Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Segui la storia  |       
Autore: A Modern Witness    26/03/2014    3 recensioni
Affido la vita di mia figlia, la sua felicità e il suo futuro a Jared Leto.
Perché lui?
Perché non i nonni?
Perché non Amelia?
Perché mamma?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Pioggia di ricordi'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 


Capitolo 8.

Luglio 2012, Los Angeles
Emma afferrò il telefono di Jared, rimanendo perplessa nel leggere il numero sconosciuto che scorreva sullo schermo. Accettò la chiamata, ma non ebbe nemmeno il tempo di rispondere.
«Parlo con il signor Jared Leto?» Proruppe una voce femminile con un forte accento britannico.
«No, sono Emma…»
La donna non la lasciò finire di parlare «Ho bisogno di parlare urgentemente con il signor Leto».
Emma alzò un sopraciglio e iniziò a dirigersi verso la sala d’incisione «Può tranquillamente dire a me» Offrì lei, mantenendo una calma stoica, al confronto del chiaro nervosismo di quella donna.
«Mi dispiace ma è un questione privata, posso parlarne solo con lui» Ribadì nuovamente la donna, affatto toccata dalla gentilezza che Emma aveva provato a dimostrare. Entrò nello studio e cercando di non dare troppo fastidio, limitandosi a picchiettare sulla spalla di Jared, chino su alcuni fogli.
«Jared, c’è una donna, probabilmente inglese, che ha urgente bisogno di parlare con te» Riferì la donna, allungando il Blackberry al cantante.
Lui l’afferro confuso, provando a chiedere ad Emma di chi si trattasse. Tuttavia quella donna non le aveva nemmeno detto come si chiamasse, quindi fece spallucce scuotendo la testa.
«Sono Jared Leto, posso sapere con chi sto parlando?» Rispose, guadagnandosi un’occhiata interrogatrice da parte di Shannon, che lo seguì con lo sguardo mentre usciva sul retro.
«Buongiorno Signor Leto, sono l’avvocato Magda Simons, la sto chiamando da Londra. Mi spiace dirle che la signoria Sophia Campbell c’ha lasciato durante la mattinata di ieri…»
Dopo quelle parole, non riuscì più a capire quello che l’avvocato aveva da dirgli. Si lasciò cadere su un lettino, messo lì a bordo piscina.
Erano passati diciassette anni, dall’ultima volta e quelle parole squarciarono prepotentemente i suoi ricordi.
In due minuti, fu sopraffatto dalla emozione di due anni, che aveva difficilmente archiviato.
Sentì freddo, anche con il caldo di Los Angeles.
«E’…morta?» Gli uscì come un sibilo dalle labbra, il solo pronunciare rendeva tutto più vero.
Magda non rispose subito «Mi dispiace Signor Leto» Quelle parole valsero più di qualunque sì.
Si passò una mano sul mento, sulla bocca, con fare nervoso, non voleva crederci. Gli occhi spalancati fissi sulla superficie immobile dell’acqua. Non doveva essere vero, non così dal nulla. Perché non glie lo aveva detto? Si sentì improvvisamente arrabbiato con Sophia, con quel suo essere testarda fino alla fine.
«Senta…» Riprese la donna, con tono più pacato «…non è una situazione facile Signor Leto. Però, lei dovrebbe presenziare alla lettura del testamento della Signorina Campbell, mercoledì 12 Luglio».
«Perché?».
La sentì sospirare, cosa poteva avergli lasciato?
«E’…non è opportuno parlarne al telefono, mi creda».
Jared si accigliò «Mi sta chiedendo di fare un viaggio in aereo di una ventina di ore, non crede che debba sapere quale sia il motivo?» Le fece notare, per nulla interessata dal tono arrogante che aveva usato.
Magda sospirò un’altra volta, comportamento che fece innervosire ancora più Jared.
«L’ha citata nel testamento in merito alla figlia Anthea. La signorina Campbell ha chiaramente espresso la volontà che sia lei a prendersi cura della figlia

Londra
Gli sembrava così strano essere a Londra per una situazione privata, piuttosto che per un concerto o un’intervista. Era scombussolato dall’idea di essere lì e sapere di non poter vedere Sophia, di non aver un ristretto margine di possibilità per poterla vedere, come gli capitava tutte le volte che si trovava in quella città; inconsciamente c’era sempre quel barlume di speranza.
Lei non c’era più, c’era solo Anthea.
Aveva pensato tanto a quella ragazza, chiedendosi come fosse: il colore degli occhi, i tratti del viso, se somigliasse a Sophia, se aveva ereditato da lei lo stesso carattere arrogante e menefreghista, ma con un’anima dalla sensibilità rara.
Oppure, fosse come lui. Lo stordiva, pensare che Anthea fosse sua figlia. Per tanto tempo era stata solo una consapevolezza, una presenza che aveva sempre collocato a Londra. Per tutto quel tempo sua figlia per lui non aveva nemmeno mai avuto un nome. Sapeva che c’era, ma non la percepiva come una realtà da affrontare, da vivere.
Ed era spaventato da questo, perché lui non aveva mai pensato di poter aver un possibilità con lei. Sophia glie lo aveva impedito sin da subito, andandosene da Los Angeles. Così, sapere che a breve, forse una questione di ore, minuti, l’avrebbe potuta vedere, lo faceva rabbrividire. Gelare sul posto. Era completamente impreparato ad un’incontro del genere, non era nemmeno sicuro di aver metabolizzato al meglio tutta quella storia. Anzi, una parte di lui ancora non aveva accettato la scomparsa di Sophia.
Eppure era lì, cappuccio calato sulla testa e occhiali da sole, nella vana speranza di non essere riconosciuto, dato che non aveva dato notizia della sua partenza per Londra.
Afferrò il trolley e si diresse verso la zona degli arrivi, senza nemmeno alzare la testa verso i cartelli, conosceva fin troppo bene l’aeroporto di Heathrow.
Le porte si aprirono e cercò subito di individuare Amelia, la migliore amica di Sophia. Era stata la Simons a metterlo in contatto con la donna, lasciandogli una numero di telefono. Tuttavia lei aveva preferito una videochiamata per Skype, in modo tale che la potesse vedere.
Non fu difficile individuarla: i capelli color carbone che le cadevano oltre la spalle, gli occhi castani, che in quel momento erano tutto fuorché caldi e dolci. I lineamenti morbidi del volto, infatti, erano contratti in’espressione seria, tesa, evidentemente preoccupata dal fatto di non aver idea di come comportarsi con lui.
Jared le si avvicinò e lei spostò il peso da una gamba all’altra.
«Amelia?» Le chiese una volta che le fu accanto.
Lei annuì «Chiamami Amy. Andiamo» Replicò pacata, precedendolo verso l’uscita dall’aeroporto. Uscirono in completo silenzio. Amelia voleva solo salire in macchina e togliersi la tensione e la paura che qualcuno riconoscesse Jared con lei.
«Uhm…Jared?» Lo chiamò, prima di salire in macchina, dopo aver messo la valigia del cantante nel baule della vettura. Lui alzò la testa verso di lei «Ho immaginato tu non volessi far sapere che eri qui a Londra, ho pensato che prenotare una camera in hotel non fosse il caso. Se per te va bene, io a casa ho un camera in più, potresti stare da me in questi giorni» Snocciolò con un certa velocità, che dava prova di quanto fosse agitata in quel momento.
Jared le sorrise, grato «Se non è un problema, accetto volentieri» Replicò, salendo in macchina, seguito poco dopo da Amelia
«Non è assolutamente un problema» Ribadì lei, mentre metteva in moto.
«Vivi da sola?» Le chiese il cantante, sperando di non ripiombare in quel silenzio di poco prima.
Amelia scosse la testa «No, sono sposata» Si morse un labbro «Con Jocelyn, spero che per te non sia un problema alloggiare da una coppia di lesbiche».
Lui fece spallucce, forse era meglio così «No, anche se non mi è mai successo».
Lei sorrise, forse più serena «E’ una cuoca, quindi puoi chiederle qualunque cosa tu voglia. Anzi, mi ha detto di metterla alla prova con qualcosa di difficile, non ha mai avuto a che fare con vegano» Lo guardò brevemente, indecisa «Anthea è vegetariana come Sophia, con loro è più semplice».
Quell’informazione ebbe in lui un effetto strano, come se già iniziasse a riconoscersi in Anthea.
«Vive con te? Anthea, intendo» S’informò.
Amelia s’irrigidì visibilmente, ma cercò di non pensarci «Fino a ieri sì. Tuttavia, in questi giorni è casa dei nonni, ma non credo la vedrai fino a dopo domani… alla lettura del testamento di Sophia» Indugiò un po’ troppo sulle ultime parole, sapeva cosa aveva fatto Sophia per tutto quel tempo.
Jared annuì, consapevole di non poter chiedere di vederla e che molto probabilmente Anthea avrebbe rifiutato la sua proposta.
«Ci sono un paio di cose di cui Sophia mia ha chiesto di parlarti» Incalzò Amelia, catturando l’attenzione di Jared «Per questo vorrei portati a casa sua, a patto che per te vada bene, ovvio. Saremmo più tranquilli».
Quella non era casa di Sophia, fu il primo pensiero di Jared, una volta varcata la soglia dell’abitazione.
Troppo ordinaria, banale, non c’era nulla che desse l’idea che la ragazza che lui aveva conosciuto fosse vissuta lì.
Ricordava bene il suo appartamento di Los Angeles, il disordine comandava, anche quelle poche volte che si decideva a pulire. Era una locale troppo piccolo e castigato per contenere tutte le sue tele, i colori sparsi qua e là, gli innumerevoli pennelli, tutti raccolti in piccoli vasi o addirittura in una vecchia teiera. Inoltre il pavimento non era mai riuscito a vederlo, sempre tappezzato da fogli di giornale, per non rovinarlo. Tuttavia quell’appartamento aveva sempre rappresentato Sophia, perennemente estraniata da tutto, chiusa nella sua bolla d’arte, tant’è che a volte non usciva di casa per settimane intere per lavorare a un quadro.
Quella casa, invece, un’anonima casa inglese era il completo opposto. Però, Jared, si concesse il dubbio di credere che tutto quell’ordine fosse dovuto al fatto che lei non c’era più.
«E’ sempre stata così?» Chiese ad Amelia, che era appena entrata.
Lei lo guardò confusa «Cosa intendi?».
Il cantante si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa che nemmeno lui sapeva «Così ordinato, tutto al posto giusto. E’ sempre stata così questa casa?».
Amelia annuì «A Sophia non piace...» Sospirò, non si sarebbe ma abituata a parlarne al passato «…piaceva il disordine, aveva un’ossessione per le pulizie.» Raccontò «E la rispecchiava molto. Da quando la conoscevo non ha mai esagerato. Era abbastanza pacata, anche nel modo in cui dipingeva. Vieni in cucina, ti offro qualcosa» Lo invitò, recandosi nella stanza adiacente al salotto su cui si apriva l’entrata principale.
Pacata? Sophia? Si trovò a pensare Jared, mentre si sedeva.
«In che senso era pacata?» Chiese, mentre Amelia gli allungava un bicchiere d’acqua.
Lei si sedette «Beh non si lasciava andare molto facilmente, con nessuno. Pacata, nel senso che era molto razionale, quasi prevedibile nelle scelte che prendeva. Solo con Anthea si scioglieva un po’, anche se abbastanza protettiva nei confronti della figlia, ma è sempre stata così che io ricordi».
Jared prese un sorso d’acqua, senza riuscire a riconoscere in quella parole Sophia.
«Ti ha mai parlato di... Los Angeles?» Si ritrovò a chiedere, speranzoso.
Amelia scosse la testa «Mi ha accennato qualcosa, qualche mese fa in un momento di sfogo, ma è quasi niente» Replicò, guardandolo negli occhi, capendo che non era quello che voleva sentire. Jared desiderava che lei gli dicesse che Sophia aveva parlato di lui.
Infatti stava per chiederle qualcosa a riguardo, ma lei non glie lo permise, precedendolo «Hai intenzione di accettare l’affidamento di Anthea?» Gli chiese con una nota d’irritazione che il cantante non comprese.
Il cantante spostò lo sguardo, sulla credenza della cucina. Oltre i vetri delle ante si potevano vedere tutto i piatti, i bicchieri, le tazzine impilate o sistemate con precisione. Quello non era il modo di fare della Sophia che lui ricordava.
«Accetto l’affidamento» Ammise senza scrupoli, aspettando che Amelia gli domandasse quali motivazioni lo avrebbero portato a una decisione simile.
«Ne sei convinto?» Indagò la donna, sporgendosi verso di lui, incrociando il suo sguardo con quello dell’uomo, alla ricerca di qualche titubanza, qualsiasi ombra di dubbio che aleggiasse nella sua testa.
Ne era sicuro? Si domandò a sua volta Jared, sarebbe stato in grado di gestire la situazione? Con suo fratello, svelandogli di essere stato con Sophia poco prima che le partisse e che quell’unica volta aveva messo al mondo una nuova vita.
«Sì» Replicò semplicemente.
«Promettilo Jared, stai togliendo ad Anthea la sua vita qui a Londra» Lo incalzò lei seria.
Jared non le rispose subito. Fino a quel momento non aveva considerato quell’aspetto, mettere Anthea davanti a una scelta già presa da lui e la madre. Non ci aveva pensato, ma, forse, un cambio radicale non era un pessima soluzione per andare oltre quel lutto.
«Lo so, te lo prometto Amelia…».
«Ho la tua parola?» Lo interruppe lei, continuando a guardarlo dritto negli occhi.
Jared non comprendeva quella necessità di certezza. Nonostante questo cercò di mettersi nei panni della donna: sicuramente aveva visto crescere Anthea; probabilmente al conosceva quanto Sophia e vi era affezionata alla stesso modo e il pensiero di vederla partire verso l’altra parte del continente, doveva essere un’orribile consapevolezza.
«Sì, non…» Provò a tranquillizzarla, ma non appena disse “sì”, Amelia si era alzata diretta in salotto, doveva aveva raccolto da una tavolino una busta bianca. Tornata in cucina la porse a Jared, con un espressione indecifrabile in volto.
«E’ da parte di Sophia, voleva che tu sapessi» Mormorò colpevole, prima di sedersi nuovamente davanti al cantante.
Jared l’aprì bisognoso di quelle parole. Bisognoso di sapere che Sophia non l’aveva dimenticato, che lo aveva portato tutto quel tempo nei suoi i ricordi, dato che il suo cuore apparteneva a Shannon.
Iniziò a leggere, lasciando che un piccolo sorriso gli sfuggisse per quell’ironia che Sophia riusciva a ostentare anche nei momenti più difficili. Il destino, questo mio vecchio amico. Tuttavia quel sorriso morì. Evaporò dalle sue labbra, come acqua sotto il cocente dolore del sole. Mia e di Shannon, nostra figlia.
Rimase con gli occhi fissi su quella riga. Interminabili, lunghissimi minuti.
Tradito, illuso, umiliato, ingannato, non sapeva quale tra queste sensazioni era più adatta a sé stesso in quel momento, ma sapeva che c’era una forte componente di rabbia, di rabbia cieca, che lo avrebbe portato a ridurre quel foglio in brandelli di una verità scomoda e crudele, pur di dar retta all’egoismo, pur di non liberarsi dell’idea che Anthea era sua figlia.
Perdona la mia crudeltà. No! Non le avrebbe mai concesso quel lusso, non mentre lui era costretto ad accantonare un’immagine così piacevole di lui nei panni di padre.
Non me ne pento, c’era scritto nella riga successiva. Tipico di Sophia, pensò Jared, abbandonando con stizza la lettere sul tavolo, girandola, in modo da non dover contemplare la presenza di quelle parole.
Illuso, fregato per l’ennesima volta da quella donna, a tal punto di sentire gli occhi pizzicare, a prova di quanto ancora Sophia lo influenzasse ancora.
In pochi secondi era tornato ad essere Jared, Jared Leto il cantante dei Thirty Seconds to Mars, artista eclettico e poliedrico, appassionato oratore; fratello di Shannon e figlio di Costance. Nulla di più, non c’era più una figlia che avesse potuto ereditare parTE di lui. Svanito, spazzato via con una tale brutalità, da lasciarlo sconvolto nel rendersi conto quanto l’idea di essere padre si fosse radicata nella sua testa, mentre questo compito spettava a suo fratello Shannon.
Un’altra volta.
La seconda volta.
Dopo diciassette anni, Sophia aveva mantenuto solo l’amore per Shannon.


NDA:
*Saluta con la manina*
Intanto, perdonate se ci sono errori/orrori di grammatica o qualsiasialtracosa specialmente nell’ultima parte, ma ho praticamente scritto il capitolo di getto e sicuramente avrei potuto aggiungere dell’altro, sarebbe stato solo ripetitivo (mentre, per quanto riguardo per come va avanti il soggiorno a Londra di Jared dopo la ”scoperta”, ci sarà un altro flashback più avanti che si rifarà a questo periodo), e gli ho semplicemente dato una letta straveloce. 
Avrete capito che comunque non sono il tipo da dilungarsi troppo, non sono nemmeno un’appassionata dei capitoli lunghi e che, come stile personale, preferisco di gran lunga una capitolo dalla lunghezza ”normale”, ma che vada diretto al punto, anziché girarci a torno. Perché ve lo sto dicendo? Beh, perché questo capitolo mi preoccupa e non molto, benché l’idea nella mia testa fosse ben chiara, entrare nella testa di Jared non è facile, ma in generale non è mai semplice con persone che non conosci direttamente, tanto più in una situazione del genere.
Perciò spero di avermi trasmesso il quello che io desidero venga fuori dai pensieri del cantante, non vorrei che la brevità de capitolo incidesse su questo, anche se credo sia proprio così.
 
Comunque… per il capitolo devo ringraziare LenahBeau che mi ha dato l’idea, altrimenti questo e quell’altro flashback non ci sarebbero mai stati. Grazie ancora!
Cos’altro? Ah sì, per il prossimo capitolo credo, anzi prevedo una minore attesa…ma non vi do garanzie, dato che ci devo lavorare su.
Ho detto tutto, ora lascio a voi la parola, fatemi sapere che ve ne pare, se avreste voluto sapere di più, se per voi manca qualcosa…insomma, tutto quello che vi passa per la testa, anche insulti, possono sempre essere costrutivi :D
Alla prossima,
Silence.





 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: A Modern Witness