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Autore: Benio Hanamura    21/03/2014    1 recensioni
[Mademoiselle Anne/Haikara-san ga toru]
“Il mio nome è Kichiji Hananoya… o meglio, questo è il mio nome dall’età di 15 anni. Fino ad allora ero Tsukiko, la sesta figlia della famiglia Yamada...”
Nel manga originale della Yamato è detto ben poco del passato della geisha Kichiji, che fa la sua prima comparsa come causa inconsapevole di gelosia della protagonista Benio nei confronti del fidanzato Shinobu, ma che poi si rivelerà essere solo una sua ottima amica e stringerà una sincera amicizia con Benio stessa, per poi segnare anche l’esistenza del padre di lei, vedovo inconsolabile da tanti anni.
Per chiarire l’equivoco e per spiegarle quale rapporto c’è davvero fra lei e Shinobu, Kichiji racconta la sua storia del suo passato a Benio, dei motivi per cui è diventata geisha, abbandonando suo malgrado il suo villaggio quando era ancora una bambina, ma soprattutto del suo unico vero amore, un amore sofferto e tormentato messo a dura prova da uno spietato destino…
Dato che questa storia è solo accennata nel manga, ma mi è piaciuta e mi ha commossa molto, ho deciso di provare ad approfondirla e di proporvela come fanfiction!
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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I giorni successivi furono frenetici. Sì, era un periodo particolarmente drammatico per la nostra famiglia, che prima aveva perso una figlia, Hanako, che per sua iniziativa era andata via col marito e da allora aveva tagliato i ponti con noi e con il villaggio, ed ora un’altra, Aiko, che non era più nemmeno su questa terra e che quindi non avrei mai potuto più rivedere nemmeno per caso, ma non potemmo concederci il lusso di abbandonarci al dolore: mia madre un paio di giorni dopo il ritorno di papà si era finalmente alzata dal letto, ma trascorreva buona parte del suo tempo stringendo a sé l’urna con le ceneri di mia sorella, mormorando parole appena percettibili, forse cercava invano di parlare con lei o forse semplicemente pregava; Keita continuava a badare ai gemelli, ma essendo ormai anche loro arrivati a quell’età in cui i bambini sono più vivaci la sua infermità iniziava a costituire per lui un grosso ostacolo; Yuriko ebbe la possibilità di stare un po’ di tempo a casa perché i Kimura furono particolarmente comprensivi per via dei loro trascorsi familiari e le concessero qualche giorno libero; quanto a me, mio padre aveva affidato allo zio una lettera per la okasan in cui le scriveva che accettava la sua proposta e che avrebbe potuto avermi nel suo okiya per fare di me una geisha. 
   Era stato davvero difficile per mio padre scrivere quella lettera: ancora non riusciva a perdonarsi per Aiko, non potendo non pensare che molto probabilmente se fosse rimasta in famiglia sarebbe ancora viva, e felice, eppure ora avrebbe dovuto mandare via anche me! Ciò nonostante, quando quella terribile sera io avevo deciso che lo zio aveva ragione e li avevo raggiunti per comunicare loro che ero disposta a raggiungere Miyuki all’okiya per sostituire Aiko, lui aveva tentato disperatamente di farmi desistere, dicendomi che non sapevo nemmeno di cosa parlavo e che ero troppo giovane per capire e prendere una simile decisione. Ma io non avevo voluto sentire ragioni e lo zio mi aveva prontamente sostenuta, assicurando a mio padre che avrebbe raccomandato alla sua famiglia di aiutare di più la nostra, anche perché loro avevano molti meno problemi di noi, grazie alla carriera ormai ben avviata della geisha Kiyoko, così mio padre aveva ceduto. Con la mamma fu incredibilmente più facile, perché purtroppo pareva ormai diventata quasi apatica, come se dopo la morte di Aiko avesse deciso di chiudere il suo cuore a nuove emozioni, alle quali probabilmente non avrebbe più retto.
   Così, ad appena un mese di distanza dalla lettera che ci informava della morte di mia sorella, era giunta la vigilia della mia partenza per l’okiya. Era stato lo zio a suggerire di organizzare tutto al più presto, perché secondo lui aspettare di più non avrebbe poi cambiato molto le cose, sarebbe stato solo più penoso per me e per i miei. In paese c’erano altre persone che avrebbero potuto continuare a sostenere un po’ la mia famiglia, mentre io avrei potuto essere di grande conforto a Miyuki, rimasta da sola in città; senza contare un’altra cosa, brutta a dirsi ma da considerare sempre per persone povere come noi, che con la mia partenza ci sarebbe stata una bocca in meno da sfamare in casa e che prima avrei iniziato il mio apprendistato prima avrei iniziato a ripagare la okasan della sua fiducia e del denaro che avrebbe investito su di me. Sicuramente lo zio aveva spiegato tutte queste cose a mio padre, ma non era stato necessario con me, che pur non sapendo a cosa sarei andata incontro, ormai ero decisa solo ad aiutare la mia famiglia, ad ogni costo; così, quando mi fu annunciato il giorno in cui si pensava di organizzare la mia partenza, diedi subito la mia approvazione, promettendo che mi sarei impegnata con tutte le mie forze per diventare una brava geisha rendendo la mia famiglia orgogliosa.  
   Dopo che Yuriko mi ebbe aiutata a preparare il bagaglio con le mie poche cose da portare con me, quella sera cenammo prima del solito, in previsione del fatto che avrei dovuto riposare per bene, dato che l’indomani sarei partita molto presto. Quante volte, passando davanti alla stazione, avevo pensato che avrei voluto provare a salire su un treno, quel mezzo di trasporto così moderno di cui avevo sentito parlare dallo zio! Ero curiosa di vedere posti nuovi, che avrei potuto raggiungere molto più velocemente che sul nostro misero carretto; avevo pensato di chiedere allo zio di andare con lui a trovare Sakura, così avrei potuto anche fare una sorpresa alle mie sorelle, e soprattutto mi era venuta voglia di salire sul treno dopo aver salutato Koji alla stazione, avrei potuto andare a trovare lui, se solo non fossi stata troppo giovane per viaggiare da sola… Chi l’avrebbe mai detto, fino ad appena un mese prima, che invece il mio primo viaggio mi avrebbe portata via per sempre dal mio villaggio, lontana chissà quante miglia da coloro a cui volevo bene?
  Tuttavia quella sera assecondai i miei, e come loro riuscii  a stare più o meno allegramente a tavola con loro come al solito, per quell’ultima volta. Certo, sempre fatta eccezione per la mamma che pareva peggiorare, continuando a mormorare appena percettibilmente rivolta all’altarino di Aiko nonostante avesse tutti noi attorno… E per il fatto che Yuriko non volle saperne di permettermi di aiutarla a riordinare come al solito, perché non avrei dovuto stancarmi troppo, dovevo riposare bene quella notte, e mi mandò a letto presto. Tuttavia per ovvi motivi non riuscivo proprio ad addormentarmi, tanto che sentii mia sorella ritirarsi in camera dopo aver finito le faccende e prepararsi per la notte il più silenziosamente possibile. Io non volevo piangere per non rovinare  all’ultimo momento quella giornata che mi ero sforzata di rendere quanto più serena possibile perché potesse essere un buon ricordo dei miei ultimi momenti con la mia famiglia, così finsi di dormire. Lei capì che ero sveglia, ma aveva anche intuito le mie intenzioni, così non chiedendomi nulla e si infilò nel futon con me e mi strinse delicatamente fra le sue braccia, e proprio quando qualche volta mi aveva sentita piangere per un incubo, prese ad accarezzarmi dolcemente i capelli, finché non mi addormentai.
   L’indomani, quando le prime luci dell’alba illuminarono la stanza ed aprii gli occhi, lei era seduta accanto a me, che aspettava pazientemente il mio risveglio, era certa che non sarebbe stato necessario sollecitarmi. Mi sentivo incredibilmente rinfrancata, pronta ad affrontare il duro viaggio. Uscii velocemente dal futon e l’abbracciai più forte che potevo: “Ti voglio tanto bene, oneechan!”
  Lei ricambiò l’abbraccio: “Anch’io, Tsuki-chan, e ricorda, tu per me sarai sempre la mia piccola Tsuki-chan!”
  Ricacciò prontamente dentro le lacrime e riuscendo persino a sorridere mi incoraggiò a scendere, aveva preparato una splendida colazione, la mia preferita, e doveva anche darmi un bento per il viaggio.
  Dopo colazione giunse il momento… Lo zio chiamò da fuori, annunciandoci che era venuto a prendere me e mio padre, che ci avrebbe seguiti solo fino alla stazione: non se la sentiva proprio di lasciare a casa la mamma nel suo stato, e certo che prima o poi si sarebbe ripresa, mi promise sarebbe venuto a trovarmi in seguito, come lo zio faceva con mia cugina. Mi alzai senza esitazione e mi feci vedere, dicendogli che ero pronta, mentre mio padre, quasi sconcertato dalla mia forza d’animo, prese il mio bagaglio. Quindi salutai con un sorriso ed abbracciai tutti i miei fratelli, promettendo loro che prima o poi ci saremmo rivisti: ora non saprei dire se all’epoca ne ero davvero convinta, ma anche Keita, pur essendo adulto e conoscendo la realtà, finse di credermi e mi incoraggiò scherzosamente a tornare a fargli visita, perché altrimenti non avrebbe mai potuto credere che una peste come me avrebbe potuto diventare proprio una geisha.
  Purtroppo nemmeno quando abbracciai, per ultima, la mamma, lei mutò espressione, e rimase del tutto passiva. Anche se mi si strinse il cuore a vederla così, tenni ancora duro: mi staccai da lei, mi affiancai a mio padre ed a mio zio ed uscii con loro dal nostro portoncino, decisa a non voltarmi più indietro.
  Tuttavia, quando avemmo lasciato il viottolo che portava alla nostra casa per imboccare la strada principale che conduceva alla stazione, mi sentii chiamare disperatamente: era la mamma, ci aveva inseguiti! Aveva finalmente realizzato la situazione, ed era tornata finalmente del tutto in sé. Sudata per la corsa, con un po’ di affanno e con abbondanti lacrime che dal giorno dopo la tragica notizia della morte di Aiko non le avevano più bagnato le guance, tese le braccia verso di me, ed io corsi subito da lei. Mi strinse forte, come se fosse stata intenzionata a non lasciarmi più andare, ed entrambe scoppiammo finalmente a piangere.
  “Shizuka, ti prego, sai che…” la sollecitò tristemente mio padre, posandole dolcemente una mano su una spalla.
Lei subito annuì, mi sciolse dall’abbraccio, e mi porse un piccolo involto, fatto con un piccolo straccio, invitandomi ad aprirlo: c’era un omamori, evidentemente preparato e ricamato con le sue mani.
  “Ne ho preparato uno per ogni mia figlia alla sua nascita, per poterglierlo dare il giorno in cui avrebbe lasciato la nostra casa per sposarsi e trasferirsi per sempre presso il marito… Mai avrei potuto immaginare che mi sarei separata in ben diversa circostanza da Aiko, da Miyuki ed anche da te, da tutte e tre per lo stesso motivo! In ogni caso non importa, anche se neanche per te potrà essere un dono per il tuo matrimonio ti proteggerà sempre e ti farà pensare a me, ogni tanto, come io ti penserò sempre… Promettimi che lo porterai sempre con te…” 
   Promisi, lei mi strinse forte e poi mi lasciò, incoraggiandomi lei stessa ad andare, dopo di che con mio padre e mio zio ripresi la mia strada, senza più voltarmi indietro, fino alla stazione.
   Una volta giunti lì venne il momento di salutare anche mio padre. Inizialmente avrebbe voluto aspettare la partenza del treno, ma lo zio ci aveva preannunciato che probabilmente ci sarebbe stato da aspettare ancora un po’ e comunque mi ero resa conto che era molto ansioso di tornare dalla mamma, dopo averla vista reagire in quel modo alla mia partenza, ed in fondo ero certa che prima o poi sarebbe venuto a trovarmi in città.
“Questo non è un addio, Tsuki-chan, ti prometto che la prossima volta che lo zio verrà all’okiya io verrò con lui e ci rivedremo!”
Annuii, mi fidavo ciecamente di mio padre, che aveva sempre mantenuto le sue promesse, e gli promisi a mia volta che mi sarei impegnata con tutte le mie forze, avrei sempre obbedito alla okasan ed avrei aiutato come potevo Miyuki… Quindi mi sciolsi dal suo abbraccio ed entrai nella stazione con lo zio, voltandomi solo per un attimo per sorridergli e salutarlo con la mano un’ultima volta. Mi sentivo nuovamente fiduciosa e determinata, anche grazie all’omamori della mamma, che avrebbe fatto sì che sentissi sempre vicini a me lei e tutta la mia famiglia: Aiko non ce l’aveva fatta, l’infausto destino aveva stroncato la sua giovane vita in modo così crudele ed improvviso, ma io sarei stata più forte di lei, perché i miei genitori ed i miei fratelli avevano già sofferto abbastanza in pochi anni… Avrei superato le difficoltà che sicuramente poneva l’addestramento da geisha, avrei reso onore all’okiya e sostegno ai miei cari, ormai ero abbastanza grande per farlo.
   Pensavo a tutte queste cose per stimolare tutto il mio coraggio, camminando avanti ed indietro lungo il binario in attesa dello zio che era andato a fare i biglietti, quando mi sentii toccare lievemente una spalla. Mi voltai e sussultai: non era lo zio, era Koji!!!  
  


Note: 
Futon: tipico letto giapponese

Oneechan: sorellona, appellativo affettuoso per la sorella maggiore

Bento: una sorta di vassoio contenitore con coperchio di varie forme e materiali contenente un pasto, in singola porzione, impacchettato in casa o comprato fuori, comune nella cucina giapponese

Omamori: tipici amuleti giapponesi, dedicati sia a particolari divinità Shinto che ad icone buddhiste; la parola giapponese “mori” significa protezione, mentre il suffisso onorifico o- dà un significato di movente dall’esterno, dunque il significato complessivo è “tua protezione”. In base ai diversi colori hanno diversi scopi, si vedono spessissimo in manga ed anime.
  
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