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Autore: bibiru    28/03/2014    2 recensioni
In questo mondo solo due cose sono giuste: il sonno e la morte.
In entrambe le situazioni siamo innocenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Chen, Chen
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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20 Novembre 2013

 

"…condanna Kim Jongdae, nato il 21 set…"

Il resto delle parole si perse nell'aria, senza mai raggiungere le sue orecchie.

 

Il ragazzo si accasciò sulla sedia, senza più lacrime. Solo occhi deserti e asciutti, sguardi vuoti. Si sentì un urlo disperato alle sue spalle. Registrò solo dopo pochi secondi che doveva essere sua madre. Ma non fece nulla. Non si voltò, non provò nemmeno a nascondersi, mentre la sua figura venne travolta dalla marea accecante di flash. Il suo volto sarebbe apparso in prima pagina su tutte le testate nazionali e lui non poteva evitarlo. Immobile, vide nella periferia della sua visione statica il suo avvocato inchinarsi profondamente.

 

"Ho fatto tutto quel che ho potuto."

 

Non sentì nemmeno quelle parole, ingoiate nel sottofondo di voci di persone in parte dispiaciute e in parte decisamente felici perché la Giustizia aveva svolto il suo compito. 

Come un automa si alzò e seguì le guardie carcerarie, una di loro gli offrì la sua nuova divisa da detenuto speciale. Venne scortato in un'ala del carcere a lui sconosciuta: i condannati lì erano estremamente silenziosi, probabilmente immersi nei loro calcoli, a controllare il calendario, a osservare il mondo al di là delle sbarre consumarsi secondo dopo secondo.

 

 

I primi giorni furono governati dal vuoto. Non mangiava, non beveva, non dormiva. Perché avrebbe mai dovuto continuare? Non si curava più di se stesso, né gli interessava farlo.

Il che per lui era un po' strano. Era stato un bravissimo infermiere, prima di entrare là dentro, e tutti lo amavano. Aveva passato la sua vita sorridendo e dando gioia e sollievo alle persone. Proprio prendersi cura degli altri l'aveva portato fino a lì, fino a quella cella sempre troppo poco utilizzata.

Furono giorni di solitudine, poiché era recluso in regime di isolamento. Se ne stava seduto sul pavimento, la schiena contro il muro e gli occhi vitrei fissi sulla porta di metallo della sua stanza chiusa e asfissiante. Non sentiva nemmeno la necessità d'avere il beneficio della sua ora d'aria.

 

Il processo era stato decisamente lungo e stancante. I mesi passati a fare avanti e indietro dalla sua cella sembravano non finire mai e ora aveva tra le mani una certezza che scottava più del fuoco. La mattina del verdetto aveva salutato con sincero affetto i suoi vecchi compagni di cella e quelli delle celle vicine. Avevano passato la notte a dire che non avrebbero più saputo che fare senza di lui, che la sua colpa non era così grave e che, al contrario, quello che aveva fatto era un gesto da apprezzare, quasi un gesto da eroe.

 

Ma per la Giustizia a quanto pare non era così.

 

Poche parole e il suo entusiasmo era evaporato come rugiada al sole. Si era condannato da solo a tutto ciò. E in questo vuoto bianco e piatto, fatto di 4 muri, un pavimento di cemento e una porta di freddo metallo, ci era rimasto due mesi senza quasi che se ne rendesse conto.

 

 

 

 

14 Gennaio 2014

 

Quella mattina una guardia carceraria lo prelevò dalla sua cella. Quando sentì lo strumentare metallico della chiave nella serratura a un orario insolito, il suo cervello diede il primo segno di vita dopo settimane: allarme. Un intenso sudore freddo aveva già invaso i palmi delle sue mani quando si alzò dal pavimento, seguendo la guardia, in assenza di cose migliori da fare.

 

La guardia lo scortò per nuovi corridoi sconosciuti, anch'essi silenziosi. 

 

Quanto tempo era passato da quando era stato in isolamento? Era già giunto il suo momento? Una goccia di sudore scivolò sulla sua fronte e s'adagiò sul sopracciglio, teso a formare una faccia grottesca e spaventata. Si guardava intorno, ma quel che vedeva erano solo celle con reclusi ancora addormentati. Lo scalpiccio delle loro calzature avanzò fino all'ennesima cella: dietro alle sbarre un ragazzo che poteva avere la sua stessa età leggeva un giornale con uno sguardo abbastanza dispiaciuto. 

 

"Hej, tu, laggiù! Hai un nuovo amico!"

 

Quello non si voltò neppure, mentre Jongdae venne pressoché spintonato all'interno della cella. Il senso d'allarme nel suo cervello venne a scemare, sostituito da imbarazzo misto al non sapere esattamente che cosa fare, soprattutto dopo due mesi di isolamento. Fissò il pavimento di freddo cemento, avanzando lentamente nel piccolo loculo.

 

"Un peccato, vero?"

 

Jongdae alzò gli occhi.

 

"Cosa?” 

 

"Era così giovane, più di me… ed è morto."

 

Jongdae guardò quella figura stagliarsi contro la luce opaca, che continuava a tenere gli occhi fissi sull'articolo.

 

"Come, scusa?"

 

"Quel Kim… lo scrittore… è morto ieri."

 

Disse le ultime tre parole sollevando il volto, facendole seguire da un sospiro quasi arrendevole alla dura realtà, fissando per la prima volta il suo nuovo compagno di cella.

 

"E' un peccato, mi piacevano i suoi libri. Non sapevo fosse malato."

 

Solo quando si alzò dalla sedia di legno, Jongdae lo guardò in viso, mentre l'altro gli allungò amichevolmente una mano.

 

"Byun Baekhyun, piacere di conoscerti."

 

Aprì la bocca e non ne uscì un alito. La gola era secca di parole, oramai poco abituata a tesser discorsi.

 

"… e tu dovresti essere Kim Jongdae. Non mi sarei mai aspettato che un giorno sarei stato il compagno di cella di una celebrità."

 

Jongdae sbattè le palpebre incredulo e confuso. Baekhyun allungò un braccio, indicandogli i giornali impilati in un angolo della stanza.

 

"Sai, non hanno fatto che parlare di te per mesi, che mi sembra già di conoscerti."

 

Jongdae ingoiò a vuoto. Che cosa avevano scritto di lui? Che idea sbagliata si era potuto fare?

 

 

"Non sono un assassino."

 

 

"Effettivamente non pari esserlo, ma la Giustizia e il mondo ormai hanno allacciato il tuo nome con questa terribile parola, quindi, anche se tecnicamente potresti non esserlo, la tua condanna è segnata. In ogni caso, ti do il benvenuto nella mia umile dimora."

 

Detto ciò, gli sorrise e si risistemò sulla sedia, immergendosi nuovamente nella lettura. Jongdae avanzò con passi incerti verso il letto appena rifatto, vuoto solo da qualche giorno. Si sedette nuovamente sul pavimento, come se fosse ancora in isolamento. 

 

"Quanto ti manca?"

 

A quanto pare il suo compagno di cella non si faceva troppi problemi riguardo la morbosità di certe domande. Non rispose. Non stava a contare i giorni, era alquanto inutile e doloroso. Si era riservato un posto in un limbo bianco, senza dolore né rimorso. Riviveva la sua colpa ogni dannato secondo in un flash e dentro di lui vigeva un senso di grande assoluzione per se stesso. Questa discrepanza tra realtà e mondo interiore aveva immobilizzato qualsiasi sensibilità per il mondo esterno.

 

"A me mancano quattro mesi. E' incredibile, vero? Sono qui e non posso nemmeno fare nulla per prepararmi. Però almeno ora ho i miei giornali. Era noioso senza."

 

Non ricevette responsi nemmeno a questa affermazione, né se l'aspettava.

 

 

 

Il mattino successivo Jongdae si svegliò ancora rannicchiato sul pavimento, una calda coperta a ripararlo dalla freddura notturna. Sbattè gli occhi, non riconoscendo il luogo intorno a sè. Solo dopo qualche istante la verità parve nuovamente affiorare: era chiuso in una nuova cella, in attesa del suo destino. Quanto gli mancava? Non lo sapeva. Lo sguardo librò sul letto sistemato davanti a sé, perfettamente rifatto contro il muro.

 

Byun Baekhyun.

 

Scattò in piedi, rammentandosi del compagno di cella. Possibile che non aveva potuto nemmeno salutarlo prima che se ne andasse via? Rimase immobile a fissare quelle lenzuola profumate e linde, incapace di formulare qualsiasi spiegazione a quell'assenza.

 

"Buongiorno, vedo che ti sei svegliato!"

 

La voce vagamente famigliare giunse leggermente metallica da dietro le sbarre. Si voltò in direzione di quelle parole e vide con sollievo che Byun Baekhyun era ancora lì, in carne e ossa, mentre una guardia estraeva la chiave giusta per accedere alla cella. 

 

"Kim, ci sono viste anche per te, sbrigati."

 

Annuì e uscì dalla cella, seguendo la guardia, mentre il suo compagno di stanza, stringendo trionfalmente tra le mani l'ennesimo quotidiano, si sistemò su quella sedia di legno un poco scricchiolante, la solita luce fioca a imbiancargli il profilo. 

 

 

 

"… E… Eomma!"

 

La donna seduta al di là del vetro rovesciava già abbondanti lacrime, tentando di contenere i singhiozzi per dare al figlio una parvenza di forza.

Jongdae sentì il cuore stringersi in un nodo e salire fino alla gola: la voce sarebbe uscita incrinata fin da subito.

 

"…mamma… che…  che cosa ci fai qui?"

 

"Sei …dimagrito."

 

Jongdae abbassò lo sguardo. Non si era preso cura di se stesso negli ultimi tempi, decisamente no.

 

"Promettimi che mangerai."

 

Annuì, silenzioso. 

 

 

 

 

"Cinque mesi."

 

"Cosa?"

 

Baekhyun fece cadere le pagine del quotidiano sul piccolo tavolo in un lento fruscio. 

 

"Mi mancano cinque mesi."

 

"Cavolo, che rapidità."

 

"Me l'ha ricordato mia madre."

 

"Oh, quindi era tua madre che t'aspettava. Sai, so che dopo l'isolamento è strano pensare che ci sia ancora qualcuno che si preoccupi per n-"

 

"Sta esagerando"

 

"Eh?"

 

Jongdae se ne stava in piedi davanti all'entrata della cella, le spalle basse.

 

Jongdae mugugnò quelle poche parole, che si librarono nette nel silenzio e scomparvero nelle orecchie del compagno.

 

Baekhyun sgranò gli occhi e s'alzò dalla sedia.

 

"…C …Cosa?"

 

"Già."

 

 

 

Jongdae non poteva credere alle parole di sua madre, ancora fresche nelle sue orecchie.

 

La donna parlava veemente al di là del vetro sfocato di fiate il figlio risollevò lo sguardo, ammutolito. Vide la madre alzare le mani in direzione del suo volto e accarezzare il vetro liscio in corrispondenza delle sue guance, lasciando che i suoi polpastrelli disegnassero linee disperate sulla superficie. Solo in quel momento una lacrima scivolò dall'angolo del suo occhio e crollò sul piano del tavolo.

 

 

 

Passò la giornata sdraiato sul suo letto a occhi chiusi, il suo compagno di stanza intento a rovistare tra i suoi vecchi giornali.

 

"Eccoti!"

 

Sentì il materasso del suo giaciglio sprofondare sotto il peso di Baekhyun.

 

"Questo è il primo articolo che hanno scritto su di te."

 

In tutta risposta, Jongdae gli voltò le spalle.

 

"Non sei nemmeno curioso di sapere che cosa hanno scritto su di te?"

 

"Per niente."

 

Baekhyun rilesse silenziosamente l'articolo. Una volta terminato, continuò a scorrere senza attenzione quelle parole, mentre una parola fuggì dalle sue corde vocali.

 

"Perché?"

 

Jongdae aprì gli occhi e fissò la parete contro cui stava il suo letto.

 

"Perché me lo avevano chiesto loro."

 

Sorrise leggermente, mentre il video mentale del suo peccato si riavvolgeva e veniva ritrasmesso nella sua mente. Decisamente il mondo non ha capito quanto possa essere dolorosa la malattia. Il mondo non ha compreso che ci sono persone che vorrebbero solo mettere fine a tutto ciò, ma non hanno i mezzi per farlo.

 

"…eutanasia."

 

Sospirò l'altro, rileggendo per l'ennesima volta le lettere stampate leggermente sbiadite.

 

"L'eutanasia non è legale qui."

 

Jongdae si voltò e si mise a sedere a fianco al suo compagno di cella.

 

"Lo so, ma capisci che è ancora più illegale vedere una persona soffrire ogni singolo istante della sua vita? Capisci che ti guarda tutti i giorni con uno sguardo di supplica, che non riesce più a sopportare l'idea che la sua famiglia lo veda come un morto che respira grazie all'aiuto di una macchina artificiale? Capisci che questa persona maledice ogni mattina che si sveglia, maledice ogni alba che allunga i suoi raggi nella sua stanza e vorrebbe gridare ai suoi figli, a sua moglie, a sua madre di ucciderlo in qualsiasi modo? Lo capisci che questa è una crudeltà illegittima? Tu lo puoi capire, Byun Baekhyun?"

 

Erano giunti a guardarsi negli occhi, quelli di Jongdae decisamente infervorati.

Baekhyun si ammutolì, incapace di dare una risposta alla domanda dell'altro e abbassando lo sguardo, osservando le sue dita seguire la linea dei bordi sgualciti e ingialliti del giornale risalente ad almeno un semestre precedente.

 

"Se devi fare del bene alle persone, lo devi fare fino in fondo. 

Sono un uomo miserabile."

 

 

 

Jongdae passò tutta la notte ad annegare il suo cuscino di lacrime. Fu la prima volta che pianse dopo il verdetto finale. A un orario imprecisato del primo mattino sentì delle lunghe dita intrappolare piano quei ruscelli amari, cercando di dare sollievo al ragazzo. 

 

Baekhyun l'aveva assolto in cuor suo.

 

Jongdae gli rivolse uno sguardo intimidito, ma grato, incapace di aprire la bocca impastata di disperazione. Parole non dette riempirono il silenzio dell'aria leggera della cella. L'oscurità era loro compagna e Baekhyun chiuse gli occhi, giocherellando con le ultime lacrime che percorrevano i solchi scavati nei suoi zigomi. Alle prime luci dell'alba il ragazzo osservò il suo volto ormai rasserenato e dormiente. Rassicurato, s'alzò e si sdraiò sul suo letto, pensieroso.

 

 

La mattina successiva si svegliò con il sole già alto in cielo. Si stropicciò gli occhi e la prima cosa che vide tra le chiazze scure della sua visione fu un Jongdae sorridente, seduto sul suo letto con le spalle contro il muro, tutto intento a osservarlo.

 

"Buongiorno."

 

Baekhyun sentì un macigno pesante atterrargli nello stomaco. Ingoiò il nodo che gli si era formato in gola e rispose con uno strozzato buongiorno, incapace di sostenere ulteriormente la visione.

Quel ragazzo non meritava d'essere lì. Si morse le labbra e si rigirò nelle coperte, graffiandole appena con le unghie, travolto dal nervoso e dalla rabbia. 

 

Jongdae non si aspettava quella reazione, soprattutto non dopo quello che aveva fatto per lui quella notte. Si alzò e si diresse verso il compagno di cella.

 

"E'… è successo qualcosa?"

 

Nessuna risposta, solo uno stridere di denti contro denti, sotto quelle coperte Baekhyun era teso come un arco pronto per schioccare la freccia. Jongdae si avvicinò ulteriormente, il braccio teso verso di lui.

 

"…B …Baekhyun?"

 

"Non pronunciare il mio nome!"

 

Quelle parole urlate risuonarono nel vuoto della cella e del corridoio, suscitando la curiosità dei loro vicini di cella e di una guardia, che, prontamente, era già davanti alle loro sbarre.

 

"Che succede qui?"

 

Jongdae era rimasto immobile, mentre l'altro aveva accompagnato quelle parole di rabbia con un braccio che l'allontanava da sè. Che cosa aveva potuto fare adesso? Adesso che finalmente aveva guardato in faccia la realtà dei fatti e aveva accettato il suo destino, non voleva litigare col suo compagno di cella.

 

"Allora?"

 

"Niente"

 

Fu Baekhyun a mugugnare da sotto le coperte. La guardia rivolse a Jongdae uno sguardo intimidatorio e li lasciò nuovamente, zittendo gli altri reclusi rumorosamente curiosi. Jongdae si abbracciò, quasi come se sentisse freddo, e si portò all'altezza del piccolo tavolo di legno della loro cella, recuperando dalla superficie polverosa il quotidiano del giorno. Tornò al letto dell'altro e poggiò le morbide pagine di carta riciclata sulla coperta raggomitolata.

 

"Grazie per stanotte. Quello che hai fatto è stato molto importante per me."

 

Detto ciò, il silenzio si rimpossessò della cella.

 

 

La mattina successiva Jongdae si risvegliò in una cella vuota, una coperta abbandonata sul letto disfatto dell'altro, il quotidiano del giorno precedente giaceva sul pavimento, le pagine sparse. Di Baekhyun nemmeno l'ombra.

 

Jongdae sospirò e si chiese che cosa avesse potuto fare per meritarsi un trattamento del genere. Non riusciva a spiegarsi come una persona potesse passare dal cercare di rincuorarlo a trattarlo tanto male. Sistemò entrambi i letti e poggiò sull'altro il quotidiano fresco di stampa, puntualmente lasciato all'ingresso della cella.

 

Quando Baekhyun rientrò, solo nel tardo pomeriggio, aveva una mano fasciata. Jongdae lo accolse con un sorriso e Baekhyun parve fragile, le spalle curve sotto il peso di una colpa invisibile. 

Quando Jondae allargò le braccia, Baekhyun vi si buttò senza esitazione, appoggiando la fronte sul petto dell'altro. 

Quando non si dissero nulla, non sentirono il bisogno di riempire quel silenzio.





{BBru's note.
NO, NON SONO SCOMPARSA! I'm still alive!!!! Ora ora ora: in questi mesi la mia assenza è dovuta a diversi motivi -tra università, ritorno in Italia e pc andato al diavolo ho perso molto tempo-, ma, come anticipato a giusto poche persone, ho iniziato a scrivere quello che state leggendo. Penso che sarà una ff di 2 o 3 capitoli e penso che anche per questa serviranno i fazzoletti.
Spero possiate apprezzarne la lettura!

A presto -spero, incrocio le dita-!

AH! Scusate per gli Anterograde Tomorrow feels kkk

BBru}

  
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