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Autore: GretaHorses    23/03/2014    6 recensioni
"L'intera aula viene invasa da una risata generale e sì, la battuta pessima arriva proprio dal vicino di banco di Andrès, dal deficiente. Se c'è qualcuno che odio più di Ludmilla in questa classe è proprio lui. E' arrogante, viziato, ignorante e pure troglodita! Mi domando come possa una persona essere così tanto sfaticata perché essere bocciati due volte è proprio da somari e soprattutto ad aver avuto così tante ragazze a soli diciassette anni! Da quando cavernicolo è bello?"
E' la mia prima fanfic su Violetta, per favore non aggreditemi D:
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                            CAPITOLO 3

 

 

Prima di aprire la porta della mia aula immetto una bella dose di ossigeno nei miei polmoni, so che mi servirà. Oggi è il giorno. Quando faccio ingresso nella classe molti si girano a guardarmi...non mi è mai piaciuto quando fanno così! Francesca mi saluta con la mano ed io contraccambio, poi mi vado a sedere accanto a Broadway che mi rivolge un sorriso smagliante. “Mi spiace abbandonarti così presto, proprio ora che abbiamo cominciato a legare!”. Ma di che cavolo sta parlando? Non mi sforzo nemmeno a riflettere, alle otto di mattina il ragionamento più grande che riesco a formulare è 'Devo fare la pipì'. “Eh?”. “Oggi il prof. Casal deve cambiare i banchi come ogni mese, è già passato un mese? Incredibile, come passa veloce il tempo! Ah, giusto. Ci sono state le vacanze di Natale in mezzo ecco perché non siamo stati così tanto vicini”. Troppe parole in una sola frase, sono rimasta a 'deve cambiare i banchi come ogni mese'. Lo so, la mattina sono rintronata. “Di già? A che ora abbiamo Casal?”. Mi guarda confuso. “Adesso, alla prima ora. Oh ma Violetta, sei proprio addormentata stamattina!”. “Che ci posso fare? Faccio fatica ad addormentarmi, ma la mattina dormirei. Quando sarò grande darò il via al movimento a favore dello sterminio delle sveglie”. Faccio la faccia volutamente imbronciata e lui scoppia a ridere di gusto. Broadway potrebbe essere un ottimo amico. Nel frattempo entra il professor Casal e ci alziamo tutti in piedi, manco a dirlo è l'unico insegnante che pretende che ci alziamo al suo ingresso. E' peggio di un dittatore e in più è vicepreside, il che incrementa dismisura il suo abuso di potere e lo rende ancora più sadico di quello che già è. “Su, veloci! In fondo alla classe”. Prendiamo i nostri zaini e ci posizioniamo dove ci ha ordinato, mi volto a sinistra e vedo Leon che mi sta guardando, abbasso lo sguardo. Il professore tira fuori dal cassettino la scatola con i bigliettini con i nostri nomi e le dà una bella scossa. “Bene, bene. In prima fila davanti alla cattedra...signor Vargas. Su si sieda, rapido! E...”. Prego tutte le divinità esistenti per non essere io. “Heredia! Si sbrighi anche lei a prender posto! Nei posti dietro...Castillo e...”. Pericolo scampato, grazie al cielo! Chi mi potrebbe capitare peggio del troglodita? “...Ferro, accomodatevi ai vostri banchi signorine!”. Guardo l'ora: sono le otto e dieci del mattino. Troppe cose nel giro di pochi minuti. Ora ho la tarantola come vicina di banco e Vargas davanti. Sarà un mese molto lungo.


Siamo alla terza ora e non ho osato aprir bocca. Ludmilla anziché seguire le lezioni si fa la manicure e delle selfie con il suo iPhone 5S, non a caso lo mette bene in mostra quando mi volto verso di lei per farmi rosicare. In realtà quella gallina non capisce che non me ne può fregar di meno. Ho scoperto Tomas un paio di volte girato verso di me e mi sono sentita a disagio, forse gli hanno detto la bugia di ieri. L'unico che invece non si volta mai indietro è Leon che sembra non calcolare di striscio nessuno, in più oggi devo andare a casa sua ma se è così indisponente ci metto due secondi ad alzare i tacchi ed andarmene. E' uno spilungone, mi tocca spostarmi per vedere in faccia i professori alla cattedra. L'immagine della sua nuca non è molto interessante. Io, dal mio canto, per non girarmi i pollici mi limito a disegnare nell'album da schizzi. “Violet, disegni dei teschi? Che cosa di cattivo gusto!”. La guardo in cagnesco, ma quanto oca è? Con quella voce stridula poi! “Si dà il caso che questi 'teschi', come li chiami tu, siano il simbolo della Trinity, ossia uno dei tanti simboli di una band”. Inarca un sopracciglio abbassando gli angoli delle labbra in segno di disgusto. “E chi sarebbero questi scusa?”. “I Thirty Seconds to Mars, ma non credo che una come te possa conoscerli”. “Con questo che intendi dire?”. Vedo Vargas girarsi di scatto con gli occhi sgranati. “Tu sei una Echelon?”. “Sì...”. “Che figata! Anche io lo sono! Più o meno cerco una Echelon ragazza da sempre, quando ce l'ho in classe. Non mi dire che ascolti anche i My Chemical Romance e i Linkin Park!”. Gli sorrido spontaneamente. “Logico! Mi piacciono anche i Green Day, i Muse, i Paramore e gli You Me At Six”. Si sbatte una mano sulla fronte e continua a scuotere il capo. “Ma li ascolto anche io tutti quelli che hai detto! No okay, sono troppo agitato”. Ridiamo insieme davanti ad una Ludmilla alquanto spaesata, poi lui mi chiede: “Quindi tutte le volte che stavi ascoltando musica con le cuffiette ascoltavi tutto sto ben di Dio?”. “Sì, suppongo che anche per te fosse la stessa cosa”. “Castillo, mi hai migliorato la giornata!”. Si gira dandomi di nuovo le spalle, non posso credere a quanto è accaduto! Leon ascolta il mio stesso genere di musica, ma soprattutto è l'unico Echelon maschio che io conosca. Ne cerco uno da più o meno tutta la vita. Continuo lo schizzo sorridendo inconsciamente e lo ammetto: anche lui mi ha migliorato la giornata.


La mattinata non si è svolta male come credevo, con la strega ho avuto solo tre discussioni e penso sia un grande passo avanti. Ripeto: a mio parere è tutto merito delle lezioni di autocontrollo. Esco da scuola e mi incammino verso la fermata, ci ho messo più del previsto dal momento che le signore in segreteria sono una più rincoglionita dell'altra. Per fortuna ora è tutto risolto ed ho consegnato il modulo d'iscrizione al prossimo anno scolastico con all'interno anche la scelta dell'indirizzo. Passeggio lungo un sentiero fatto di ghiaia incorniciato da alberi di diversi tipi, un po' più a destra scorre un fiumiciattolo e mi rilasso completamente, mi piace stare in mezzo alla natura. Il tutto però viene interrotto dalla visione della pensilina in lontananza e mi rendo conto che in realtà questa è solo un'oasi artificiale in mezzo ad una grande città inquinata. Arrivo in fermata e, notando la panchina occupata, mi siedo su un murettino poco distante. Rovisto nello zaino in cerca delle cuffiette quando improvvisamente il sole fioco invernale viene oscurato da qualcosa o o meglio da qualcuno. Alzo lo sguardo e vedo Vargas con le braccia conserte davanti a me. “Sei in ritardo”. Aggrotto la fronte inclinando la testa da un lato. “Ero andata in segreteria per consegnare i moduli d'iscrizione e poi non è che se per un paio di giorni prendiamo la corriera insieme significa che dobbiamo farlo sempre”. Continuo a frugare fra i libri solo per evitare il suo sguardo, sono convinta che ieri io abbia fatto una figura da ebete. “Allora se la metti così niente sorpresa!”. Si siede accanto a me e fa le spallucce. “Quale sorpresa?”. “Mi hai detto che non vuoi più prendere l'autobus con me per cui non te lo dico”. Con lui è come trattare con un bambino di tre anni che prende tutto alla lettera. “Dai Vargas, sai che scherzo. Allora la sorpresa?”. Ride, estrae da una tasca esterna della sua tracolla un Kinder Bueno e me lo porge. “Ancora con questo Kinder Bueno?”. “Senti, è il mio snack preferito se non l'hai capito. Sono stato bravo a non mangiartene anche solo uno, comunque ne ho mangiato già uno a ricreazione e, siccome avevo abbastanza soldi per prenderne due, ne ho comprato un altro anche per te. Comunque se non lo vuoi fa niente eh? Posso pur sempre tenermelo”. Lo prendo in mano e lo inserisco dentro alla mia cartella. “Grazie...come mai questa idea?”. Fissa un punto indefinito dietro di me. “Ero alle macchinette con Andrès e niente, vedendo il Kinder Bueno mi è venuta in mente la conversazione di ieri e di conseguenza te”. Arrossisco e sento come se il cuore mi uscisse dalla gabbia toracica. Non ne vado fiera. Mi sto emozionando per un cioccolatino, non ha senso. “Beh...grazie ancora, non so che dire. Mi sento in debito”. Mi sorride, ma non per prendermi in giro come fa sempre. Questo è uno di quei sorrisi genuini, quelli che mettono in mostra i suoi denti perfettamente bianchi. “Ma no, non sentirti in debito! Per una merendina poi”. Cala il silenzio, proprio come ieri. Perché mi vergogno a parlargli? Una cosa è certa: se era una settimana fa eravamo qua a scannarci di sicuro. Eppure non ci stiamo insultando, non lo ignoro come prima e non mi viene più da soprannominarlo homo stronzus. Non voglio che accada come ieri che quando siamo saliti in bus non mi ha più rivolto la parola. E' come se sentissi un bisogno, non so di che cosa. So solo che c'è e che quando lui non proferisce parola lo sento a livelli esasperati. “Come va con Lara?”. No aspetta, che razza di domanda è? Perché dico le cose e poi penso? Perché? “Con Lara? Bah, né bene né male. Diciamo che va”. Eccole che arrivano, sì eccole. Le fitte allo stomaco sono tornate, dolorose più di prima. “E lei...”. Deglutisco. “...ti piace?”. Alza la testa che finora ha avuto chinata e fa di nuovo le spallucce. Comincio a detestare quel movimento. “Non lo so nemmeno io”. “Dovresti saperlo se una ti piace”. Fa un'espressione impassibile e dice: “In verità di ragazze me ne sono piaciute molte, ma nessuna mi ha mai colpito particolarmente”. Respiro profondamente e cerco di tornare la Violetta di sempre, solo in questo modo posso sapere. “Perché te le fai se non ti piacciono veramente? Non ha senso! Anche se una ha un carattere di merda a te non importa perché tanto, in costume sta da favola! Le persone normali non le caghi minimamente e preferisci andare con delle troie solo perché non potresti ferirle, loro sono come te. Benvenuto nel mondo reale, Vargas! Loro non ti colpiranno mai perché sono fatte tutte con lo stampino e nonostante tu faccia il bravo in giro dicendo che le tipe con cui sei stato non ti siano mai interessate, fai una bruttissima figura! Perché contrariamente a ciò che dici, continui a scegliere quel genere di ragazze...quelle come Ludmilla!”. Ho detto questo discorso tutto d'un fiato e mi rendo conto solo ora di aver gridato e di aver attirato l'attenzione di tutti i presenti. Lui mi guarda con gli occhi smeraldo spalancati e non riesce a formulare nulla. Caro Vargas, nemmeno io mi capacito di ciò che ho appena detto. “Oddio scusami, scusami! Non volevo dire queste cose, sono una stupida. Lascia stare, non so come mi siamo uscite queste brutte parole, ti prego perdonami. Non voglio che tu sia arrabbiato con me”. Proprio oggi poi che devo andare a casa sua, sono davvero un'imbecille. Si ricompone e, dopo aver dato una rapida occhiata attorno, risponde: “Tranquilla non è successo nulla. E' evidente che tu sia nervosa per qualche altro motivo e te la sia presa con me perché ero l'unico che avevi sotto tiro. Probabilmente queste cose le pensi, può darsi anche di no. Fatto sta che hai urlato e ti capisco, capita pure a me di prendermela con qualcuno che non c'entra nulla”. Il bus arriva e saliamo insieme, mi tiene il posto ma non parliamo. Si ripropone lo stesso copione di ieri. La cosa che più mi turba però è il fatto che, anche se gli ho dato ragione sul fatto di essere nervosa, quelle cose le penso davvero.


“Come? Le valigie? Sì, le ho preparate stasera. Mi spiace molto stare via per così tanto tempo, l'anno prossimo sei obbligata a venire con me a Roma”. Mi sarebbe certamente mancata, ma non ci potevo far nulla. “Tranquilla, starò bene di sicuro”. Mi sforzai di non far sembrare la mia voce tesa, per fortuna Fran non poteva vedere la mia espressione in quel preciso istante. Siano lodati i cellulari. “La sai l'ultima, Vilu?”. “Ehm...no?”. “Avevi ragione riguardo a Leon Vargas, quello di classe nostra. Sta con la tarantola a quanto pare, li ho visti mentre si limonavano in piscina”. Sgranai gli occhi, mi si mozzò il fiato e potevo sentire chiaramente il mio cuore non emettere alcun battito. “Hey Vilu, tutto apposto? Ci sei?”. Inspirai profondamente. “Sì, è solo che mi sono appena ricordata che devo fare una cosa importante. Ti richiamo domattina prima che tu prenda l'aereo, okay?”. “Okay, ci sentiamo domani”. Riuscivo ad accettare tutto, ad accettare tutte. Lei no. Mi aveva umiliata davanti a tutti gratuitamente durante l'anno scolastico e non ero in grado di immaginare lui e lei insieme. Lo sospettavo da tempo, ma era un'ipotesi vaga. In verità speravo con tutta me stessa che ciò che pensavo non fosse vero. Mi alzai dal letto e mi diressi verso lo specchio, fu a quel punto che mi resi conto dell'orrore che avevo davanti. Riflessa c'era una ragazzina castana con i capelli raccolti in uno chignonne disordinato, sotto gli occhi aveva delle leggere occhiaie ed indossava una t-shirt sgualcita nera di una band anni '80 e dei jeans strappati. Iniziai a battere forte le mani contro lo specchio come se servisse a scacciare quel brutto essere. Non se ne andava, allora mi accasciai a terra in un angolo della stanza con le lacrime che mi rigavano il volto e dei crampi che mi stavano torturando violentemente lo stomaco. Con tutte, ma lei no.

 

 

Rinvengo da questo flashback tremendo, ora mi sono chiare un paio di cose. Sono seduta in autobus mentre mi sto dirigendo verso la casa di Vargas, immagino già il disagio che proverò davanti alla sua grande piscina e al suo piano bar. Potrebbe anche avere la sauna ora che ci penso. Quest'estate sono stata male per colpa di lui e Ludmilla insieme? Quindi ero davvero stupida fino a pochi mesi fa. Prenoto la fermata, mi alzo dal sedile e scendo da quell'odioso catorcio. Estraggo il cellulare dalla tasca del giubbotto e rileggo per bene il messaggio di Leon, vedo una via subito a destra e la imbocco. Faccio attenzione alle piccole stradine che sbucano da ogni dove, che strano. In questo posto ci sono solo case popolari, dove sono le ville? Improvvisamente vedo la scritta 'Via I. Newton' e mi arresto, sono quasi arrivata. Svolto in quella vietta e vedo un sacco di appartamenti, controllo ogni numero civico finché non vedo il ventidue e scorro l'indice sinistro lungo la lista dei campanelli. Quando vedo quello con affiancati i nomi 'Lucia Gomez e Leon Vargas', premo il bottone e mi risponde una donna: “Chi è?”. “Sono una compagna di classe di Leon”. “Oh certo! Entra, entra cara! Abitiamo al quarto piano”. Apro il cancello e il portone principale, chiudo il tutto e chiamo l'ascensore. Non credevo che lui potesse vivere in un posto del genere, nulla in contrario contro le case popolari eh? Solo che da uno come lui che sfoggia sempre il suo Galaxy e si veste di marca mi sarei aspettata qualcosa di diverso. Salgo sull'elevatore e premo sul pulsante con il numero quattro, continuo ad accarezzarmi nervosamente la coda di cavallo. L'ascensore si apre ed esco, mi guardo intorno e vedo una porta aperta con una donna bassa dai capelli lunghi castano chiaro che mi sorride e mi fa gesto di entrare. “Tu sei Violetta, giusto? Leon mi ha parlato di te oggi! Prego, accomodati”. Faccio il mio ingresso nell'appartamento e noto che è un ambiente veramente grazioso, le tende e le varie decorazioni sono in tinte calde come per conferire calore a tutto il resto della casa. Su un comò alla mia destra ci sono cornici di diverse dimensioni con delle foto di Leon da bambino, mentre di fronte c'è il salotto con un divanetto piccolo così come il televisore. “Leon! Sbrigati, hai ospiti! Non fare il maleducato”. Si volta verso di me e sorride. “Scusalo sai, ma è da sempre un ritardatario. Sono felice di vedere finalmente una compagna di mio figlio, non ha mai portato nemmeno un amico qui dentro”. La signora si dirige in cucina, la quale si raggiunge attraverso un'arcata a sinistra. Sento dei passi provenire dal corridoio accanto al soggiorno, oh mio Dio sta arrivando. Mi continuo a torturare i capelli con una mano, sembra che più passino i giorni e più mi agito quando devo vederlo. Che cosa assurda. Si è cambiato rispetto ad oggi, adesso indossa una camicia a quadri blu e dei jeans stretti neri. Lo saluto con la mano e lui fa altrettanto. “Ciao Castillo”. “Ciao Vargas”. Silenzio, ancora. Roteo gli occhi in tutte le direzioni e mi formicola lo stomaco come ieri sera. “Se vuoi andiamo in camera mia a fare il lavoro”. “Sì, va bene...”. Varchiamo una porta e ci incamminiamo lungo il corridoio, arrivati in fondo entriamo in una piccola stanzetta dalle pareti blu tinta con varie sfumature del medesimo colore. “Prego, siediti dove vuoi”. Mi accomodo sopra il letto e continuo a guardarmi attorno in preda al disagio, lui invece chiude la porta e si siede sulla sedia della scrivania. Si allunga verso il comodino ed afferra il suo giubbotto, rovista in una tasca ed estrae un pacchetto di sigarette. Con il suo solito modo di fare indifferente la accende ed appoggia il posacenere sulla sua gamba. “Allora hai qualche idea?”. “Non ancora, in questi giorni non ho avuto nemmeno il tempo di respirare”. All'ultima parola lancio una rapida occhiata alla sigaretta volutamente e lui, intuendo ciò a cui mi riferisoo, pensa bene di spegnerla. Si mette a braccia conserte e dice: “Io avevo pensato di fare tre modellini: uno sulla cellula procariote e gli altri due su quella eucariote vegetale e animale. Collegheremo tutti gli organuli del citoplasma con del fil di ferro e magari renderemo il citosol con della spugna, poi per colorare le varie componenti useremo le tempere o gli acrilici. Finito il lavoro manuale ci prepareremo sul capitolo. Cosa ne pensi?”. Sorrido visibilmente colpita, non avrei mai pensato che Vargas potesse avere un'idea così geniale. “Mi piace molto! Però oggi senza materiale che facciamo?”. Scrolla le spalle. “Faremo qualche bozzetto su quello che dovrà essere il progetto e magari faremo qualche schema per facilitare lo studio, no?”. “Sì, va più che bene...ma dopo per fare il resto del lavoro come ci organizziamo?”. Assume un'espressione divertita. “Ci troveremo un'altra volta, no? Certo che per avere la media dell'otto ci arrivi meno di me”. No, un'altra volta no. Già ho fatto uno sforzo sovrumano per venire fin qui, ora mi tocca pure rincontrarlo di nuovo fuori da scuola. “Facciamo la settimana prossima”. “Per me va bene. Luogo?”. Faccio una faccia incerta. “Casa mia?”. Annuisce col capo e si alza dalla sedia per prendere da una mensola il quaderno e il libro di scienze suppongo. Si siede accanto a me ed avverto ancora quella strana, piacevole sensazione allo stomaco. E' come se fossi leggerissima. Solo ora sento che profuma di tabacco e vaniglia, mi volto e lo vedo concentrato a leggere i suoi appunti. Tiene le labbra all'indentro e quando fa così gli si formano delle fossette carinissime sulle guance, quando alza lo sguardo verso di me mi sento come se fossi stata scoperta a fare chissà quale reato ed improvvisamente le mie All Star nere diventano l'oggetto più interessante del mondo. Ritorna immerso nella lettura di chissà quali concetti scientifici ed io, non so perché, gli chiedo: “Come mai non fai venire nessuno a casa tua?”. Si disincanta dal quaderno e mi rivolge un'espressione fredda come il ghiaccio. “Ha importanza?”. “No, era solo per sapere”. Passo in rassegna ogni centimetro della camera e forse ho capito il motivo. “Non vuoi che vedano che abiti in un appartamento, giusto? Leon Vargas non deve permettersi cose da persone normali, lui deve essere all'altezza del gruppo dei figli di papà”. Fissa il parquet e mi risponde senza neanche guardarmi: “Quando prendi un bel voto che fai la volta dopo?”. Assumo una faccia confusa. “Mi impegno per migliorare o quanto meno eguagliare il voto”. “E questo perché...”. “...mio papà si aspetta una determinata media da me”. “Funziona così anche con me, ho sempre frequentato un particolare gruppo di persone. Questa compagnia ha soldi e si può permettere tutto, io no. Però la gente si aspetta questo da me ed io cerco di essere quantomeno simile a loro. Ecco perché non ho mai invitato nessuno a casa mia, ho sempre mentito loro riguardo la mia condizione economica. Loro non sanno niente di me”. Abbasso lo sguardo. “E perché io sì?”. Ci mette un po' prima di rispondere. “Tu sei una tipa pacifica, non parli. Probabilmente ho voluto che venissi a casa mia anche perché sono stufo di mentire a tutti”. Mi faccio coraggio e lo fisso negli occhi. “Tuo padre dov'è?”. Riesco a leggere un velo di rancore nel suo volto. “Mio padre non c'è mai stato, se n'è andato via quando io ero ancora un neonato. Quindi fin dall'inizio siamo sempre stati solo io e mamma. Ora lui è un imprenditore e mi manda dei soldi per gli alimenti una volta al mese, mia mamma li spende per la scuola e cose del genere e i rimanenti li dà a me. So che è da stupidi, ma io li uso per acquistare quelle poche cose di marca che mi posso permettere. Per lui questo è il suo contributo, non si è mai posto il problema di incontrarmi e vedere come stiamo.” Lo guardo tristemente e gli accarezzo il braccio. “E tua mamma cosa dice?”. “Mia mamma? Lei lo odia e non ha tutti i torti. Anche io lo odio. Delle volte mi sento...un merda. Per come la tratto e anche per come tratto alcune ragazze perché mi rendo conto di comportarmi come mio padre o come tutti gli uomini che hanno l'hanno fatta soffrire da sempre. Ad otto anni rischiavo quasi di finire in un centro d'adozione perché mia madre era stata giudicata 'mentalmente instabile' per la crescita di un figlio, lei infatti soffriva di depressione. Assumeva molti farmaci ed io mi sentivo impotente di fronte a tutto ciò, poi ero piccolo quindi capivo fino ad un certo punto. Ha comunque sempre cercato di migliorarsi nonostante tutto, ma la peggiore ricaduta l'ha avuta un paio d'anni fa. Avevo quindici anni anni e capivo fin troppo bene, quando tornavo a casa la trovavo stesa sul pavimento implorandomi di andarle a prendere gli antidepressivi e mi arrabbiavo perché non volevo che si riducesse ancora così, non di nuovo. Mi sentivo un tossico ad andare a prenderle sempre quelle fottute medicine di nascosto, tante volte mi alzavo nel cuore della notte per andare in una farmacia di turno per comprargliele. Volevo solo non tornare mai a casa dopo scuola, rimanere sempre fuori. Quando tornavo avevo la garanzia di trovare il soggiorno devastato e mia mamma isterica in crisi di astinenza. La mia vita era un disastro, per cui tanto valeva ubriacarmi e farmele tutte. A nessuno importava realmente di me per cui non ci sarebbero state male, tanto dopo una settimana ne avevano già un altro. L'unica persona che mi voleva bene si stava uccidendo e non riuscivo a sopportarlo. Alla fine ne è venuta fuori...per me. Ha capito che non era sano per lei vivere in quel modo, ma lo ha fatto soprattutto per non rendermi di nuovo la vita un inferno. In quest'ultimo anno ho notato dei significativi miglioramenti ed ora segue ancora la terapia andando in un centro di riabilitazione due volte a settimana. Mi basta questo per essere felice”. Non so come faccia a non versare neanche una lacrima dopo un discorso come questo, solo ora mi rendo conto di avere la mano premuta contro la sua. “E tu? Parli sempre di tuo padre...dov'è tua madre?”. Lui è forte, io no. Scoppio in un pianto liberatorio, nessuno sa di lei a parte Francesca. “Lei è morta quando avevo sei anni in un incidente stradale e, anche se sono passati quasi dieci anni, nessuno ha ancora superato del tutto la sua perdita. La casa sembra vuota da quando non c'è più...non ho più cantato per cinque anni. Quando era in vita io cantavo e suonavo esclusivamente con lei ed è come se si sia portata via tutta la mia voglia di vivere e di fare ciò che mi piace. Papà non si è più risposato ed ha avuto solo una fidanzata, Jade, che ha mollato diversi anni fa. Mi sono chiusa in me stessa per colmare il vuoto che avevo dentro e per placare il rumore nella mia testa ed è stato proprio quando ho riscoperto la musica che ho ricominciato di nuovo a vivere e ad...andare avanti, ecco...scusami”. I singhiozzi invadono la stanza, ho il viso schiacciato fra i palmi e tremo come una foglia. Come ho potuto anche solo pensare che sarei stata in grado di raccontare il mio passato? Improvvisamente sento delle braccia calde avvolgermi ed una mano accarezzarmi i capelli, mi stringe a sé e sento il mio corpo schiacciato contro il suo. Mi prende il viso delicatamente, mi asciuga le lacrime con il pollice e mi dice: “Tranquilla, è tutto passato ora. Non devi più preoccuparti di nulla. E' evidente che io e te non siamo simpatici alla vita”. Mi riabbraccia questa volta quasi stritolandomi, mi sento così sicura e protetta quando sono insieme a lui. “Siccome sabato è il patrono della città e le scuola sono chiuse, perché domani non vieni ad una festa studentesca? Puoi portare anche la tua amica e poi io sarò sicuramente là, dai che ci divertiamo”. Mi stacco da lui e scuoto il capo. “No, no e poi no! Ci sono già andata una volta e mi è bastata per tutta la vita”. Mi sorride e mi prende la mano. “Perché sei così asociale, Violetta? Vieni, dai! Magari quella festa faceva schifo e sono il primo a dire che ce ne sono state con della musica pessima e cose del genere, ma ho guardato il volantino che mi hanno dato a riguardo e il dj è veramente bravo. Poi se stai con me ti posso aiutare a rimorchiare qualche ragazzo, ho diverse conoscenze”. Mi ha chiamata per nome, non riesco a crederci. “Grazie dell'invito, ma non mi interessa...rimorchiare”. Ride anche se non capisco cosa ci sia di divertente in questa frase. “Vorrà dire che ci divertiremo allora. Dai vieni, non voglio che tu stia a casa da sola il venerdì sera!”. Lo guardo rassegnata. “E va bene ci verrò, ma porto anche Francesca”. Abbassa lo sguardo sulle nostre mani intrecciate e toglie prontamente la sua. “Bene allora, alziamoci che è il caso di mettersi sotto con il progetto di scienze”. Sorrido e gli rispondo: “Sì, mi sa che è il caso”. Ci sediamo accanto alla scrivania e ci mettiamo a lavorare. Ed anche se sto facendo una cosa noiosissima mi sembra di essere come una bambina alle giostre per la prima volta.

                                                                                                                                                         13 gennaio 2014
Caro diario,

oggi è stata una giornata bellissima. All'inizio sembrava aver tutte le premesse per finir male, invece è andato tutto benissimo. Al ritorno dalla casa di Leon ho mangiato il Kinder Bueno che mi ha regalato oggi in fermata, sembrava fosse più buono del solito. Ho scoperto varie cose su di lui che non aveva mai raccontato a nessuno e mi sento lusingata per questo, pure io gli ho raccontato del mio passato e di mamma. Lui è più forte di me e non ha versato neanche una lacrima, mentre io mi sono messa a piangere come una bimba. Però mi abbracciata e tutti i problemi e le preoccupazioni sono svanite a contatto con il suo corpo caldo e con le narici immerse nel suo profumo. Domani andrò ad una festa studentesca con Francesca, le ho già chiesto e mi ha detto che può venire. Ci sarà anche lui per cui voglio essere bella, almeno per una sera. Non capisco come mai improvvisamente mi importi così tanto, fino a ieri non potevo sopportarlo. Ora quando sto con lui mi sembra come se volassi senza ali perché quel formicolio allo stomaco mi fa sentire di una leggerezza assurda. Sono così confusa, da un giorno all'altro mi si sballati i sentimenti e tutte le certezze si sono cancellate. Non capisco più ciò che provo.

A domani,
Violetta

 

 

Metto il diario all'interno del comodino, non so perché quando scrivo in esso mi metto sempre il pigiama e mi fiondo sotto le coperte. Mi alzo dal letto e prendo in mano i vestiti che indossavo questo pomeriggio, hanno qualcosa di diverso. Li avvicino al naso ed inspiro profondamente. Tabacco e vaniglia.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Questa volta, lo ammetto a malincuore, non è stato un aggiornamento record, ma tenete conto che il giorno dopo la pubblicazione del secondo capitolo sono andata in gita quindi non conta. * cancella il giorno dal calendario * Da venerdì in poi ho sempre scritto per cui eccomi qua con questo nuovo spumeggiante capitolo! Okay, placo gli entusiasmi. Spero che vi sia piaciuto leggerlo e che vogliate continuare a seguire questa storia, sono molto felice delle recensioni che ho ricevuto e non posso far altro che ringraziarvi per l'appoggio che mi date ma soprattutto per credere in questa fanfiction. Piccolissimissimissimo spoiler: nel prossimo capitolo ne vedrete delle belle! Per cui stay tuned ;)
PS i cantanti che ho menzionato nella parte in cui Leon e Violetta scoprono di avere gli stessi gusti sono tutti quelli che ascolto io, whoopsie!

 

  
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