo un paio di carte e in mezz’ora siamo a casa mia.
Mi aiuta a mettermi sul divano e impila sul tavolo tutte le medicine che devo prendere con un bicchiere pieno d’acqua e la bottiglia.
“Hai fame?” mi chiede.
Scuoto il capo. Non gli dico che mi fanno troppo male i muscoli dell’addome per pensare che possa mangiare qualcosa. In più ho il labbro spaccato e non riuscirei neanche volendo ad aprire la bocca.
Mi mette un plaid sulle ginocchia e finge di credermi. Si alza.
“Conosco la strada. Non ti chiedo se vuoi che resti perché conosco la risposta. Il telefono è vicino al telecomando della tv. Se hai bisogno, chiama. Ho impostato il mio numero sotto il tasto sette. Mi sorride un po’ triste. Mi dispiace un po’ averlo deluso ma non voglio che creda che ricambio i suoi sentimenti.
Appena sento la porta chiudersi mi rilasso. I dolori sono insopportabili però ora sono a casa. Da solo. Pace. Non si vede in giro neanche Neko. Bravo gatto.
Chiudo gli occhi. Batterò il mio record di sonno rapido quando un rumore alla porta me li fa riaprire.  Questa giornata non vuole proprio finire.

  
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