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Autore: lulubellula    24/03/2014    2 recensioni
OutlawQueen
Regina si ritrova catapultata in un luogo sconosciuto dopo Neverland, qualcosa non è andato come avrebbe dovuto, è sola, stanca e ferita.
Sola con la sua coscienza, si ritroverà a fare un bilancio della sua vita, delle sue scelte e delle sue azioni, in un luogo in cui, dimenticare chi è stata non può farle che bene.
Un nuovo inizio, una nuova vita e anche un nuovo amore.
Alla ricerca della felicità e del lieto fine che ha sempre rincorso e che ora si merita.
"Robin si fermò un istante ad osservarla, i suoi occhi si soffermarono su di lei, pur non conoscendola, pur non sapendo chi lei fosse in realtà, non poté far a meno di restare stregato da lei, dalla sua figura sottile, da quel lampo di luce e di dolore che aveva colto quando lei si era voltata, qualche istante prima che perdesse i sensi".
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Regina Mills, Robin Hood, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Finding true love (because everyone needs a happy ending)
Lunch

 
Robin era preoccupato, persino più dei giorni precedenti.
La regina era ancora febbricitante, anche se stava pian piano migliorando, ma lui sapeva che non c’era altro che potesse fare per farla stare meglio.

Oltretutto il cibo che aveva con sé e aveva sapientemente razionato era finito, c’erano solo poche briciole di pane e pochi sorsi d’acqua nella borraccia, fortunatamente la sorgente non distava che di poche manciate di passi.

Doveva provare a portarla con sé all’accampamento, dagli altri Merry Men, ma non era semplice come a dirsi il da farsi.

Non era molto in forze nemmeno lui, aveva bisogno di mangiare, di darsi una sistemata, di riposare un po’, ma non poteva, dei due, quello che stava meglio era sicuramente lui e doveva restarci ad ogni costo, se voleva che la regina sopravvivesse.

Decise di andare a caccia, era l’unico modo che gli restava per procurarsi del cibo.

Dopo aver medicato la ferita al fianco della donna e averle cambiato la tela fredda sulla fronte, si alzò in piedi e prese arco e frecce, sperando in cuor suo di riuscire a catturare almeno una piccola preda, una lepre o una tortora magari.

Non gli piaceva cacciare, aveva un estremo rispetto per la vita di ogni essere vivente, ma qui si trattava di sopravvivere e non c’era di mezzo solo la sua sopravvivenza; si sarebbe procurato solo lo stretto necessario per mantenersi in forze, niente di più, niente di meno.

Camminò per qualche centinaio di metri, si inoltrò ulteriormente in quell’angolo della foresta e vide un tacchino, un maschio, era evidente dalla sua mole e dal piumaggio, nonché dalla sua camminata fiera.

Attese brevemente tra le foglie e scoccò la freccia, non sbagliò la mira e andò a raccogliere la sua preda.

“Apprezzo molto il tuo sacrificio – mormorò – che tu abbia permesso a me di sopravvivere. Possa la tua anima continuare a camminare nei pascoli celesti”.

Si alzò e rifece la strada dell’andata al contrario, poi si avvicinò al ruscello e preparò il tacchino per la cottura.
Prese una pentola di latta, che portava sempre con sé per ogni evenienza e la riempi con due dita d’acqua, poi vi immerse il tacchino a pezzi e si avvicinò al fuoco, che andava spegnendosi, vicino alla tenda.

Aggiunse altri giunchi e legnetti secchi presi lì intorno e alimentò la fiamma, poi vi appoggiò la pentola in modo che non fosse in bilico e lasciò cuocere.

Entrò a dare un’occhiata alla donna, era ancora pallida, ma la febbre stava scendendo, forse non era ancora tutto perduto, forse si sarebbe ripresa di nuovo.

Fece per ricontrollare che la ferita non si fosse nuovamente infettata, quando una mano lo bloccò.

“C-come ti permetti?” una voce dura, ma ormai familiare, lo fermò.
Lui rimase basito, come stordito per qualche istante, indeciso se ritenersi mortificato o divertito.
“Stavo controllando la vostra ferita, Vostra Maestà” rispose prontamente.
“Non ce n’è bisogno” disse lei, tentando di mettersi a sedere.
“A-Ahi!” disse debolmente, stare in quella posizione le faceva male, pelle contro pelle ad urlarle la lacerazione al fianco.
“Vi fa molto male?” domandò Robin preoccupato.
Regina socchiuse gli occhi e mentì:”No, nulla che non sia sopportabile”.

Una lacrima tuttavia le sfuggì sul volto.
Robin si avvicinò a lei e la asciugò con le dita.

“Non dovete per forza essere forte se state male, non c’è nulla di sbagliato nel manifestare le proprie debolezze talvolta”.
Le sorrise.

Regina non sapeva cosa dire, come replicare.
“Aiutatemi ad alzarmi in piedi, ho bisogno di prendere una boccata d’aria, tutte queste foglie e questi rami mi stanno soffocando” ordinò, indossando di nuovo la sua maschera di ghiaccio.

Quella donna non sembrava mai abbassare la guardia, né le difese, era un enigma, un enigma affascinante da risolvere.
Anche se lei non sembrava voler mai giocare a carte scoperte, tutto ciò non lo faceva desistere dalla curiosità di capirla meglio, anzi, forse gli rendeva il gioco ancor più eccitante.

La aiutò a rimettersi in piedi, le gambe le tremavano ancora, ma stava rimettendosi in forze, non del tutto, ma almeno non c’erano stati peggioramenti.

“Siete stato qui tutta la mattinata?” gli domandò con una punta di curiosità nella voce.
Robin le sorrise.
“No, Vostra Maestà, sono dovuto andare a fare provviste – indicò la pentola sul fuoco – tacchino arrosto”.
“Tacchino? -  chiese la donna divertita – davvero?”.
“Certo, vedete, sta già sobbollendo, mi dispiace non potervi offrire di meglio, niente, sale, niente spezie, niente salse” disse a metà tra il divertito e il mortificato, in modo che a lei non sembrasse del tutto una presa in giro.

“Bene – mormorò lei – se non c’è altro, immagino che mi dovrò accontentare, anche se – indicò la fiamma – con un fuoco più basso, otterremmo un pasto più buono”.

“Cottura lenta? – domandò lui sorpreso – ero convinto che voi foste una donna da tutto e subito” ironizzò Robin.

Lei si lasciò sfuggire un sorrisetto enigmatico.

“Rimarreste scioccato se scopriste che sono molto più diversa di quanto voi non crediate, Hood”.
“Non vedo l’ora di scoprirlo, Vostra Maestà”.
“Regina” disse lei sottovoce.
“Come?”.
“Il mio nome … mi chiamo Regina”.
“Un bellissimo nome, Regina” ripeté lui, soppesando le sillabe con calma.
“Bene” disse lei per mascherare l’imbarazzo.
“Posso fare qualcos’altro per voi, Regina?” domandò con una punta di apprensione.

“Ho sete, gradirei molto dell’acqua fresca, andrei a prenderla anche io, ma – provò a rimettersi in piedi da sola, ma non appena si alzò, fu colta da un improvviso capogiro.

Robin la prese al volo.

“Non dovreste affaticarvi Regina” le disse quasi senza fiato.

I loro volti erano molto vicini, forse troppo, l’uomo riusciva a vedere i suoi occhi scuri e tristi, due pozzi meravigliosi e colmi di dolore, restò stregato, come in preda ad un incantesimo.

Un incantesimo che Regina ruppe con estremo imbarazzo.

“Grazie, Hood, ora potete anche lasciarmi andare”.
“Posso davvero?” chiese lui come in trance.
“Certo, dovete” rispose lei, rimasta senza parole.

“Dannazione – ripeté nella sua mente – leva quegli stramaledetti occhi da me, ladro”.

Se mi guardi così, non posso essere lucida.

Se mi guardi così, non riesco a vederti come la regina cattiva, sei solo Regina e io solo Robin.

Allontana da me i tuoi occhi, così azzurri, così limpidi, tanto buoni, tanto sofferenti che riesco a specchiarmi in loro e perdermi.

Le sue labbra, così rosse, il suo volto, è come se la vedessi per la prima volta, come se la conoscessi da sempre e me ne sia reso conto solo ora.

“Hood! - ridisse a voce alta la donna – rimettetemi giù!”.
“C-certo, scusate se vi ho presa al volo mentre stavate svenendo, Regina”.

L’uomo indossò la sua maschera di ladro, un po’ belloccio, un po’ ironico, che alla donna dava un immenso fastidio o forse no.

“Restate seduta a controllare il pranzo, mentre io faccio ritorno alla sorgente e prendo un po’ di acqua per bere, cucinare e darci una lavata”.
“Cosa staresti insinuando, Hood?”.

Robin sorrise, gli scappò persino una risata.

“Niente, che non ci farebbe male un bagno”.
“Parla per te, Hood, io non ne ho bisogno!” ribatté stizzita.
“Ah, no?”.
“No! Forse un pochino, ma giusto un po’”.
“Certo, non mi permetterei male di insinuare nulla, Milady” fece un leggero inchino.
“Sarà meglio per voi”.
“Ora vado” le disse, voltandosi e sorridendo tra sé e sé.

“Come si permetteva a dirle certe cose? Alla regina poi, dannato ladro sfacciato!” avvicinò il naso alle vesti, ok, forse, ma solo forse non aveva tutti i torti, un bagno tanto male non le avrebbe fatto.

Ma a lui sarebbe andata anche peggio, quell’odore di foresta non l’avrebbe abbandonato tanto velocemente.

Foresta.
Aghi di pino.
Laghi di montagna.
I suoi occhi come specchi.

“Cosa diamine le stava prendendo?” allontanò ogni pensiero da sé.

Robin di Locksley arrivò ben presto alla sorgente e si abbassò a raccogliere l’acqua, era pensieroso, troppo, come non lo era da molto tempo.
Così pensieroso da non accorgersi di essersi sporto troppo, troppo vicino al torrentello, così che quando se ne accorse le sue vesti erano già fradice e il suo volto pieno di graffi e piccole escoriazioni.

“Ben fatto, Robin! Anche oggi hai combinato la tua sciocchezza quotidiana” .

Si rialzò, riempì la borraccia e fece ritorno alla tenda.

Regina era impegnata a preparare il tacchino stufato nell’attesa, girava la carne e fece comparire qualche pizzico di sale e del rosmarino, la sua magia era ancora debole, ma piccole azioni come quelle riusciva ancora a portarle a termine.

Sentì dei passi e alzò lo sguardo, poi scoppiò a ridere.

“Hood, avevi molta fretta di farti un bagno a quanto vedo!”.
“Come si dice? Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi. Ecco l’acqua, tenete”.

Le passò la borraccia, Regina bevve a piccoli sorsi, ma era evidente che avesse molta sete.
Gli passò la borraccia e lo guardò meglio in volto.

“Siete ferito” constatò.
“Niente di preoccupante”.

Ma prima che lui potesse obiettare, prese un fazzoletto, lo bagnò con dell’acqua e gli tamponò il volto.

Le sue mani avevano un tocco delicato, era incredibile che una donna che aveva compiuto tanti misfatti avesse delle mani così dolci, leggere.

“Fa molto male?” domandò lei.
“Ora va molto meglio. Vi ringrazio”.

Entrambi sorrisero.

“Avete un sorriso bellissimo, Regina, se non sono inopportuno a dirvelo”.

La luce negli occhi della donna si spense e lei ritornò di ghiaccio come prima.

“Mi dispiace, non avrei dovuto, sono stato davvero inopportuno a quanto pare”.

Robin si rabbuiò e si diede dello stupido, ora che erano riusciti a stabilire un contatto, aveva rovinato i progressi fatti.

“Ho ultimato il pranzo intanto che aspettavo che voi faceste ritorno qui” disse lei semplicemente, sperando di riuscire a sciogliere l’imbarazzo e il silenzio che era nuovamente calato tra loro due.

Robin inspirò il profumo che proveniva dalla pentola di latta.

Era buono e decisamente più buono di quello che era solito preparare lui.

“Come avete fatto?”.
“Cottura lenta, pazienza, ottimi ingredienti e un pizzico di magia”.
“Magia?”.
“Certo! Non vorrete che io mangi qualcosa senza sale né spezie?”.
“Non sia mai!” rispose lui sorridendole.

Mangiarono in silenzio e gustando la pietanza ad ogni boccone, assaporando il momento con calma e tranquillità.

L’imbarazzo di prima sembrava essersi disciolto nell’aria, anche se la curiosità non se n’era del tutto andata, infatti, si guardavano senza farsi notare, gli occhi di Regina, quelli di Robin, finché ad un tratto si incrociarono per poi abbassarsi quasi immediatamente.

Entrambi però, poterono giurare che l’altro avesse sorriso o forse se l’erano solo immaginato?

Ben presto il pasto terminò e si ritrovarono soli accanto al fuoco, nonostante la primavera fosse iniziata, l’inverno non sembrava averle ceduto del tutto il passo e c’era un venticello ancora freddo a muovere le foglie e i rami degli alberi.

“Mi complimento con voi, Regina, il tacchino era davvero ottimo” le disse Robin, sperando che almeno questa semplice considerazione non la mettesse in imbarazzo o le desse fastidio.

La donna sorrise tiepidamente.

“Vi ringrazio”.
“Mi stavo chiedendo se vi andasse …” iniziò l’uomo, cercando di intavolare un discorso con lei.

Regina, che aveva tutto meno che voglia di parlare, troncò ogni sua iniziativa.
“Sono molto affaticata, se non vi dispiace, preferirei riposare un po’, credo che la febbre non mi abbia ancora abbandonato del tutto”.
“Certo, non vi preoccupate, Vostr- volevo dire, Regina. Vi accompagno alla tenda”.
“Grazie” disse lei a bassa voce.

L’accompagnò alla tenda vicina, la salutò e poi si allontanò per cercare della legna da ardere che mantenesse il focolare acceso durante la notte.

Regina invece non riusciva a chiudere gli occhi, era presto, poco dopo mezzogiorno, non le avrebbe fatto male riposare un po’ per guarire più in fretta, per far sì che la stanchezza e la spossatezza che sentiva sin dentro le ossa si attenuasse almeno un po’.

Pensò a Henry, non aveva fatto altro in quei giorni, pensava che, nonostante lui fosse al sicuro a Storybrooke con Emma e i due idioti, che stesse bene, lei non poteva vederlo, abbracciarlo, sentire la sua risata echeggiare nell’aria.

Delle lacrime calde le rigarono il volto, era profondamente triste, in un modo doloroso, un modo che non le dava pace, che non le avrebbe mai dato pace sinché lei non fosse riuscita a stringerlo di nuovo tra le sue braccia.

E sapeva che probabilmente non sarebbe stato possibile e in cuor suo era certa che non sarebbe stato facile.

In cuor suo era conscia del fatto che avrebbe tentato fino a che avesse avuto respiri, fino a che avesse avuto l’ultimo briciolo di linfa vitale per lottare.



NdA:
Eccomi qui (di nuovo e in anticipo), ero particolarmente ispirata in questi giorni e non ho potuto fare a meno di continuare a scrivere, ecco il motivo di questo  aggiornamento repentino.
Sono felice di vedere che la storia sia stata inserita nelle preferite da 2 persone e nelle seguite da 7.
Se avete voglia di dirmi cosa ne pensate, le recensioni sono benvenute
A presto
lulubellula
 
 
   
 
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