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Autore: Benio Hanamura    23/03/2014    1 recensioni
[Mademoiselle Anne/Haikara-san ga toru]
“Il mio nome è Kichiji Hananoya… o meglio, questo è il mio nome dall’età di 15 anni. Fino ad allora ero Tsukiko, la sesta figlia della famiglia Yamada...”
Nel manga originale della Yamato è detto ben poco del passato della geisha Kichiji, che fa la sua prima comparsa come causa inconsapevole di gelosia della protagonista Benio nei confronti del fidanzato Shinobu, ma che poi si rivelerà essere solo una sua ottima amica e stringerà una sincera amicizia con Benio stessa, per poi segnare anche l’esistenza del padre di lei, vedovo inconsolabile da tanti anni.
Per chiarire l’equivoco e per spiegarle quale rapporto c’è davvero fra lei e Shinobu, Kichiji racconta la sua storia del suo passato a Benio, dei motivi per cui è diventata geisha, abbandonando suo malgrado il suo villaggio quando era ancora una bambina, ma soprattutto del suo unico vero amore, un amore sofferto e tormentato messo a dura prova da uno spietato destino…
Dato che questa storia è solo accennata nel manga, ma mi è piaciuta e mi ha commossa molto, ho deciso di provare ad approfondirla e di proporvela come fanfiction!
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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    Koji pareva davvero felice di rivedermi, ed avrebbe persino sospettato che fossi venuta ad accoglierlo alla stazione perché avevo saputo del suo arrivo, se solo non avesse deciso di giungere all’improvviso, per fare una sorpresa alla sua famiglia. Ed il suo sorriso immediatamente si smorzò quando gli comunicai semplicemente che ero lì perché stavo partendo per Tokyo, dove sarei diventata geisha nello stesso okiya a cui erano state destinate le mie sorelle, sostituito da uno sguardo sconvolto… Probabilmente, essendo più anziano di me, Koji aveva una visione ben più chiara della sorte a cui stavo andando incontro, ma cosa avrebbe potuto dire ad una bambina? A toglierlo dall’evidente imbarazzo giunse lo zio con i biglietti, che lo ringraziò per ciò che aveva fatto per me, non avendo avuto modo di incontrarlo personalmente dopo che mi aveva salvata durante la bufera di neve. Koji chiese spiegazioni allo zio su ciò che gli avevo appena detto, ed io notai lo sguardo triste, ma anche di eloquente rimprovero, che per un attimo gli rivolse quando lui glielo confermò.
   “Tsukiko, è ora di andare, il treno partirà fra poco…” mi sollecitò lo zio, che aveva distolto lo sguardo da lui. Mi prese per mano, ed anch’io abbassai tristemente gli occhi, nel salutarlo.
   Ma Koji mi fermò: “Solo un momento, Tsuki-chan” sorrideva di nuovo, dolcemente.
   Lo zio con un cenno diede il suo consenso e lasciatami la mano salì sul treno per occupare i posti.
   Koji frugò rapidamente nella sua valigia e ne tirò fuori una sciarpa: “Avevo portato dei regalini dalla città per la mia famiglia, ed ho comprato questa per te… Lo so che è un po’ fuori stagione adesso e non voglio certo incoraggiarti di nuovo a simili imprese, ma dati i precedenti ho pensato che potrebbe esserti utile!”  
   Solo per pochi attimi mi sentii di nuovo immensamente felice: non potevo crederci, non potevo assolutamente crederci, Koji mi aveva fatto un regalo, aveva pensato a me mentre era lontano, proprio a me! Ringraziandolo sentitamente, e confermandogli che mi sarebbe stata molto utile anche in città, presi la sciarpa e la strinsi al viso, era così morbida e calda, proprio come quella che papà aveva ricevuto da Aiko in occasione della sua visita all’okiya in occasione del suo debutto come maiko! Ovviamente non avevo mai avuto qualcosa di nuovo, portavo gli indumenti smessi e spesso rattoppati delle mie sorelle maggiori, perciò quel piccolo dono era per me come un tesoro, ma in realtà non lo era soltanto per quel motivo: non avendo frequentato regolarmente la scuola ed essendo stata spesso impegnata per aiutare i miei nei vari lavori non avevo mai avuto dei veri amici, ma per la prima volta avevo a che fare con qualcuno che si stava comportando come tale: sì, Koji era di fatto il mio primo vero amico. O forse no, era come un nuovo fratello, o forse… beh, all’epoca ero troppo piccola per comprenderlo con precisione, stava di fatto che era una persona importante, a cui avrei voluto sempre bene e che mi dimostrava affetto.
   In ogni caso non ebbi tempo per gioire più di tanto né tanto meno di riflettere, perché lo zio mi sollecitò presto dal finestrino, il treno stava per partire, dovevo sbrigarmi!
   “Buona fortuna, piccola Tsuki-chan! Il nostro non è un addio, perché noi saremo sempre amici, anche se saremo lontani, e comunque non è detto che non potremo rivederci… Anzi, prima o poi ci rivedremo, anche perché sono certo che diventerai una bellissima e bravissima geisha e verrò sicuramente ad ammirarti, la mia è una promessa!”
   Lo ringraziai di nuovo annuendo, intrecciammo i mignoli e ci salutammo, ed alla fine, appena prima del fischio di partenza, raggiunsi lo zio, che si era messo a fissarmi con impazienza dal treno.
   Non riuscii a spiccicare parola per tutto il viaggio, e nemmeno volevo impegnarmi a farlo, sapevo che lo zio sarebbe stata l’unica persona che avrei visto abbastanza spesso per via dei suoi frequenti viaggi e della sua amicizia con la okasan, e poi neppure ci tenevo, perché dentro di me sapevo che anche se la decisione di diventare geisha era stata mia il suo ruolo era stato determinante nel sconvolgermi la vita. Vero, quando Aiko e Miyuki erano partite la mia famiglia si trovava in particolare difficoltà ed in tanti in casi simili al nostro si adottava quella stessa soluzione per le figlie femmine, ma chissà se in assenza della sua intromissione non avremmo trovato altri modi per andare avanti, forse Aiko sarebbe stata ancora viva, e neanche Miyuki ed io non avremmo dovuto allontanarci dal villaggio!
    Insomma, da un lato anche allora, spiando il suo atteggiamento, mi rendevo conto che lo zio era davvero dispiaciuto per noi ed agiva per tentare di aiutarci, dall’altro mi sentivo infastidita da lui, che mi metteva pure fretta, e lo consideravo un ostacolo, anche se involontario, alla nostra serenità. Così avevo deciso di  ignorarlo il più possibile e di mettermi a guardare fisso fuori dal finestrino; lo zio attribuì quel mio atteggiamento al desiderio di imprimermi il più possibile nella memoria il mio amato villaggio, e non volle disturbarmi. Ma in realtà la mia attenzione era presa da altro, dalle lacrime che tentavano prepotentemente di uscire e da quell’ulteriore peso che mi angosciava dopo quell’incontro troppo fugace: Koji aveva fatto tutto il possibile per farmi coraggio, con allegria, e mi aveva promesso che ci saremmo rivisti, ma io non mi ero rasserenata nemmeno un po’, non riuscivo nemmeno ad immaginare come sarebbe stata la mia vita in città, accanto a quella signora che a prima vista mi era sembrata così elegante e gentile ma che in fondo non conoscevo, e non riuscivo a non ripensare a quello sguardo che Koji aveva lanciato allo zio… cosa voleva dire? Non poteva essere l’infantile risentimento di un bambino verso un adulto che gli porta via il compagno di giochi, ed allora fra noi due le cose non potevano certo stare come poi si sono evolute… Era seriamente preoccupato per me, forse perché temeva che potessi fare la fine di Aiko, o forse semplicemente perché diventare geisha non doveva essere una bella cosa, non si trattava semplicemente di cantare e ballare e mangiare riso bollito tutti i giorni come invece ci scrivevano le mie sorelle! E così oltre al dolore per aver lasciato i miei cari cresceva in me l’angoscia per il mio futuro in quel luogo misterioso chiamato okiya di cui nessuno mi aveva raccontato molti dettagli…
     Non toccai nemmeno il bento che mi aveva preparato Yuriko, ma poco male, pensai che lo avrei mangiato al mio arrivo insieme a Miyuki, chissà come l’avrei trovata dopo tanto tempo e dopo che aveva dovuto affrontare da sola quell’immenso dolore, lontana da tutti noi…
 
    Il bel tempo di quella mattina fece sì che il viaggio procedesse senza ritardi, ed arrivammo all’ora stabilita. Meglio così, pensai, prima saremmo arrivati all’okiya prima avrei trovato una risposta a tutte le mie domande ed avrei potuto rassegnarmi e guardare avanti. Quando fummo scesi dal treno lo zio mi prese per mano, l’okiya non era lontano dalla stazione ed avremmo potuto andarci a piedi, anche perché così, mi spiegò, avrei potuto già iniziare ad orientarmi, a conoscere il posto, dato che in città è molto più facile smarrirsi. Gli chiesi a cosa mi sarebbe servito, dato che avrei dovuto restare sempre nell’okiya, così gli avevo sentito dire una volta a proposito di Sakura… E lui sorridendo mi spiegò che non sarebbe stato proprio così,  l’okiya non era una prigione, una volta diventata geisha sarei uscita spesso, ed anche prima, perché sarei andata a scuola. Questo destò finalmente la mia curiosità, al villaggio c’era una piccolissima scuola, che io però non avevo potuto frequentare regolarmente, e perciò avevo imparato a leggere e scrivere da Yuriko…
   “La scuola per geisha è molto diversa dalla scuola del villaggio, ma ti piacerà”
   Ma alle mie ulteriori richieste di dettagli si limitò a dirmi che me ne sarei resa conto molto presto, dato che eravamo arrivati all’okiya, dove la okasan mi avrebbe spiegato tutto. Mi ribadì la raccomandazione di comportarmi bene e di obbedirle sempre, rassicurandomi sul fatto che mi sarei presto abituata alla mia nuova vita, quindi bussò alla porta.
   Dopo pochi minuti una voce ci accolse dall’interno e ci fu aperto, una voce concitata ma allegra. Ci apparve davanti una ragazza molto bella. Indossava un kimono di seta, proprio come era quello della okasan quel lontano giorno in cui aveva portato con sé le mie sorelle, ben diverso dai kimono di cotone che si usavano al nostro villaggio. Il viso era un ovale perfetto, e capelli raccolti in una complicata acconciatura, con fiori e spilloni, pareva una bambola. Si inchinò graziosamente, come per voler rispettare un indispensabile rituale imposto dall’etichetta, e quando si risollevò ci sorrideva, gli occhi luminosi si spostarono dal padre a me. Non la conoscevo, dato che erano passati così tanti anni da aveva lasciato il villaggio, ma lei conosceva me, era Sakura, ora Kiyoko, trasformata così tanto che nessuno avrebbe mai potuto credere che un tempo fosse stata membro di una famiglia di poveri contadini come noi.
   “Tsuki-chan, sono così felice di incontrarti! Tu non puoi ricordarti di me, ma sono tua cugina… Che tu sia la benvenuta, anche se in queste circostanze…” si rattristò pensando ad Aiko e mi abbracciò, dopo di che riacquistò il sorriso “Vieni, la okasan ti aspetta!”
   Presi la mano che mi tendeva, che era morbida, liscia, ben curata, e ripensai alle mani di Yuriko e della mamma, sempre screpolate e piene di calli. Congedammo lo zio e ci avviammo al piano di sopra, verso la stanza della okasan. Quando ebbe chiuso la porta scorrevole dietro di lui per un attimo mi pentii di essere stata così fredda e distaccata durante il viaggio, durante il quale in fondo era rimasto l’unico legame con la mia famiglia al villaggio. E pensai che non mi sarebbe poi dispiaciuto rivederlo ogni tanto.
   Sakura bussò alla stanza della okasan e precedendomi mi sorrise ancora e mi invitò ad entrare, dicendomi di non avere paura. Mi feci coraggio e le obbedii.   

 
 
Note:
Intrecciare i mignoli in Giappone (Yubikiri genman)= la promessa si stringe incrociando i mignoli, ed il testo da recitare, che in genere viene canticchiato, dice:
“Yubikiri genman,
uso tsuitara
harisenbon nomasu”
E poi si sciolgono le dita pronunciando: Yubikitta!
Significa: “La promessa del mignolino: se dirai una bugia ti farò inghiottire mille aghi!” e si conclude con “dito tagliato!”
 
Qui ci sono notizie più dettagliate ed addirittura il video animato, molto carino:
http://tradurreilgiappone.wordpress.com/2013/02/19/modi-di-dire-e-abitudini-giapponesi-yubikiri-genman/


Geisha: attenzione, non è un errore di battitura! Infatti il plurale dei termini giapponesi resta uguale al singolare nella traduzione italiana (v. samurai= il samurai / i samurai)
  
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