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Autore: LaTuM    01/07/2008    11 recensioni
Brian Kinney odia i compleanni.
Lui festeggia solo i propri successi e i compleanni sono solo l’inesorabile constatazione che il tempo non si può fermare… Forse.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Justin Taylor
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Coming Home to You

Note: gli avvenimenti sono ambientati in un post-5° stagione.



Disclaimer: I personaggi di Queer as Folk non mi appartengono, benché meno lo sceneggiato. Da questa storia non ci ricavo assolutamente nulla ù_ù


Coming Home to You

 

Where have you gone?
You made us feel so strong
You lost us and now we are
Alone

(Tokio Hotel – Black)

 

 

Brian si alzò dal comodo divano bianco che troneggiava davanti al grande televisore al plasma comprato di recente.

Quella serata faceva schifo e niente in quel momento sembrava capace di distrarlo dal pesante alone della consapevolezza che il suo imminente quarantesimo compleanno avrebbe coinciso con la fine della sua vita.

Era ridicolo detto così.

In fondo dieci anni prima aveva pensato le stesse identiche cose.

 

Dieci anni fa però stava perdendo veramente tutto: una grande agenzia di New York gli aveva rifiutato un importante posto di lavoro e Michael stava per trasferirsi nell’Oregon insieme a David…

Uno sfacelo.

E di certo la festa-funerale - o funerale festoso con bara, palloncini neri e torta a forma di lapide annessa - che i suoi amici gli avevano organizzato non era stata di certo la soluzione migliore per risollevargli il morale… Anche se molto probabilmente quelle non erano mai state le loro intenzioni.

 

Adesso però le cose erano diverse.

Linsday e Melanine si erano trasferite da alcuni anni in Canada insieme a Gus e Jenny Rebecca… Alcune volte era andato a trovarle insieme a Michael per salutare i rispettivi figli ma sentiva che, in quel semplice quadro famigliare, lui non era altro che un estraneo.

Anche Michael, benché non fosse stato obbligato a rinunciare ai suoi diritti sulla bambina, lo era.

Per lui però era diverso.

Benché fosse cresciuto, lui e Ben avevano un figlio – certo, era una marchetta che avevano adottato per puro spirito da crocerossina disperata, ma era comunque una persona a cui avevano dato tutto l’affetto che meritava, o necessitava… Dipendeva dai punti di vista.

 

Ma soprattutto avevano l’un l’altro.

 

Brian invece odiava i legami, le costrizioni e qualunque altra cosa potesse vagamente somigliare allo schifosissimo stile di vita degli etero.

 

Eppure, non molto tempo fa, era sceso a compromessi col suo ego.

O per meglio dire, aveva mandato a farsi fottere tutti i suoi principi e le sue convinzioni ammettendo per la prima volta di amare qualcuno… E riuscendo persino a proporgli di sposarlo.

 

Ridicolo.

Ma l’aveva fatto.

Per poi cacciarlo via subito dopo, annullando di comune accordo qualsiasi cerimonia.

 

Fanculo.

 

Ogni compleanno era sempre la stessa storia: una merda totale e un tuffo nei ricordi e nei che lo faceva assomigliare ad una lesbica depressa.

 

La sua vita non era cambiata più di tanto: era a capo di quella che in breve tempo era divenuta l’agenzia pubblicitaria più rinomata di Pittsburg e che vantava anche una filiale a New York ma, benché avrebbe potuto benissimo trasferirsi seduta stante nella Grande Mela, aveva preferito rimanere lì, dov’era nato e cresciuto.

 

Lì era e sarebbe sempre stato il numero uno… Il gay più favoloso di Pittsburg.

 

Era ancora il proprietario del Babylon, ma la sua frequentazione non era più così assidua come un tempo.

Quando ci andava era unicamente per farsi fare un pompino nella darkroom e trovare qualcuno che valesse la pena portarsi a casa e scoparsi, anche se la sua media di sveltine settimanali era calata.

Non che non ne avesse le forze… Ma gli era passata la voglia.

 

Brian Kinney che non ha voglia di scopare… La più grande contraddizione esistente.

 

Brian Kinney aveva sempre voglia di scopare…

 

Forse.

 

Erano le undici di sera… Volendo sarebbe anche potuto andare al Babylon, ma l’idea di rimorchiare qualcuno lo annoiava a morte.

 

Si tolse la camicia e salì le scale che portavano al luogo che era sempre stato il punto centrale – sia fisicamente che metaforicamente – di quel loft: la camera da letto.

 

Si era appena buttato a peso morto sul materasso quando sentì il fastidioso ticchettio di qualcuno che stava bussando alla porta e che fin troppe volte aveva interrotto le sue migliori – e anche peggiori – scopate.

 

- Andate via! - gridò dalla stanza senza essere minimamente intenzionato a sollevarsi dalla comoda posizione che aveva assunto.

 

Ma a quanto pare le sue parole non sortirono l’effetto sperato.

 

- Ho detto: andate via! -

 

Ma a quanto pare, chiunque fosse al di à della porta o era troppo sordo o troppo stupido per capire che voleva essere lasciato in pace.

 

- Se siete venuti qui per ricordarmi che tra qualche ora sarò un fottutissimo quarantenne potete anche andarvene fare in… Oh. -

 

Si era alzato annoiato e infastidito e, con un gesto di stizza, aveva aperto la pesante porta metallica del loft trovandosi davanti l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.

 

O almeno, così gli era parso.

 

- Allora è vero che vivi ancora qui… - gli disse la figura che aveva davanti.

 

Forse stava dormendo o… No, di pasticche non ne aveva prese.

Era da un pezzo che non si faceva così tanto da entrare in uno stato comatoso che il più delle volte portava anche ad allucinazioni.

 

- Tu che cazzo ci fai qui? - fu l’unica cosa sensata che riuscì a dire.

 

Justin sorrise.

 

- Non mi fai entrare? -

 

Brian lo guardò basito e, senza avere la forza di dire nulla o protestare Justin lo scostò ed entrò nell’appartamento, guardandosi in giro.

 

- Certo che le cose non sono affatto cambiate… - constatò togliendosi la giacca e girandosi nella direzione di Brian che era ancora fermo e imbambolato davanti alla porta.

 

- Lo sai almeno che ore sono? - gli chiese stizzito.

- Le undici e ventisette di sera. -

- Potevo essere a letto. -

- Tu non dormi mai alle undici e mezza. -

- Le cose sono cambiate. -

 

Justin arricciò le labbra e abbassò la testa, quasi dispiaciuto per quello che aveva appena detto.

 

- Ti va una birra? - domandò con un sorriso stanco, come se volesse allentare la tensione che si era involontariamente creata.

 

¤

 

Si erano comodamente seduti sul divano, vicino ma non troppo, come due vecchi amici che si erano ritrovati dopo tanti anni di lontananza… Ed in effetti così era stato.

 

Lontani erano stati lontani e amici era una definizione accettabile.

 

Scorretta, ma accettabile.

 

Non era necessario ricordare che erano stati in procinto di sposarsi.

 

- Allora, cos’è che ti ha convinto dopo tutti questi anni a tornare nella gioiosa Pittsburg? - domandò Brian.

- Non dovevo tornare. In fondo l’Italia non è così male e la galleria in cui sto esponendo a Milan-

-Milano?!-

-Già… Ma io lì lavoro, non spreco il mio tempo a rinnovare il mio guardaroba da Armani.-

 

L’uomo scrollò le spalle, apparentemente indifferente.

 

- La galleria a Milano sta fruttando bene e in questi anni ho guadagnato abbastanza così… Era il momento che facessi una cosa. -

 

- Devo chiederti cosa, o è un segreti di stato? -

 

Justin rise debolmente: l’ironia e il sarcasmo di Brian erano rimasti gli stessi.

 

- Dovevo darti questo. - disse tirando fuori dalla tasca dei jeans un foglietto di carta piegato accuratamente.

- Cos’è? -

- Aprilo. - lo intimò Justin.

 

Brian prese il pezzo di carta lo aprì, guardandolo con sorpresa.

 

- Non sono in rotta, cosa me ne faccio di un assegno di sessantamila dollari?! -

- Sono i soldi che ti dovevo. Con gli interessi. -

- Dove li hai trovati? -

- Sono un artista famoso adesso, ricordi? -

- Già… Il grande Taylor. -

- Ora le mie tele vengono vendute nelle gallerie d’arte moderna e mi pagano anche parecchio… -

- Mi ricordo che quando ti ho conosciuto le tue tele non valevano neanche cinque dollari. -

- Però sei stato tu ad acquistare, per cento dollari, il mio primo quadro… -

- E tu come lo sai?! -

- Ho vissuto qui abbastanza a lungo da conoscere ogni angolo di questo loft. In fondo, sono pochi quelli in cui non abbiamo scopato… I rimanenti potevano essere degli ottimi nascondigli… -

 

Rimasero in silenzio per alcuni minuti e guardandosi di tanto in tanto.

Un silenzio del genere poteva essere interpretato come un fastidioso imbarazzo, eppure nessuno dei due sentiva la necessità di parlare.

Non era necessario, in fondo non erano mai stati dei grandi conversatori.

 

- Mi sei mancato. - ammise in fine Justin parlando, ancora una volta, per primo.

- Ah si? -

- Si. -

- Perché dovrei crederti? In tutti questi anni non mi hai mai scritto o telefonato… - lo rimproverò Brian con l’ingenua cattiveria di chi non è mai stato abituato ad essere ignorato.

- Avrei voluto ma non sapevo se vivevi ancora qui e se… -

 

Brian sollevò un sopracciglio per fargli chiaramente intendere che non credeva ad una parola di quello che stava dicendo.

 

- … Perché ogni singolo e fottutissimo giorno in questi anni ho sempre accarezzato l’idea di tornare. I primi tempi che ero a New York andavo in aeroporto quasi ogni giorno ma poi mi rendevo conto che sarebbe stato stupido tornare per poi ripartire. -

- Si, come scusa regge. – ammise Brian alzandosi dal divano e andando a recuperare posacenere e sigarette.

 

- Perché mi hai spinto ad andarmene? Perchè hai fatto in modo che prendessi quella strada? -  gli domandò improvvisamente con una punta di delusione nella voce, come se si portasse dietro quella domanda dall’esatto momento in cui si erano separati.

 

- Perché dovevi farlo. - gli rispose semplicemente Brian bevendo un altro sorso di birra.

- Io volevo restare con te. -

 

Brian lo guardò, alzando un sopracciglio perplesso.

 

- No… -

- Si. Sarebbe stato il coronamento di un sogno che mi portavo dietro da quando avevo diciassette anni. Da quando sono entrato per la prima volta in questo loft e mi hai scopato.-

- Non avevamo fatto l’amore? - gli domando ironico.

- Questioni di libera interpretazione. -

- Avresti commesso il più grosso errore della tua vita, restando. -

- Come lo sai? -

 

Brian sorrise amaramente.

 

- Non ha importanza. -

 -Non me l’avevi detto quando… -

- … quando sei andato da Ian? -

- Ethan. -

- Quello che è. Questa era la tua grande occasione, hai dovuto coglierla. -

- NO, TU LO ERI! - rispose Justin con rabbia stringendo la bottiglia tra le mani.

- Stronzate. Altrimenti mi avresti mandato a fanculo e saresti rimasto. -

 

Justin posò per terra la birra e si coprì il volto con le mani.

 

- L’hai sempre fatto. -

- Cosa? -

- Mi hai sempre spinto ad allentanarmi, andarmene quando si profilava una nuova occasione davanti a me. Anche con Ethan… Tu VOLEVI che io restassi, ma non me l’hai detto… Perché? -

- Ognuno prende le proprie decisioni autonomamente. Il massimo che ho fatto è stato darti una piccola spintarella quando era necessario, per farti vivere la TUA vita. Non la mia… -

 

Justin sospirò profondamente voltandosi in direzione dell’uomo.

 

- Lo sai che questa è la più grande, bella e profonda dichiarazione d’amore che uno possa ricevere? -

- Cosa? -

- Ti ricordi quando convincesti Ethan a firmare il contratto discografico e io ti chiesi cosa ne sarebbe stato di me? -

- Si. -

- La rinuncia, in certi casi, è il più grande atto d’amore… -

- Non dirlo a nessuno però… - gli intimò Brian, sorridendo.

 

 

¤

 

 

Non ci fu un prima o un dopo.

 

Accadde e basta.

 

Non che non se lo aspettassero.

 

Nel preciso momento in cui si erano rivisti sapevano che la notte si sarebbe conclusa esattamente come ogni volta che trascorrevano del tempo insieme.

 

Soprattutto in quel loft.

 

Gli anni erano passati, i loro corpi erano cambiati ma quella notte sembrava che nulla fosse realmente mutato.

 

Un groviglio di corpi sul letto era tutto ciò che si poteva vedere all’interno della buia stanza, illuminata dalla fioca luce azzurra che in tutti quegli anni aveva sempre segnato l'immaginario di tutti coloro che avevano avuto il privilegio di essere scopati in quella stanza.

 

Ma Justin sapeva di poter ancora vantare un primato che difficilmente qualcuno avrebbe potuto emulare: lui era l'unico a cui era stato permesso di dormirci, scoparci e viverci per ben più che una notte.

 

 

¤

 

 

Brian si svegliò accolto dal profumo di pancake appena fatti.

 

- Ciao. - gli disse Justin vedendolo comparire scarmigliato e avvolto nella sua raffinata vestaglia di seta blu scuro mentre disponeva alcune frittelle appena fatte in un piatto e versandoci sopra dello sciroppo d'acero.

- Cia-o.- gli rispose Brian sbadigliando e grattandosi la testa.

- Hai fame? -

- Non molta... C'é del caffé? -

 

Il biondo gli porse una tazza contenente il liquido scuro fumante.

 

- E' già ben zuccherato, tranquillo. -

- Grazie. -

 

Justin sorrise addentando un pancake.

 

- Adesso dove andrai? -

- Torno in Italia... Ho l'aereo tra qualche ora. -

- E il tuo studio? -

- Fortunatamente non sono uno di quegli artisti che necessita di uno spazio inviolabile esclusivamente di sua proprietà... Mi basta avere il materiale, poi dipingo dove mi capita. -

- Il pregio di essere stati cacciati di casa a diciassette anni. -

- Posso fare una telefonata? -

- Purché non sia un’intercontinentale. -

 

Justin sorrise.

 

- Devo solo chiamare un taxi. -

 

Brian sembrò quasi deluso da quella risposta.

 

- Non vuoi che ti accompagni io? -

- Non credo sia una buona idea… E poi io ho sempre odiato i saluti della partenza, fanno così tanto signorina Miniver… -

- Chi? -

- Lascia stare. Reminescenze di vecchi film francesi. -

- Non sapevo che ti piacessero i film francesi… - gli fece notare Brian addentando un acino d’uva.

 

Justin lo ignorò e dedicò la sua attenzione all’operatrice del centralino dei taxi.

 

- Vado in bagno. - annunciò quando terminò la chiamata.

 

Brian lo osservò muoversi naturalmente per il loft che, per diverso tempo, era stata la loro casa.

 

Afferrò il foglietto dove Justin aveva appuntato il numero del veicolo e l’ora in cui sarebbe arrivato… Mezz’ora e poi sarebbe nuovamente uscito dalla sua vita.

Notò quasi con piacere alcuni ghirigori che aveva tracciato in fondo al foglio.

 

Delle conchiglie...

 

¤

 

- Grazie per l’ospitalità. - gli disse Justin indossando la giacca.

- Dovrei essere io a ringraziare te. – mormorò Brian, con il suo rinomato tono da seduttore, ricevendo così un’occhiataccia della peggior specie da Justin. - E’ stato un piacere. Come sempre... -

 

Justin scosse la testa rassegnato davanti all’immaturità che Brian non cessava di ostentare, quasi fosse la sua miglior difesa contro quel mondo esterno che avrebbe potuto attentare ai suoi valori immorali.

 

- Ho una cosa per te. - mormorò, facendogli cenno di avvicinarsi.

- Cosa? -

- Dammi il braccio. -

 

Justin allungò il braccio destro e Brian, con pochi gesti, gli legò al polso il braccialetto di conchiglie che aveva comprato anni fa in Messico e che per anni era sempre stato un suo segno di riconoscimento.

 

- Ma Brian, questo è il tuo braccialetto. -

- Ora è tuo. Così, ovunque andr -

- Non fare il romantico. Non ti si addice… Anche se una frase simile me l’avevi già detta. -

- Ah si? E quando? -

- La prima volta che mi hai scopato… Mi avevi detto: "adesso rilassati, voglio che lo ricordi per sempre, in modo che con chiunque sarai, ci sarò sempre anch’io". -

- Che memoria. -

- A differenza di te non ricordavi neanche il mio nome. -

- Vero. Ma alla fine l’ho imparato. -

- Probabilmente sono l’unico con cui hai scopato di cui ricordi il nome. -

- Nulla di più facile. - mormorò Brian facendo un ultimo piccolo nodo al braccialetto.

 

Il rumore di un clacson proveniente dalla strada interruppe quel malinconico scambio di battute.

 

- E’ arrivato il tuo taxi. -

- Già… -

 

Justin raccolse la sacca che aveva portato con sé  aprì la pesante porta metallica del loft.

 

- Beh... Ci vediamo. – mormorò uscendo mentre l’uomo l’aveva raggiunto davanti all’ascensore.

- Perché sei tornato proprio ieri sera? - gli chiese a bruciapelo Brian guardandolo con uno sguardo indagatore.

 

Il biondo sorrise e gli posò una mano sulla guancia per poi posare un lieve bacio sulle sue labbra.

 

- Per salutarti. Ed essere certo che non facessi cazzate come dieci anni fa. -

- Beh, allora la prossima volta non sparire per così tanti anni. Non so se mi troverai ancora per il mio cinquantesimo. -

- Tornerò prima, te lo prometto. -

- Promesse da marinaio… -

- Non è detto. In fondo, il violino non l’hai più sentito… -

 

 

-Fine-

 

 

Note dell’autrice:

Oddio, l’ho finita *___*

E’ la prima volta che prendo in mano questi personaggi e, sinceramente, non sono certa del risultato.

Il titolo viene dal dialogo alla fine della puntata 2x06, quando Brian e Justin stringono Il Patto.

E' diventata molto più lunga di quanto in realtà avrebbe dovuto essere... Temo che abbia anche assunto una piega un po' troppo emo ma dopo due mesi che non scrivevo NULLA - neanche kaulitzest ._. - e cambiando fandom così repentinamente potevo anche aspettarmelo ._.

Spero vi sia piaciuta ^^

   
 
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