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Autore: Gavriel    17/03/2014    2 recensioni
Apollonius e Celiane. Dall'odio viscerale all'amore assoluto, passando per guerra, amore e morte.
Lui era lì, in ogni battaglia: a volte compariva davanti al sole, con le ali possenti come ad abbracciare l’astro, e discendeva terribile sul campo; altre volte era al comando dello schieramento , e ordinava l’assalto con le sue vesti cangianti, coi i capelli in un turbine di fuoco. E Celiane lo cercava ogni volta, quasi con disperazione. Lui d’altra parte faceva sempre in modo di trovarsi nelle vicinanze dell’umana che lo aveva ferito, col feroce desiderio di una vendetta.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Apollo, Apollonius, Celiane, Gen Fudo, Toma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Moscardini e Bodaglie

Un Altro capitolo di Slice of Life. Non che mi sispiaccia, però adesso mi sto impegnando a scrivere scene di guerra e mi risulta abbastanza snervante la pèresenza di questo capitolo. Essenzialmente contiene informazioni che ampliano i retroterra dei personaggi- e anche nozioni di metallurgia!- e che descrivono l'ambiente e gli usi. Potete anche non leggerlo, nel prossimo capitolo metterò un breve riassunto di questo.

Non aveva fatto in tempo ad entrare che qualcuno bussò di nuovo alla porta. Questa volta non entrò nessuno, ma spuntò un pezzo di carta giallastra da sotto la porta. Celiane lo voltò: il retro era scritto con una grafia spigolosa e affrettata:
Tra mezz’ora alle cucine, non farti notare
Riconobbe la grafia. Un brivido d’eccitazione corse lungo la spina dorsale, la presunta stanchezza le scivolò via. Si soffiò il naso, si mise i suoi vestiti e uscì dalla porta.
Appena uscita dalla stanza però, si rese conto che non sarebbe stato così semplice; imprecò sotto voce. Dove stavano le cucine?
Chiedere a qualcuno non era contemplabile, seguire il profumo di manicaretti nemmeno, andare a casaccio avrebbe solo portato a delle complicazioni. Rientrò svelta nella sua stanza e si buttò sul letto. Davanti a lei c’era una campanella di ottone legata ad una corda rossa. Forse c’era un modo.
La cameriera bruna entrò dopo qualche minuto.
-Avete chiamato signorina?
Da sotto le coperte Uscì una voce tombale
-Non mi sento troppo bene, potete per piacere far arrivare un po’ di……  un po’ di brodo dalle cucine?
- Volete che vi chiami anche un medico?
-NO!, cioè no, ho solo bisogno di qualcosa di caldo, non è nulla di grave…
Appena se ne andò Celiane saltò giù dal letto e socchiuse la porta per vedere dove andasse, ma sirene subito conto che sparire in quel momento avrebbe fatto insospettire la cameriera, che rientrando col brodo non l’avrebbe trovata.
Camminò in su e in giù per la stanza prestando ascolto  di tanto in tanto finché non sentì dei passi lenti avvicinarsi. Si fiondò tra le coperte appena in tempo prima che compartisse la piccola serva con un vassoio.
-Dove lo posso appoggiare?
-Appoggialo qua
 Disse lei indicando il comodino. La servetta mora poggiò a canto a lei il vassoio, che conteneva una tazza di porcellana, piena di un liquido chiaro e fumante. Avendo cura di non far vedere i vestiti sotto prese la tazza con due mani e bevve avidamente davanti alla mora. Il sapore non era male, ma la lingua e la sua trachea stavano andando a fuoco. Con le lacrime agli occhi consegnò il piato vuoto alla serva, che la guardava impressionata.
-Molto buono, davvero- disse tossicchiando- grazie mille. Per oggi posso chiedere di non essere disturbata?
-Certo
Non appena si congedò fuori dalla porta, Celiane cominciò a seguirla da lontano. Il che richiedeva una certa dose di abilità, soprattutto all’inizio, poiché doveva evitare non solo la serva, ma anche tutte le guardie; però, man mano che scendevano verso i piani della servitù i corridoi diventavano sempre più angusti e affollati, e nessuno faceva caso a lei. Ogni tanto si era dovuta fermare, perché la servetta bruna, che aveva scoperto si chiamava Summer, si fermava a chiacchierare con qualche sua collega e aveva raccontato anche della faccenda del brodo a qualcuna di loro.
Dopo quello che parve un secolo e dopo diverse miglia di corridoi finalmente si aprirono le porte delle cucine. Subito un odore di selvaggina arrivò alle narici dei Celiane, che nel vapore dell’ambiente  perse di vista Summer. La trovò pochi secondi dopo avvinghiata ad un giovane che stava appoggiando su un vassoio un piatto vuoto . Brava la nostra Summer, pensò notando il profilo del suo uomo. Poi dietro di lui riconobbe un viso familiare: Markus, vestito da paesano. Celiane si fece largo fino a lui
-La prossima volta allega una mappa, non sai che cosa mi sono dovuta inventare per arrivare fino a qui di nascosto
-Penso di saperlo bene, visto non conosco questo posto meglio di te. Non è bello ingurgitare un moscardino intero davanti ad uno sconosciuto 
disse accennando il moroso di Summer. Celiane sorrise:
-Beh, la prossima volta prendi tu il brodo bollente. Va bene?
Riuscì a strappare a Markus un’altra risata si incamminarono fuori. La città del ferro non era come Alisia. Alla luce del mattino le strade erano lastricate in basalto grigio così come gli edifici più imponenti. Markus le porse una palandrana di lana marrone:
-Non penso ti sia mai uscita al mercato
Celiane lo prese e ci mise un po’ a capire come si mettesse, ma non appena lo allacciò cominciò a sentire il calore crearsi tra gli strati dei vestiti. Gli sorrise grata; lui ne indossava una uguale, che gli copriva gran parte del corpo e lo faceva sembrare più grosso
-Invece sembra che tu sia un assiduo frequentatore
-Quando non sono in biblioteca… ho una sorpresa seguimi.
Cominciarono a camminare per le strade acciottolate; tutto sembrava più acuto e affilato alla città del ferro: le persone, avvolte nei loro mantelli, le case di pietra ai primi piani e di legno ai successivi tre-quattro. Davanti a lei la sua guida gli indicava quali case fossero infestate, i posti migliori per dei dolci di mele, o quali fossero le famiglie della compagnia del ferro –tra le quali la più potente era appunto quella Schieregaard- A volte gli prestava attenzione, altre invece si perdeva a guardarsi intorno, o dietro la sua sagoma scura; tanto chè quando lui si fermò le gli sbattè contro.
-Siamo arrivati
Quello che Celiane vedeva era un’insegna di metallo battuto, dove le lettere si intrecciavano tra loro. Entrarono in un locale angusto, illuminato da un bagliore rossastro che proveniva da una camera dietro il bancone. Appese alle pareti, come spettri armature brillavano ammiccanti. Dietro al bancone una giovane donna, probabilmente coetanea ai due stava sistemando delle frecce; la poca luce della stanza le metteva in luce i capelli castani, il corpo asciutto e formoso, il viso rotondo.  corse loro incontro e buttò le braccia al collo del biondo. Celiane sgranò gli occhi, come potesse lui, un raccomandatissimo topo di biblioteca conoscere –ed essere in confidenza!- con una civile così carina, per giunta non appartenente all’elite della gabbia d’oro in cui aveva detto di essere cresciuto. Poteva giurare di aver sentito la seconda fitta di gelosia della sua vita, dopo aver visto Gen con una sventolona mora, ma si rifiutava di essere gelosa di… di…
-Gwen, questa è Celiane
La radiosa ragazza le porse la mano, a contatto la sentì callosa, ma non erano gli stessi suoi calli. Celiane si sforzò di apparire cordiale, in fondo non le aveva fatto niente di male
-Allora è lei quella di cui mi hai scritto in continuazione! Felice di conoscerti. Mi chiamo Gwenviere, sono la figlia apprendista di questa bottega d’armi. Venite pure nel retro, l’ho appena completata.
I due la seguirono verso la porta dietro al bancone. Celiane stava pensando al fatto che nessuno le mandava mai lettere quando rimase abbagliata dalla fornace in funzione: quando vi passarono davanti colò in un crogiolo quello che sembrava un piccolo sole liquido
-La mattina trattiamo l’acciaio, il pomeriggio lo battiamo
Spiegò Gwen
-Acciaio?
-E’ una lega di ferro e carbone, la otteniamo con queste fornaci, che permettono di trattare volumi maggiori a temperature più alte. E’ più resistente del ferro, ma meno flessibile.
Markus guardò Gwen complice, poi posò lo sguardo su Celiane, erano entrambi euforici. Gwen fece gadere un grosso drappo, che rivelò l’armatura più bella che Celiane avesse mai visto: Era costruita a scaglie, con varie placche sovrapposte progettate per accompagnare i movimenti; era come quella che aveva sul vector, senza placche addominali e dorsali, ma era molto più sofisticata.
-Non sai che fatica cercare di prenderti la taglia
-Markus mi ha spedito degli schemi della tua attuale armatura chiedendomi di migliorarla, i suoi disegni sono stati decisivi
Il biondo gongolò:
-Beh, nelle mani del miglior armaiolo della città del ferro anche uno scarabocchio può diventare un capolavoro
Celiane aveva gli occhi umidi, li abbracciò entrambi.
-Vedi quelle venature_ continuò Gwen indicandole le minuscole linee che ricoprivano tutti i pezzi_ sono acciaio temprato, che riveste un anima di acciaio flessibile: in parole povere non viene scalfita e non viene spaccata
-Posso provarla?
-Devi! Tu signorino esci fuori dal laboratorio
Markus se ne andò brontolando qualcosa sul fatto che quella era un’armatura e non una cintura di castità e sparì verso il bancone del negozio.
Celiane si tolse la palandrana e gli strati più pesanti di stoffa, mentre Gwen prendeva le placche femorali dal piedistallo. Mentre la aiutava a sistemarle non riuscì a trattenersi:
-Come vi siete conosciuti voi due?
-Io e Markus? Siamo cugini di secondo grado, ci siamo fatti insieme un sacco di ricevimenti, cerimonie, funerali… i nostri due padri sono cugini
Non sapeva se quella era una sensazione di sollievo o doveva essere ancora più preoccupata; per cosa poi?
-Non sapevo che…
Gwen le passò i coprispalla, erano leggerissimi.
-Che Markus fosse un mezzosangue? Cierca trent’anni fa una guerra aveva messo in grave pericolo la stabilità degli Schieregaard, la dinastia più longeva di Hoor. Per vincerla  avevano bisogno di armi, quindi di metallo, e guarda caso, i migliori armaioli, noncheè esponenti della compagnia del ferro erano gli Uther. Sua madre quindi sposò mio zio. Benchè programmato è stato un matrimonio felice. Anche perché grazie al prestigio riflesso dagli Schieregaard abbiamo potuto viaggiare e apprendere a sud le nuove tecniche di forgiatura.
-Per fortuna che esistono queste unioni fortunate
Gwen la aiutò ad allacciarsi i guanti e le maniche, che sembravano tessute di mercurio.
-Beh, di sicuro lo sarà anche la vostra
Celiane trasalì impercettibilmente. Lo sapeva?
-Noi insieme?
Gwen le girò intorno arrivando a parlarle faccia a faccia:
-Non hai visto come ti ha guardato quando hai scoperto dell’armatura?_ il suo tono si era fatto più basso e gutturale_ Ci ha lavorato per quasi un mese, durante il quale ha continuato a scrivermi di Alisia, di Massacratori e di te. Perciò, stangona fallo soffrire e ti vengo a cercare. Intesi?
-Gwen, lo zio ti vuole alla mola…
Celiane aveva fatto appena in tempo ad annuire quando Markus era entrato nella stanza sovvrapensiero; si bloccò non appena si accorse di Celiane, che arrossì violentemente al pensiero di avere tutta la pancia allo scoperto
-Celiane mi stava chiedendo se era possibile far arrivare l’armatura nelle sue stanze per la sera. Vero?
-Sì
 Rispose lei un po’ troppo in fretta
-Ti sta alla perfezione, dovrei farne fare un’altra per Gen, l’altro pilota
-Potremmo mandarlo qui quando arriva…
-O accompagnarlo, non credi? Prepara i tuoi ligotti migliori, Gwen; Celiane, io ti aspetto fuori.
Appena lui uscì dalla stanza Celiane ricominciò a respirare, si tolse in silenzio l’armatura e andò  assieme a Gwenviere  al bancone.
-Aspetta ho un’altra cosa
Tirò fuori da sotto il bancone un involucro di stoffa, che appoggiò sul piano vendita. Aprì l’involucro e apparve una lama di acciaio temprato affilata da due parti.
-Non ha ancora ne guardi ne niente, ma questo è il mio personale regalo per voi
-Per noi?
Domandò Markus indicando se stesso e Celiane
-Tra qualche mese avrete capito tutto, per il momento _fece sparire tutto sotto il bancone_ questa resta qui
Gwen  fece un sorrisino malizioso, che lasciò entrambi perplessi.
 
-E’ un po’ inquietante, ma è la migliore armaiola in circolazione: lei le armature, mio zio le lame.
Celiane rispose entusiasta, le veniva da saltellare per la felicità. Poteva sembrare inusuale, ma non aveva mai ricevuto un regalo da donna adulta, e sebbene quel giorno avesse ricevuto anche il vestito della madre, l’armatura d’acciaio era stata pensata e fatta apposta per lei.
Passarono la giornata insieme, passeggiando lungo il fiume e addentrandosi nelle stradine su per le colline. I pesanti cappotti li proteggevano dagli sguardi e dal freddo. Per la prima volta Celiane provò sulla sua pelle l’anonimato, l’idea che le sue azioni non venissero scrutate dai ministri, da suo padre o da chiunque altro, le lasciava il cuore leggero. Markus vicino a lei sembrava pervaso da una strana luminosità, come  se quelle ore di libertà fossero realmente le prime della sua vita. Prestava attenzione a tutto, ad una colonna di legno intagliato, a un passero che si proteggeva dal freddo, alle anatre che nuotavano controcorrente sul fiume; era come se vedesse tutto per la prima volta.
Quando ritornarono all’entrata delle cucine rimasero a lungo a indugiare sulla porta, consapevoli che vagliata la soglia sarebbero tornati alla formalità.
 
Un paio d’ore dopo Celiane stava sperimentando sulla propria pelle un ricevimento in pieno stile Hoor, c’era gente da tutta la città del ferro e fu presentata da
Clodia a tutti gli esponenti più insigni della città. Conobbe alcuni esponenti della compagnia del ferro con cui scambiò qualche parola sui vector e sui pezzi che avevano preparato per la sua squadra di meccanici; riconobbe alcuni dei suoi compagni di addestramento, che adesso erano diventati cavalieri, ma nessuno della sua vecchia classe, non dovevano ancora aver finito; una donna alta, dall’aspetto austero e i capelli ingrigiti le si presentò come una delle sacerdotesse di Mara e si offrì di benedire i nuovi vector, sia come ultimo baluardo contro gli angeli, sia come simbolo dell’imminente unione tra le nobili e antiche casate degli Schieregaard e degli Alisia. Celiane mancò un battito: unione? Ma non erano già unite dal matrimonio di Clodia  e Alester? Cercò di aggrapparsi alla regina con lo sguardo, ma lei non negò nulla, anzi rispose con cortesia e con garbo alla sacerdotessa maggiore.
Se non piantò li una scenata era perché sapeva che in gioco c’erano parecchie tonnellate di metallo miracoloso e la vita di due regni, ma da quel momento tutto parve scivolare intorno a lei, come la pioggia quando era ferità alla distesa delle gemme. Anche se era sobria non metteva a fuoco le cose, non memorizzava nomi. Si chiese perché la prendesse tanto male: tutte le donne con un certo status non hanno voce in capitolo in ambito matrimoniale, per di più lei non aveva nessuna storia d’amore che potesse contrastare con il fidanzamento programmato ed era sicura che molte delle sue coetanee l’avevano avuta. Tuttavia non poteva pensare di non essere stata avvisata, fatta partecipe della decisione, e venirlo a sapere da una sconosciuta.
La cerimonia di fidanzamento vera e propria si tenne prima di cena: i lampadari principali vennero spenti e la sala era illuminata solo dalla luce lunare e da sparute candele. L’atmosfera festosa e informale di poco prima era scomparsa, la stanza adesso era un tempio consacrato, dove le figure erano ridotte ad ombre spettrali. Venne chiamata da una voce che ricordò esser quella della sacerdotessa, si avvicinò al suo viso fiocamente illuminato. Venne nominato anche Markus, che comparve silenzioso dal buio, la luna si rifletteva sui suoi capelli e sul viso, la guardava fisso. Per un istante credette di vedere un angelo massacratore nei suoi lineamenti, ma poi si riscosse.
Poi senza che nessuno dicesse niente si inchinò e  con entrambe le mani le porse quello che sembrava un medaglione d’oro un tondo esteso circa quanto il duo palmo e spesso quanto un suo dito, decorato con una filigrana geometrica.
Non riuscì subito a riceverlo, era come sporgersi da un baratro, ma tese le mani e lo prese, era pesante. Davanti a lei Markus si alzò meccanico, tenendo le mani della neofidanzata. In quel momento le luci si riaccesero e cominciò la festa.
Nonostante l’abbondanza di pietanze, riuscì solo a prendere qualche boccone di pane e un po’ di acqua. Tra gli invitati cercava l’altra parte dell’accordo, Markus stava sorridendo dall’altra parte del tavolo mentre raccontava a degli invitato qualcosa di apparentemente avvincente, si trovò ad invidiare la sua serenità, il suo sangue freddo. Incrociarono per un attimo gli sguardi, nel vederla gli si congelò un attimo il viso, come se si dispiacesse, lei non ebbe il coraggio di sostenerlo e cominciò ad ascoltare una conversazione sulle migliori sartorie di Hoor.
Questa volta si sforzò di rimanere al ricevimento, anche quando dovette aprire le danze assieme al suo futuro sposo. Per fortuna, pensò, che Clodia aveva fatto suonare una danza classica e lenta, che anche una come lei potesse conoscere; mentre si concentrava sui passi e sugli scambi di cavaliere teneva lo sguardo basso. Non voleva che nessuno leggesse il suo stato d’animo, nemmeno…
-Celiane
Levò lo sguardo in direzione dell’angelo dai capelli scarlatti, ma era Markus. Si irrigidì involontariamente, lui lo sentì attraverso il palmo della mano attorno a cui stavano girando lentamente.
Non ebbe il tempo di dire altro che il ritmo cambiò, così come i loro compagni, e si ritrovarono separati, per il sollievo di Celiane.
Dopo il minimo sindacabile, due balli, ritenne infatti il suo dovere compiuto, almeno per quella giornata. Sgusciò via verso l’uscita senza che nessuno se ne accorgesse e si avviò per i corridoi. Non voleva andare nella sua camera, ma nemmeno restare sotto gli occhi di qualche guardia, o peggio di qualche invitato; voleva tornare a casa.
Da una finestra vide il cortile a est, dove c’era una struttura  di vetro e acciaio, dove facevano crescere i frutti anche d’inverno, d’istinto svoltò a destra imboccando il corridoio che doveva condurre all’uscita. Fortunatamente era quello giusto:  guidata dall’aria fredda sbucò nel giardino est. A differenza del suo gemello sul lato sud, quello era considerato un posto di servizio, in cui venivano coltivati alberi da frutto destinati alle cucine, anche se per lo più veniva lasciato incolto. Celiane vi si addentrò di qualche metro, per quanto l’abito da cerimonia lo permettesse e cercò un angolo buio dove stare in pace.
Era li già da un po’ quando la nuvola che stava oscurando la luna si dileguò, lasciando che nuovi particolari venissero rivelati, in particolare una sagoma familiare che era troppo vicina per i suoi gusti; come quella sera a casa sua, i suoi capelli apparivano bianchi, la sua pelle era tesa in una maschera color avorio. Se non lo avesse visto mettersi una mano tra i capelli lo avrebbe tranquillamente preso per una statua di alabastro. Ritraendosi nel fogliame rimase a guardarlo: non la stava cercando, non stava nemmeno nascondendosi, semplicemente rimaneva in piedi, con gli occhi puntati sulla volta celeste; quasi come un prigioniero guarda i passi degli uomini liberi dalla feritoia della sua cella, il suo petto si alzava e si abbassava in sospiri profondi. Celiane sentì l’impulso di farsi avanti, ed essere il tipo di donna che costruisce, invece di lamentarsi e  subire; voleva alleviare il suo malessere, essere per lui ciò che lui stesso era stato per lei negli ultimi giorni, di condividere il carico della sua maledizione; ma tutto ciò che riuscì a fare fu quello di inciampare in una radice e spezzare un ramo con l’altro piede. Due occhi scintillarono verso di lei, come quelli di una lince, poi la vide camminare in avanti e si tranquillizzò, senza cambiare espressione.
Celiane dosava la lunghezza dei passi per trovare delle parole da dirgli, ma quando arrivò li non seppe fare altro che stare in silenzio. E ringraziarlo per il medaglione.
-Ogni famiglia di Hoor ne ha uno, sono dei pegni che il primogenito riceve dalla madre e che dona alla donna di cui desidera essere lo sposo
Rispose lui a voce bassa.
-Sai, a casa ci scambiamo delle corone di edera
Il fantasma di un sorriso comparve sul volto spigoloso del giovane:
-me le ricordo… a me sembravano così buffe al matrimonio di mia sorella, ne volevo un anche io e Alester me ne ha intrecciata una tutta per me, usando un ramo della sua. È il simbolo dell’inetrdipendenza, vero?
- e della vita eterna, l’edera non muore mai _continuò lei a bassa voce_ se ti va, allle nostre nozze _esitò un attimo_ potremmo farle anche noi. Infondo anche se non abbiamo deciso noi non è detto che tutto debba andare male, insomma…
Il bacio arrivò inaspettato. Non fu come quello di Gen o dei tanti che aveva scambiato, annebbiati dalla confusione o dall’alcool: quello lo sentiva come vero, suo. Come se la persona che lui volesse veramente fosse lei, lei e nessun’altro.  Sentiva le sue dita tirarle su il mento, l’altra sua mano indugiare sulla sua nuca, non per guidarla, ma per accompagnarla. Non durò molto, anche perché entrambi dovettero fermarsi per respirare, visto che erano raffreddati. Davanti a lei lo vide con il naso e le guance rosse, mentre il suo respiro si condensava in piccole nuvolette, vide il suo sorriso familiare, e non potè fare a meno di ricambiare.
  
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