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Autore: Ely79    18/03/2014    1 recensioni
Basta davvero poco per scatenare l'istinto di un licantropo: un rumore, un atteggiamento, una distrazione. Selene, da poco consapevole della doppia vita del suo compagno, lo capirà a sue spese.
Antefatto di "Due lune" e "Midnight cheesecake"
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Beauty of the Beast - La Bellezza della Bestia'
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III
III

La mano è un po’ gonfia, ma sembra avviata ad una guarigione senza intoppi, alla faccia del dottore e delle sue solfe. La guardo poggiata sul tavolo della cucina. Marta non ha fatto i salti di gioia quando ho raccontato di essermi fatta male rompendo una vetrinetta. Giuliano sembrava chiedere se lo ritenessi così idiota da crederci, ma gli è stato prontamente ricordato che è lui quello che gioca a frisbee con il disco dell’affettatrice.
Sono passati sei giorni. Domani è Luna Piena e Helios andrà al raduno con il clan. Da quando siamo tornati dallo studio del dottor Setti, mi ha rivolto a stento la parola e quando l’ha fatto è stato solo a monosillabi o frasi stringate. Nemmeno i licantropi nei suoi romanzi sono così telegrafici. Ho provato in tutti i modi a scuoterlo, a spingerlo verso una tranquilla chiacchierata circa quel che è successo, ma niente. Ringhiava fra i denti e si rifugiava nello studio a scrivere per ore. O almeno, è quello che dava ad intendere: lo sentivo camminare, borbottare e uggiolare la maggior parte del tempo.
L’avermi riportata a casa tenendomi sulle spalle, aver fatto l’amore come sempre e il non avermi cacciata via sono stati una magra consolazione.
Oggi però ne ho abbastanza e ho messo in atto il piano che sto elaborando da un paio di giorni. Sfruttando la sua abitudine ad alzarsi tardi - peggiorata dall’insonnia di questi giorni -, sono scesa in cucina per preparare una bella sorpresa. Anche se “bella” è il termine meno adatto a definirla. Mi sono sistemata al tavolo, dal lato opposto alla porta, in modo che quando arriverà dovrà per forza guardarmi. Poco importa se in mezzo ho piazzato l’occorrente per la colazione di dodici persone.
Devo aspettare fin quasi le undici per sentirlo precipitarsi di sotto. Ho a malapena il tempo di prendere un bel respiro.
«Selene…» boccheggia.
Alzo appena gli occhi per scorgere i suoi, sbarrati e cerchiati da brutte occhiaie. È aggrappato ad entrambi gli stipiti. I capelli castani sono arruffati, ha una ciocca appiccicata di traverso sulla fronte. Non si rade dall’altro ieri.
È evidente che non sa cosa pensare. Vedermi indosso il suo Manto Stregato è forse l’ultima cosa che si aspettava. Il pensiero che me ne fossi andata doveva essere più ragionevole. Se ne sta sulla porta, indeciso se raggiungermi. Credo mi stia osservando con una tensione vertiginosa nello stomaco: non esiste alcuna regola in proposito, ma gli Osservanti e i Senza Luna si guardano bene dall’indossare la pelliccia sacra. È una forma di rispetto verso un artefatto dotato di un potere ancestrale, che nasce da riti misterici cui noi umani non abbiamo accesso né con gli occhi né col pensiero. Ciascun licantropo crea la propria, istruito dagli Anziani e dalla Matriarca. Gli appartiene, è una parte del suo corpo e del suo spirito. Nessuno si sognerebbe d’indossarla senza permesso.
Tranne io.
«Che… stai facendo?» azzarda, spostando la ciocca dalla faccia.
Sorseggio il tè, concentrandomi sulla pagina della guida tv. Taccio e sollevo appena la testa di lupo che è scivolata in avanti a coprirmi la visuale su un “interessantissimo” articolo di gossip. Qualcuno si è rifatto una vita dopo non so che disastro sentimentale o sociale.
«Sì, chiaro» bofonchia avvicinandosi e posando le mani sulla sedia dalla sua parte del tavolo. «E… quindi?»
Tesoro, se ti aspetti una risposta dovrai farmi una domanda più precisa, penso tra me, allungando lentamente il braccio sinistro per frugare nel sacchetto dei biscotti.
Cerco di prendere quello più lontano, sul fondo, e quando mi ritengo soddisfatta ritraggo la mano con altrettanta calma. La pelliccia scivola giù scoprendo l’avambraccio, e resta appesa per il laccio di cuoio che anche chiuso all’ultimo buco è troppo largo per tenerlo in posizione.
Helios segue ogni movimento trattenendo il fiato. Vorrei sapere se è in pensiero all’idea che possa sporcare il Manto o se semplicemente stia ancora cercando una spiegazione al fatto che lo indossi. Probabilmente entrambe le cose.
«Allora?» insiste, guardandomi masticare con indolenza il biscotto.
Volto la pagina continuando a far finta di leggere, e noto un dettaglio allarmante: le sue nocche sono serrate sullo schienale al punto da essere sbiancate. Sembra che le ossa gli abbiano trapassato la pelle. Non è un buon segno, lo ammetto. Il dubbio di aver esagerato mi sfiora per un attimo, sostituito subito dalla sensazione di freddo che mi perseguita ancora. Eppure sento il sudore colare sulla schiena.
«Selene, non è un gioco» incalza.
Mantengo il mio mutismo.
«Rispondimi!» urla esasperato.
Era ciò che aspettavo: il crollo. Nei giorni scorsi erano spettate a me le scenate, ora è il suo turno.
«Allora anche a te dà fastidio essere ignorato» rispondo alzando tranquillamente la testa.
Sobbalza confuso.
«Cosa?»
Prendo un altro sorso, questa volta continuando a guardarlo. Il calore dell’infuso allontana per qualche secondo i brividi.
«Hai… hai indossato il Manto solo per avere un po’ d’attenzione?» domanda prendendo posto all’altro capo del tavolo.
È rigido come un palo, e stanco. Ha qualche dubbio circa le mie intenzioni, sa che non sono tipo da esigere attenzione di continuo, però non sa trovare altre ipotesi convincenti. Ora sono io quella che si sente offesa. Mi conosce davvero così poco? Sento la delusione pungere gli occhi.
«Attenzione?» chiedo sbattendo la tazza tra la scatola dei cereali e un paio di mele. «Non l’ho fatto per avere attenzione! L’ho fatto per questo!» esclamo alzandomi e allungando la mano martoriata davanti alla sua faccia.
Le piastrelle sono di ghiaccio e l’aria che s’intrufola sotto la pelliccia non è da meno. Mi domando perché non ho tenuto addosso almeno la biancheria intima, piuttosto che intestardirmi a seguire i dettami della Legge: il Manto Stregato si indossa sulla pelle nuda, punto e basta.
Helios fissa accigliato la ferita. L’amarezza lo imbruttisce più del sonno perso.
Ritraggo il braccio. I punti tirano sul palmo e vicino al polso, sul dorso neppure li sento.
«Non ci arrivi? Pensi che sia un capriccio? Una lagna?» sospiro.
I suoi occhi grigi restano impigliati alla sutura mentre si massaggia il mento. Fa così quando cerca le parole giuste per trasmettere l’idea che ha in mente, sia che si tratti delle pagine dei suoi romanzi che di un discorso tra di noi.
«So di aver fatto una cosa orrenda, ma andava fatta. Sono stato sfidato» replica asciutto per poi allargare le braccia. «È il mio territorio, casa mia. Non ti sei comportata da creatura sottomessa, non mi hai dato il tempo per scindere il fastidio dalla tua presenza, per capire che tu non c’entravi. Dovevi aspettare, fare ciò che ti ho insegnato. In quel momento sapevo solo che qualcosa poteva farmi del male, attaccarmi, e sei diventata tu quel qualcosa. Andavi castigata per il tuo affronto e non chiederò scusa, lo sai. Non perché sono il maschio di questa casa, bensì perché è la gerarchia a stabilirlo. E questo non si cambia. Dalla gerarchia discendono regole che non servono a umiliare o offendere ma a proteggere chi le rispetta e a punire i trasgressori. Dovevi essere punita» ribadisce puntando l’indice sul tavolo.
È perentorio, non crudele, né cattivo. Quel che dice segue una logica ferrea e inappuntabile, alla quale io stessa ho aderito sebbene non la senta ancora mia. Era il solo modo per stargli accanto, niente mezze misure.
«Dovevo essere punita» ripeto a mezza voce.
Helios sospira abbattuto, passando una mano sulla faccia. Scuote la testa. Credo stia cercando altre parole per spiegarmi il suo punto di vista, ma è inutile: non è quello a contare, è come la vedo io che interessa. E chi deve capire è lui.
Uso la sedia come gradino e mi isso carponi sul tavolo, avanzando con cautela tra biscotti, tazze, frutta, cereali, pane e marmellata. Rischio di dare il via a un’ecatombe alimentare. Raggiungo il bordo, la mano destra contro lo stomaco. Mi fa sorridere l’idea che, sorpreso dalla mossa, Helios si sia distratto per spiare come la pelliccia rivesta il mio corpo nudo. Per fortuna la tenda alla finestra e la lunghezza del Manto impediscono al mio fondoschiena (e non solo quello) di essere di pubblico dominio.
«Ho pensato che fosse solo colpa tua, perché non potevi non avermi riconosciuta. Ti eri avvicinato, mi avevi annusata, avevi preso la coperta ed eri interessato a quella... Non potevi non sapere che ero io!» protesto sedendo sui talloni.
Tendo la mano fra noi: trema.
«Selene…»
Con uno scatto la allungo fin sotto il suo naso. Helios si zittisce e rimane immobile a scrutare i fili annodati che bucano la mia pelle.
«Andavo punita, era tuo diritto. Di più: era un dovere» replico atona. «Ma anch’io avevo il diritto di chiederti scusa. Ero dove non avrei dovuto essere. Non so perché sono scesa, sapevo che saresti potuto tornare. E sapevo di non doverti guardare negli occhi prima che mi avessi fatto capire che potevo. Te l’avevo promesso e mi ero impegnata ad imparare tutto ciò che poteva mettermi al riparo da situazioni come questa. E l’ho scordato».
Prendo un altro biscotto, sperando che cancelli l’amaro che ho in bocca.
«Perdonami, Helios. Sono una pessima allieva Osservante» sospiro scrollando le spalle. «Ho cercato di dirtelo un milione di volte in questi giorni ma ti allontanavi sempre, non ascoltavi. Hai messo un muro tra di noi e… ho trovato solo questo per costringerti ad ascoltarmi. Non ho giustificazioni per quel che ho fatto, nemmeno il fatto di essere malata. Perdonami».
Dimmi che non ho fatto niente di irreparabile, supplico stringendomi nel Manto.
La testa di lupo cade avanti, oscurando tutto tranne i capogiri che stanno tornando.
Sento la sedia strisciare sul pavimento, il leggero movimento dell’aria sul seno e fra le gambe, segno che si è alzato. Le sue mani sollevano il mantello. Socchiudo le palpebre.
«Sei sudata» osserva sottovoce, accarezzandomi. «Ti è tornata la febbre».
Le sue dita sono fresche, si muovono piano, s’insinuano sotto la pelliccia per consentire ai palmi di accogliere le mie guance. Volto appena la testa e gli sfioro il palmo destro con le labbra. Mi sento cullata da questo gesto gentile.
Gli concedo appena il tempo di sorridermi. Poi, affondo i denti. Helios non urla, non si ritrae. Non si muove di un millimetro mentre stringo le mascelle sulla sua mano. È solo sorpreso. Sorpreso quanto lo sono io nel costatare quanto sia faticoso azzannare qualcuno.
«La tua punizione» ansimo staccandomi. «Così ricorderai che sono la tua compagna e mi devi parlare anche se sbaglio! Anche se mi devi sgridare! Anche se non ti piace!»
Osserviamo entrambi i miseri segni impressi alla base del suo pollice. Rispetto a quelli che porto, sembrano gli scarabocchi di un bambino paragonati alla Cappella Sistina.
«Non è granché» ridacchia, ripulendosi da briciole e saliva.
«Non ho le tue zanne» sbuffo.
«No. Ancora no».
Poggio la fronte al suo petto, stravolta. Ho esaurito tutte le energie con quest’ultima sfuriata.
Perdo qualche parentesi di tempo. Percepisco Helios sollevarmi, intravedo il divano, il soffitto della nostra camera, l’abbraccio tiepido del pigiama che torna a rivestirmi. Il Manto Stregato ora è riposto sulla cassettiera. Ha una smorfia che pare domandare se sono soddisfatta del chiarimento.
Helios siede sul bordo del letto, ci teniamo per mano, entrambi la destra.
«Mi prometti una cosa? Questa è semplice, giuro. Più dello stare attenta a quando sono… il tuo peluche» chiede, cominciando a far scorrere l’altra mano sulle coperte.
Lo so, è indecoroso dare del “peluche” ad un lupo mannaro, ma Helios sa assumere atteggiamenti da cucciolo, espressioni buffe che è impossibile non associarlo a un tenero pupazzo.
Sistemo meglio la testa sul cuscino, aspettando di conoscere la richiesta. E giuro su me stessa che farò di tutto per mantenerla.
«Butta la porcheria che ti hanno venduto per olio di pino. Compro io un olio essenziale come si deve».
«Dici che è sintetico?» sbadiglio.
I suoi massaggi e il tepore che comincia ad annidarsi sotto le coperte stanno facendo effetto: mi sento stanca, rilassata. Felice.
«Fidati, il mio naso non mente. Non so cosa sia quella robaccia, ma fa venire delle fitte tremende lungo le cavità nasali. Stavo impazzendo!» latra irritato dal solo ricordo, poi si avvicina, naso contro naso. «Se devo addentarti, voglio farlo perché ho deciso di scoprire che sapore hai, non per colpa di quelle schifezze» sussurra.
Non sentirò Helios alzarsi e scivolare nel suo studio, né ascolterò le chiamate che farà a Setti prima e alla Matriarca poi, per raccontare l’accaduto. Una donna qualunque avrebbe sbraitato pretendendo la parte della vittima, avrebbe avuto un crollo nervoso, sarebbe fuggita quella notte stessa. Avrebbe messo in pericolo il clan. Io sono rimasta, come sono rimasta qui la prima volta che l’ho visto mutare. Ho ammesso e accettato il mio errore. Ho imposto al mio compagno - compagno, non uomo o fidanzato - di parlare con me, a prescindere dalla durezza delle sue parole. L’ho punito per ricordargli il suo sbaglio. Non sono atteggiamenti comuni per una Osservante.
Ma questo ancora non lo so: sto dormendo e la febbre morde di nuovo.


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Vi aspetto alla prossima storia di "Beauty of the Beast - La Bellezza della Bestia"!
   
 
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