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Autore: Delirious Rose    21/03/2014    2 recensioni
Tredicesimo anno del regno di Denev XVII: Suuritnom Calliram, quarto in linea di succesione al trono di Vernolia dei Mille Fiumi, conquistò e annetté il vicino regno di Agrirani, attirato dalle sue ricchezze e dalle vie commerciali che l'attraversavano. Tuttavia, non aveva ancora fatto i conti con quel popolo forse barbaro, ma fiero e fatto di indomiti guerrieri: vent'anni più tardi nominò come viceré il suo braccio destro, il comandante Hraustrion Relda, con il compito di annientare definitivamente quei ribelli che sfidavano il suo potere.
Questa è la versione semiestesa in cui accorperò le varie one-shot scritte finora
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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b II a

 

 

 

Quando riaprì gli occhi, Heran si trovò in un ambiente sconosciuto, a malapena illuminato da un bagliore rossastro che filtrava attraverso una tenda. Il cavaliere ispezionò con lo sguardo la stanza: il giaciglio in cui era disteso era abbastanza grande da accogliere due persone ed era impregnato di un odore d’erbe e di qualcos’altro che non riusciva a individuare; i suoi abiti erano stati ripiegati su una cassapanca e la lancia era appoggiata vicino alla tenda. Fece per alzarsi e solo allora comprese che una fasciatura gli bloccava il braccio e la spalla destri, ma a parte questo e un’insolita spossatezza, si sentiva in grado di combattere se fosse stato necessario.

«Farvardin! Perinni!»

La destra di Heran scattò istintivamente al fianco, lì dove abitualmente avrebbe incontrato l’impugnatura della lancia, e il movimento improvviso ebbe l’effetto di propagare nel braccio e nel resto del corpo un dolore così acuto da mozzargli il fiato, eppure nessuno entrò nella stanza, nessuno giunse per porre fine alla sua vita. La voce urlò di nuovo qualcosa nella lingua locale, carica di rabbia mista a qualcosa che s’imparentava al rispetto. Trattenendo il respiro, Heran si alzò dal giaciglio e si avvicinò alla tenda: riusciva a malapena a intravedere l’uomo cui apparteneva la voce – forse un boscaiolo o un cacciatore – ma non i suoi interlocutori. Lo vide ringhiare e sputare sul pavimento di terra battuta alla risposta, leggermente stizzita, pronunciata da una donna, quindi incrociò le braccia sul petto mentre chiedeva qualcosa con una punta di sfrontatezza: a parlare fu un’altra donna, più giovane della prima, che nominò due villaggi e poi una parola – nidtou. Heran ebbe la quasi certezza che stavano parlando di lui, poiché quella era una delle poche parole agriranensi di cui conosceva il significato, il termine con cui i locali chiamavano i soldati di Vernolia. L’uomo alzò le mani al cielo e roteò gli occhi, soffiando un’imprecazione, e la ragazza gli si avvicinò e gli porse un pacchetto.

Heran sentì muscoli che non sapeva tesi rilassarsi appena, una volta che l’uomo uscì dalla capanna: le due donne tacevano, come se volessero parlare di qualcosa, ma non sapendo come introdurre l’argomento. Infine la più anziana disse qualcosa e la ragazza scosse la testa: il giovane si sentì inaspettatamente in imbarazzo nell’udire quelle parole, come se una parte nascosta della sua mente ne avesse colto il significato. Si disse che forse era meglio far finta d’essere ancora privo di sensi, ma non fece neanche in tempo a voltarsi verso il giaciglio, che sentì una presa alla nuca.

«Credevo che voi Uomini Liberi di Vernolia vantaste un’educazione superiore alla nostra, e origliare non è per niente buona educazione…» lo sbeffeggiò la donna più anziana usando la lingua franca, tenendolo come se fosse un gattino.

«Ed io, che voi donne di Agrirani non conoscete il pudore,» fece lui di rimando, indicando con il naso i propri abiti e cercando di non lasciar trapelare il proprio imbarazzo.

«In effetti non è la prima volta che vediamo un uomo nudo come il giorno in cui è nato: renditi presentabile prima di venire di là, se ci tieni così tanto.» E lo scaraventò in malo modo.

Heran si chiese che cosa gli stava succedendo, era come se gli anni di addestramento non fossero mai esistiti: Mornaü non si era mai comportato in quel modo, neanche durante la domatura, e lui si era appena fatto cogliere alla sprovvista da una donna.

“Forse è a causa della caduta o di qualche erba medicinale che mi hanno dato mentre ero incosciente”, pensò mentre indossava la tunica: esitò un attimo sul prendere la lancia con sé, poi la strinse quasi con disperazione prima di scostare la tenda.

La stanza era illuminata dalle fiamme che danzavano nel focolare e da una lampada di terracotta poggiata al centro del tavolo; appese alle travi del soffitto c’erano fasci d’erbe essiccate cui si alternavano salsicce e prosciutti salati; un forte odore pareva provenire da alcuni vasi allineanti lungo le mensole e le due donne lo fissavano in silenzio, guardinghe, come se fosse una fiera selvatica di cui era impossibile prevedere le reazioni. La luce rossastra delle fiamme facevano sembrare l’espressione della più giovane ferina, e Heran fu stupito di riconoscere in lei una ragazza che a volte aveva visto accompagnare Saba, un nobile agriranense che si era messo al servizio di Sua Eccellentissima Altezza e degli uomini che lo rappresentavano a Bordos-sul-Sandalo. Non doveva avere più di vent’anni, i capelli scuri raccolti in una treccia e abbigliata con il tipico giustacuore delle donne agriranensi e dei calzoni di cuoio morbido; un singolo orecchino di osso le pendeva dal lobo destro, identificandola come levatrice o guaritrice. L’altra donna aveva un’aria ancor più selvatica, con la sua pelle d’ebano e la parte inferiore del suo volto era coperta da una fascia di stoffa scura, secondo l’uso di Kima. Qualcosa che non riusciva a decifrare nella sua figura, metteva il giovane a disagio.

«A quanto pare ti sai reggere in piedi da solo,» esordì la ragazza, inarcando un sopracciglio, «voi Uomini Liberi di Vernolia siete più resistenti di quanto immaginassi.»

«Non si diviene cavaliere in un solo giorno raccogliendo margherite,» rispose Heran, ricambiando lo sguardo.

«E ha pure una bella lingua! Chissà se sarebbe riuscito a tenere a bada Ubarna a belle parole!» rise la donna di Kima. Poi scosse la testa, mormorando qualcosa a se stessa, quindi aggiunse: «Basta con le chiacchiere e spicciati a levarmi dai piedi il nidtou, altrimenti arriverà per l’ora di pranzo. E tu, non ti illudere di partire con il ventre pieno del nostro pane e del nostro sale!» concluse agitando il dito contro Heran.

«Non mi offre neanche un bicchiere d’acqua?» ribatté lui sarcastico.

«Troverai una pozzanghera lungo il cammino cui abbeverarti, non ti preoccupare. E ora, sciò! E tieni le mani lontano da Perinni o avrò il tuo fegato per cena!»

Heran preferì tacere, il tono con cui gli erano state rivolte quelle parole gli aveva fatto comprendere che Farvardin era capace quello che diceva: si limitò a fare un cenno col capo. L’altra gli prese la lancia, con un la riavrai quando arriveremo, e prima che lui potesse dire o fare qualcosa, Farvardin gli bendò gli occhi.

«Perinni, passami della corda per legarlo: con questi tizi le precauzioni non sono mai abbastanza.»

Heran si sentì offeso da una tale affermazione, ma preferì tenere per sé ogni commento: lo avevano disarmato e aveva il braccio destro fratturato, che cosa avrebbe mai potuto fare contro di loro in quelle condizioni? Gli era stato insegnato a mai infangare il proprio onore, in nessuna circostanza, perché sua madre restava una Lamnes e nelle loro vene scorreva un po’ del sangue di Elanne.

Camminarono per un tempo indeterminato, di tanto in tanto la ragazza strattonava la corda come se lui fosse stato un cane recalcitrante, e ogni volta che Heran protestava, lei tirava così forte da fargli quasi perdere l’equilibrio: improvvisamente il giovane sentì un ostacolo sui suoi passi, ma la sua caduta fu impedita dalla presenza dell’agriranense.

«Ehi! Ma dico io, anche legati come salami non sapete fare a meno di mettere le mani addosso?!»

«Non è colpa mia se sono inciampato: se avessi potuto vedere dove mettevo i piedi, non sarebbe successo.»

«E correre il rischio di farti ritrovare la nostra capanna? No grazie, nidtou! In ogni caso, fra un po’ arriveremo al crocicchio e potremo evitare la pagliacciata di giocare come bambini,» borbottò la ragazza, spingendolo indietro con una gomitata allo stomaco e tirando al tempo stesso sulla corda.

Camminarono ancora, poi la ragazza lo fermò e l’obbligo a girare su se stesso diverse volte, fino a dargli le vertigini, e solo allora gli tolse la benda: si trovavano a un crocicchio nella foresta, con nessuna indicazione per Bordos ma solo un antico idolo ricoperto di muschio all’angolo fra due strade, illuminato dalla flebile fiammella di una lampada a olio. Heran storse istintivamente le labbra a quella vista: le sue conoscenze sulla religione di Agrirani erano piuttosto lacunari, ma ne sapeva abbastanza per ritenerla più che altro un insieme di credenze pagane e blasfeme. La ragazza lo strattonò ancora una volta, lanciandogli un’occhiata di traverso, e lo condusse lungo il sentiero che andava a sinistra: il loro cammino era illuminato dai rari raggi lunari che filtravano attraverso la volta della foresta, e dalla lanterna che la ragazza aveva appeso alla lancia del cavaliere.

«Perché lo avete fatto?» Quella era una domanda che da un po’ gli bruciava sulle labbra.

«Fatto cosa?» chiede a sua volta la ragazza, voltandosi appena per scrutarlo con la coda dell’occhio.

«Perché mi avete salvato e adesso mi riaccompagnate a Bordos?»

La guaritrice non rispose subito.

«Se sono intervenuta e ti ho curato, è perché volevo evitare una rappresaglia: poco più di una luna fa i tuoi amici hanno messo a ferro e fuoco Grifomolino, solo perché alcuni abitanti si erano trovati al posto sbagliato al momento sbagliato.»

Heran abbassò il capo stringendo le labbra, non osando riavviare la conversazione, nonostante più di una volta si era trovato sul punto di chiedere, di voler sapere: era questo ciò che suo padre gli rimproverava spesso, il suo non fermarsi alle apparenze. Suo padre aveva sempre ritenuto Bamni Tomdeb, il suo predecessore, la scelta meno opportuna per controllare Agrirani, e mentre lo avevano scortato fino ai confini, Heran aveva avuto modo di appurare che il nobile aveva sfruttato la sua posizione per arricchirsi. Lo sapevi che ha aumentato i pedaggi per le mercanzie in provenienza da Dwerissi? Gli aveva mormorato in un orecchio Galas Pilberi quella mattina, mentre consumavano il primo pasto della giornata nella Sala Comune del castello: non era la prima volta che gli aveva fatto certe confidenze e, anche se il Mercante-Cavaliere non lo avesse mai chiesto esplicitamente, era un modo per far comprendere al nuovo Viceré quali fossero i desideri della Gilda dei Mercanti.

«Da questo punto in poi puoi proseguire da solo,» disse la guaritrice, fermandosi.

Solo dopo aver osservato quell’angolo di foresta, si rese conto d’essere nei pressi della Porta dei Pastori di Bordos-sul-Sandalo, ma anche che il cielo aveva iniziato a biancheggiare. La guaritrice lo guardava, esitando prima di rendergli le sue armi, e lui ricambiò lo sguardo in silenzio.

«Qual è il vostro nome?» disse Heran infine.

Lei, che non si aspettava quella domanda, sbatté le palpebre un paio di volte.

«P-Perinni. Perinni Timandæ.»

Allora s’inginocchiò davanti a lei, appoggiandosi al giavellotto. «Perinni Timandæ, se un giorno fosse nel bisogno, io, Heran Relda del Drago d’Argento, sarò il suo campione.»

Perinni era stata presa di contropiede, e solo dopo un tempo che parve interminabile, si riscosse.

«Lo terrò a mente nidtou

Heran rispose con un cenno del capo, rialzandosi con difficoltà, e si avviò verso la città: stava per superare la cintura d’alberi, quando si sentì chiamare. Si voltò e afferrò un pacchetto dall’odore pungente che gli era stato lanciato.

«Fra un paio d’ore l’effetto dell’elisir che ti ho dato terminerà: due pizzichi di queste erbe in un calice d’idromele caldo ti aiuterà a guarire il braccio,» gli disse la voce di Perinni, nascosta fra le ombre della foresta.

   
 
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