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Autore: Firnen bjartskular    29/03/2014    4 recensioni
Un punto verde baluginó all'orizzonte.
Non poteva essere lei, non poteva essere tornata così, senza preavviso per rompere la pace e il debole equilibrio che si erano formati negli anni in cui avevano perso il contatto, eppure il suo amore per lei restava immutato, un sentimento profondo e sincero, un ardore forse anche aumentato nel corso degli anni con il desiderio di vederla
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya, Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio, Un po' tutti | Coppie: Eragon/Arya
Note: Lime | Avvertimenti: Bondage
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Breoal'
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New Carvahall
Lifaen disse sicuro una frase nell'antica lingua, un'improvvisa esplosione di luce mi costrinse a schermare gli occhi con la mano. Un enorme ovale iridescente comparve nella radura, i due fratelli lo guardarono titubanti, poi, mano nella mano, varcarono il portale. Le figure dei miei amici si fecero sempre più sfuocate, li vidi alzare un braccio in segno di saluto, poi i loro corpi vennero lambiti da sfere di energia, le loro immagini si deformarono e, in un'altra esplosione di luce, l'ovale scomparve. 
Eragon mi guardò stranito, ed io ricambiai il suo sguardo.
- Dovremmo andare
Mi disse infine, assumendo un'espressione tra l'eccitato e l'impaziente.
Io annuii, e, dopo aver salutato mia madre, montai in groppa a Fìrnen.
- Pronta?
Mi chiese, inviandomi una scarica di adrenalina
- Sì
Risposi io altrettanto euforica.
Ogni volta che volavo con lui, mi sembrava la prima, quelle che provavo in sella al mio drago erano sensazioni impossibili da descrivere.
Sentii i muscoli di Fìrnen, contrarsi per darsi lo slancio, dopo una breve rincorsa, fece un balzo e aprì le enormi ali, istintivamente, strinsi più forte la punta cervicale difronte a me. Quando guardai in basso, una sensazione di vuoto mi pervase, ma era piacevole, naturale. Guardai in alto. Migliaia di stelle luccicanti affollavano il cielo scuro, che verso il basso schiariva, assumendo i colori dell'alba. Una leggera brezza mi accarezzò il viso. 
Appena i due draghi, presero un'andatura più stabile, cercai di contattare telepaticamente Eragon.
Nella sua mente, non trovai le solite barriere, ma la mia immagine, immersa nel nulla più assoluto, non pensava a nient'altro.
Provai a chiamarlo, ma non ottenni nessuna risposta.
- Attento ai Fanghûr*!
Gridai.
Lui parve svegliarsi da un sonno profondo, sguainò Brisingr, scandendo il nome della spada, che si infiammò di colpo. Non potei trattenermi dal ridere, mentre lui si guardava intorno spaesato.
- Ma sei impazzita?! Mi hai fatto 
prendere un colpo!
In tutta risposta, gli inviai l'immagine di lui che mi guardava, con un sorrisetto ebete stampato sulla faccia, anche Eragon si mise a ridere. 
- Cosa volevi chiedermi?
Sfogliai i miei ricordi, fino a trovare la domanda, che avevo totalmente dimenticato di voler porgere
- Com'é Carvahall?
Chiesi infine
- Non saprei risponderti, Roran mi ha detto che é totalmente cambiata, e, che del vecchio villaggio di contadini di un tempo, non rimane più nulla. Non sò proprio cosa aspettarmi, per me é come andarci per la prima volta.
- Com'era quando tu eri piccolo?
Era insolito per me porgere tutte quelle domande, ma non riuscivo a trattenermi. Mi incuriosiva sapere il punto di vista di Eragon sul suo villaggio natale. 
- Beh, a quel tempo, era composto da sei o sette abitazioni, messe in disordine in una valle in mezzo alle montagne. Di Carvahall non ricordo molto, se non gli inizi di primavera, celebrati con l'arrivo degli erranti, gli aromi delle spezie e il vociare dei bambini tra le bancarelle.
Sul viso del cavaliere si fece strada un'ombra di tristezza
- Ma la cosa più bella, era riunirsi ogni sera alla taverna di Morn, e, alla luce di un fuoco, ascoltare le vecchie storie di Brom. Quando ancora non sapevo che presto sarei stato catapultato in questo mondo, mi piaceva stendermi sull'erba, guardare le stelle, e sognare draghi ed elfi, immaginare come sarebbe stato volare alto nel cielo, ma nemmeno mi avvicinavo alla vera sensazione che si prova.
Concluse accarezzando il collo di Saphira.

Per tutta la durata del viaggio parlammo, ci esercitammo a respingere attacchi mentali e facemmo gare di indovinelli, che Saphira e Fìrnen, prontamente, vincevano.
Quando arrivò la sera, decidemmo di fermarci ad Osilon, ma, a meno di una lega dalla città, costrinsi Eragon
ad atterrare in una radura, tagliata a metà da un limpido ruscello.
- Che cosa vuoi fare?
Chiese lui, quasi intimorito dal mio comportamento
- Due corone che non mi riconoscono.
Risposi ammiccando, Eragon per poco non si mise a ridere.
- Oh, questa poi... Ma dai... Insomma, per me forse, c'é una minima possibilità, ma tu, sei la loro regina e...
- Alt! Principessa prego!
Lo corressi
- Va bene, principessa, ma non fa differenza, fino a ieri eri loro regina.
- Perchè cavaliere, dubita forse delle mie abilità di maga?
Gli dissi allora in tono di sfida
- Benissimo principessina del mio cuore, se sei tanto sicura delle tue abilità, allora non sarà un problema per te alzare la posta in gioco.
- Oh no che non lo é, ma quello che ci rimetterà sarai tu
Esclamai, sentendo la fiamma della determinazione ardere dentro di me.
- Neanche fosse la battaglia finale contro Galbatorix
Mi canzonò Fìrnen, percependo le mie emozioni
- Stupendo, chi verrà riconosciuto per primo, dovrà dare tre corone all'altro
Accettai le nuove condizioni.
Mi sedetti a gambe incrociate, sulla riva del ruscello, e iniziai le formule per il cambiamento delle sembianze. Eragon non aveva alcuna speranza contro di me, mi esibivo in quei trucchetti da secoli, e nessuno, dico nessuno, mi aveva mai smascherata, perchè dopo centosei anni, sarebbe dovuto succedere?
- Sembrate dei neonati
Commentò il mio drago
- Taci!
Gli intimai.

Dopo appena dieci minuti, mi specchiai nell'acqua limpida. L'opera terminata, era di sicuro quella venuta meglio tra tutte: pelle porosa, abbronzata e con qualche ruga sul viso, capelli più grassi e sbiaditi, tendenti al grigio, raccolti con un fermaglio, e per finire in bellezza, occhi azzurri e orecchie da umano. Con la magia indossai un vestito da donna, molto semplice, da viaggio, e uno scialle sulle spalle; ero irriconoscibile. 
Mi alzai, aspettando pazientemente che Eragon finisse di riformulare una frase che, a giudicare dal suo buffissimo aspetto, aveva sbagliato più di dieci volte.
Quando terminò, non era molto diverso: aveva gli occhi castani, e una folta barba copriva i suoi lineamenti, sembrava più vecchio, con sembianze umane. Ma aveva trascurato un unico dettaglio, che lo avrebbe di certo tradito. Il marchio dei cavalieri.
 
Non appena fummo in città, ci fiondammo verso una locanda.
Nella sala centrale, c'erano molti elfi, umani e anche due urgali, che parlavano di pettegolezzi, o delle ultime novelle del regno, quale la successione di Islanzadi. I presenti non ci degnarono di uno sguardo, ma quando uno dei custodi, guardò pigramente in direzione di Eragon, proprio come avevo previsto, vedendo il gedwey ignasia sul suo palmo, mormorò 
- Arget-lam
E nella piccola saletta fu tutto un vociare di 
- Ammazzaspettri
O anche
- Ammazzatiranni
Mi concessi un sorriso divertito, vedendo la faccia del mio compagno diventare rossa, e il suo incantesimo sciogliersi, rivelando le sue vere sembianze. Ormai era al centro dell'attenzione, così, indisturbata, mi diressi al bancone.
- Vorrei una camera per sta notte, se c'é posto, la  più economica
Chiesi con voce roca al proprietario
- Certamente! Il suo nome prego?
Domandò. 
Feci finta di schiarirmi la voce
- Hem, Maraya
- Molto bene, prima scalinata a destra, secondo corridoio, porta sei.
Disse porgendomi una chiave.

La mia stanza era una squallida topaia, definendola con un po' di decenza, ma ci ero abituata, ogni volta che capitavo in un villaggio, usavo lo stesso stratagemma, e mi venivano sempre riservati trattamenti del genere. Agire sotto copertura, mi faceva sentire parte del mio popolo, perchè entravo a far parte della vita quotidiana, senza che mi fosse concesso alcun favore.
Qualcuno bussò alla porta, interrompendo il filo dei miei pensieri.
- Avanti
Risposi io, intuendo l'identità della persona.
Quando Eragon entrò nella stanza, aveva lo sguardo basso.
Si stà quocendo nell'umiliazione 
Pensai.
Mi lanciò tre monete dorate, che caddero sulla palma della mia mano aperta
- Te le sei meritate
Mi disse, sedendosi sul bordo del letto, vicino a me
- Grazie, ci pagherò il conto domani mattina.

Quella notte, per me fu insonne, sia per il materasso, praticamente imbottito di sassi, sia per il continuo squittire dei topi, che avevo scoperto essere una famiglia, proprio sotto al mio letto, ma soprattutto per Eragon: non so cosa stesse sognando, e non lo voglio neanche immaginare, fatto sta, che, a tratti russava rumorosamente, un momento dopo, gridava dalla paura come un ossesso, con la fronte imperlata di goccioline di sudore, poi mormorava il mio nome e tornava a russare.
La mattina seguente, mi svegliai distesa sul pavimento, con la testa appoggiata sulle mani. Guardai in direzione di Eragon, da galant'uomo qual era, occupava tutto il materasso, aveva la bocca semiaperta e , di tanto in tanto, sussurrava parole senza senzo, alcune anche nella lingua dei nani. 
Non potendo più sopportare quella visione, ripresi le sembianze della vecchietta in viaggio, e mi diressi verso la sala comune, per fare colazione, dopo pochi minuti, anche l'ammazzatiranni mi raggiunse, sempre preceduto da inchini e sospiri di sorpresa. 
Quando finimmo di mangiare, mi diressi subito al bancone, riconsegnai la chiave, e pagai con due delle tre corone che avevo vinto la sera prima.
Quando stavamo per uscire, sentimmo un tonfo provenire da fuori: Fìrnen e Saphira erano atterrati sullo spiazzo davanti alla locanda. In pochi secondi, tutti i presenti si erano fiondati fuori dalla porta, per ammirare la magnificienza dei draghi. 
Con deliberata lentezza, io ed Eragon, raccogliemmo le nostre bisaccie e, con molta calma uscimmo anche noi.
Mi feci largo tra la piccola folla a suon di spintoni, e, come se fosse la cosa più normale del mondo, schioccai le dita, rompendo l'incantesimo, e tornando così nei panni di Arya dröttningu, la principessa degli elfi.
Osservai divertita le espressioni stupite sui volti degli spettatori, mentre mi vedevano salire agilmente in groppa al mio drago.
Saphira spiccò il volo e, prima che potesse farlo anche Fìrnrn gridai al proprietario
- É disarmante il modo in cui continui a non capire i miei trucchi, Dòlgät.
Ormai lo consideravo come un vecchio amico, ero stata lì talmente tante volte, e sotto identità così varie, che ne avevo perso il conto. 
- Ma mia signora, io non potevo sapere... Se me lo avesse detto, non le avrei assegnato quella camera!
Ma io non lo ascoltavo più, ormai stavo volteggiando nel cielo limpido, tipico delle stagioni primaverili, alle mie orecchie, la sua voce parve più un brusio di sottofondo.
A metà del pomeriggio, ci fermammo a Ceunon, dopo una breve sosta per le provviste, ripartimmo. Solo due ore dopo il tramonto, quando ormai il cielo era tinto di un blu scurissimo, avvistammo le luci di un'enorme città.
Eravamo ad un passo da New Carvahall, come l'aveva rinominata Roran, ma decidemmo lo stesso di accamparci nei paraggi, per arrivare in città, accompagnati dalla luce del sole.

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Quando Saphira atterrò davanti al portone principale della città, non riuscii a trattenere un " wohh " di ammirazione.
Quello che io ricordavo come un infinitesimale gruppetto di case chiamato villaggio, ora era un'enorme città, protetta da una spessa cinta muraria, alta più di trenta piedi. New Carvahall, occupava gran parte della valle Palancar. La sua struttura era simile a quella di Teirm: le case in prossimità delle mura, erano leggermente più basse, mentre quelle più vicine alla collina, dove torreggiava un castello degno di un re, erano più alte, per facilitare gli spostamenti degli arceri in caso di attaco. Il palazzo principale, era al centro della città, e, da una piazza attorno ad esso, avevano origine, quattro larghe strade, che portavano ad altrettante porte d'accesso. Lo stile architettonico, infinitamente più rozzo di quello elfico, era tipicamente umano, non era semplice, ma sfarzoso e imponente, solo Saphira poteva dire di non sentirsi piccolissima, dinnanzi alla grandezza dei monumenti e degli edifici. In qualche modo, mi riportava alla mente il tempo trascorso a Tronjheim. Proprio come nella città dei nani, due grifoni dorati, erano posti sopra mastodontici pilastri, che reggevano l'enorme acata della porta d'ingresso. Appena varcammo il portone, notai delle strane figure minute, avanzare vesso di noi erano incredibilmente simili ai... Nani!
Erano inconfondibili, con la loro folta barba raccolta in treccine, e la loro andatura saltellante.
- Arget-lam! Volete incontrare il conte Roran, suppongo.
Mi chiese uno dei due, io annuii, e, preceduti dai nani, ci incamminammo per la strada verso il castello.

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Mentre camminavamo, sentivo gli sguardi di tutti puntati addosso, ma, a differenza di quello che mi aspettavo, non erano ostili, ne diffidenti, bensì carichi di ammirazione e riconoscenza. Qualcuno, al mio passaggio, abbozzava una riverenza, che io, cortesemente, ricambiavo con un cenno del capo.
Eravamo quasi arrivati alla piazza principale, quando qualcuno urlò
- Oh, mocciosetto, ladro che non sei altro, se ti prendo ti dò una randellata in testa!
Un bambino sbucò da uno dei vicoli secondari, facendo ribaltare un carretto e rompendo un paio di porcellane, alle calcagna del ragazzino, un uomo, con un grembiule da cucina macchiato di sangue e un mattarello in mano.
Il poveretto, nella frenesia della corsa, mi venne addosso, facendomi perdere l'equilibrio, prima di cadere, inarcai la schiena, poggiando le mani a terra e facendo leva sulle braccia, sollevai le gambe e mi rimisi in piedi, la scena che  vidi, mi lasciò allibita: il bambino, era a terra, rannicchiato, sputava sangue mentre l'omone sopra di lui, lo percuoteva con il mattarello.
- Letta
Latrai infuriata. Tutto si fermò, il piccolo, spaventato, si rfugiò dietro di me, mentre tenevo stretta la presa dell'incantesimo su quel... Barbaro.
- Che é successo!
Esclamai indignata
- Quel fuori legge, si é intrufolato nella mia bottega e ha rubato la mia carne.
Spiegò l'uomo, con linguaggio un po' troppo colorito, cercando di divincolarsi. Con un gesto della mano, annullai l'incantesimo. Tirai fuori dalla tasca tre monete di rame dicendo secca
- Queste possono bastare, e ora veda di dileguarsi, che non si ripeta mai più!
Il macellaio mi lanciò uno sguardo velenoso, e, prese le monete, scomparve nella folla.
Mi abbassai all'altezza del bambino: era magrissimo, scheletrico, lo straccio che indossava, lo copriva appena. Aveva degli arruffatissimi capelli ramati, e una faccina spaventata.
- Come ti chiami?
Domandai, accarezzandogli una guancia
- Kémâl
Sussurrò impaurito
- Hai fame?
Anuì debolmente, mi diressi da una fruttivendola, appoggiai una moneta di rame sul bancone, e, senza dire una parola, presi un cesto di mele, che diedi in mano a Kémâl. Mentre il ragazzino divorava con avidità uno dei frutti, con l'aiuto di un incantesimo, ispezionai il suo corpo: tre fratture un'osso leggermente storto, graffi, abrasioni, soprattutto su mani e gambe, e, sul torace, lividi piaghe sanguinanti, dove il mattarello lo aveva colpito. Mi affrettai a guarire tutte le ferite, per alleviare il suo dolore, poi schioccai le dita, e una leggera tunica di pelle, prese il posto di quella sottospecie di vestito che aveva addosso. I suoi capelli si fecero lucidi, ordinati, e assunsero il profumo di muschio e pino selvatico, che a me tanto piaceva. 
Kémâl mi sorrise, un sorriso sincero, tipico dei bambini, nei suoi occhi azzurri si fece strada una nuova luce: gratitudine.
Mi inginocchiai difronte a lui
- Tieni
Dissi, porgendogli un sacchetto di monete
- Queste sono trenta corone, non spenderle in cose futili, io mi fido di te, e se qualcuno dovesse rubartele, non esitare a chiamarmi, nei prossimi tre giorni sarò al castello.
Feci indicando il palazzo sulla collina.
Il sorriso sul suo volto si fece ancora più largo. Ero consapevole del fatto che gli stavo offrendo una nuova vita, e mi sentivo bene per averlo fatto. Io ero ricca e lui povero, la mia era stata solamente fortuna, perchè sarei potuta essere io la bambina costretta a rubare per sopravvivere, che non sa se avrà mai un futuro.
- Grazie! Grazie davvero!
Mi disse il bambino, quasi commosso. Lo strinsi forte a me
- Non devi ringraziarmi. Dì a tua madre e alle tue sorelle che Arya dröttningu le saluta tantissimo.
Kémâl si ritrasse all'improvviso
- A... Arya dröttningu... Cioè la salvatrice del mondo conosciuto?
- Sì, ma per te solo Arya. 
Feci, baciandolo sulla fronte, lui mi abbracciò ancora una volta, poi corse via. Prima di scomparire dietro l'angolo, alzò un braccio in segno di saluto, io ricambiai allo stesso modo.

Senza dire una parola, mi avviai verso il castello, superando le guardie. Dopo qualche passo, mi girai. Eragon e i due nani mi guardavano atterriti, le loro mascelle quasi toccavano terra
- Beh, andiamo?
Li sollecitai.
Eragon mi si avvicinò alle spalle e mi chiese
- Ti piacciono eh?
- Che cosa?
- I bambini 
Rispose lui
Sorrisi appena
- Sì, sono così dolci e indifesi, mi fanno tenerezza
- É così anche con Ismira?
Chiese ancora

* flashback *

Ero seduta sul mio trono, la sala era deserta, anche gli uccelli si erano rifiutati di allietare, con il loro canto melodioso, le mie giornate, che da due anni a questa parte, erano diventate terribilmente noiose, ed io ero costretta a stare lì impalata, a fissare il vuoto, in attesa che un fulmine di proporzioni enormi venisse e ci distruggesse tutti, sputando in faccia all'impresa compiuta da Eragon. Sospirai: Eragon, in questi anni avevo pensato solo a lui, lo sognavo, a volte lo vedevo lì, davanti a me, oppure appoggiato alla parete. Stavo impazzendo, era la dura verità.
Dakkàr, il mio collaboratore in ambito manuale, non mi piaceva chiamarlo servo, aprì la mastodontica porta, e, a gran voce annunciò
- Roran Garrowsson, conte reggente di Carvahall, sua moglie Katrina e la figlia Ismira
Come se una gran folla dovesse ascoltarlo.
La bambina mi squadrò con occhi attenti, poi rivolse un sorriso al padre
- Papà, papà, é questa la zia Arya?
Chiese con voce innocente. Io sgranai gli occhi, Katrina mi guardò, a metà tra l'implorante e il colpevole, mentre Roran lanciò uno sguardo assassino alla piccola. Vidi fortemartello arrovellarsi, in cerca di una parola nell'antica lingua
- Dröttning
Iniziò con una pronuncia oscena
- Noi non volevamo...
Prosegui con un tono neutro, come se non mi conoscesse
- Fa niente
Lo interruppi
- Sono bambini

* fine flashback *

- Sì, in un certo senso sì. Conobbi Ismira un anno fà. Era così spontanea, sincera, impulsiva, mi ricordava te. Poi il fatto che mi considerasse sua zia, rispecchiava il futuro che avrei voluto avere, insieme alla persona che amo di più. 
Dissi baciandolo sulla guancia e prendendogli la mano. Lui strinse forte la mia.

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Camminavo, mano nella mano con Arya, sotto gli sguardi di tutti, nani e umani. 
Ma perchè ci sono così tanti nani? Pensai, non poteva essere un caso, doveva per forza esserci una spiegazione. Saphira irruppe nella mia mente.
- Piccolo, che ne dici di porre questa domanda a Roran, anzichè arrovellarti su cose che non puoi capire? In fin dei conti, tra poco vi vedrete.
- Hai ragione, ma odio essere all'oscuro di qualcosa.
- Oh, ma andiamo! Siamo stati isolati nelle terre oltre confine per quanti... Tre anni? Mi pare ovvio che ti sia perso alcuni degli avvenimenti accaduti.
- Come credi.
Troncai bruscamente. 
Immerso nei miei pensieri, non mi accorsi, che oramai eravamo già entrati nel castello. 
Era esattamente come io e Roran l'avevamo proggettato. Com'era bello passare le poche ore libere, o i pomeriggi invernali, a disegnare bozzette del palazzo, fantasticare sul luogo della sua costruzione, alla fine stabilimmo che sarebbe stato su questa collina.
Il ricordo, mi procurò una fitta di nostalgia, che riuscii a reprimere a stento.
Percorremmo un ampio corridoio, adornato con quadri raffiguranti la famiglia di Roran. Posai lo sguardo su quello di Garrow, avevo ancora la sensazione che fosse lì con me.
Il corridoio si aprì in un'ampia sala poligonale, con un altissimo soffitto. Al centro della stanza, c'era una statua che rappresentava... Me?? Sì, quello della statua ero proprio io, ma più muscoloso, più alto e minaccioso. Guardai Arya, si stava trattenendo dal mettersi a ridere
- Eragon Bromsson, cavaliere di Saphira e uccisore del re nero.
Disse leggendo un'epigrafe posta sul piedistallo e sogghignando.
- Non credevo che Roran avesse una tale stima di te.
Aggiunse poi. 
- Oh, Gûntera, ma che centro io, chissà perchè, ma sono sicuro che me lo rinfaccerà per secoli
Feci, esapsperato, a Saphira.
Dai recessi della mente della dragonessa, provenne un mugolio gutturale: una risata.
Anche tu no, dai Saphira!
Pensai, quando avevo ormai chiuso la mente.

Superata la sala della statua, ci incamminammo in un altro corridoio, che terminava con una grande porta, adorna di intagli. Posti
a guardia dell'entrata della sala del trono, due uomini, anzi, uno e mezzo: un nano e un umano.
I due aprirono la porta appena videro i compagni, e annunciarono
- Arya dröttningu e Eragon ammazzaspettri
Roran ci corse incontro e mi abbracciò
- Hei fratellino! É da tanto che non ci si vede.
- Roran, volevo porgerti una domanda, anzi, due.
Dissi, cercando di scollarmelo di dosso, lui mi guardò con una strana espressione.
- Hem, veramente, esattamente ora, devo andare ad un pranzo di scusa.
- Un che?
Chiesi
- Un pranzo di scusa, Bridget é arrabbiatissima...
- Pechè?
Lo interruppi
- Oh, nulla, poi ti spiego, comunque se venite anche tu ed Arya le farà piacere.

 
Durante il pranzo, mangiammo tantissimo, naturalmente, io ed Arya rifiutammo tutti i piatti di carne, con somma disapprovazione di Elain, che ci vedeva denutriti,  deperiti e magri come una striscia di carne secca. Soprattutto la mia comapagna. Sosteneva impossibile vivere in assenza di carne per più di un secolo, tantomeno credeva che Arya avesse centosei anni.
- Allora Eragon, cosa sei venuto a dirmi di così importante, vuoi che andiamo in una stanza privata?
Chiese Roran, nella sala calò il silenzio.
- No, no, non ti preoccupare, anzi, siete tenuti tutti a sentirtmi
Dissi rivolto ai presenti, tutti gli sguardi si fecero più attenti, mi alzai in piedi.
- Io e Arya, ci sposeremo tra un mese ad Ellesmera, vorremmo che foste tutti presenti, e a te, Roran, chiedo di farci l'onore di sposarci.
Mio cugino mi abbracciò calorosamente
- Certamente fratello, sei tu che stai facendo un onore a me.

Quando finimmo di mangiare, Roran e Katrina ci accompagnarono a fare un giro del castello, era molto più grande e articolato di quel che si poteva vedere da fuori.
- Il cambiamento di Carvahall mi ha alquanto stupito, mi é impossibile pensare che pochi anni fa, era un villaggio, poi sono rimasto allibito dalla presenza di tanti nani.
Feci, mentre camminavamo nei giardini
- Vedi, devi sapere che New Carvahall é una specie di prototipo, una delle tante città che, da quando te ne sei andato, ha scelto di convivere con un'altra razza, in pratica é un avamposti nanico.
- É davvero una bella idea
Dissi a Saphira, poi avvicinandomi all'orecchi di mio cugino sussurrai
- Perchè una statua??
Roran si mise a ridere fragorosamente
- Beh, mi sembrava giusto ricordare il grande cavaliere nato in questa città, poi, ne abbiamo anche una di Arya.
La mia princpessina si bloccò di colpo
- C...come scusa?
Vendetta, pura vendetta 
Pensai.

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Ma dai, una mia statua??
Pensai
- Se vuoi la possiamo vedere
Mi disse Fortemartello
- Mi farebbe piacere
Acconsentii, abbozzando un sorriso.
Da dietro Eragon se la rideva.

Quando arrivammo nella radura della statua, mi dovetti ricredere, era uguale a me, sembrava che avessi posato per quell'opera. La mia persona in pietra, era imponente, nel complesso era nettamente migliore di quella di cucciolo... Ehem, Eragon. Mi girai verso di lui e sorrisi sorniona. 
- É stupenda 
Dissi diretta ad Eragon
- Non si può migliorare la perfezione
Si giustificò lui
- Adulatore
Tutti ci mettemmo a ridere, compresi i nostri draghi.

I tre giorni a New Carvahall passarono molto velocemente, quando finalmente ripartimmo, portammo con noi anche Roran, Katrina e Ismira.



* Fanghûr: creature alate dal carattere bellicoso, simili ai draghi. Vivono nella Du Weldenvarden.


Angolo dell'autrice
Sì lo sò, sono ampiamente in ritardo, come giustificazione, ho solo il fatto che questo capitolo é il re dei capitoli statici. Sò anche che si poteva evitare e che non serve a nulla, però volevo scriverlo. Passiamo alla narrazione: vi piace di più in prima o in terza persona?
( vi prego rispondete ) 
Sul capitolo non ho più nulla da dire, anche perchè non c'é nulla da spiegare.
Ps: ringrazio Annika21 per il suggerimento dei nani ( anche se lo ho reinterpretato )
Se onr sveddar stija hvass
  
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