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Autore: A Modern Witness    21/03/2014    6 recensioni
Affido la vita di mia figlia, la sua felicità e il suo futuro a Jared Leto.
Perché lui?
Perché non i nonni?
Perché non Amelia?
Perché mamma?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pioggia di ricordi'
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Capitolo 7.
Si era svegliata da un bel po’ e per tutto quel tempo non aveva fatto altro che osservare i glyphics, che decoravano l’avambraccio destro di Craig, che aveva pigramente abbandonato sopra di lei.
Aveva passato la notte con lui e, sinceramente, poteva ammettere che non aveva aiutato per niente. Anzi, l’inizio del nuovo giorno era persino peggio. Craig era un Echelon e lei era una stupida. Si era lasciata trasportare da non sapeva cosa verso l’appartamento del ragazzo, si era data a lui come se fosse l’unica soluzione al problema, aveva passato una notte davvero piacevole, ma quale era il risultato?
Jared era a casa, Craig seguiva i Mars e lei, beh, straripava di confusione.
Si chiedeva se il ragazzo l’avesse avvicinata, dopo aver visto Emma che l’accompagnava al college o se non l’avesse seguita fino alla villa o, peggio, ancora si fosse tradita da sola. L’ultima era impossibile, ma nel momento tutto gli era apparso una adeguata spiegazione.
Oppure era sfortuna.
Non era mai stato il tipo di persona che credere nella fortuna o nella sfortuna. Sua madre l’aveva cresciuta insegnandole il suo punto di vista, ossia che ogni essere umano ha un destino già definito e non lo si può evitare in nessun modo, ma in quella situazione iniziava a intravedere il frenetico lavorare della sfortuna.
Oppure, a quel punto si chiedeva quale fosse il suo di destino. Se davvero fosse stata vera quella teoria di sua madre, cosa centravano i Mars, Craig con i glyphics, la morte di sua madre, l’affidamento con Jared, Los Angeles. Era forse destinata a diventare il nuovo membro della band?
«Sto impazzendo» Mormorò a sé stessa sospirando pesantemente e passandosi una mano tra i capelli.
Si voltò a guardare Craig, che ancora sembrava dormire.
Prima di addormentarsi avevano parlato un po’ o meglio, il ragazzo aveva cercato di capire perché lei fosse andata lì da lui. Tuttavia, in tutta risposta, Anthea aveva sviato la domanda e avevano spostato la conversazione su cose più banali.
Anthea aveva scoperto che  Craig studiava ingegneria informatica ed era all’ultimo anno. Però, aveva ventiquattro anni e questo ritardo nei confronti degli studi era stata causato da una passato che, lui stesso, aveva definitivo turbolento, ma non si era sbilanciato e Anthea non gli aveva fatto altre domande.
Allungò una mano sul comodino e afferrò la sveglia: mancavano dieci minuti alle otto.
«Non andartene » Biasciò Craig, girandosi verso Anthea, che, però, non si era mossa di un solo millimetro.
«Voglio delle spiegazioni, Anthea ».
Lei incarnò un sopraciglio, mettendosi a sedere «Non le avrai Craig» Gli disse girandosi a guardarlo negli occhi «Non mi interessa come la prenderai, arrabbiati, fai quello che vuoi. Ho avuto ciò che desideravo e molto probabilmente anche tu sei soddisfatto di come è andata la serata. Quindi arrenditi, non ho nessuno intenzione di dirti cosa mi succede» Biascicò, alzandosi dal letto «Mi hai fatto una promessa Craig. Non avresti preteso nulla. La stai infrangendo» Gli ricordò, mentre indossava i pantaloni, abbandonati sul pavimento della camera.
In risposta il moro sospirò con disappunto. Si passò una mano sul volto, chiedendosi perché fosse così difficile farla parlare, perché doveva mettere distanza tra loro quando aveva appena passato la notte insieme, abbandonato ogni imbarazzo, abbandonando ogni routine o regola di conoscenza.
«Fermati almeno a fare colazione» Propose con la voce ancora impastata dal sonno.
«Ci vediamo Craig» Tagliò corto lei, senza prendere in considerazione la proposta.
 
 
Non aveva lezione fino alle nove e mezza, ma di certo non ci poteva andare vestita in quel modo, con addosso ancora i vestiti del giorno prima: i pantaloni blu della tuta e la felpa grigia, di due taglie più grande.
Si guardò i pantaloni, c’erano ancora delle macchie di vernice del giorno precedente. Sbuffò e infilò le chiavi nella toppa.
Quando aprì la porta, Jared era lì. Il volto stravolto dal sonno, ma vivido di rabbia, brillante e sveglio.
 «Divertita? » Le chiese, acido.
Anthea fece una smorfia, infastidita «Più di te, sicuramente»  Ribattè, poggiando le chiavi sul mobiletto accanto alla porta, non le interessava che fosse incazzato, furibondo o carico di tempesta, che si sfogasse, che facesse la sua scenata e la lasciasse ad andare farsi un bagno.
«Shannon…».
A quel nome, Anthea scattò «Shannon?» Ripeté con veemenza «Al diavolo tuo fratello! Non mi interessa che cosa gli sia passato per la testa, di quanto fosse preoccupato Shannon, chi se ne fotte! Tu hai firmato i documenti per l’affidamento, quello preoccupato dovresti essere tu… » Quell’uomo era la frustrazione allo stato brado, libera di girare tra le persone e mandarle in tilt. Non c’era pietà per nessuno.
«Credi che non fossi preoccupato?» Le disse, guardandola dritta negli occhi.
Lei alzò gli occhi «Andiamo, davvero lo eri? Non ti interessa Jared, io non ti sto a cuore» Era una consapevolezza di cui Anthea non si poteva liberare. Quell’uomo non si sarebbe mai preso cura di lei.
«Ti fa comodo delegarmi a tuo fratello, ma io non sono una canzone Jared, di cui puoi discutere su come usarmi, trattarmi o rielaborare! Anzi, magari lo fossi, forse avrei un po’ più di considerazione da parte tua».
Le lacrime le salirono agli occhi, quell’uomo la stava distruggendo, altro che aiutare. Non lo capiva, non si lasciava capire, non le dava spiegazioni. Era soddisfatto cosi? Pensava davvero, che allontanarla dagli affetti fosse sufficiente?
Jared attutì il colpo di quella parole «Te ne sei rimasta giorni chiusa in camera.. »
«Mi hai dato uno schiaffo, Jared!» Lo accusò Anthea, mentre Shannon si avvicinava ai due «Per aver disegnato uno stupido albero sul muro della camera» Si accorse di singhiozzare, quando una lacrima le bagnò le labbra.
Il cantante la guardava, impassibile, sembrava che il pianto di lei non avesse alcun effetto su di lui. Tuttavia, non era così. Non sapeva cosa fare, come reagire, come riordinare le cose.
«Sai benissimo che quello non è uno stupido albero…» Ribatté infastidito, non era pronto a quella conversazione, non così d’improvviso.
Lei lo guardò furente, con gli occhi lucidi di lacrime  «Lo so! So quanto mia madre ci fosse legata…»
«Non sai niente, Anthea. Non puoi nemmeno immaginare cosa volesse dire quell’albero per tua madre!» Continuò disperato. Non voleva che venisse a galla tutto, non in quel mondo. Aveva in sé ancora troppa sofferenza per parlarne. Non si accorse nemmeno che Anthea gli si era avvicinata.
Aveva smesso di piangere, ma le guance erano ancora umide  «Ho sempre avuto il dubbio che mi nascondesse qualcosa » Cominciò pacata, cercando di guardare il cantante negli occhi «…a partire da quel disegno. Jared, se… qualsiasi cosa tu possa sapere, non credi che tenertela dentro non stia giovando né a te né a me?».
Lui la fissò dritta negli occhi.
Lo stesso colore di quello di un donna che lui aveva amato senza rumore, rinchiudendo quel sentimento dentro di sé, come un mostro da cui allontanarsi. L’aveva fatto soffrire, nemmeno Cameron gli aveva spezzato il cuore come Sophia glie lo aveva distrutto.
Lei, che lo aveva ingannato per così tanto tempo, aveva lasciato a lui il compito di smascherare la sua più grande bugia, da cui dipendeva tutto: dolore, sofferenza, odio. Sophia, ancora una volta l’aveva costretto a lei, l’aveva legato impendendogli di non mantenere la parole data.
«Anthea, tua madre non è stata una sconsiderata ad affidarti me» Iniziò piano, distrutto, mentre Shannon lo fissava incuriosito «Io e tua madre eravamo legati…».
Anthea si allontanò da lui, il panico che serpeggiò nei suoi occhi.
La bocca che si dischiuse appena, per lo sconcerto.
Un attimo.
Avvertì un forte dolore al petto, il polmoni stretti in una morsa d’acciaio, che la lasciarono senza respiro. L’aria densa del nulla, non più una goccia d’ossigeno da inalare. Il fastidio al petto e le gambe che cedettero sotto il peso di una realtà che le dava il panico, un’idea che non poteva accettare. Jared, non poteva essere suo padre. Boccheggiò quando quel presentimento si concretizzò nella sua testa, spaventata, nuovamente delusa da sua madre, rattristata da quell’uomo che l’aveva schivata per tutto quel tempo. Non poteva essere lui, perché l’avrebbe tratta così?  Le scosse dei singhiozzi la fecero annaspare ancor più alla ricerca dell’aria, una sollievo che sembrava non essere accessibile.
Il buoi, fu accompagnato da una voce che sussurrava il suo nome e un’altra che le chiedeva scusa.
 
****
 
Nessuno dei due aveva detto una parola, da quando avevano chiuso Anthea in quella stanzetta, dove i medici le stava facendo i controlli di routine per un attacco di panico.
Attacco di panico, un’eco assordante nella testa del cantante. Aveva sbagliato parole, Anthea aveva frainteso quello che lui le avrebbe voluto confessare, ma con che coraggio?
Shannon e Jared erano seduti sulle poltroncine scomode, appena fuori dalla camera, una poltroncina li divideva: il maggiore con la testa appoggiata muro e il minore che fissava il vuoto davanti a sé, assorto.
Dentro la tasca del giubbotto un pezzo di semplice carta da fotocopie.
Si girò a guardare il fratello: il viso contratto dalla preoccupazione, gli occhi chiusi e il petto che si alzava e si abbassava troppo velocemente per un respiro normale.
Non gli aveva chiesto niente a riguardo di quello che stava dicendo ad Anthea, prima di quell’attacco di panico. Appena l’aveva vista respirare a malapena, Shannon, si era precipitato a prenderla tra le braccia, urlando a Jared di chiamare un’ambulanza il prima possibile.
«Shan?» Chiamò, mentre una mano scivolava dentro la tasca del giubbotto.
Il fratello spalancò gli occhi: prima fissò la porta della camera ancora chiusa, e poi si voltò con aria interrogativa verso il fratello.
«Vado… vado a prendere una boccata d’aria» Si scusò, passandogli la lettera.
Shannon l’afferro confuso, guardando il fratello che se andava, quasi stesse scappando.
Non pensò nemmeno di chi potesse essere quella lettera, a cosa ci sarebbe potuto essere scritto. L’aprì senza pensarci.
 

16 Aprile 2012
Londra
 
Carissimo Jared,
Se ora sei seduto a leggere questa lettera, vuol dire che il destino, questo mio vecchio amico, ha deciso di togliermi definitivamente ogni possibilità d'essere felice. Tanto più, mi ha inflitto un dolore ancor più grande di questa malattia che ormai mi ha rapita,negandomi  la possibilità di veder crescere mia figlia, Anthea.
Mia figlia, Jared.
Perdona la mia crudeltà: mia e di Shannon, nostra figlia.
Sono stata meschina a far di te un padre fittizio per tutti questi anni, ma non me ne pento. Giustifico la tua rabbia, ho chiesto io ad Amelia di consegnarti questa lettera dopo che le avessi assicurato, promesso, che ti saresti preso cura di Anthea. Non tirarti indietro, ti chiedo solo questo, negheresti a tuo fratello l'occasione di conoscere sua figlia?
Quando, nel 1994, ti dissi che me ne sarei andata con in grembo tua figlia, mi sono appellata a tuoi sogni e all'amore per tuo fratello, chiedendoti se avresti davvero voluto barattare una famiglia con tuo fratello, tu mi dicesti no. Ora ti chiedo di ribaltare la situazione, odiami, non mi importa io sono già nella fossa, ma non prendertela con Anthea.
Lei è me, è Shannon, è quella quercia che tanto amo disegnare, poiché rappresenta la mia bambina.
Prenditi cura di lei, falla conoscere a Shannon, saprà volerle bene.
Lascia che si conoscano, che si fidano a vicenda l'una della'altro. Sono padre e figlia, anche se non lo sanno, però sono legati, confido in qualche sensazione nascosta, qualcosa di inspiegabile a chiunque, affinché loro due si trovino e possano vivere insieme.
A questo punto, mi sembra giusto spiegarti perché non dissi a nulla a Shannon, perché preferì mentire a te e nascondere la verità a lui.
Tu, Jared, non ti saresti mai opposto. Hai fatto un po’ di resistenza, ma quando ho iniziato a parlare dei tuoi sogni, del tuo futuro, di ridimensionare i tuoi progetti per me, sei sbiancato. Ti sei bloccato, come avevo previsto, mi hai lasciato fare, perché la musica, le tue passioni, sono più prepotenti nel tuo animo da artista. Quando si mettono in discussione i tuoi sogni, quando li si tocca, tu non ti vedi più. Avresti perso l'orientamento, perché sei un'artista che merita di dar sfogo a sé stesso, di condividere quella mente brillante  che ti hanno sempre invidiato; che ti ho sempre invidiato.
Questo sei tu Jared, un giorno ti innamorai, ma, in quel momento, avrai già realizzato i tuoi sogni più grandi e potrei inglobare qualcuno nella tua vita, ma nel 1994, tu non potevi rinunciare ai tuoi sogni.
Invece lui, Shannon, non me lo avrebbe mai permesso di andarmene con sua figlia, mi avrebbe costretta, senza assecondarmi. E io, innamorata di lui, mi sarei fidata ciecamente di tutto. Tuttavia, anche lui, come te è una grande sognatore, e avrebbe comunque scelto la musica, presto  o tardi, prima di qualsiasi cosa. Forse sua figlia avrebbe avuto una grande importanza per lui, ma io non sarei più stata abbastanza. Tutto, forse, sarebbe andato alla scatafascio, perché la fama vi avrebbe portato in giro per il mondo, lo avrebbe portato lontano da me.
E lo sai, Jared, io non condivido niente con nessuno, sono sempre stata troppo gelosa. Shannon avrebbe finito per sentirsi in colpa e iniziare a vacillare tra la sua famiglia e la musica.
Così, per queste mie teorie, stupide, ma credo abbastanza realizzabili, ho preferito farmi portatrice della colpa per la fine del nostro rapporto.
Lo sai, ho sempre amato tuo fratello, non volevo decidesse tra me e la musica. Senza di me lui è comunque Shannon, ma senza la musica  è perso, proprio come lo saresti tu.
Tuttavia, ora, non dico di voler rimettere apposto le cose, perché non lo saranno mai, soprattutto il tuo dolore per quello che ti ho appena detto. Però, il mio unico pensiero, adesso, è Anthea.
Voglio che conosca Shannon.
Starà a loro poi decidere cosa fare, se provare ad essere padre e figlia insieme, o ritornare alle loro vite con la consapevolezza di ciò che li lega.
Su questo non impongo una mia volontà, ho già sbagliato abbastanza.
Perciò Jared, firma l'affidamento e prenditi cura di Anthea, per favore.
Sophia”



NDA:
*SBAM* eeeh? Voglio sapere chi se la aspettava o cosa vi aspettavate!
Mi sembra d’obbligo dire che la fatidica domanda “ ma che cavolo ce l’ha portata a fare Anthea a Los Angeles?” con questa capitolo possa trovare una valida risposta  u.u
Per il prossimo capitolo probabilmente dovrete aspettare un po’, sono indecisa se mettere o no un altro flashback, non vorrei la storia diventasse un pallone con tutti sti balzi a destra e a sinistra, vedremo.
Detto questo,
alla prossimaaaa, Silence.
  
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