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Autore: Bitter_sweet    01/07/2008    5 recensioni
Un lampo. Un tuono. Lo scrosciare insistente della pioggia a mischiarsi ai ricorsi, con i pensieri, con le emozioni che prepotentemente tornavano a galla. Una mano a posarsi sull’elsa bianca. Una spada, un ricordo, una bambina. Una promessa fatta anni prima per non dimenticare. Era la seconda volta che Zoro si sentiva così. Gli sembrava di aver fatto un passo indietro, come al Baratie. Gli sembrava di trovarsi alla deriva.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le illeggibili'
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per non dimenticare

 

Dopo mesi si assenza torno con una nuova storia. Si può dire che è il seguito di Hide and Seek, ma può benissimo esser letta anche in separata sede.

I personaggi sono del maestro Oda, anche se vorrei fossero di mia invenzione, ma vabbè, mi accontento di usarli un pochino in queste mie bravate. Buona lettura.

 

 

Per non dimenticare

 

 

 

Le risate riempivano lo spazio circostante, chiacchiere, parole futili e cambi di discorso continui. Tutto era tornato come una volta, sembrava quasi che la loro ultima avventura non avesse mai avuto luogo. Sembrava quasi che tutti si fossero lasciati alle spalle la paura -il timore- di non riuscire a salvare una di loro, una loro compagna.

 

Nico Robin.

 

Era lì, in mezzo a loro. Sorrideva, parlava, scherzava, tutto con quel suo modo regale e pacato che sempre l’accompagnava -come se nulla fosse-. Come se Enies Lobbie non fosse mai esistita e con essa non fosse mai avvenuta quella strana avventura che per poco non li aveva divisi per sempre.

 

“Certo che lo spadaccino è ligio ai suoi doveri.” L’ennesimo commento, l’ennesimo cambio di argomento da parte di Franky, l’ultimo arrivato, l’ultimo acquisto della ciurma, mentre l’ennesimo tuono si abbatteva su di loro.

 

La pioggia scorreva ininterrottamente da diversi giorni, e quel giorno il freddo si faceva sentire più prepotente e la ciurma, ognuno avvolto in un pesante capo d’abbigliamento, si era rintanata in cucina nella speranza di non ammalarsi e a sorseggiare qualcosa di caldo che prontamente Sani aveva preparato non appena Nami glielo aveva chiesto.

 

L’unico che mancava all’appello era appunto Zoro, lo spadaccino.

 

“No, è solo un esagitato.” Sani si accese una sigaretta senza guardare il compagno, che s’intravedeva dall’oblò, occupato in uno dei suoi soliti massacranti e contorti allenamenti. “Mi chiedo a cosa gli serva. Sono tre giorni che si allena come un matto.”

 

“Lo sai com’è fatto…” Usop guardava insistentemente l’oblò e lo spadaccino la fuori fradicio -infaticabile-.

 

Zoro Roronoa. Un sogno enorme e quasi irraggiungibile, tanto quanto quelli degli altri componenti della ciurma. Ma per quanto potesse sembrare impossibile da realizzare non si era mai tirato indietro dinanzi ad una sfida, no, non lo aveva fatto -e mai sarebbe riuscito a farlo-.

 

“Per me è solo un esagitato.” Una convinzione ferrea.

 

“Per lui è importante.” Una frase che lascia di stucco. Si voltarono verso Rufy, il loro capitano, che tranquillo finiva di bere la sua tazza di cioccolata fumante.

 

Importante.

 

Cosa significava importante? Cos’era di così importante da costringerlo quasi ad allenarsi costantemente -ogni giorno- e con qualsiasi condizione climatica? Cosa sapeva Rufy su Zoro di così importante che tutti loro ignoravano? Lo spadaccino era stato il primo ad entrare nella ciurma, eppure credevano di conoscerlo. Ma non si erano mai chiesti cosa lo spingesse ad intraprendere quegli assurdi allenamenti, ad affrontare sfide impossibili.

 

“Che intendi Rufy?” Una domanda posta con un pizzico di pura curiosità, ma anche voglia di conoscere più a fondo il compagno spadaccino.

 

“Nulla. So solo che c’è di mezzo una promessa.” Celiò quello alzandosi. “Buona notte.”

 

 

 

 

 

*                             *                             *

 

 

 

 

 

Non era riuscita a chiudere occhio. Aveva tentato in tutti i modi, in quelle poche ore, di addormentarsi ma si era ritrovata a rigirarsi nelle coperte, che ora erano un groviglio attorno al suo corpo, alla ricerca di una posizione comoda -sembrava che la sua mente rifiutasse quell’idea-, ed ora si ritrovava ad aggirarsi per i corridoi della nave. Il sonno un lontano ricordo.

 

Aprì la porta che portava alla stanza adibita a cucina il più lentamente possibile, in silenzio, per non svegliare gli altri. Forse, se avesse bevuto qualcosa di caldo, sarebbe riuscita a conciliare il sonno e chiudere fuori quella strana agitazione -un senso di vuoto- che si era impadronita di lei quella sera. Le parole di Rufy rimbombavano ancora nella sua testa con un suono assordante e continuo.

 

Promessa.

 

Cos’era una promessa? Qual era questa promessa? Il sapere che Zoro avesse una promessa da mantenere non era poi così strano, anche a lei in fin dei conti aveva promesso. Promesso di salvarla, promesso di esserci sempre se lei avesse avuto bisogno. C’erano tante promesse nella sua vita, e lei sapeva che le avrebbe mantenute tutte fino alla morte -una promessa è debito-.

 

Eppure…eppure una semplice frase l’aveva mandata in una sorta di caos, uno stato confusionale dovuto al fatto che ora si rendeva realmente conto di quanto poco conoscesse Zoro Roronoa. E quella sensazione di ignoranza che sentiva nei suoi confronti la considerava come un qualcosa di inaccettabile.

 

“Che ci fai qui?”

 

Sobbalzò al suono della sua voce proveniente alle sue spalle. La teiera, colma d’acqua, che teneva ancora in mano quasi cadde a terra e solo grazie ai suoi riflessi riuscì a rafforzare, quel tanto che bastava, la stretta attorno al manico.

 

Si voltò con l’intento di urlargli contro per lo spavento avuto, ma quando incontrò i suoi occhi scuri si bloccò, mentre quella parola rimbombava ancora più forte nella sua testa facendola sentire come una bambina piccola, sgridata dai genitori perché ancora non è in grado di capire i discorsi dei grandi. Facendola sentire persa.

 

“Non riesco a dormire.” Fu semplice la risposta che diede mentre abbassava lo sguardo voltandosi.

 

Agitazione. Gli occhi scuri di Zoro ora le sembravano così diversi, non erano più quelli che lei conosceva -quelli che credeva di conoscere-. Le sembrava di avere davanti a se un estraneo, uno sconosciuto, una delle tante persone che aveva intravisto nei suoi molteplici viaggi, quando ancora era la cartografa di Arlong. E lei, di isole, di villaggi, di persone, ne aveva viste a centinaia. Qualcuno che non conosceva, non lo spadaccino burbero della ciurma di Rufy cappello di paglia.

 

“Brutti sogni?” Il mormorio di Zoro, rimasto accanto alla porta, la fece voltare ancora una volta verso la sua figura. “Lo sai che se hai bisogno puoi venire da me.”

 

Il tono indifferente, come se non gli importasse realmente -un orgoglio smisurato-, lo sguardo serio e le braccia intrecciate al petto. Ma per lui lei era importante, nonostante ostentasse solita freddezza che lo caratterizzava. Un’ammissione che fece sorridere Nami dentro di se. Perché si era ricordato di quella piccola promessa fattale la notte di natale, quella notte passata da soli, solo loro due mentre il resto del mondo rimaneva chiuso fuori, in disparte. Una promessa sussurrata ai confini del mondo, nell’oblio del tempo.

 

Promessa.

 

Un altro rimbombo, un ronzio più forte nelle orecchie. Quella parola continuava a vorticarle in testa e il sorriso scomparve, lasciandola di nuovo in quello strano stato confusionale, stordendola tanto da costringerla a voltarsi -perchè non riusciva più a reggere il suo sguardo-.

 

“Nessun incubo.” Verità, bugia.

 

Aveva sbagliato? Non lo sapeva. Forse avrebbe dovuto dirgli cosa la tormentava. Ma cosa…cosa avrebbe potuto dirgli? Non sono gli incubi a tormentarmi questa notte, ma tu?! No, non sarebbe mai riuscita a rivelargli una cosa del genere -le veniva dal ridere al solo pensiero-.

 

“Sicura?” Ancora la sua voce a riempire l’aria.

 

Sentiva i suoi occhi scuri, inquisitori, puntati sulla schiena. Le sembrava potessero trapassarla da parte a parte, leggere la sua anima come un libro aperto. La stavano mettendo in soggezione e la paura che potesse capire ciò che realmente pensava, provava, si stava lentamente impossessando di lei. La rendevano nervosa, facendole tremare leggermente la mano che ancora reggeva la teiera.

 

Un cenno affermativo col capo, l’unico modo per essere convincente. La sua voce, lo sapeva, l’avrebbe altrimenti tradita -tremante ed insicura-. Posò la teiera sul fuoco, nell’intento di darsi un tono e recuperò una tazza pulita dal mobile. Sentiva ancora su di se quei gelidi occhi che di certo non le facilitavano le cose.

 

“Zoro?” Lo aveva richiamato, continuando a prestare attenzione alla teiera, quando aveva sentito i suoi passi risuonare nel silenzio, sicura che se ne stesse andando. “Vuoi?” Voleva trattenerlo, farlo restare lì con lei.

 

Sentì ancora i suoi passi, questa volta diretti verso l’interno della stanza, verso il tavolo e la sedia scricchiolare appena sotto il suo peso segno che si era seduto. Non aveva parlato -le parole erano futili tra loro-, nessun cenno, nessun mugugno d’assenso. Un tacito assenso colmo di tutto e nulla, solo le parole per litigare non erano futili.

 

Prese un'altra tazza guardandolo di sottecchi, oltre la spalla. Lo spadaccino con lentezza trovava una comoda posizione, intrecciando le braccia al petto e poggiando il capo alla parete, gli occhi chiusi.

 

Forse ora che erano da soli, come quella notte, avrebbe potuto chiedere e levarsi di dosso quella sensazione di ignoranza, di colpevolezza nei suoi confronti che sentiva, ogni minuto che passava, crescere e schiacciarla all’altezza del petto. Forse sarebbe riuscita a sciogliere il nodo che le serrava la gola e lo stomaco in una morsa ferrea -una morsa gelida-, pesante da sopportare.

 

Si sedette prendendo posto a capotavola, alla sua destra lo spadaccino. Posò le tazze fumanti dinanzi a loro, ostentando silenzio, come per paura di interrompere qualcosa di magico. Se ora avesse parlato poi non sarebbe più riuscita a sollevare quel particolare e pungente argomento.

 

Ma le parole -la voglia di sapere- premevano per uscire.

 

L’odore dolce ed intenso di mandarino misto, misto a quel loro silenzio, si spandeva nell’aria circostante. Nessuno dei due osava interrompere quell’agro-dolce silenzio, per rispetto verso l’altro, per paura forse. Rimanevano lì a sorseggiare il te caldo, godendo unicamente della presenza dell’altro, di quel calore che i loro due corpi sprigionavano -così vicini eppure così lontani-, risvegliando in loro sensazioni conosciute, inglobate in un lontano ricordo rimasto impresso come orme sulla sabbia pronte ad esser spazzate via alla prima onda.

 

“Come mai ancora sveglio?” La voce di Nami come un tuono.

 

“Non avevo sonno.”

 

L’acqua continuava a scorrere, picchiettando sul legno, sul vetro del piccolo oblò, lavando via tutto. Scorrendo in mille stille argentee su di loro.

 

“Tu?” Avrebbe voluto dirgli che per lei era solo troppo stanco a causa di tutti quei pazzi ed insensati allenamenti che continuava a portare avanti nonostante non ve ne fosse un reale bisogno. “Ma se ogni occasione è buona per dormire.”

 

Si rivolsero un’occhiata di sfida. Ancora una litigata, l’ennesimo modo per sentirsi vicini. Andando oltre a quella vicinanza fisica, cercando di raggiungere ancora una volta la vicinanza che erano riusciti a sfiorare solo una volta, solo per una notte -come una chimera-.

 

“In fatto a sonno nemmeno tu scherzi.”

 

“Guarda che sei tu il ghiro della nave.” Un sorrisetto da strega.

 

Un ghigno in risposta. “Io sono sempre vigile.”

 

Vero.

 

Era su di lui che tutti riponevano la loro fiducia. Era sempre lui che si accorgeva per primo dei pericoli, dei cambiamenti. Tranne i cambiamenti del vento, era lei ad avere il dominio incontrastato del vento.

 

Sorseggiò lentamente ciò che rimaneva nella sua tazza, osservandolo attentamente.

 

“Perché allora?” Vedendo l’espressione corrucciata e curiosa al contempo dello spadaccino, si accorse che la frase, così formulata non aveva senso. Cercò le parole più adatte. “Intendo….intendo perché continuare?”

 

Un lieve sorriso increspò le labbra di Zoro. Il liquido caldo ancora nella tazza, le mani che ne serravano nervosamente il bordo, gli occhi ad incontrarsi tra loro. Era la prima volta, in quella serata, che i loro sguardi s’incrociavano.

 

“Per essere il migliore.” La verità che usciva chiara e forte.

 

Sapeva del suo sogno, del traguardo che rincorreva da anni. Lo aveva detto dinanzi a tutti loro, quel giorno piovoso, quando erano partiti per quel lungo e strano viaggio. Portava i segni addosso si uno scontro a cui lei, per sua fortuna, non aveva assistito, troppo presa dai suoi di problemi. Anche ora poteva intravedere, dal bordo della maglia bianca di lui, l’inizio di quella cicatrice che gli attraversava diagonalmente il petto.

 

“E non lo sei già?”

 

Voleva saperne di più. Cercava una risposta a quella tacita domanda che le ronzava in testa. Ma come fargli capire ciò che pensava senza sembrare invadente, indiscreta.

 

“No.” Un mormorio e lo sguardo corre sulle spade appese al suo fianco destro.

 

Due spade -non erano più tre-. Solo in quel momento Nami si accorse di quel particolare importante, nei giorni scorsi non vi aveva mai fatto caso. Un pensiero, un flash preciso a ricordarle l’ultimo scontro e come quella spada, che ora non c’era più, era andata distrutta. Le parve d’intuire i pensieri del compagno.

 

“È per l’ultimo scontro?” Esitazione nella sua voce. Paura di toccare un argomento troppo delicato -una ferita ancora aperta-.

 

Un lampo. Un tuono. Lo scrosciare insistente della pioggia a mischiarsi ai ricorsi, con i pensieri, con le emozioni che prepotentemente tornavano a galla. Una mano a posarsi sull’elsa bianca. Una spada, un ricordo, una bambina. Una promessa fatta anni prima per non dimenticare. Era la seconda volta che Zoro si sentiva così. Gli sembrava di aver fatto un passo indietro, come al Baratie. Gli sembrava di trovarsi alla deriva.

 

“Mi sembra di venir meno alla promessa fatta.”

 

Promessa.

 

Un nuovo ronzio nelle orecchie. Il sangue che fluisce più velocemente nelle vene esplodendo in testa, facendo temere a Nami di aver risollevato qualcosa di sopito o forse scoperto una cicatrice coperta con cura. Ora quasi si sentiva in colpa per averlo costretto a ricordare.

 

“Questa spada è un ricordo. Mi aiuta a ricordare una promessa fatta tanto tempo fa.” Un mormorio basso, la mano che lento si serra più forte attorno all’elsa, facendo sbiancare le nocche. “C’era una bambina con cui mi allenavo ogni giorno.” Un sospiro più pesante, lo sguardo rivolto verso il tavolo, a fissare tutto e niente al contempo.

 

“E adesso dov’è?” Una leggera nota di curiosità nella voce di Nami, mentre anche lei rafforzava la presa attorno alla tazza.

 

Un sorriso dai tratti tristi, un nuovo lampo nel cielo ad illuminarli. E la parte più difficile.

 

“è morta.” La voce atona.

 

Un brivido gelido che scorre lungo la schiena. In quel momento capì, capì il perché di quella stoffa scura legata attorno al braccio. Un qualcosa da cui non si separava mai. Anche lui…anche lui come lei aveva perso qualcuno, una persona cara nella sua infanzia. Due situazioni simili. Una madre, un’amica. Era questo ciò che si nascondeva dietro Zoro Roronoa? Era questo che nascondeva dietro ai suoi comportamenti, al suo distacco, al tono gelido che sempre usava ed ai gesti impassibili che lo caratterizzavano?

 

“E ora mi sembra di essere nella stessa situazione di quando Mihawk mi ha sconfitto.” Risentimento verso se stesso.

 

Nami avrebbe voluto aiutarlo -ma come?-, avrebbe voluto essere in grado di colmare quel vuoto che sentiva, che sapeva lui provava in quel momento. Ora capiva il perché di quegli allenamenti al limite del possibile. Ora capiva la promessa che lui aveva fatto.

 

“Rufy ha parlato di una promessa.” Tentennò con le parole.

 

Il silenzio che ancora calava su di loro. Un’altra notte eterna. Una notte ancora solo per loro due, ancora una volta ai confini del mondo, nei loro silenzi e nelle loro parole, nei loro sentimenti nascosti. Lo guardò. Il capo chino, la presa che piano veniva allentata, i muscoli che si rilassavano visibilmente.

 

“C’eravamo promessi che uno di noi due sarebbe diventato il migliore.”

 

Non vi fu bisogno di altre parole. Ora sarebbero state futili.

 

Promessa.

 

Il ronzio che cessava, il sangue tornava a scorrere normalmente nelle vene. Ora capiva appieno. Ora sapeva anche lei, l’unica che fosse riuscita a guardare oltre quella facciata, quella maschera che giornalmente lo spadaccino indossava, posava sul suo volto.

 

Avrebbe conservato gelosamente nel suo cuore quella confessione.

 

Vedrai, ce la farai.”

 

Non lo aveva detto per rassicurarlo -non ve n’era bisogno-. Sapeva quanto fosse forte, determinato e testone quello spadaccino, ne aveva avuto la conferma già dal loro primo incontro. Lo aveva constatato con Mihawk, e poi contro mister One. Quella volta lo aveva trovato steso al suolo e aveva avuto paura, paura che seppur avesse vinto l’incontro, non lo avrebbe visto rialzarsi -aveva torto-, per la prima volta si era sbagliata. E ne era stata contenta. E poi, aveva avuto l’ennesima conferma contro Kaku del CP9. Ce l’avrebbe fatta.

 

“La strada è ancora lunga però.”

 

“Vero. La strada è lunga come quella di tutti noi, ma ce la faremo.” Un sorriso dolce, la presa attorno alla tazza si sciolse. “E poi non eri tu a dire che una promessa è debito?”

 

Una presa in giro. Punzecchiarsi, per non far trapelare quella strana concessione che Nami aveva rivolto al compagno, quella di ricambiare il favore -io ci sono, sempre-. La pioggia che ancora scorreva -non può piovere per sempre-.

 

“Strega.” Un ringraziamento.

 

Due solitudini si avvolgono [esitazioni]

 

E le loro mani che ora si toccavano appena, raggiungendo quel contatto fisico che avevano cercato troppo a lungo senza mai trovarlo realmente -solo una volta lo avevano raggiunto-.

 

Due corpi estranei s’intrecciano [solitudini]

 

Gli sguardi ad incatenarsi tra loro, creando un contatto che andava al di là di ogni comprensione umana. Il respiro lento, il fiato mozzo in gola e labbra contro labbra.

 

Un bacio leggero come un battito d’ali di una farfalla.

 

Duemila esitazioni sbocciano [luci]

 

L’ennesimo lampo, gli sguardi confusi. Un nodo in gola e il cervello sconnesso. Cos’era successo?

 

Un bacio.

 

Si erano spinti troppo in là? Forse era stata l’atmosfera, forse era colpa di quella vicinanza fisica. Eppure non era la prima volta che si trovavano così a stretto contatto, non era la prima volta che accadeva. Di occasioni come quella, di contatti ve n’erano stati. Eppure quello era stato diverso, così diverso da portarli a fare qualcosa di non calcolato, di imprevisto -era bene, era male?-.

 

“Io…” La voce che si perdeva nel vuoto, facendo tornare il silenzio.

 

Stai con me [stai con me]

 

Non era stato un errore.

 

Guardandosi negli occhi, per minuti che sembravano ore, si accorsero che non avevano aspettato altro se non quel momento.

 

Le mani che si stringevano in una presa dolce e forte, calda al tempo stesso. Un nuovo sfiorarsi di labbra. Un contatto lungo, cercato e poi trovato. Un nuovo lampo poi il buio.

 

 

 

 

Le frasi in grigio non sono ma dei Subsonica: Dentro i miei vuoti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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