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Autore: paco_14    21/03/2014    0 recensioni
sono Candidus il vero re del castello di cristallo
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4°- Ritorno a Niveis Citata Per quella notte ci accampammo lì per poi ripartire la mattina seguente all’alba. “Ho paura Fenix, quello che ci ha detto Tullia mi spaventa, non so più cosa fare, quale sarà il nostro destino ma soprattutto il destino di tutto il paese” mi diceva Perdix attorno al focolare mentre consumavamo un magro pasto frutto della raccolta di alcune bacche e frutti. Così cercai di cambiare discorso ma restando sulla nostra missione: “tieni, indossala tu, ti proteggerà” le dissi infilandole la collana d’ambra al suo esile collo; Pago ci fissava con gli occhi ancora lucidi e con uno sguardo perso nel vuoto. Il gattino si avvicinò a noi e si sedette sulle mie gambe incrociate impastandole con le sue zampine bianche e pungendomele leggermente con le sue piccole unghie affilate. “Chi sa chi sei piccolo gattino, ma soprattutto perché la tua identità è così importante a tal punto da fare suicidare una sacerdotessa” dicevo al piccolo gatto che mi guardava con i suoi grandi occhi azzurri uguali ai miei. Il suo pelo emanava un profumo di lavanda e lucido risplendeva alla luce della luna. Non sapevamo come tornare a casa senza alcun cavallo o cervo, infatti i nostri cervi erano scomparsi, forse spaventati durante l’impatto con la regina. Così per quella notte restammo li, l’aurora boreale si era prima attenuata e poi era svanita del tutto mentre il vento era calato senza produrre più alcun rumore. Il giorno seguente ci svegliammo presto per tornare a casa il prima possibile, i nostri cuori erano rassicurati, forse dalle parole che Tullia aveva detto alla regina cioè che oggi non sarebbe scomparso nessuno e che anche per i prossimi giorni, in paese, sarebbe stato tutto più tranquillo del solito; nonostante le buone intenzioni della regina, io ogni secondo che passava mi convincevo di più sul fatto che era stata proprio la regina a fare scomparire tutte quelle persone innocenti. Il sole era ormai alto e noi avevamo camminato per qualche ora ma eravamo già stanchi e assetati ma, ogni sorgente che trovavamo per il nostro percorso era gelata e non ci restava altro che spezzare il ghiaccio e sciogliercelo in bocca, ma così facendo avevamo sempre più freddo, soprattutto io che stranamente stavo gelando ma non feci caso a questo sino a quando le mie mani non incominciarono a diventare rosse e a screpolarsi formando degli enormi tagli sulla pelle. Continuavamo a camminare imperterriti, il gatto ci seguiva mentre il sangue scendeva dalle mie mani lasciando dietro di noi una striscia rossa sulla neve bianca creando un effetto meraviglioso ma inquietante; l’unica cosa che poteva alleviare il mio dolore era una bella nevicata che avrebbe gelato le mie ferite senza farmi sentire alcun dolore. Dopo un giorno di cammino, finalmente, incominciò una pioggerellina lieve che, più che pioggia assomigliava a neve sciolta, forse perché la temperatura era troppo alta; dopo pochi minuti, però la pioggerella si tramutò in una leggera nevicata che aumentava sempre di più sino a tramutarsi in una bufera di neve, il silenzio invase i nostri volta. La neve scendeva, scendeva piano, piano come soffici batuffoli di cotone molto piccoli o meglio come piume d’oca leggeri ma ghiacciati. Ad un certo punto incominciai a sentire una dolce melodia ma non sapevo da dove provenisse. “La sentite, sentite anche voi questa strana melodia?” domandai ai miei amici i quali inizialmente mi risposero con un cenno di dissenso mentre successivamente, ascoltando meglio, percepirono anche loro la musica che diventava sempre più forte come se qualcuno si stesse avvicinando a noi canticchiando questa canzoncina orecchiabile e delicata, non sembrava una voce umana ma nonostante ciò incominciammo a cercare ovunque, dietro ogni cespuglio, ogni albero e, mentre la bufera aumentava, anche la melodia aumentava di volume senza cambiare ritmo. Poco dopo ci arrendemmo e ci sdraiammo a terra, osservando il cielo innevato e aspettando che la il suono ci raggiunga; anche il gatto si sdraiò come noi ma, a differenza nostra, continuò imperterrito a volere prendere quei piccoli ma potenti fiocchi di neve che cadevano dal cielo azzurro reso leggermente grigiastro a causa della tempesta di neve che sicuramente anche a Niveis Citata stava congelando i portoni delle case e i camini accesi dei paesani. Il gatto continuava a giocare con i piccoli fiocchi mentre io incominciavo ad avere una vaga idea su ciò che stava accadendo… “E’ la neve che produce questa meravigliosa melodia” esclamai alzandomi di scatto e roteando due volte su me stesso. Anche Perdix si alzò e, aprendo il palmo della mano, accolse in esso un fiocco di neve e, guardandolo attentamente disse esultando: “ questi non sono fiocchi di nevema piccoli animaletti assomiglianti alla neve che canticchiano una melodia orecchiabile” Ascoltando le parole di Perdix ebbi un flash back nel quale io ero piccolo, seduto su un’enorme letto d’oro e mia mamma li, seduta al mio fianco che mi raccontava di queste creature le quali non sono veri e propri fiocchi di neve ma sono piccoli animaletti tondeggianti e bianchi, ricoperti di una peluria gelida che volano nel cielo durante le tempeste di neve; la loro fragilità li induce, però, a perire se toccati da qualcosa o qualcuno in modo brusco. Ripensavo a quegli amabili racconti e solo una sorte di lama che mi sfiorò il braccio ferendomelo, mi fece ritornare con i piedi per terra ma non appresi da subito ciò che stava succedendo, vidi solo Perdix e Pago che prendendo in braccio il piccolo gattino scapparono sotto un grande albero situato vicino a loro, io però ero troppo lontano e assorto nel cerare di capire quello che stava succedendo non sentivo le voci dei miei amici che si sbracciavano per indicarmi di correre sotto quell’albero. La neve, quelle piccole creature, non erano più soffici a contatto con la mia pelle ma taglienti come punte di frecce che piovono dal cielo, qualcuno li aveva congelati rendendoli schegge di ghiaccio. Appresi e corsi a rifugiarmi sotto l’albero come gli altri e guardando il gattino che era stato colpito da una di quelle schegge taglienti, gliela sfilai dal busto e gli avvolsi la ferita con una manica della mia maglia che avevo strappato nonostante il freddo in me cresceva come se si volesse impadronirsi del mio corpo come ha fatto con i fragili corpicini di quei fiocchi di neve che continuavano a scendere a raffica imperterriti come cani accaniti alla propria preda. “l’avete sentito anche voi!” esclamò Perdix, subito la guardai interdetto chiedendomi a cosa si riferisse, poi lo sentii anch’io, era il verso di un uccello grande, forse un’aquila. Alzai lo sguardo e vidi non molto in alto un grande nodo ma il suono non proveniva dal nido ma da un’altra direzione, forse una madre che tornava per portare il cibo ai propri piccoli, peccato che quest’ultimi non erano nel nido; il verso si avvicinava velocemente a noi e presto non lo sentimmo più sino a quando qualcosa di enorme sradicò l’albero sotto il quale eravamo nascosti. Era un falco, un falco enorme che, certamente non ci stava in quel nido nonostante quest’ultimo fosse abbastanza grande. Con una zampa afferrò Perdix e Pago mentre con l’altra me e il gattino, poi prese il volo mentre noi ci agitavamo perché confusi e spaventati, perché, perché ci ha presi e dove ci avrebbe portato, pensai poi però notai che la tempesta era finita, ma non era come credevo, infatti la tempesta persisteva ma non più sopra di noi, bensì sotto; il falco stava volando sopra le nuvole. Poco dopo mi addormentai e così mi seguirono gli altri che si rilassarono anche se le circostanze non erano favorevoli ad una dormita. Poi ci svegliammo, ma eravamo ancora sospesi in aria, il nostro viaggio non era ancora terminato, subito dopo, però, vidi il borgo, eravamo arrivati a Niveis Citata, così svegliai gli altri che erano ancora privi di sensi. All’improvviso non sentii più la forte stretta del volatile e mi sentii cadere, ci aveva lasciati, incominciammo a gridare, ma l’uccello non tornava indietro a prenderci, proseguiva la sua discesa fino a quando atterrò mentre noi continuavamo a precipitare senza mai raggiungere il suolo, poi sentii sotto di me una cosa morbida e calda, eravamo arrivati a terra e caduti sulla morbida e piumosa schiena del falco che evidentemente ci aveva preceduto proprio per non farci schiantare al suolo. Poi, appena scesi dal suo dorso, il falco si rimpicciolì diventando un normale falco che spesso vola sopra il nostro modesto paesino, poi, con grande stupore, si tramutò, davanti a noi, in un ragazzo, alto e magro ma muscoloso, aveva capelli lunghi e bruni, era a torso nudo e indossava strani pantaloni forse formati dalle sue piume le quali gli ricoprivano un quasi tutto il corpo, gli occhi erano grandi e marroni, intonati con i suoi capelli e le sue piume. Subito mi voltai verso Perdix che mi sembrava alquanto incantata a guardare il ragazzo, non c’erano dubbi, sicuramente quel ragazzo era molto carino ma, forse per gelosia, mi avvicinai al giovane e gli dissi: “chi sei e perché ci hai salvati portandoci sin qui?” “Il mio nome è Falcon e, come vedete posso mutare la mia forma trasformandomi in un falco, non vi ho salvato casualmente, niente di ciò che vi è successo in questi giorni è stato casuale, tutto era macchinato, come tutto ciò che accade ogni giorno. Vi do un consiglio, non credete a niente di ciò che è successo o che succederà nei prossimi giorni…” Non riuscì a finirci il discorso a causa di Nora che comparve all’improvviso dietro di lui e che lo salutò amabilmente come se lo conoscesse già; io, infatti, avevo sempre pensato che c’era lei sotto tutta questa storia e la situazione sembrava darmi ragione. “Allora voi due vi conoscete?” domandò Perdix con fare geloso a Nora la quale le rispose: “ se ci conosciamo, ma certo, ci conosciamo fin troppo bene” e con questa frase lasciò intendere alcune cose che fecero diventare Perdix rossa di gelosia ma non ne sapevo il motivo. “Seguitemi” disse Nora mutando la sua espressione in uno sguardo serio e concentrato e facendoci strada proseguì entrando in casa sua che, rispetto al solito era più buia e afosa, forse aveva appena finito di fare qualche pozione o qualche incantesimo, poi proseguì: “suppongo che mi abbiate scoperto, la siepe che si chiude da sola, i cervi assomiglianti ai cavalli di Pago e infine Falcon, sì, sono stata io a mandarvi questi aiuti perché volevo che voi tornaste a casa. Come avete visto il sole comincia a sorgere le mattine e i fiori a sbocciare e a profumare l’aria di diversi gusti quali la menta, la resina, la lavanda e altri; questo indica che il tempo scarseggia, l’inverno sta per terminare e con esso terminerà la nostra possibilità di scoprire chi o cosa è la causa di queste sparizioni, quindi seguitemi e cercate di fare silenzio ma concentratevi in ciò che sto per mostrarvi” poi passò la sua mano esile e con le unghie lunghe sulla parete situata di fonte e, all’improvviso comparve una grande porta che dall’odore che emanava sembrava in legno di castagno. Poi l’aprì ed entrammo l’odore era buono ma quasi nauseante, odore di incenso ricopriva tutta la stanza ma, non vedevo alcuna traccia di fumo, forse Nora l’aveva appena usato. Ci seguì all’interno della stanza anche Falcon che imperterrito ci controllava, temevo qualcosa, forse temevo che Nora non fosse del tutto nostra alleata, ma decisi di stare zitto. Nora, anche lei in silenzio, prese una busta di carta simile a quella che di solito si usa per comprare il pane al panificio in centro, ma era più piccolo; la donna prese una manciata di polvere nera contenuta all’interno del sacchetto e ne distribuì un po’ in ogni vaschetta di ceramica che erano distribuite per tutta la stanza. infine prese una piccola piramide nera e la bruciò, era tutto incenso. Ed ecco nuovamente presentarsi quel profumo e con esso anche il fumo fuoriusciva dalle vaschette e dalla piramide creando una nube di fumo che lentamente offuscava la nostra vista, solo gli specchi che ricoprivano l’intera stanza ci permettevano di vedere qual cosa. Ad un certo punto, come proiettata negli specchi, incominciò ad intravedersi una figura, poi un’intera scena, doveva essere l’effetto di quell’incenso. “Bene bene, sono sicura che non vediate l’ora di giocare, certo che lo potrete fare ma più tardi ovviamente” diceva una donna presente all’interno della proiezione sugli specchi: indossava un vestito giallo canarino forse di lana cotta con un mantello dello stesso colore formato però dalle piume stesse di un canarino; era bassa e tarchiata, aveva capelli lunghi e ricci che le scendevano sulla schiena facendola sembrare una bomboniera, le labbra piccole erano coperte da un rossetto giallo mentre gli occhi stranamente non erano truccati. ero così preso dall’osservare il fare altezzoso di quella donna, che non vidi a chi stava parlando, ma poi mi accorsi che erano le persone scomparse dal villaggio ma non erano come il solito, gli anziani erano giovani e i giovani adolescenti. La donna continuava a ripetere le stesse parole mentre un orologio dietro di lei scoccava in senso antiorario senza mai fermarsi. Così io, forse per impulso, girai lo sguardo verso Nora e intravidi una scritta sul sacchetto che conteneva l’incenso: nuovamente giovani.
  
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