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Autore: Artemisia_Amore    22/03/2014    5 recensioni
La trama di questa storia si svolge su due piani temporali.
{I fili del presente si intrecciano continuamente con il passato dove è ambientata la maggior parte della narrazione.}
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Break riapre gli occhi dopo una sanguinosa battaglia. Ha da tempo perso l’uso della vista, e il suo cuore stanco vortica inesorabilmente intorno a quel ricordo che lo ha a lungo perseguitato. Nel frattempo, Reim ripercorre i passi che lo hanno portato alla scoperta di un sentimento inconfessabile, mentre Sharon rivive il giorno in cui cessò per sempre di essere una bambina.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Reim Lunettes, Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dissonanza

Sapevo che sarebbe andata a finire così. 
Era inevitabile, eppure - ingenuo me - avevo pensato che le cose avrebbero potuto prendere una piega differente, e che non avrei assistito a tutto… Questo

I marmi intarsiati ricoperti da ogni sorta di confetto. Agli angoli, decine e decine di coriandoli e i resti delle decorazioni colorate servite al loro scopo. Persino i preziosi corridoi, irriconoscibili. Calici, porcellane, tutto pericolosamente in bilico tra la normalità e il caos. 

Uno dei membri giovani della Pandora, in cima a una scala, ha appena rimosso dei nastri dal lampadario di cristallo. Dal lampadario. Inutile chiedersi come ci siano finiti. Oltrepasso un cumulo di macerie che solo poche ore fa era polvere di stelle misto a cocci di qualche bicchiere rotto, e sospiro. Quando ho accettato di occuparmi della sicurezza della festa da ballo, ho accettato anche di supervisionare tutto quello che sarebbe successo dopo, quella festa. E mi ero assicurato che tutto fosse così perfetto, così ordinato, che non avrei mai potuto immaginare che la sala sarebbe stata ridotta in questo stato. 

Ingenuo e idealista, come mi definisce qualcuno… 

“Lunettes-san, cosa dobbiamo fare con questo…?”

Quello che mi ritrovo tra le mani è un preziosissimo, unico e delizioso orecchino di smeraldi. Da come brilla, quelli che lo incorniciano si direbbero diamanti purissimi. Probabilmente da solo vale più del mio compenso annuale presso il Duca. Una autentica rarità, di quelle che non si vedono tutti i giorni.
“Insieme a tutte le altre chincaglierie smarrite, per favore.”

Devo controllare la terrazza. Ieri sera era troppo buio quando sono stato lì, non ho idea dello stato in cui versi, ma forse il freddo pungente ha tenuto lontane le dame e i cavalieri…
Meno uno. È riuscito a trascorrere tre ore al gelo, nella stessa posizione. Di certo, nessuno degli uomini moderni che conosco sarebbe in grado di tanto stoicismo. Per di più quando il fuoco del suo sguardo era Sharon-sama. Chiedergli perché fosse lì mi è valso un ghigno e una scusa talmente stupida che non mi ha preso in giro, ma ha crudelmente lasciato che mi sentissi un idiota. 

Ma, dato che non era lì solo perché l’aria calda della sala rischiava di far soffocare la sua bambola, era fin troppo ovvio che qualcosa dovesse avergli guastato l’umore. Ha iniziato a borbottare quando ha letto la lista completa degli invitati, nel pomeriggio. 

“Reim-san, cosa bisogna fare con le argenterie spaiate…?”

L’alta società di Reveille è molto raffinata, non c’è che dire. Qui nella capitale si trovano concentrati una innumerevole quantità di marchesi, baroni, conti, e persino una buona percentuale della nuova classe dei ricchi senza titolo di tutto il paese. Eppure, le posate d’argento continuano a sparire ogni anno. Magari, la nobiltà risiede altrove. 

Era tutto così perfetto, ieri, ogni cosa al suo posto, ogni colore abbinato, e ogni maschera riconoscibile e innocua. Adesso è un campo di battaglia, e a ogni corsa verso i rifiuti che vedo fare ai quindici di Pandora che stanno mettendo a posto, mi chiedo chi sia lo sconfitto, se la festa o noi. 

La terrazza è fortunatamente incolume. Tutto sembra come è sempre stato, e davvero, sembra che i suoi unici ospiti siano stati gli unici due così folli da star fuori in pieno inverno. Da fuori, oltre le vetrate del salone, è bello vedere l’operosità di tutti quei ragazzi. Dà uno strano senso di pace, vedere Corey suonare il clavicembalo dell’orchestra, ma non sentirlo affatto. 
Mentre rientro in sala, penso che bisognerà concordare con la compagnia perché vengano a riprenderselo; non sappiamo cosa farcene, di un clavicembalo, abbiamo già il nostro bel pianoforte nella sala dei Duchi.
Mi serve il mio fazzoletto, fuori era troppo freddo, dentro la sala si respira un’aria ancora così calda e accogliente che… Non posso lasciare che mi vedano con le lenti appannate, sarebbe troppo imbarazzante. Il mio fazzoletto… Che non è nelle mie tasche.

Al suo posto, ci sono le sue forcine. 
Di quello sciocco che non ha considerazione per le buone maniere. “Non trovi che sia una festa incantevole? Lady Rainsworth ha davvero organizzato una serata impeccabile…” ti avevo chiesto, sperando di comprendere perché nei tuoi occhi ci fosse, anche in quel momento, quell’ombra distante, ma mi hai rifilato un commento di quelli senza pensieri. Dovrei ritenermi lusingato che tu non l’abbia messo in bocca a Emily.

Vengo distratto da una melodia. Oltre al clavicembalo, qualcuno ha occupato le due viole e ha deciso di interrompere le pulizie. Beh, finché la musica è così dolce, non vedo perché chiedere loro di tornare a lavorare. Dopotutto, qualche minuto può solo renderli più produttivi, e concedere a me il privilegio di sedermi un attimo, con ancora le mani in tasca. 

Mentre mi rigiro queste forcine tra le dita, realizzo di essere davvero testardo, con te più che mai. Mi torna in mente la luce con la quale mi hai guardato, solo per un attimo, quando ti ho confessato che mi piacciono, in verità, le feste. Non ne ricordo molte a casa mia, e il Duca ne teneva di vietate ai bambini, per evitare che creassero scompiglio nell’élite di Reveille. Mettono allegria, però, con i loro rituali composti, prevedibili. Mi hai deliberatamente preso in giro quando ti ho fatto notare che, al terzo giro di valzer, anche chi non danzava, si muoveva per la sala in tre quarti. Mi hai convinto di infastidirti e disturbare i tuoi pensieri proprio un attimo prima di sorridermi e iniziare a toglierti quelle mollette che con fatica ero riuscito a infilzarti in quella tua testa selvaggia. “Xerx, non è educato, è una serata elegante…” ma tu hai sorriso. 

Non sei più abituato a portare i capelli legati, eh Xerx? Eppure, quando entravo di soppiatto nella tua stanza, per portarti un libro da leggere o per spiare quanto sangue fresco ci fosse sulle tue bende, non mancavi mai di tenerli stretti in quel nodo così complicato che a volte mi chiedo ancora come facessi a non stancarti. Era una parte di te, a oggi non credo di averti mai visto con i capelli sciolti. E fino a ieri, credevo che fosse perché te ne vergognavi, perché nessuno degli uomini presenti a villa Rainsworth li portava lunghi come i tuoi. Ieri sera, costruendo una struttura pericolante fatta di forcine proprio sulla balaustra, hai distrutto la mia convinzione. 

“Ai miei tempi…” Non dovresti mai usare frasi del genere per iniziare una frase Xerx, in fede mia, non sei credibile.

“… I capelli non erano un accessorio. Portarli corti era tipico degli uomini di mare.”  Probabilmente devo essermi toccato la nuca. Il pensiero di essere paragonato a un “uomo di mare” ha solleticato la mia ilarità quanto la tua, che hai riso del mio gesto forse troppo prevedibile.

“Per la cavalleria, invece, la regola era la stessa che per il matrimonio. Lunghi e stretti in code e nodi.” Hai posato l’ultima forcina, facendo crollare il castello precario, spargendole sul marmo. “Indicavano il vincolo che si aveva con qualcuno. Un consorte, un padrone…” La voce che avevi mentre mi parlavi aveva il tono della confessione. Qualcosa mi ha invitato a non farti altre domande. In cuor mio, sapevo che mi avevi concesso più di quanto non avessi fatto in tanti anni di amicizia… Ripensandoci, adesso è tutto più semplice. 

… Chiederti di legare i capelli per una festa, è qualcosa che non fa per te.

“Lunettes-san, abbiamo terminato di inventariare i servizi rotti.”

… È un peccato, perché i capelli legati ti stanno proprio bene. 

“E Kingley ha smontato le lanterne in cima al soffitto.”
Annuisco distrattamente, ancora aggrappato ai miei pensieri e alle immagini che ancora invadono i miei occhi. Adesso ho io queste forcine, perché era troppo pigro per metterle a posto da solo. Sto sorridendo, come uno sciocco, al divano. Non sono mai stato in grado di arrabbiarmi con lui. Xerx è sempre stato così… Riservato, isolato, chiuso in se stesso. Per quanto sorrida, non ride mai davvero, per quanto parli, non dice mai davvero quello che pensa. 

Annuisco ancora, senza rendermi conto del perché lo faccio: non ho sentito la domanda, ed è troppo imbarazzante ammettere di non prestare la minima attenzione a un compito così importante. 

Ero un bambino, quando mi facesti la prima confessione, Xerx, e forse non era nemmeno così importante, per te. Per me fu il primo segno di amicizia. Notasti che ero senza occhiali - rido, adesso, al pensiero di aver temuto che potessi rompere anche quelli - e mi dicesti che da dove venivi tu, gli occhiali non erano per niente usati, e che si preferiva andare in giro un po’ alla cieca. Ancora oggi, mi viene da ridere al pensiero di persone che camminano a tentoni. 

Com’era il mondo da cui sei arrivato? Com’era quella società per cui tu eri così importante, prima, e così temuto… Poi… È il caso che mi alzi, e che mi trovi anche io un compito in questa sala, pensare fissando una parete non è ciò che il responsabile della sala della festa dovrebbe fare. Ci sono le porcellane da riportare sotto chiave, vorrà dire che andrò io  nella sala sopra le cucine.

Mi fai male, Xerx. Amo il mio lavoro, ma quando riesci a infiltrarti così, nei miei pensieri, non riesco a fare altro che ritrovarti in ogni angolo della mia mente. E mi chiedo ancora quando tu sia diventato così… Importante, quando tu abbia iniziato a ossessionare i miei pomeriggi di studio. Portare lettere a Sheryl-sama per conto del Duca non era mai stato così piacevole, ricevere i suoi puntuali rifiuti e accettare una fetta di torta per merenda non era mai stato così dolce. Lady Shelly ti aveva riportato alla vita, e sulle tue labbra c’era un’ombra nuova, che le curvava all’insù, e mi faceva sempre arrossire, quando tornavo a casa con la carrozza che mi aspettava sempre troppo a lungo. 

Ottanta piatti piani bordati di cobalto e settantanove sottopiatti. Si, ne abbiamo perso uno, ma immagino abbia combattuto valorosamente contro l’orda dei partecipanti. Riprendo il mio carrello vuoto, e ripercorro i corridoi brulicanti di operosi colleghi, per tornare in sala. 

Ho provato per anni a chiedergli qualcosa del suo passato, penso svoltando lungo il corridoio degli archivi, per far prima, e per anni ho ricevuto sorrisi di circostanza e niente più. Per anni mi sono chiesto chi fossero i suoi padroni, se fosse felice di essere il loro cavaliere, se si sentisse a casa, se… Avesse più provato quella sensazione, insieme a loro….

Hai le mani di uno scrittore, con i calli nei punti sbagliati. Queste non sono mani per combattere” mi dicesti una volta, e ancora, guardando le mie dita ossute e così familiari, con quelle curve nei punti sbagliati, sorrido. Ora capisco cosa volevi dirmi. Non volevi che combattessi.
Spingo ancora il carrello, lo porto dentro e mi compiaccio di trovare la sala molto più in ordine di quanto non fosse poco prima. Sono proprio al centro, qui ieri danzavano coppie in incognito, e tu mi hai regalato qualcosa. Tiro fuori dalla tasca le forcine, e come un gioco, le incastro come facevi ieri. Hai voluto dirmi qualcosa, raccontarmi qualcosa di te dopo anni che avevo disperato, ma sei sempre il solito, Xerx. Non mi hai detto niente e mi hai lasciato con l’amaro in bocca. E no, Corey, non occorre che orienti i cuscini dei divani tutti a 37°, cederanno sotto il peso del primo avventore, ma non importa. Non in questo momento. Sono di nuovo seduto a quel tavolino, e ho ricostruito in parte il tuo castello di metallo. 

Cavalleria e matrimonio? Era un obbligo? O sentiva davvero quel legame? 
Oh, Xerx, quanto potremo sembrarti stupidi a curarci dell’estetica? Ma tu non l’hai mai fatto per l’estetica. L’hai fatto e continuerai a farlo per Sharon-sama, e forse un po’ per me, che provo ogni volta a ragionare con quelle ciocche troppo corte eppure troppo lunghe. 
… Chissà se l’hai mai davvero fatto per me. Una sciocchezza simile, per un uomo come me, non dovrebbe essere così importante, eppure… Pensarlo mi impedisce di smettere di sorridere. 

Il pendolo rintocca una volta. Dal rapido sguardo che ho dato solo qualche istante fa, direi che le cucine sono già state rifornite: un ottimo momento per prendere una bottiglia di latte senza che si noti la sua assenza. La sala è ormai come è sempre stata, come se la festa di ieri non avesse lasciato nessuna traccia visibile, forse potrei occuparmi dei sedici civili attaccati a nord di Reveille. Se nessuno ha ancora trovato il Contraente, dev’essere stato tralasciato qualcosa. 

“Lunettes-san, hanno appena portato questi dalla Guardia.” Corey ha appena mandato in fumo i miei progetti segreti, riempiendo il tavolo a cui mi ero momentaneamente seduto di tre pile di fogli, che hanno pericolosamente vibrato appena posati, rischiando di perdere la loro perfetta forma di gruppo. Ne sollevo uno, sospirando. Avrei preferito le cucine, avrei potuto nascondere i miei intenti prendendo uno di quei croissant che sfornano a quest’ora. 

Sorrido, poi, leggendo tre delle quarantuno righe di quel foglio.

Mi hanno portato le liste dei presenti e dei movimenti degli invitati, per cui posso rimanere qui, seduto, a leggere questi dati mentre qualcuno, senza che lo chiedessi, mi ha appena servito del the insieme a un piattino di biscotti. Il cielo si è aperto, e le nuvole che questa mattina incombevano sul Quartier Generale, hanno perso la loro battaglia contro il sole, che ha attraversato le vetrate e inondato i pavimenti chiari.

Come mosso da qualcun altro, non penso abbastanza da chiedermi perché, ma piego uno di quei fogli e me lo infilo in tasca, dove ho di nuovo raccolto le mie forcine, e supero Corey, rimasto lì immobile e attonito. Fuori dalla sala e nell’atrio, ci arrivo con un sorriso sulle labbra e nessun ricordo della strada percorsa. Quando mi rendo conto di aver dimenticato il cappotto, sono già salito sulla carrozza di servizio. 

“A villa Rainsworth, per favore.” 
Forse, in questi tempi, Xerx, i legami non si dimostrano con i nodi ai capelli.






   
 
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