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Autore: Zakarya    23/03/2014    1 recensioni
Luce, buio. Come fanno a coesistere cose tanto diverse, a riversarsi sul mondo in un così armonico miscuglio, ad illuminare ma allo stesso tempo mettere in ombra un oggetto, una persona, un sentimento? “E perché la mia faccia è sul bordo di una vasca da bagno?” - Non ricordare la serata appena passata, chi non ha mai avuto quest'esperienza? Dantalian però, dovrà fare i conti con la sua "piccola dimenticanza", più avanti...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 2: Neve nella Lava


Dantalian scoprì ben presto che la serata di cui non ricordava nulla era la serata della festa data da Steve in casa propria, per celebrare la tanto agognata promozione del suo contratto: era passato, finalmente, da tempo determinato ad indeterminato! Una cosa di cui Steven era più che felice, visto che insieme al tempo del contratto era cambiato anche il suo stipendio (inutile dirlo, cambiato in meglio). Steven Colin era un collega di Dantalian, che con lui condivideva il lavoro presso lo Studio Commercialista Johnatson & Hatches, e che a quanto pareva l’aveva invitato a festeggiare subito dopo la magnifica scoperta della promozione. Ora però, il calmo e mite Steven dai capelli a spazzola corvini e dagli occhi neri come delle porzioni di cielo notturno senza stelle, si ritrovava in condizioni pessime, così come lo era la sua casa. Le pareti un tempo bianche portavano chiaramente i segni dell’enorme caos della festa ( qualcuno, a quanto pareva, si era divertito a spegnerci delle sigarette contro, ed a spiaccicare il pomodoro delle pizzette contenute nel rinfresco); il pavimento di pietra era in alcuni tratti umidiccio ( “ fa che sia solo birra ” aveva pensato Dantalian quando si era ritrovato senza scarpe su una pozza nel salotto ) mentre in altri vi erano lattine di birra vuote ed accartocciate, cappellini da festa, resti del rinfresco mangiucchiati e poi buttati a terra ed ancora, cosa che Dantalian notò con profondo disgusto, sotto una coltre di panna montata e cicche di sigarette, vi erano le sue scarpe. Ma che diavolo era successo lì? La cera di Steven rispecchiava in pieno quella della casa: i capelli, di solito in religioso ordine, ora erano tutti scombinati, con ciuffi più lunghi che gli ricadevano sugli occhi, sporchi della panna che Dantalian aveva trovato anche sul soffitto del bagno; la sua camicia bianca presentava varie macchie di pomodoro e di vino rosso; i pantaloni di raso neri erano strappati sugli orli e portavano le inequivocabili tracce che anche la camicia testimoniava, e le scarpe... Ma dov’erano le scarpe? “ Ah, ma allora è un vizio! “


<< ‘giorno.. >> Disse Dantalian, mentre si incamminava nel degrado di quella che, e lui se la ricordava bene, era stata un tempo la casa più in ordine che avesse mai visto, ma che ora sembrava un vero e proprio campo di battaglia. Si sorprese a cercare con lo sguardo dei soldati appostati dietro al divano nero ( sporco anch’esso di panna ) e rimase deluso non trovandone. << Hey, Steve, che faccia da funerale! >>


<< Oh, piantala Dantalian, mi sono appena svegliato! >>


Mentre con tono lamentevole ammoniva il biondo, Steven cercava con deboli gesti di ripulire una tenda completamente zuppa di quel che doveva essere vino rosso: la tenda infatti era bianca, o almeno lo era stata, mentre ora la parte centrale era di un placido color rosa. “ Però, così è più carina “ si disse il biondo mentre la guardava: non gli erano mai piaciute quelle tende, “ sapevano tanto di ospedale”.


<< Ma buongiorno anche a te, eh! Acido.. Ti faccio un caffè d- >>


Dantalian non finì la frase che vide il moro in cucina intento a svitare una caffettiera e riempirla con la polvere marroncina dall’aroma inconfondibile, che si diffuse ben presto per tutta la grande sala disordinata.


<< Mi sa che lui ha fatto prima. Dantalian, ti presento Thorfdir: ci siamo conosciuti in un… In un locale! Si, in un locale.. >>


Steven dopo aver fatto le presentazioni, era arrossito velocemente, rigirandosi verso la tenda con la chiazza rosa. “ Hai capito, il nostro Steven! “ pensò Dantalian “E in che locale l’ha conosciuto: Thorfdir fa lo spogliarellista! “


<< Steve, ma… Tu non eri fidanzato con Eveline? >>


<< B-beh, certo che sono fidanzato con lei! >> Rispose rapido Steven, guardando il biondo con fare offeso, ma nei suoi occhi si vedeva chiaramente la luce dell’allarmismo generale. << Non posso essere amico di un ragazzo che subito t-tutti pensate che tradisco la mia bella Thor-ehm, Eveline!>>


Thorfdir cominciò a ridacchiare sommessamente, facendo arrivare su di se le occhiatacce di Steven.


<< B-beh, se proprio vuoi fare l’interrogatorio a qualcuno, fallo a lui: magari scopri dove ha messo le mie scarpe! >>


Il moro dai disordinati capelli a spazzola cambiò velocemente discorso, tanto velocemente che Dantalian si mise a pensare: “ Oh andiamo, lo so che è uno spogliarellista, a me potresti dirlo! “ ma abbandonò l’idea di spiattellare la verità sulla faccia olivastra dell’italo-americano intento a pulire frettolosamente la tenda come se questo potesse cancellare anche l’espressione trionfante di Thorfdir che ancora ridacchiava, mentre metteva il caffè appena uscito nelle tazzine e le porgeva loro. “ Uno alto quasi due metri con i capelli lunghi, l’altro poco più alto di me ( non era vero: Steven era 1.76, mentre Dantalian arrivava al massimo al metro e 62 ) con i capelli a spazzola. Li devo far mettere insieme! “ Mentre il biondo fantasticava sulla possibile relazione tra i due ragazzi, notò lo sguardo d’intesa che i due si scambiavano: “ troppo tardi” rifletté “ questi stanno già insieme! “


<< E dimmi, Thorfdir.. >> Steven divenne pallido quando il biondo rivolse allo spogliarellista la parola << Sei fidanzato? >>


<< O-Oh, D-Dantalian! Bevi il caffè che se si fredda n-non è più buono! >>


Dalla reazione di Steven, che aveva cercato di attirare l’attenzione sulla poca genuinità del caffè freddo, Dantalian arrivò alla conclusione: “ Si, ‘sti due stanno insieme. Se la prima impressione è quella che conta, con Steven ho sbagliato di brutto: credevo fosse etero!”
 
*
 
Dopo una veloce colazione composta da caffè molto forte ( a quanto pare, lo spogliarellista aveva esagerato con la polvere ) e alcuni resti ancora intatti di pizzette e bignè salati nei vassoi di cartone, Dantalian si ritrovò nella macchina di Steven, per andare a lavorare.


<< Ma di tanti giorni, proprio di giovedì la dovevi fare la festa? Cazzo, meno male che mi hai prestato una camicia e dei pantaloni puliti, sennò mi cacciavano dall’ufficio credendomi un barbone! >>


Il biondo stava ringraziando l’amico per avergli prestato una camicia bianca perfettamente stirata e dei pantaloni di raso nero, che però stonavano con le proprie scarpe umide che conservavano ancora delle tracce di panna all’interno, e che quando Dantalian camminava, producevano un comico e sonoro ciaf ciaf.


<< Scusa Thorfdir, è molto… Come posso dire? Gli piace invadere gli spazi altrui, e se non gli dai retta, diventa parecchio irritante. >>
Mentre Steven si scusava per il comportamento dell’amico-amante, Dantalian sbuffò sonoramente, per farsi sentire.


<< Non è il fatto di essere invadente, è che mi ha minacciato di inseguirmi con un mattarello per tutta casa se non registravo il suo numero di cellulare che mi ha infastidito! >>


<< Eddai, Danny! >> Dantalian odiava quel soprannome: era quello che lui aveva dato ad uno dei suoi ex << Non l’avrebbe mai fatto, te lo posso assicurar- beh non posso assicurartelo, ma io l’avrei fermato se c’avesse provato, giuro! >>


“ Oh beh, che magra consolazione, Steve.. “ Dantalian pensò quelle parole mentre soppesava quelle dell’amico, che lo stava portando a lavoro con l’utilitaria bianca e miracolosamente rimasta immacolata: forse era l’unico oggetto appartenente a Steve ad essere rimasto bianco ( già, perché Steve aveva una vera e propria ossessione per il bianco.)


“ Quegli occhi, quell’oro incastonato nel mogano dei suoi occhi. Li ho già visti, da qualche parte. Ma dove..? “


Dantalian continuava a chiedersi dove avesse già visto gli occhi di Thorfdir, senza trovare una risposta, ed allora formulò una nuova ipotesi, che doveva mettere a tacere i suoi dubbi.. Ma che ne generò solo degli altri: “ Magari li ho visti in un locale di spogliarello maschile: eddai, qualche volta ci sono andato! Qualche volta… 7 anni fa! E da quello che mi ha detto, Thorfdir ha solo 23 anni! (Dantalian aveva chiesto l’età al moro dai lunghi capelli castani mentre facevano tutti e tre colazione, e l’altro l’aveva rivelata solo dopo aver preteso il documento del biondo ed aver appurato che aveva davvero 27 anni) Come posso allora già averli visti? E dove? “


Ma le domande non trovarono risposta, perché ben presto l’utilitaria immacolata e dagli interni neri in perfetto ordine si fermò nell’ampio parcheggio della Johnatson & Hatches, già gremito di macchine dalle più svariate forme e dimensioni. L’edificio, sede dell’ufficio dei due uomini era di recente costruzione: alto, quadrato, con ampie vetrate così che i dipendenti dello studio commerciale potessero vedere i passanti che passeggiavano tranquillamente sulle vie principali, ed invidiarli.


<< Ah, cosa non darei per non lavorare più in questo maledettissimo palazzo di cemento e vetro! Forse andare a fare lo spogliarellista.. >>


Disse Dantalian, mettendo enfasi sull’ultima parola, rivolto verso il moro dai capelli a spazzola ( Thorfdir si era offerto gentilmente di rassettare la casa dell’ “amico” mentre quest’ultimo andava a lavorare. Ma guarda tu il caso, Steven aveva trovato un “amico” tanto gentile da rassettargli la casa devastata dopo un’incredibile festone che lasciava le sue tracce dal pavimento fin sul soffitto! Ma che caso! ) che era, non molto misteriosamente, rimasto di sasso e diventato tanto rosso da somigliare alla cravatta scarlatta che portava attorno al collo.


<< Ah, ehm.. Beh, non deve essere un brutto lavoro, no? Eheh.. >>


Dalla risatina nervosa al termine della frase del moro, Dantalian capì che l’aveva punto sul vivo. “Sì, lo so che è uno spogliarellista, e so che state insieme, quindi smettila di fare il finto tonto e rivelamelo tu! “ Sembrava dire l’espressione trionfante sul volto di Dantalian, mentre questi camminava con tutta la calma del mondo, nella hall del suo detestato, ma ben pagato, posto di lavoro.
“ Comincio a pensare che è stato un bene che qualche bastardo m’abbia rubato la macchina, il mese scorso.. “ Si disse Dantalian, mentre si sistemava i polsini della camicia candida. “ ..Sennò come avrei fatto a far vergognare così tanto Steven che, ci scommetto, ora vuole sotterrarsi?”
 
*

Lavorare con i postumi di un epica sbornia fu devastante: Dantalian dovette alzarsi, prendere caffè su caffè, cercare di rilassarsi ed infine, ormai arreso al proprio dolore, prendere una compressa effervescente antidolorifica. Infatti, all’emicrania galoppante si era unito anche un forte dolore alla schiena ed al ventre, che Dantalian sentiva bruciare quasi come avesse delle spade che perforassero la carne.


“ Non ricordo nulla della festa.. “ cominciò a dirsi Dantalian mentre usciva dal proprio ufficio e si dirigeva verso il bagno “ Ma se questi ne sono gli effetti, dev’esser stata epica! “


L’interno del palazzo era asettico e dall’aria futuristica come l’esterno: pavimenti bianchi fatti di mattonelle si alternavano alla moquette negli uffici dei contabili ed al parquet di ciliegio negli enormi mini-appartamenti che erano gli uffici dei dirigenti, sino ad arrivare al marmo di Candoglia nell’ufficio del proprietario della ditta: il signor Hatches. Gregorius Hatches era l’unico proprietario rimasto dello studio, dopo la morte del collega Robert Johnatson. Aveva i capelli bianchi come la neve tenuti indietro da una quantità a dir poco impressionante di gel, dei piccoli occhietti azzurri contornati da profonde occhiaie ed una barba che sembrava essere regolarmente sistemata con un righello. Le rughe sul volto facevano ben capire la sua età ( da quanto Dantalian ne sapeva, era sopra i 50, e non di poco.. ) ed il perenne sguardo alla “ ora-licenzio-chiunque-incontro “ la diceva lunga sui suoi modi non molto gentili verso i dipendenti. Per completare l’opera, Gregorius aveva la fama di uno dei più omofobi uomini in città, tanto da licenziare in tronco chiunque sorpreso in attività da lui considerate “ poco ortodosse “ per non essere volgari, ma per esserlo, si potrebbe citare uno dei suoi più famosi discorsi:


<< Questi froci, sarebbe da rinchiuderli tutti! >>


Bene, Dantalian era scampato alla sorte augurata dal suo capo, ma non dalle sue angherie. Gregorius si poteva ben difendere dalle accuse d’omofobia dei suoi ex dipendenti ( la moglie ed i due figli erano rispettivamente un giudice e due avvocati ) ma non poteva far lo stesso con Dantalian Duke, essendo quest’ultimo figlio di Maximiliam Duke, uno dei suoi più cari amici. Forse era per quello che Dantalian non era ancora stato cacciato dall’ufficio, o forse per la sua discrezione nel non farsi mai vedere in atteggiamenti ambigui dai clienti, o dagli stessi colleghi.


Una volta arrivato nel bagno rigorosamente a piastrelle bianche, porte dei gabinetti bianche, lavandini bianchi ed addirittura l’apparecchio asciuga-mani elettrico bianco, Dantalian si andò a sciacquare il viso, sospirando pesantemente: il dolore alla testa era passato, ma sulla schiena e sul ventre rimaneva una sgradevole sensazione di pizzicore.


<< Cazzo, che fastidio! >>


Cominciò a lamentarsi ad alta voce Dantalian, cercando di sistemare la camicia in modo da farla aderire il meno possibile alla pelle.


<< Se continua così, giuro che mi tolgo la camicia e vado per l’ufficio a petto nudo! >>


Il biondo continuò a sbraitare per una decina di minuti finché, esasperato e determinato, decise di metter fine a quell’insopportabile sensazione continua ed irritante. Sembrava quasi una tortura cinese il combaciare del tessuto della camicia con le aree più sensibili della propria pelle al più piccolo movimento. “ Vediamo ora che fai, maledetta camicia, se ti tolgo! Ah-ha! Ora non dai più fastidio, eh? …Ma che diavolo..?! “


Dopo essersi quasi strappato di dosso la fastidiosa camicia, ed essersi beato per un attimo del suo momento di gloria, Dantalian si era guardato velocemente allo specchio accolto da una cornice rigorosamente bianca che occupava gran parte della parete, e vi era rimasto impietrito. La pelle diafana del petto era invasa da linee sparse dal colore rosso acceso, quasi violaceo, che in alcuni punti sfociavano in lividi neri. Stesso destino toccava ai poco accennati addominali, su cui risaltavano delle linee dai contorni frastagliati ancor più marcate di quelle sul petto.


<< Oddio, ma che cosa..? >>


Il biondo aveva quasi paura di vedere cosa vi era alle sue spalle che, come ricordò, bruciavano ancor più del petto. Rimase indeciso: voltarsi o no? Ma dopo aver deglutito ed aver fatto un lungo sospiro per prendere coraggio, finalmente girò su se stesso sino a dare allo specchio, incastonato nel candore di quella stanza, una perfetta visuale del suo fianco diafano e di una buona porzione della sua schiena. Aveva richiuso gli occhi, dopo essersi girato sino ad arrivare a quella posizione, avendo una seria paura di ciò che avrebbe potuto trovare : se il petto ed il ventre erano solcati da grossi segni rossi, sulla schiena, che faceva ancor più male, cosa poteva esserci di peggio?


Quando riaprì gli occhi, capì che poteva davvero esserci, di peggio.


Il candore della sottile pelle pallida e nivea dell’uomo era solcata da profondi segni color rosso vivo che si aggravavano fino a divenire dei tagli fino a poco tempo prima grondanti di sangue, che ora giaceva in piccoli rivoli coagulati di colore nereggiante. Sulle spalle vi erano numerosi lividi neri e violacei che dipingevano delle sagome indistinte, a volte somiglianti a delle dita violentemente premute, altre più simili alla superficie liscia di un anello. Più in basso, poco sotto la scapola destra, in prossimità della fine della schiena e l’inizio del fianco, vi era quella che sembrava l’impronta di quattro nocche, di cui si distinguevano perfettamente le forme, arroccata tra due dei numerosi segni brucianti che solcavano come linee di fuoco il ghiaccio immacolato della sua pelle. Mentre, più in basso, la situazione di certo non migliorava. In prossimità delle piccole fossette di Venere, tanto amate dai suoi ex, una delle numerose lingue di fuoco tagliava perfettamente in diagonale il corpo dell’uomo, ora tremante, che si dovette tenere saldamente al bordo di uno dei lavandini bianchi per lo shock. Quel segno, quel rosso, quel bruciore…


Improvvisamente, Dantalian cadde a terra, mentre dei frammenti di ricordi gli attraversavano la mente.
Qualcuno chiamava il suo nome in tono trionfante, la voce di un uomo, una voce rude e strascicata, quasi divertita, ma inquietantemente seria e delirante. Poi di colpo, un sonoro schiocco che appiccò di nuovo il fuoco bruciante dei segni rossi che lo attraversavano. Poi un altro, un altro ancora, e sempre di più fuochi che si accendevano sulla sua pelle. Dantalian sentiva chiaramente la sensazione bruciante e dilaniante dell’oggetto che si stagliava contro la propria pelle, sentiva chiaramente le mani che lo tenevano saldamente, e la risata! Quella risata sadica del suo aguzzino che continuava a colpirlo, che continuava a dirgli che andava tutto bene, che graffiava e mordeva la sua pelle quasi fosse un predatore avventatosi sulla preda!


Un ultima immagine si dipinse nella mente già ampiamente sconvolta, un’ultima immagine ed un suono, che lo fecero scoppiare a piangere.


Il suo aguzzino aveva smesso di picchiarlo, gli aveva dato un’aspirina come quella antidolorifica che aveva preso pochi minuti prima: la figura non aveva corpo però, sembrava fatta d’un denso fumo nero, nero come l’anima che quell’uomo, che l’aveva seviziato, doveva avere. Ora lo stava rivestendo, e gli stava carezzando i capelli come un padrone carezza il pelo del proprio cane. Quando le immagini si dissolsero dalla mente del biondo, ora in lacrime, riecheggiarono nella sua testa le parole che l’ aguzzino gli aveva rivolto, forse prima di abbandonarlo dove si era risvegliato. Una voce pacata, quasi dolce, ma che nascondeva l’orrore di ciò che aveva appena commesso, gli stava sussurrando:


<< Tornerò, stanne certo. >>




E così, Dantalian si ritrovò in lacrime, rivivendo un frammento di ciò che era successo la sera precedente, di cui aveva rimosso il ricordo. E la fredda pietra che arredava il bagno non bastò più per farlo sentire di nuovo al sicuro, né bastò il contatto ghiacciato con l’acqua sul proprio viso prima di rivestirsi e ritornare come se nulla fosse accaduto nel proprio ufficio.


Lui aveva visto ciò che gli era accaduto, ne aveva appena viste le conseguenze, e temeva che la profezia del suo aguzzino non fosse solo una vana promessa.


In quella gelida stanza asettica, aveva visto la promessa fatta dieci anni prima venir irrimediabilmente rotta. Aveva visto il proprio corpo fustigato, ed il dolore e la vergogna su di se. Aveva visto la propria pelle candida come la neve solcata da segni rossi come il più violento fuoco.


In quella gelida stanza, Dantalian aveva visto la neve intrappolata nella lava.





Eccoci qui con il secondo capitolo! Sorpresi? Anche io. 
Già, dovevo pubblicarlo giovedì ma.. Non potevo resistere! 
Grazie per aver letto anche il secondo capitolo della mia storia: spero vi sia piaciuto ^^''
Come nel capitolo precedente, ci sono degli indizi sparsi per il racconto
Perché Dantalian reagisce in quel modo? Cosa gli è successo, perché non ricorda nulla della scorsa notte?

Giovedì pubblicherò il terzo capitolo,
Alla prossima!
  
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