Diciannove marzo: nulla di fatto.
“Sai, è stressante non riuscire ad esprimersi”
“Già, è come avere la pericolosa sensazione di poter esplodere da un momento all’altro”
“E potrei uccidere qualcuno”
“Non essere così misantropa, dai, c’è del buono nelle persone”
“Tipo?”
“Uhm, non so, tipo me.”
“Già, è come avere la pericolosa sensazione di poter esplodere da un momento all’altro”
“E potrei uccidere qualcuno”
“Non essere così misantropa, dai, c’è del buono nelle persone”
“Tipo?”
“Uhm, non so, tipo me.”
Le parole s’interrompono, si spezzano,
e giacciono, sfibrate, al suolo.
Non riesco a raccoglierne le fila;
avvertirne il gusto sulla punta della lingua;
le afferro per poi perderle di nuovo, ancora:
questa continua ricerca, questa eterna dedizione,
questa condanna dolcissima, mi strema,
prosciuga la linfa dei pensieri e poi,
all’improvviso, mi ritrovo sola con me stessa.
E non c’è nulla che io brami e che rifugga più di questo;
è un eterno perdersi all’interno; vagare e non trovare via di fuga.
Si può scappare da se stessi?
Ciondolo, le mani strette in pugni inermi,
– avanti e indietro – su questi ciottoli,
su questa ghiaia di cellulosa;
e sospiro di malinconia assurda
e ansimo di gioia impalpabile
e piango lacrime di sangue
e grido mute melodie notturne:
ma non riesco a far rumore,
non riesco a lacerare le labbra, la gola; non esprimo nulla.
Come terra arida e prosciugata, rigiro tra le dita queste righe
e sospiro, disillusa, volgendo lo sguardo alla luna implosa nel buio.
*