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Autore: CassandraLeben    02/07/2008    39 recensioni
Questa storia è ambientata dopo Eclipse ed è stata elaborata prima dell’uscita di BD.
HO AGGIORNATO!!!!!!!
In breve: un racconto alternativo, avventuroso e romantico, nonché triste, di ciò che avevo immaginato potesse accadere dopo il fatidico “Sì” tra Edward e Bella.
Il ritorno dei Volturi, di Jack, Alec e Jane sconvolgeranno la vita dei novelli sposi
ATTENZIONE, PUò CREARE ASSUEFAZIONE E PROBLEMI CARDIACI! XD
< Isabella. > Una voce familiare risuonò nella camera. Sobbalzai. Non mi ero accorta della presenza di qualcuno nella stanza.
< Bella! Quanto tempo, desideravo con ansia rivederti. > Aro mi si avvicinò e mi prese la mano. Con gentilezza, me la baciò. Notai i suoi occhi guizzare sulla mia fede e poi incontrare i miei. Mi sorrise tranquillo e mi fece accomodare sul divano.
< Prego cara, siediti. Non avere paura. Non devi preoccuparti. > Sapevo che non potevo rifiutare. Tanto valeva stare al gioco. Magari sarei riuscita a sopravvivere un po’ più a lungo.
Genere: Romantico, Dark, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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11 Salve a tutte!!! Vista la sorpresa?
Ho pensato di postare io l'11 e lasciare alla Clari il 12 (o venerdì o sabato, ma credo sabato) ... questo perchè oggi mi sono ritrovata un po' di tempo libero per preparare il tutto!!! Ci ho impiegato meno tempo del previso a preparare la valigia e il resto, quindi eccomi qui! 
Un rinrgaziamento veloce a tutte voi che mi seguite, ed in particolare a:
BellaSwan95
, aLbICoCCaCiDa, Wind, summer718, giulia9_91, ery, _sefiri_, MoonlessNight, sophie_95, Raki, AngelOfLove, Hele91, alice brendon cullen, 4everWITCH, PenPen, yumisan, emily ff, Giulls, novilunio, Lilian Potter, lilly95lilly, 3mo_is_love, BloodyKamelot, carlottina, lilistar, Deimos, Miki87 che hanno lasciato dei bellissimi commenti!!! Grazie
Vero che fate lo stesso anche con questo capitolo? Spero di sì!!!
E poi, volevo chiedervi se potevate dirmi quale tra i capitoli postati vi è piaciuto di più ... Sono troppo curiosa!!!
Ciao e a presto!!!  Scusate per i ringraziamenti molto brevi, ma nel caos della partenza ... l'importante è postare XD  
Un bacio gigante
                                                                                           Cassandra

Bella's Pov

" Bella … Bella… Bella …”

La voce di Edward mi giungeva lontana. Una Eco che si perdeva nell’oscurità.
Un’effimera illusione …
Lo chiamavo, ma la mia voce era flebile, poco più che un sussurro smorzato.
Era quella, dunque, la Morte?
La morte, che non portava dolore.
La morte, che non portava sofferenza.
La morte, che non avrebbe dovuto portare solitudine.
Che non avrebbe dovuto portare paura, tristezza …
E allora, perché? Perché diavolo dovevo sentirmi sola, disperata, impaurita?
Neanche nell’oblio mi veniva concessa la pace?

Nel tormento di queste domande senza risposta, mi voltai su un fianco, o per lo meno ci provai.
Ad impedirmelo, delle mani forti e robuste, un improvviso bruciore al braccio sinistro.

Il peso della verità mi piombò addosso insieme alla consapevolezza della realtà.

“Viva … Viva!” mi gridavano tutte le cellule del mio corpo.

Dischiusi le labbra e, sorridente ed intontita dagli antidolorifici, sussurrai:
< Edward … > Mi aspettavo di trovarlo al mio fianco,come per una sorta di miracolo.
Ma la voce irata di Jane, mi riportò alla dolorosa realtà.

Se fino a quel momento avevo fatto di tutto per cercare di aprire gli occhi, in quel istante serrai di più le palpebre. Non volevo che fosse vero.

La sentii parlare con qualcuno.
Nessuna risposta.
Era al cellulare …
< Sì, Sì, si sta svegliando. Ha cominciato a parlare. >

Silenzio.
< Che vuoi che abbia detto? Le stesse cose che ripeteva anche prima.  Edward, Edward … >
Disse sprezzante, imitando la mia voce.
< Si agitava un po’. Adesso chiamo la dottoressa. Ti faccio sapere. > E sentii lo scatto secco di un telefonino che viene chiuso.
< Mi senti? > La  voce ora era vicino al mio orecchio. Secca e tagliente.
< Ei? Mi senti? >
Non risposi. Non volevo svegliarmi. Volevo l’oblio, o mio marito. Non Lei.

Cercai nella memoria la voce di Edward, ma la paura mi impediva di ritrovarla.
Sentii le lacrime scorrermi sul viso e bagnare il cuscino.
Jane sbuffò e poi premette qualcosa. Una voce, distorta, chiese qualcosa in una lingua che non conoscevo. Jane rispose nello stesso idioma.

Pochi minuti dopo, la porta si aprì e si richiuse subito.
Dita calde mi accarezzarono il volto, le guance. Mi presero il battito sul collo e sul polso destro. Esaminarono il braccio sinistro.
Domandò qualcosa, ma Jane disse in inglese: < Non parla Italiano. Solo Inglese. >
Nessuna risposta. 
Poi la voce di prima, una donna, mi domandò:
< Signorina? Signorina? Mi sente? È salva … >
Non mi mossi.
< Isabella? Isabella? >
Socchiusi gli occhi. Non c’era molta luce nella stanza. Le tende erano tirate.

Senza guardare Jane, sussurrai:
< Dove sono? >
< In una clinica privata piccola. Come ti senti? >
< Bene … > Mentii. In realtà, non sentivo proprio niente. Ma tanto …
La mia voce era affaticata. Avevo sete.
< Sicura? >
< Mh mh … > Feci io cercando di annuire, il che mi provocò un’ondata di nausea.
< Bene. Sei stata molto fortunata. I tuoi amici sono riusciti a portarti qui in tempo. Le ferite erano molto profonde. Appena starai meglio, ti  fisserò un colloquio con uno dei nostri psicologi. >
La sua voce era tranquilla, rassicurante.
< No, non ce n’è bisogno … > Cercai di dire, < Davvero … è stato solo un incidente … >

La vidi annuire distratta, mentre controllava la cartella clinica.
< Alcuni valori non rientrano del tutto nella norma. Ti faremo degli esami. Il tuo sangue è già in laboratorio, oltre naturalmente quello che ti sei lasciata per strada! > Non sembrava preoccupata.
I suoi occhi incontrarono i miei. Vidi una strana luce. Appoggiò i fogli sul comodino e cominciò a tastarmi il corpo.
Jane osservava la scena dall’altro capo della stanza. Sembrava pensare ad altro. Afferrò il telefonino ed uscì improvvisamente. Era annoiata.

Appena la porta fu chiusa, la dottoressa mi alzò il camice dell’ospedale e cominciò a tastarmi la pancia. Tremai e lei se ne accorse.

Mi disse: < Scelte come la tua, sono sbagliate, ma tristemente frequenti. Succede, in certi momenti, di sentirsi deboli, inadatti. Magari dopo un forte shock … Ma non per questo bisogna pensare che farla finita sia la scelta migliore. > Mi sorrideva.
< Fare la mamma è difficile, ma si impara con il tempo. Se sei da sola, puoi chiedere aiuto … non verresti abbandonata a te stessa … >
Arrossii.

Quando ebbe finito di tastarmi il ventre, mi rassicurò dicendomi che andava tutto bene e poi mi ricoprì, sistemandomi anche il lenzuolo.
< Ma immagino che tu non voglia parlarne … >
< No. > feci io, e poi aggiunsi, appoggiandomi la mano sul mio ventre: < Neanche lei lo farà, vero? Con loro intendo … >
Mi osservò materna e mi rassicurò: < Segreto professionale. Se vuoi, sei ancora in tempo per tirarti indietro, l’intervento è breve, non desterebbe sospetti … >
Mi accarezzava la mano, mentre parlava.
< No, grazie. Voglio tenerlo … >
Annuì e poi, guardando l’orologio al polso, mi disse: < Devo andare. Se hai bisogno di me, o anche se hai solo voglia di parlare, fammi chiamare. Sono la dottoressa Rosa Cestari. Adesso, riposa ancora un po’ … Te la sei vista brutta … temevamo davvero di perderti. L’emorragia non si fermava. Un paio di trasfusioni però, ed ora sei come nuova! > Cercava di essere rassicurante.
< Scusi? > Chiesi prima che e ne andasse.
< Quanto ancora dovrò stare qui? Ah, giusto, quanto ci sono rimasta? >
Mi osservò e tornò ad accarezzarmi, questa volta la fronte.
< Sei qui da ieri sera … sono le sette e venti del mattino. Se tutto andrà bene, come da prassi, ti terremo qua altri 3, 4 giorni. Il tempo che tu ti rimetta, e poi ti indirizzeremo ad un centro specializzato. Come questa struttura, anche quella è privata. Ci hanno detto che l’anonimato è molto importante per voi. > Mi guardò fiera ed aggiunse: < noi siamo estremamente discreti e trattiamo le informazioni dei pazienti con estremo riguardo. La privacy secondo noi è fondamentale. Capiamo perfettamente che, una ragazza giovane come te non voglia far sapere certe cose … > ed ammiccò, poi mi disse: < però, per i segni, non potremo fare molto. Abbiamo dovuto darti davvero molti punti. 38, mi pare. >
Inghiottii un po’ di saliva … porca miseria, ci ero andata giù pesante …
La dottoressa sospirò e poi, cordialmente, mi salutò ed io feci lo stesso.

Rimasi sola per qualche minuto. Dalle tende tirate non filtrava la luce. L’illuminazione proveniva da una piccola lampada su un piccolo tavolino.
La stanza era anonima, come in tutti gli ospedali. Come nella mia prigione, niente orologi. Anche qui, il tempo doveva parermi fermo.
I tubicini nel naso erano fastidiosi ma, in ben più felici circostanze, mi ci ero abituata e sopportarli non mi fu difficile.
La sete era tutta un’altra cosa. A Phoenix, Edward era sempre pronto con un bicchiere di acqua fresca a portata di mano. Mi aiutava a bere …

< Devi mantenerti idratata. > Mi ripeteva tra un bacio e l’altro …

Quanto mi mancavano le sue labbra …
Sentii lo stomaco stringersi e cercai di pensare ad altro.
Per esempio, ero disposta a sopportare la sete, pur di non chiedere aiuto a Jane, pur di non dovermela rivedere lì.

Ma tanto, lei tornò. Non mi aspettavo il contrario. Stavo diventando pazza forse, ma scema non lo ero di certo.  Spostai il mio braccio destro.
Non mi rivolse neanche la parola. Si sedette e si limitò ad osservarmi con sguardo accusatorio.
Io fissavo decisa il soffitto.

Avevo tre, quattro giorni al massimo per fuggire.
Se non ci fossi riuscita, mi avrebbero di nuovo sepolta laggiù, ed in quel caso, lo sapevo, non mi avrebbero lasciata sola neanche un secondo. Non avrei potuto più togliermi la vita, né fuggire.
Avrebbero scoperto il bambino. Per quanto ancora sarei riuscita a nascondere la gravidanza? Uno, due mesi nella migliore delle ipotesi? No, sicuramente se ne sarebbero accori prima. E poi? Non volevo neanche pensarci …

Dovevo fuggire finché ero lì, in ospedale.

Ero riuscita ad arrivarci … il piano aveva funzionato … ora, dovevo andare avanti. Se non ci fossi riuscita, ero disposta anche a buttarmi dalla finestra. Là sotto, nella prigione, non ci sarei mai tornata.
Forse fu il continuo e regolare “plic plic” della flebo, forse il suono ritmato del mio cuore, amplificato dallo strumento alla mia sinistra … quel continuo: “bip. Bip. Bip. Bip … ”
Fatto sta che i miei occhi si fecero pesanti e il sonno prese il sopravvento. La mia mano scivolò di nuovo sul mio grembo.

Al mio risveglio, trovai insieme a Jane anche Alec.

Quest’ultimo mi osservava preoccupato. Quando feci per parlare, lui si portò una mano alla fronte e disse:
< Non dire niente. Stai zitta. Non voglio sentire. >
Rimasi con la bocca aperta qualche secondo, prima di ricordarmi di richiuderla. Ero sorpresa.
Dopo qualche minuto trascorso nel silenzio, Jane disse:
< Allora io vado. Tra poco arriverà anche Demetri. >

Si baciarono sulle guance, con affetto, e poi lui le fece:
< Mi raccomando. A dopo … >
Quando se ne fu andata, domandai:
< Che ore sono? >

Mi fulmino con lo sguardo e poi mi ricordò:
< Ti avevo detto di non rivolgermi la parola. E poi, che ti importa saperlo? Hai in mente un'altra geniale idea per suicidarti? > la sua voce era carica di frustrazione. Si sentiva in colpa. Lo percepivo chiaramente.
Aggiunse in tono mesto:
< Ci hai spaventato, tutti quanti. Persino Aro. Complimenti. Ora, non è più disposto ad aspettare. Appena starai meglio, ti riporteremo a casa. E poi, per i prossimi nove mesi, non ti lasceremo mai sola. Mai. Non mi volterò neanche se ti devi cambiare. Sei contenta adesso? Allora? >

Mi osservava furioso.

Io tremavo,un po’ perché non lo avevo mai visto arrabbiato. Non era contento che venissi trattata a quel modo, lo sapevo, ma ora, pensava che me la fossi andata a cercare.
Tremavo anche perché, se Aro non era più disposto ad aspettare, se non fossi riuscita a fuggire …
Cercai di pensare ad altro, e domandai di nuovo, in tono dolce:
< Per favore, Alec, dimmi che ore sono … >

Mi osservò un attimo e mi disse, rassegnato:
< Davvero, non capisco l’importanza che tu attribuisci al tempo … Sono le nove di sera. Hai dormito tutto il giorno. I dottori dicono che è colpa dello stress accumulato e degli antidolorifici. Non preoccuparti … >aggiunse vedendo il mio volto preoccupato.
Un giorno … avevo sprecato un giorno. Sentii l’angoscia invadermi. Non potevo restarmene lì, dovevo agire. Poi osservai il mio corpo e mi accorsi di quanto ancora mi sentissi stanca. Effettivamente, quel giorno non era stato proprio del tutto sprecato. Avevo bisogno di rimettermi un po’ in forze. Nonostante la giornata trascorsa a dormire,, ero ancora stanca. E poi, se avessi voluto fuggire, avrei dovuto agire in pieno giorno, sicura che non avrebbero potuto seguirmi, sotto il sole.
< Alec … >
< Sì? >
< come fate, a restare qui? Come giustificate le tende tirate e il fatto che uscite solo quando è buio? Sono medici … >
Rise e mi rispose: < Abbiamo detto loro che siamo fotosensibili. Io e Jane siamo fratelli, e quindi sarebbe una cosa genetica, mentre Dimetri abbiamo detto che era un nostro amico. È una malattia … ci hanno creduto. In effetti … > ed ammiccò < è vero, non ti pare? >
Sorrisi < Grazie … >
< E perché? Non sono riuscito ad impedire che ti facessi del male, non riuscirò ad impedire che te ne facciano gli atri … >
< Grazie per essere stato mio amico … >
Mi sorrise e si alzò per accarezzarmi la fronte.  

Chiusi gli occhi ed immaginai che quelle dita appartenessero ad altre mani …

< Sai, Isabella … tu, mi piaci … >
< Lo avevo sospettato. > risposi, rigida.
< Se solo il tuo cuore non appartenesse irrimediabilmente ad un altro … > e sfiorò la piccola fede d’oro al mio anulare sinistro.
< Se solo non fossi umana … > aggiunsi io, ironica.
< Beh, a quello si può sempre rimediare. > Fece lui con il mio stesso tono.
< Alec … >
< Sì? >
< Mi  spiace, ma io per te non provo niente di questo tipo … per me, esiste solo Edward … >

Povero Jacob. Non sarebbe stato affatto contento di sentire quella conversazione. Essere sposata con un vampiro, per lui era già difficile accettare la cosa … ma averne pure un altro che mi viene dietro … non avrebbe retto, credo.

< Lo so più che bene. Sapessi quanto diavolo parli nel sonno! > Rise
< Non preoccuparti. Sono felice, che comunque tu mi consideri un amico. Per me è già un buon traguardo. E poi, non potrei aspettarmi altro da te. Immagino che le circostanze dei nostri incontri ti siano risultate traumatiche. >
< Immagini bene … > Non ero molto attenta, adesso. Pensavo ad altro. Speravo di non aver parlato troppo, nel sonno. Di non aver detto niente di pericoloso. Ma, visto che lui non sembrava turbato, pensai di no.
Senza rendermene conto stavo scivolando lentamente nel sonno. Alec, in silenzio, mi teneva la mano.                          

Quando sentii delle dita calde sfiorarmi il collo e la fronte, aprii gli occhi.
Mi stavano chiamando.
Mi osservai intorno e la stanza era ancora buia.

Chiesi: < Ho sete, potrei avere da bere? >
< Certo signorina, ma adesso deve venire con noi. Sono le dieci. Dobbiamo rifare la camera, e lei deve andare a fare degli esami. >
Annuii ancora disorientata e tentai di portarmi a sedere. L’infermiera mi aiutò. Dopo avermi staccato tutti i tubicini, mi avvicinò una sedia a rotelle.
< No, no. Preferisco camminare … > Mi guardò scettica e poi mi aiutò, sostenendomi per farmi uscire. Non mi voltai ma sentivo lo sguardo della mia guardia fisso su di  me. Jane disse: < Ti aspetto qui. Poi dimmi com’è andata. > Annuii e poi uscii, nel corridoio. Ero malferma sulle gambe. Debole.

Le finestre avevano delle tende color panna e i muri erano azzurri. C’era odore di ospedale, giustamente. Con lentezza percorsi il corridoio lungo e luminoso. Avrei voluto osservare il mondo fuori dalle finestre, ma non potevo fermarmi. C’era luce, luce vera. Sorridevo piena di speranza.
La struttura era abbastanza piccola. Prendemmo un ascensore e scendemmo al piano terra, dove si trovavano gli ambulatori.

< Prego cara, entra … > e così feci. Nello studio, la dottoressa del giorno precedente. Mi salutò cordialmente e mi mostrò l’esito degli esami del sangue specifici che aveva richiesto. Sospirai infinitamente sollevata, quando mi disse che il bambino stava bene. Mi sciolse la fasciatura al braccio e mi medicò di nuovo. Mi si rivoltò lo stomaco a vedere tanta devastazione. Distolsi lo sguardo.
< Bene, abbiamo finito … ora puoi tornare in camera. > Sorrideva conciliante. Io sussultai. Dovevo agire. Subito. Era la mia occasione. Da dietro il vetro della finestra che dava sul retro, sul giardino, vedevo il cielo terso. Non avrebbero potuto seguirmi.
< Scusi, non è che potrei andare in bagno, prima? > La dottoressa mi osservò per qualche istante e poi, sorpresa, mi disse: < Certo, la prima porta a destra. Però, c’è anche in camera tua … > mi osservava. Abbozzai un sorriso e dissi: < Ho sete … > < Certo cara, fa pure con comodo. > E tornò alle sue carte.

Con passo incerto, andai in bagno. La prima cosa che feci, fu di aprire l’acqua del rubinetto e bere, bere fino a dissetarmi. Nello specchio, il riflesso di una ragazza stanca e malata. Poi aprii la finestra e lasciai che il sole mi accarezzasse. Era forte e caldo. Mi era mancato tantissimo, così  come l’aria che mi scompigliava i capelli. Mi sentii rinascere. Fortunatamente, constatai che il prato del giardino si trovava appena due metri sotto la finestra. In silenzio, scavalcai il cornicione e, lentamente, mi calai. Fu difficile, sia perché ero debole, sia perché la camicia da notte di certo non mi risultava molto comoda. Data la mia agilità, mi sbucciai cadendo … Avevo esercitato troppa forza sul braccio e sentii i punti tirare. La fasciatura si macchiò un po’ di rosso. Non vi feci caso.
Faceva molto caldo e il sole picchiava forte. Non sembrava affatto ottobre. Non vidi nessuno nei paraggi, e in silenzio, cominciai a correre, cercando di non dare nell’occhio. Uscii dal giardino. Presto si sarebbero accorti della mia fuga.

Dovevo fuggire il più lontano possibile. Sapevo che non avrei dovuto, ma sarei andata alla polizia. Avrebbero contattato mio padre … I Volturi a quel punto non avrebbero più potuto fare niente, se non volevano venire scoperti. Ero stata così impegnata ad organizzare la fuga, che non avevo minimamente pensato al dopo. Avrei dovuto agire d’istinto. E l’istinto, in quei momenti, mi diceva di correre come non avevo mai fatto.
Inciampai più volte, cadendo a terra.
Le mani e i piedi feriti. Avevo dovuto lasciare le pantofole dell’ospedale nel bagno, con quelle non avrei potuto correre.
Il sole mi coceva la testa e i sampietrini sotto i miei piedi erano bollenti.
Faceva caldo e a me era tornata sete. Nel silenzio della città, oltre al suono delle posate e delle tv, solo il mio respiro affannoso e i miei singhiozzi.
Sapevo che piangere era inutile, anzi, dannoso. Sprecavo acqua … ma non riuscivo a trattenermi.
Vidi una fontana, al centro di una piazza, e mi avvicinai per bere.

Mi bagnai la testa e il volto. Mi dissetai. Cercai di sciacquarmi anche il sangue dalle mani.
E poi ricominciai a correre. Cercavo di rimanere al centro delle strade, deserte, lontana dai vicoli bui. Sicuramente i Volturi avevano già cominciato a cercarmi. Avevo paura.
I miei ansiti riempivano l’aria calda.

Continuai a correre anche quando il campanile, che suonava lontano, batté i dodici rintocchi e il sole fu a picco su di me. Non avevo più l’ombra. Talvolta, stremata, mi fermavo pochi attimi a riprendere fiato, piegata sulle ginocchia.
< Devi farcela, devi farcela. Sei arrivata fin qui … DEVI farcela Bella > mi ripetevo per farmi forza.

All’improvviso, un’auto suonò il clacson dietro di me e mi fece sobbalzare. Mi spostai verso il muro per lasciarla passare. Cercai di appoggiarmi ai mattoni, ma la mia mano non incontrò che vuoto.

Un vicolo stretto e buio …

Cercai di riportarmi al sole ma delle braccia gelide mi afferrarono da dietro, trascinandomi nel buio.
Una mano fredda si poggiò con forza sul mio volto, smorzando sul nascere il mio grido di terrore.
Sconfitta, mi abbandonai al pianto incontrollato e a quelle braccia fredde e stranamente accoglienti.

Non capivo più niente, mentre il mio corpo veniva scosso dai singulti.

Poi mi accorsi che quelle braccia mi cullavano e che mani fresche e gentili mi carezzavano il volto.
Cercavano di tranquillizzarmi e allo stesso tempo di impedirmi di muovermi, di fuggire ... 
Speravo che fosse Alec. Lui forse, se lo avessi implorato, mi avrebbe aiutato.
Non certo a fuggire, questo era ovvio, ma magari a morire ...

Nel silenzio e nell’oscurità, mi voltai lentamente, mentre la mano mi liberava il volto, permettendomi così di respirare …

  
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