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Autore: YOUSHOULDLETMEBE    23/03/2014    3 recensioni
Il mondo di glee trasferito in quello di Hunger games.
La storia d'amore tra Brittana e Santana proiettata nell'arena.
***
Dal testo: «Faremo capire a Capitol City che non possono trattarci come se fossimo loro, noi siamo nostre, e di nessun altro.»
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza
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Mi blocco improvvisamente. Le mie gambe sono pietrificate, come le mie braccia.
 
Sento gli occhi di tutti posarsi su di me, ma non li vedo, non ci faccio caso.
La folla si apre davanti a me ma ancora non mi muovo.
Riesco quasi a sentire mia madre che piange e mio padre che la chiude tra le sue braccia per consolarla.
Mi costringo a camminare, se non lo faccio io, qualche pacificatore verrà a prendermi.
Man mano che  avanzo verso il palco le persone formano un corridoio difronte a me.
Sono rigida nei movimenti, fredda, potrei dire di essere morta.
Salgo qualche gradino e mi ritrovo accanto alla donna colorata. Lei è l’unica che sorride, adesso.
Si avvicina a me e mi trascina fino al microfono, immagino che dovrei dire qualcosa, ma non lo faccio.
Mi giro lentamente e mi avvicino alla sedia alle sue spalle.
Lei lascia perdere e continua a parlare.
Ora tocca ai ragazzi.
Le sue dita si infilano leggiadre nell’altra boccia e agguantano un biglietto all’istante trascinandolo fuori.
La sua voce squillante annuncia un altro nome:
«Sebastian Smythe»
Ricordo quel nome.
Lo ricordo così chiaramente.
Ma non lo collego ad alcun volto.
Ben presto, un ragazzo alto e dai capelli scuri si fa strada sorpreso e spaventato tra la folla fino a salire sul palco.
Non si fa nemmeno sfiorare dalla donna e si siede accanto a me.
Non mi guarda nemmeno per un istante, ma lo sa che lo sto fissando. Si gira di scatto e per un attimo mi sorride, poi torna a guardare il pavimento a testa bassa.
Un sorriso.
Un sorriso?
La mietitura si è conclusa così.
Il distretto 7 ha i suoi tributi.
Ci fanno entrare in municipio e ci dividono. Ognuno in una stanza, per dire addio ai nostri cari.
La mia famiglia mi fa visita per prima. Mi madre entra correndo e mi abbraccia forte, non sta piangendo, per aiutarmi, ma lo farebbe.
Mio padre mi da un bacio sulla fronte, poi mi guarda negli occhi tenendomi per le spalle con forza, per impedirmi di cadere a pezzi.
«Sei più forte di quanto credi. Sei astuta. Noi ti aspettiamo a casa.»
Quelle sue parole mi bloccano, ma questa volta le braccia di mio padre che mi impediscono di crollare non ci sono.
C’è mio fratello, però.
Mi si avvicina e mi stringe forte. Quando lo guardo negli occhi sono lucidi.
Non l’avevo mai visto piangere.
«Santana, non fare stronzate. Voglio vederti ancora.»
Un pacificatore ci interrompe e io stringo la mia famiglia per un’ultima volta.
Mi siedo su una piccola poltrona rosso scuro che non avevo ancora notato.
Non verrà nessun altro.
A nessun altro importa di me.
Nessun amico, nessun cugino, parente, conoscente. Nessuno.
Passo i seguenti dieci minuti a guardare fuori dalla finestra, per conservare il maggior numero di dettagli per quando sarò nell’arena. Per ricordare casa.
A quanto pare anche Sebastian ha finito di salutare, così ci scortano fuori, alla stazione.
Quando entro nel treno resto sbalordita.
La ricchezza di quel singolo vagone è immensa.
Cibo ovunque, di tutti i tipi e tutte le forme.
Mobili imponenti del tutto inadatti ad un treno.
La donna che ha sorteggiato i trubuti, Sue, ci scorta verso un tavolo agghindato a dovere.
Il mio distretto mangerebbe per un mese con tutto il cibo che c’è lì sopra, e invece, a  Capitol City, questo viene considerato un normale pasto per quattro persone.
Quattro.
«Dov’è Shuster?»
Come se mi stesse leggendo nella mente, Sebastian chiede del nostro mentore.
In quello stesso istante, un uomo minuto e dai capelli ricci entra nel nostro vagone e si siede accanto a Sue.
«Parlavate di me?»
Afferra uno strano dolcetto al cioccolato e lo morde con non curanza.
Osservo attentamente Sue, adesso mi sembra quasi umana.
Adesso che ride con una risata vera e genuina.
Lei mi invita a prendere qualcosa ed io lo faccio.
Afferro un dolcetto dal vassoio da cui Will aveva preso il suo e lo mordo lentamente.
Cioccolato e banane.
Cioccolato.
Sono anni che non mangio cioccolato, ma il sapore me lo ricordo perfettamente.
La cosa migliore che abbia mai assaggiato, decisamente.
Mi decido ad aprire bocca e per la prima volta le persone su quel treno sentono la mia voce.
«I tributi degli altri distretti?»
Rivolgo il mio sguardo alla donna e non provo nemmeno a sembrare garbata.
Tanto a che serve? Queste due persone non cambieranno il mio destino, morirò comunque.
Lei mi sorride di ricambio e con un po’ troppa euforia mi rivolge qualche parola.
«Stavo giusto per parlarne io ragazzina!»
Preme un qualche pulsante su un piccolo telecomando che non avevo notato accendendo un televisore immenso che non avevo notato.
Alle mie spalle il grande schermo si è illuminato e adesso raffigura il presentatore, un uomo dai capelli e gli occhi e i vestiti verdi che se ne sta seduto al centro di un grande palco.
Quel palco.
Eccome se lo conosco quel palco.
Sin dalla prima edizione degli Hunger Games le interviste ai tributi si sono tenute su quel palco, guidate da presentatori eccentrici che incarnassero alla perfezione lo spirito di Capitol City, proprio come quello che ho davanti.
«Signore e signori, i tributi della novantanovesima edizione degli Hunger Games! »
C’è una tale euforia nella sua voce, come se non sapesse che quasi tutti quelli con cui avrà a che fare nei prossimi giorni moriranno nel giro di una settimana.
Intanto alle sue spalle un grosso schermo si illumina e un volto femminile appare:
Una ragazza bionda, minuta, e dagli occhi verdi.
Sembra dolce, buona, ma in quegli occhi, in quegli occhi si legge la sete di sangue, la voglia di lottare, di vincere.
“Quinn Fabray” è il nome che la accompagna, Quinn.
Sospiro, è solo il primo tributo e già mi sento male.
Poi all’improvviso la sua foto scompare ed io mi sento sollevata, al suo posto però appare un ragazzo alto e moro, dall’aspetto amichevole, Finn Hudson.
E' seguito dal simbolo del distretto due, poi dall'immagine di una ragazza di nome Kitty Wilde, praticamente uguale a Quinn, con lo stesso sguardo assassino.
L'immagine che la segue è di un ragazzo di nome Noah Puckerman, di lui, ricordo solo la cresta.
Dopo di lui il simbolo del distretto 3 si illumina sullo schermo.
In seguito appare una ragazza dai capelli marrone scuro e gli occhi chiari, si chiama Merley Rose, e sembra davvero spaventata.
Il suo compagno di distretto si chiama Jesse St.James, mi ricorda davvero tanto Will, il mio mentore.
Anche il ragazzo libera lo schermo e il simbolo del distretto quattro appare al suo posto, per poi scomparire subito dopo facendo spazio ad una delle ragazze più belle che io abbia mai visto, forse la più bella.
I capelli biondi e mossi, gli occhi del colore del mare in cui potrei perdermi per ore.
Lei è diversa, è diversa da tutti gli altri, lei è innocente, dolce per davvero.
Non appena il suo nome appare sotto la sua foto mi si stampa in mente: Brittany S. Pierce
E poi anche la sua foto sparisce, come tutte le altre.
Le succede un ragazzo di Nome Sam, di cui ricordo solo il sorriso e i capelli biondi.
Pochi, dopo di lei, attirano la mia attenzione;
solo un ragazzo di nome Hunter, dal cinque, e una ragazza di nome Rachel, dal nove.
La donna spegne il televisore non appena il tributo maschio dell’11 compare.
«Bene bene! » Sorride compiaciuta «Che bei tributi, quest’anno! »
A quell’affermazione non reggo più.
«Che bei tributi…» Ripeto io sotto voce.
Mi alzo con movimenti veloci e mi dirigo verso una stanza a caso: è una stanza da letto, del tutto vuota di effetti personali ma affascinante ed elegante.
Le pareti rosso sangue e la moquette nera la rendono pesante, mi diventerà impossibile stare tranquilla qui dentro ma ormai non ho altra scelta, di certo, non potrei uscire e andare a cercare un’altra camera, così decido di restare e mi butto di peso sul letto.
Perché me la sono presa tanto?
La sua voce squillante mi risuona ancora in testa: «Bei tributi» Non credo che la scorderò presto, non credo che la scorderò mai.
   
 
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