Note:
gli avvenimenti sono ambientati in un post-5°
stagione.
Disclaimer: I personaggi
di Queer as Folk non mi appartengono,
benché meno lo sceneggiato. Da questa storia non ci ricavo
assolutamente nulla ù_ù
Coming
Home to You
Where have you gone?
You made us feel so strong
You lost us and now we are
Alone
(Tokio
Hotel – Black)
Brian
si alzò dal comodo divano bianco che troneggiava davanti al
grande televisore al plasma comprato di recente.
Quella
serata faceva schifo e niente in quel momento sembrava capace di
distrarlo dal pesante alone della consapevolezza che il suo imminente
quarantesimo compleanno avrebbe coinciso con la fine della
sua vita.
Era
ridicolo detto così.
In
fondo dieci anni prima aveva pensato le stesse identiche cose.
Dieci
anni fa però stava perdendo veramente tutto: una grande
agenzia di New York gli aveva rifiutato un importante posto di lavoro e
Michael stava per trasferirsi nell’Oregon insieme a
David…
Uno
sfacelo.
E
di certo la festa-funerale - o funerale
festoso con bara, palloncini neri e torta a forma di lapide
annessa - che i suoi amici gli avevano organizzato non era stata di
certo la soluzione migliore per risollevargli il morale…
Anche se molto probabilmente quelle non erano mai state le loro
intenzioni.
Adesso
però le cose erano diverse.
Linsday
e Melanine si erano trasferite da alcuni anni in Canada insieme a Gus e
Jenny Rebecca… Alcune volte era andato a trovarle insieme a
Michael per salutare i rispettivi figli ma sentiva che, in quel
semplice quadro famigliare, lui non era altro che un estraneo.
Anche
Michael, benché non fosse stato obbligato a rinunciare ai
suoi diritti sulla bambina, lo era.
Per
lui però era diverso.
Benché
fosse cresciuto, lui e Ben avevano un figlio – certo, era una
marchetta che avevano adottato per puro spirito da crocerossina
disperata, ma era comunque una persona a cui avevano dato tutto
l’affetto che meritava, o necessitava… Dipendeva
dai punti di vista.
Ma
soprattutto avevano l’un l’altro.
Brian
invece odiava i legami, le costrizioni e qualunque altra cosa potesse
vagamente somigliare allo schifosissimo stile di
vita degli etero.
Eppure,
non molto tempo fa, era sceso a compromessi col suo ego.
O
per meglio dire, aveva mandato a farsi fottere tutti i suoi principi e
le sue convinzioni ammettendo per la prima volta di amare
qualcuno… E riuscendo persino a proporgli di sposarlo.
Ridicolo.
Ma
l’aveva fatto.
Per
poi cacciarlo via subito dopo, annullando di comune accordo qualsiasi
cerimonia.
Fanculo.
Ogni
compleanno era sempre la stessa storia: una merda totale e un tuffo nei
ricordi e nei che lo faceva assomigliare ad una lesbica depressa.
La
sua vita non era cambiata più di tanto: era a capo di quella
che in breve tempo era divenuta l’agenzia pubblicitaria
più rinomata di Pittsburg e che vantava anche una filiale a
New York ma, benché avrebbe potuto benissimo trasferirsi
seduta stante nella Grande Mela, aveva preferito rimanere
lì, dov’era nato e cresciuto.
Lì
era e sarebbe sempre stato il numero uno… Il gay
più favoloso di Pittsburg.
Era
ancora il proprietario del Babylon, ma la sua
frequentazione non era più così assidua come un
tempo.
Quando
ci andava era unicamente per farsi fare un pompino nella darkroom e
trovare qualcuno che valesse la pena portarsi a casa e scoparsi, anche
se la sua media di sveltine settimanali era calata.
Non
che non ne avesse le forze… Ma gli
era passata la voglia.
Brian
Kinney che non ha voglia di scopare… La più
grande contraddizione esistente.
Brian
Kinney aveva sempre voglia di scopare…
Forse.
Erano
le undici di sera… Volendo sarebbe anche potuto andare al Babylon,
ma l’idea di rimorchiare qualcuno lo annoiava a morte.
Si
tolse la camicia e salì le scale che portavano al luogo che
era sempre stato il punto centrale – sia fisicamente che
metaforicamente – di quel loft: la camera da letto.
Si
era appena buttato a peso morto sul materasso quando sentì
il fastidioso ticchettio di qualcuno che stava bussando alla porta e
che fin troppe volte aveva interrotto le sue migliori – e
anche peggiori – scopate.
-
Andate via! - gridò dalla stanza senza essere minimamente
intenzionato a sollevarsi dalla comoda posizione che aveva assunto.
Ma
a quanto pare le sue parole non sortirono l’effetto sperato.
-
Ho detto: andate via! -
Ma
a quanto pare, chiunque fosse al di à della porta o era
troppo sordo o troppo stupido per capire che voleva essere lasciato in
pace.
-
Se siete venuti qui per ricordarmi che tra qualche ora sarò
un fottutissimo quarantenne potete anche andarvene fare in…
Oh. -
Si
era alzato annoiato e infastidito e, con un gesto di stizza, aveva
aperto la pesante porta metallica del loft trovandosi davanti
l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.
O
almeno, così gli era parso.
-
Allora è vero che vivi ancora qui… - gli disse la
figura che aveva davanti.
Forse
stava dormendo o… No, di pasticche non ne aveva prese.
Era
da un pezzo che non si faceva così tanto da entrare in uno
stato comatoso che il più delle volte portava anche ad
allucinazioni.
-
Tu che cazzo ci fai qui? - fu l’unica cosa sensata che
riuscì a dire.
Justin
sorrise.
-
Non mi fai entrare? -
Brian
lo guardò basito e, senza avere la forza di dire nulla o
protestare Justin lo scostò ed entrò
nell’appartamento, guardandosi in giro.
-
Certo che le cose non sono affatto cambiate… -
constatò togliendosi la giacca e girandosi nella direzione
di Brian che era ancora fermo e imbambolato davanti alla porta.
-
Lo sai almeno che ore sono? - gli chiese stizzito.
-
Le undici e ventisette di sera. -
-
Potevo essere a letto. -
-
Tu non dormi mai alle undici e mezza. -
-
Le cose sono cambiate. -
Justin
arricciò le labbra e abbassò la testa, quasi
dispiaciuto per quello che aveva appena detto.
-
Ti va una birra? - domandò con un sorriso stanco, come se
volesse allentare la tensione che si era involontariamente creata.
¤
Si
erano comodamente seduti sul divano, vicino ma non troppo, come due
vecchi amici che si erano ritrovati dopo tanti anni di
lontananza… Ed in effetti così era stato.
Lontani
erano stati lontani e amici era una definizione accettabile.
Scorretta,
ma accettabile.
Non
era necessario ricordare che erano stati in procinto di sposarsi.
-
Allora, cos’è che ti ha convinto dopo tutti questi
anni a tornare nella gioiosa Pittsburg? -
domandò Brian.
-
Non dovevo tornare. In fondo l’Italia non è
così male e la galleria in cui sto esponendo a Milan-
-Milano?!-
-Già…
Ma io lì lavoro, non spreco il mio tempo a rinnovare il mio
guardaroba da Armani.-
L’uomo
scrollò le spalle, apparentemente indifferente.
-
La galleria a Milano sta fruttando bene e in questi anni ho guadagnato
abbastanza così… Era il momento che facessi una
cosa. -
-
Devo chiederti cosa, o è un segreti di stato? -
Justin
rise debolmente: l’ironia e il sarcasmo di Brian erano
rimasti gli stessi.
-
Dovevo darti questo. - disse tirando fuori dalla tasca dei jeans un
foglietto di carta piegato accuratamente.
-
Cos’è? -
-
Aprilo. - lo intimò Justin.
Brian
prese il pezzo di carta lo aprì, guardandolo con sorpresa.
-
Non sono in rotta, cosa me ne faccio di un assegno di sessantamila
dollari?! -
-
Sono i soldi che ti dovevo. Con gli interessi. -
-
Dove li hai trovati? -
-
Sono un artista famoso adesso, ricordi? -
-
Già… Il grande Taylor. -
-
Ora le mie tele vengono vendute nelle gallerie d’arte moderna
e mi pagano anche parecchio… -
-
Mi ricordo che quando ti ho conosciuto le tue tele non valevano neanche
cinque dollari. -
-
Però sei stato tu ad acquistare, per cento dollari, il mio
primo quadro… -
-
E tu come lo sai?! -
-
Ho vissuto qui abbastanza a lungo da conoscere ogni angolo di questo
loft. In fondo, sono pochi quelli in cui non abbiamo
scopato… I rimanenti potevano essere degli ottimi
nascondigli… -
Rimasero
in silenzio per alcuni minuti e guardandosi di tanto in tanto.
Un
silenzio del genere poteva essere interpretato come un fastidioso
imbarazzo, eppure nessuno dei due sentiva la necessità di
parlare.
Non
era necessario, in fondo non erano mai stati dei grandi conversatori.
-
Mi sei mancato. - ammise in fine Justin parlando, ancora una volta, per
primo.
-
Ah si? -
-
Si. -
-
Perché dovrei crederti? In tutti questi anni non mi hai mai
scritto o telefonato… - lo rimproverò Brian con
l’ingenua cattiveria di chi non è mai stato
abituato ad essere ignorato.
-
Avrei voluto ma non sapevo se vivevi ancora qui e se… -
Brian
sollevò un sopracciglio per fargli chiaramente intendere che
non credeva ad una parola di quello che stava dicendo.
-
… Perché ogni singolo e fottutissimo giorno in
questi anni ho sempre accarezzato l’idea di tornare. I primi
tempi che ero a New York andavo in aeroporto quasi ogni giorno ma poi
mi rendevo conto che sarebbe stato stupido tornare per poi ripartire. -
-
Si, come scusa regge. – ammise Brian alzandosi dal divano e
andando a recuperare posacenere e sigarette.
-
Perché mi hai spinto ad andarmene? Perchè hai
fatto in modo che prendessi quella strada? -
gli domandò improvvisamente con una punta di
delusione nella voce, come se si portasse dietro quella domanda
dall’esatto momento in cui si erano separati.
-
Perché dovevi farlo. - gli rispose semplicemente Brian
bevendo un altro sorso di birra.
-
Io volevo restare con te. -
Brian
lo guardò, alzando un sopracciglio perplesso.
-
No… -
-
Si. Sarebbe stato il coronamento di un sogno che mi portavo dietro da
quando avevo diciassette anni. Da quando sono entrato per la prima
volta in questo loft e mi hai scopato.-
-
Non avevamo fatto l’amore? - gli domando ironico.
-
Questioni di libera interpretazione. -
-
Avresti commesso il più grosso errore della tua
vita, restando. -
-
Come lo sai? -
Brian
sorrise amaramente.
-
Non ha importanza. -
-Non me l’avevi
detto quando… -
-
… quando sei andato da Ian? -
-
Ethan. -
-
Quello che è. Questa era la tua grande occasione, hai dovuto
coglierla. -
-
NO, TU LO ERI! - rispose Justin con rabbia stringendo la bottiglia tra
le mani.
-
Stronzate. Altrimenti mi avresti mandato a fanculo e saresti rimasto. -
Justin
posò per terra la birra e si coprì il volto con
le mani.
-
L’hai sempre fatto. -
-
Cosa? -
-
Mi hai sempre spinto ad allentanarmi, andarmene quando si profilava una
nuova occasione davanti a me. Anche con Ethan… Tu VOLEVI che
io restassi, ma non me l’hai detto…
Perché? -
-
Ognuno prende le proprie decisioni autonomamente. Il massimo che ho
fatto è stato darti una piccola spintarella quando era
necessario, per farti vivere la TUA vita. Non la mia… -
Justin
sospirò profondamente voltandosi in direzione
dell’uomo.
-
Lo sai che questa è la più grande, bella e
profonda dichiarazione d’amore che uno possa ricevere? -
-
Cosa? -
-
Ti ricordi quando convincesti Ethan a firmare il contratto discografico
e io ti chiesi cosa ne sarebbe stato di me? -
-
Si. -
-
La rinuncia, in certi casi, è il più grande atto
d’amore… -
-
Non dirlo a nessuno però… - gli intimò
Brian, sorridendo.
¤
Non
ci fu un prima o un dopo.
Accadde
e basta.
Non
che non se lo aspettassero.
Nel
preciso momento in cui si erano rivisti sapevano che la notte si
sarebbe conclusa esattamente come ogni volta che trascorrevano del
tempo insieme.
Soprattutto
in quel loft.
Gli
anni erano passati, i loro corpi erano cambiati ma quella notte
sembrava che nulla fosse realmente mutato.
Un groviglio
di corpi sul letto era tutto ciò che si poteva vedere
all’interno della buia stanza, illuminata dalla fioca luce
azzurra che in tutti quegli anni aveva sempre segnato l'immaginario di
tutti coloro che avevano avuto il privilegio di essere scopati in
quella stanza.
Ma Justin
sapeva di poter ancora vantare un primato che difficilmente qualcuno
avrebbe potuto emulare: lui era l'unico a cui era stato permesso di
dormirci, scoparci e viverci per ben più che
una notte.
¤
Brian
si svegliò accolto dal profumo di pancake appena fatti.
-
Ciao. - gli disse Justin vedendolo comparire scarmigliato e avvolto
nella sua raffinata vestaglia di seta blu scuro mentre disponeva alcune
frittelle appena fatte in un piatto e versandoci sopra dello sciroppo
d'acero.
-
Cia-o.- gli rispose Brian sbadigliando e grattandosi la testa.
-
Hai fame? -
-
Non molta... C'é del caffé? -
Il
biondo gli porse una tazza contenente il liquido scuro fumante.
-
E' già ben zuccherato, tranquillo. -
-
Grazie. -
Justin
sorrise addentando un pancake.
-
Adesso dove andrai? -
-
Torno in Italia... Ho l'aereo tra qualche ora. -
-
E il tuo studio? -
-
Fortunatamente non sono uno di quegli artisti che necessita di uno
spazio inviolabile esclusivamente di sua proprietà... Mi
basta avere il materiale, poi dipingo dove mi capita. -
-
Il pregio di essere stati cacciati di casa a diciassette anni. -
-
Posso fare una telefonata? -
-
Purché non sia un’intercontinentale. -
Justin
sorrise.
-
Devo solo chiamare un taxi. -
Brian
sembrò quasi deluso da quella risposta.
-
Non vuoi che ti accompagni io? -
-
Non credo sia una buona idea… E poi io ho sempre odiato i
saluti della partenza, fanno così tanto signorina
Miniver… -
-
Chi? -
-
Lascia stare. Reminescenze di vecchi film francesi. -
-
Non sapevo che ti piacessero i film francesi… - gli fece
notare Brian addentando un acino d’uva.
Justin
lo ignorò e dedicò la sua attenzione
all’operatrice del centralino dei taxi.
-
Vado in bagno. - annunciò quando terminò la
chiamata.
Brian
lo osservò muoversi naturalmente per il loft che, per
diverso tempo, era stata la loro casa.
Afferrò
il foglietto dove Justin aveva appuntato il numero del veicolo e
l’ora in cui sarebbe arrivato… Mezz’ora
e poi sarebbe nuovamente uscito dalla sua vita.
Notò
quasi con piacere alcuni ghirigori che aveva tracciato in fondo al
foglio.
Delle
conchiglie...
¤
-
Grazie per l’ospitalità. - gli disse Justin
indossando la giacca.
-
Dovrei essere io a ringraziare te. – mormorò
Brian, con il suo rinomato tono da seduttore, ricevendo così
un’occhiataccia della peggior specie da Justin. -
E’ stato un piacere. Come sempre... -
Justin
scosse la testa rassegnato davanti all’immaturità
che Brian non cessava di ostentare, quasi fosse la sua miglior difesa
contro quel mondo esterno che avrebbe potuto attentare ai suoi valori
immorali.
-
Ho una cosa per te. - mormorò, facendogli cenno di
avvicinarsi.
-
Cosa? -
-
Dammi il braccio. -
Justin
allungò il braccio destro e Brian, con pochi gesti, gli
legò al polso il braccialetto di conchiglie che aveva
comprato anni fa in Messico e che per anni era sempre stato un suo
segno di riconoscimento.
-
Ma Brian, questo è il tuo braccialetto. -
-
Ora è tuo. Così, ovunque andr -
-
Non fare il romantico. Non ti si addice… Anche se una frase
simile me l’avevi già detta. -
-
Ah si? E quando? -
-
La prima volta che mi hai scopato… Mi
avevi detto: "adesso rilassati, voglio che lo ricordi per
sempre, in modo che con chiunque sarai, ci sarò sempre
anch’io". -
-
Che memoria. -
-
A differenza di te non ricordavi neanche il mio nome. -
-
Vero. Ma alla fine l’ho imparato. -
-
Probabilmente sono l’unico con cui hai scopato di cui ricordi
il nome. -
-
Nulla di più facile. - mormorò Brian facendo un
ultimo piccolo nodo al braccialetto.
Il
rumore di un clacson proveniente dalla strada interruppe quel
malinconico scambio di battute.
-
E’ arrivato il tuo taxi. -
-
Già… -
Justin
raccolse la sacca che aveva portato con sé
aprì la pesante porta metallica del loft.
-
Beh... Ci vediamo. – mormorò uscendo mentre
l’uomo l’aveva raggiunto davanti
all’ascensore.
-
Perché sei tornato proprio ieri sera? - gli chiese a
bruciapelo Brian guardandolo con uno sguardo indagatore.
Il
biondo sorrise e gli posò una mano sulla guancia per poi
posare un lieve bacio sulle sue labbra.
-
Per salutarti. Ed essere certo che non facessi cazzate come dieci anni
fa. -
-
Beh, allora la prossima volta non sparire per così tanti
anni. Non so se mi troverai ancora per il mio cinquantesimo. -
-
Tornerò prima, te lo prometto. -
-
Promesse da marinaio… -
-
Non è detto. In fondo, il violino non l’hai
più sentito… -
-Fine-
Note
dell’autrice:
Oddio,
l’ho finita *___*
E’
la prima volta che prendo in mano questi personaggi e, sinceramente,
non sono certa del risultato.
Il
titolo viene dal dialogo alla fine della puntata 2x06, quando Brian e
Justin stringono Il Patto.
E'
diventata molto più lunga di quanto in realtà
avrebbe dovuto essere... Temo che abbia anche assunto una piega un po'
troppo emo ma dopo due mesi che non scrivevo NULLA
- neanche kaulitzest ._. - e cambiando fandom così
repentinamente potevo anche aspettarmelo ._.
Spero vi sia piaciuta ^^