L’odore
della pioggia era forte, in quella strada. Lunghe cicatrici marchiavano le
squallide mura di un prefabbricato, mentre il suono assordante di clacson e le
luci al neon dei semafori accompagnavano la via.
You call me “bitch”
Mi dicono che sono
una troia:
ma il mio unico
errore fu
l’amare la persona
sbagliata.
Pugno. Calcio. Pugno. Guancia dolente. Sangue sputato.
Solito teatro di vita quotidiana in quelle strade:
vicoletto putrido, lunghe ombre che si proiettano sulle mura, fari accecanti di
un auto, in tre contro uno. Però, cazzo, se quel biondino ci sapeva fare:
incassava bene, dovevano ammetterlo, attutendo al minimo il colpo; e tirava dei
pugni con tanta veemenza che, prima o poi, avrebbe rotto qualche costola a
qualcuno di loro. O, forse, era già successo.
Scese da quei tacchi, mentre le
labbra sottili emisero un lungo sospiro:
con l’indice ed il medio afferrò le
scarpette, scuotendo la chioma dorata al vento, per liberarsi almeno di quelle
forcine che le pungevano sulla nuca.
L’ombra del tramonto, alle sue
spalle, proiettava la snellezza del suo corpo sull’asfalto.
Un colpo forte. Rumore di metallo colpito. Un altro
colpo forte.
Sbatté più volte le lunghe ciglia
appesantite dal trucco.
Una sirena. Un grido assordante.
-Via, via!-
-Cazzo, questi ci beccano…!-
Le ruote dell’auto stridettero sull’asfalto, mentre
l’ultimo di quei delinquenti di strada chiudeva con forza lo sportello
sgangherato. E via: veloci a scappare, come i ratti.
Il ragazzo si accasciò al muro prendendo in faccia
tutto quel vento metropolitano, intasato dallo smog, che non solo gli ricordò
l’infiammazione sul labbro spaccato, ma lo avvertì che la bella stagione stava
finendo. Merda: dovrà cercarsi un lavoro, se non vuole morire al freddo di un
sottopassaggio della metro come un cane. Si passò una mano sulla guancia,
marchiata da tre cicatrici, appiccicaticcia di sangue si sfregò i ciuffi
biondicci: gli piaceva da morire quella sensazione di onnipotenza, di
sopravvivenza, dopo uno scontro con qualsiasi idiota. Non ricordava come era cominciata…
ma che importava? Ormai era abbastanza tosto da fronteggiarne tre assieme.
-Che cazzo ci fai tu qui?-
Lo vide chinarsi, per raccogliere
il contenuto di quel distributore.
-Ho voglia di fumare.- schioccò la
lingua sulle labbra, mentre frugava nelle tasche dei jeans maleodoranti di
sbornia e fumo. Ne estrasse l’accendino; e compì pochi e veloci gesti
nell’infilarsi la sigaretta in bocca.
-Non fare l’idiota.- i braccialetti
trillarono su quel polso sottile, mentre puntava la mano verso di lui. –Tu mi
stavi aspettando.-
Alzò lo sguardo scuro su di lei.
–Forse.-
E morse la sigaretta.
Un anellino d’argento all’anulare sinistro. Lei è di
un altro.
Si sedette a terra, dando una gomitata ad un bidone
di ferro; sbuffò con veemenza, tastandosi i pantaloni scoloriti.
-… merda!- imprecò, davanti alla vista del
portafoglio semi vuoto. –Con questi soldi non posso permettermi nemmeno un
grammo di hashish!-
Felicità incompleta, dunque.
Una striscia sottile di ombra colpì la sua scarpa da
ginnastica allungata sul terreno; si voltò di scatto. Una figura si era fermata
a fissarlo: forme gentili, anche se poco prosperose, un peccato. Aveva gli
occhi scintillanti di lacrime già sgorgate, un verde evidenziato dal rosso
delle borse sotto gli occhi: o almeno questo percepì malamente, vedendola
contro sole. Tremava un poco, si vedeva; forse se la era fatta addosso…
Ma si avvicinò.
-E così il mio caro fratellino ha
finalmente voluto fare le cose in grande!- lasciò andare una folata di perlaceo
fumo. –Ecco perché sei così elegante… avrete festeggiato.-
La ragazza socchiuse gli occhi,
focalizzando quella rughetta che si era formata all’angolo della sua bocca.
-Sei geloso, Uchiha?-
-E perché dovrei?- altra boccata,
ma più veemente.
Agitò la chioma chiara,
superandolo; aveva la schiena a pezzi, le gambe dolenti e voleva togliersi
quell’infernale vestitino a tubetto candido.
-Non mi inviti a salire?- ingoiò
l’orgoglio per una volta, il ragazzo.
-Sai che, se vuoi, sei il
benvenuto.-
-Certo che lo sono… a te non basta
scopare con un Uchiha solo, giusto?-
Non si voltò.
Ok, stavolta te la sei meritata.
-Che cazzo vuoi?- profferì, odiando quel melenso
tentativo di trattenere le lacrime.
-Sai quel che voglio.-
Era lei, no? Quella snob che vedeva sempre in giro,
piatta come una tavola da surf e violenta quasi quanto lui, ma con il più bel
fondoschiena che i suoi occhi avessero mai potuto gustare. Per stavolta portava
quei ridicoli capelli color chewing gum
raccolti sulla nuca, ad evidenziare il faccino pulito.
Ridicoli. Ma simbolo dell’unica libertà che reclamava. Ridicoli. Belli.
Si rialzò con calma, respirando violentemente.
-Che c’è? Il tuo boyfriend non sa tenerti occupata…?-
ma si bloccò, in quello stupido raptus forse di gelosia: era di nuovo in
lacrime, davanti a lui.
-Sono io che non voglio farmi tenere occupata da lui,
forse.- si difese, cosciente di essere troppo vulnerabile.
-Piangi di nuovo.- schioccò la lingua sulle labbra,
trattenendosi uno “stupida”: stupida, perché ti fai trattare come una pezza da
piedi.
-Meglio qualche lacrima al volto sporco di sangue e
fango.- era debole, ma orgogliosa.
Iniziò a salire i gradini, senza
controllare se la stesse seguendo; bastarono pochi minuti, e sentì il ritmo dei
suoi anfibi alzare la polvere che regnava su quelle scale.
Non era vicino, ma tanto sapeva
dove andare.
Giunta davanti la porta, trovò con
facilità le chiavi di casa dentro la borsa; infilò nella toppa, girando
lentamente…
-Ho voglia.- le comunicò
sovrastandola, imprigionando con le sue braccia toniche la piccola figura.
Ho voglia che tu sia mia. Ho voglia di metterlo al
culo a mio fratello.
Con il bacino la spinse attaccata
alla porta, mentre rubò brusco la sua mano, comandandogliela per girare la
chiave.
La porta si aprì.
Si lasciò andare ad un sorrisetto. -Colpito.- e si avvicinò,
con passo calmo e ritmato.
Gli piaceva osservare quella piccola figura che
sembrò intimorirsi, dimenticatasi come al solito che ora era lui il più alto.
-Stavolta che ti ha fatto?-
Sentì la sua dentatura strusciare.
-Non sono affari tuoi.-
-Nemmeno sono affari tuoi le mie risse; ma,
ultimamente, se mi vedi pestato e livido, ti avvicini per sapere che sono
vivo.-
-E’ pura pietà.-
-Pietà per colui che ha fatto piangere la tua
migliore amica?!-
Già: era violento, cattivo, perverso. Ma proibito. Quindi, succulento.
Vero, Sakura?
Non le lasciò il tempo di
respirare, che coprì la sua bocca con quelle labbra:
si sentì d’improvviso accaldata, e
non più stanca.
Si sottrasse alle sue labbra.
-Se vuoi andare avanti, non
dominarmi.-
Le sorrise sornione. –Non me lo
permetti mai.-
-Cosa pensi che sia questo, eh?-
-Non so.- chiuse la porta alle sue
spalle. –Per me, è adrenalina pura.-
L’avvolse in un abbraccio,
massaggiandole il collo con la lingua.
-Il mio corpo?-
-Sai che non è solo questo.-
-Davvero?- lo fissò decisa,
passandosi la lingua tra le labbra. –E dimmelo.-
Inarcò un sopracciglio. –Le parole
sono futili involucri.-
-Ah. E cosa è che conta ed è vero?-
-Fai troppe domande.-
Stavolta inarcò lei un
sopracciglio.
Due corpi che si muovono a ritmo. Spinte. Gemiti a
respiro violento.
Era solo questo tra loro?
-Tu sei uno stronzo.-
-E’ una parola comoda, Sakura-chan.-
-Non chiamarmi così.-
Allungò lo sguardo sulle braccia nude. –Quando si
tratta di Hinata, sono uno stronzo. Quando si tratta di altro, sono semplicemente
Naruto.-
-Tu sei… una cattiva compagnia: tu le hai rubato la
verginità, senza ripagargliela con l’amore.-
-Ma era consenziente: alla fine, le ho regalato un
sogno.-
Strinse gli occhi di menta. –Già… illusione.-
-Temi che abbia fatto così anche con te?-
Si portò una mano sulla bocca.
Due corpi che si muovono. Spinte. Gemiti a respiro violento.
L’avevi dimenticato, quel giorno di pioggia?
Con perizia, le tirò giù la lampo
del vestito; cadde in un soffio.
-Volevi toglierlo, no? Lo leggevo
nei tuoi occhi, che era insopportabile.- rise, divertito dalla sua malizia.
Affondò di nuovo la bocca
nell’incavo del suo collo, impegnando le mani a slacciare il reggiseno, occupando
la bocca a riempirle la spalla di baci.
-… Sasuke.-
Riaprì gli occhi, fermandosi.
-Perché pensi che io faccia
questo?-
-… perché è ciò che realmente
desideri.-
Le si fermò il cuore.
-… non pensi che sia una troia?-
Soffiò; la guardò in viso.
-No, Ino: le troie sono squallide.
Tu no. Così come non credi che io sia qui per l’ennesima rivalità con Itachi.
Io so quel che provi.-
Ingoiò la saliva. –Cosa provo?-
-Itachi ti è stato imposto da tuo
padre, perché figlio maggiore di una ricca famiglia; ma io sono stato scelto da
te.-
Basta così, no?
-Hai parlato.- sorrise, prima di
mordergli il labbro inferiore.
Sakura l’aveva sempre saputo, fin da quel giorno che
lo vide a cazzeggiare con quei cretini davanti alla sua scuola: teppista, un
tipo che vuole solo rimorchiare, una scopata e via, due se gli fa impazzire il
tuo fisico. E quante volte l’aveva detto ad Hinata…
Ma c’erano stati i suoi no.
E poi, le sue lacrime.
E le imprecazioni contro di lui…
Poi… se lo trovava sempre tra i piedi. Chissà perché,
soprattutto quando usciva con Sai. Era lì, sorriso da ebete, sguardo fisso su
di lei che la chiamava, muto.
Poi, le sue frasette maliziose...
… e quelle strane confidenze, sul fatto che voleva
lei e non Hinata, che lo stuzzicava, che non sarebbe stata una scopata e via…
La sua prima volta con Sai, poi. La delusione.
L’accorgersi che si era costruita un sentimento per riparare all’umiliazione di
aver obbedito a papà in fatto di amore. Le lacrime.
Naruto.
Una notte di sesso… no, d’amore.
E con lui non pianse.
Gli sfilò la camicia, soffiando sul
suo petto modellato dalla palestra.
-Sasuke…- appoggiò la fronte sulla
sua pelle.
Il ragazzo smise di toccarla in
preda al desiderio.
-Dimmi.-
-Io… io non ho mai scopato con
Itachi.-
Restò attonito, un poco senza
parole…
Schioccò la lingua sul palato. –Lo vedi che non sei una troia?-
-Io non ti ho fatto piangere mai, Sakura.- un poco
intimidito, prese il coraggio per accarezzarle una guancia. –Sarò uno stronzo
che non fa altro che farsi canne, fare a botte e rimorchiare le ragazze… ma da
quella volta con te non ho scopato più. E non ti ho fatto piangere.-
Alzò gli occhi su di lui. -… non pensi che sia
una troia?-
-E tu non pensi che io sia uno stronzo puttaniere?-
le sorrise. –Sakura, le troie sono squallide… Sai ti è stato imposto da tuo
padre: ma tu mi hai scelto, quella stessa notte che facemmo l’amore.-
Si morse il labbro, lasciando cadere altre calde
lacrime.
Lui non poteva saperlo che aveva pianto altre volte:
ma perché non aveva accontentato Sai, non scopando con lui. Lei era vergine da
quell’ultima volta con lui.
-… portami a casa tua, Naruto.- lo pregò.
Una coperta calda.
Due corpi sudati.
Respiri che si
inseguono, mentre occhi e mano esplorano le nudità.
Lingue che
stuzzicano, bocche che si completano.
Spinta. Spinta.
Spinta.
Passione che ti
offusca la mente.
Amore.
Sakura appoggiò la testa sul cuscino, carezzata sul
braccio dai capelli di Naruto.
Riaprì gli occhi. No, non le veniva da piangere.
Ino si coprì il seno nudo,
poggiando la guancia sul petto di Sasuke, accaldato.
Riaprì gli occhi. Le veniva da
sorridere.
Sono una troia?
Forse.
Ma sono fragile,
perché non so dire di no all’autorità.
Ma sono forte, perché
voglio dire di sì all’amore.
So quel che voglio,
ma è ancora presto per appropriarmene.
Sono una troia perché
amo farmi del male.
Soffrire perché non
mi permetto di avere ciò che voglio.
Sono una troia perché
il mio ragazzo non mi possiede…
Ma chi lo dice che
nel suo possesso io scorga amore?
Sono una troia perché
vado a letto con la persona sbagliata…
Ma è la persona che
amo.
Questo è per voi
essere una troia?
…
Se è così, bene.
Allora, sono una
troia.
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Questa one-shot è stata ispirata dai lavori di L’Ele_crazy_tamagotchi,
una utente del forum NaruSaku che considero un’ottima scrittrice, anche
disegnatrice piena d’inventiva, nonché mia Sakura-chan personale ù.ù Non so se
la leggerà mai qui su EFP, o se riuscirà a commentarla… ma anche qui voglio
ringraziarla per il suo “apporto involontario” nel creare questa idea, nonché per
il resto, ovvio. Grazie, Ele**
Voglio annunciarvi che voglio dedicarmi di più a
questo quartetto: è assolutamente affine nonché IC e canon, a mio parere.
Tornando a questa fanfiction: contesto metropolitano,
tutti i personaggi hanno circa vent’anni, sono tutti figli di famiglie
benestanti tranne Naruto, che ho voluto rendere un teppistello accentuando
anche la sua aggressività. Un po’ OOC, ok, ma mi piace. SasuInoIta è il mio
solito triangolo, il NaruSakuSai l’ho provato su suggerimento di Kaho, ma non
mi è dispiaciuto.
Dedicata a tutte le Violet Roses e le Pink Panthers.
La vostra Rael
PS:
Troverete un vocabolo strano, "profferì" invece di
"proferì": MicrosoftWord non me l'ha corretto, quindi credo vada
bene anche così.