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Autore: Switch    29/03/2014    5 recensioni
*(2003 TMNT! No 2012!)*
Dalla storia:
“Sai, maestro? La verità è che ho sempre combattuto. Ho combattuto per rabbia, per paura, per vendetta, per noia, per avere dell'eccitazione, per cercare risposte, per cercare un proposito, per cercare me stesso. Per provare a me stesso che ero il migliore. Adesso è diverso. Voglio combattere solo per aiutarla a proteggersi.”
Raphael è sempre stato il più rabbioso e collerico, tra tutti i suoi fratelli. Perché si è sempre sentito diverso dal resto del mondo e vuole solo trovare il suo perché.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Nuovo personaggio, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Heart's mutation'
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Vengo anche io!” mormorò decisa April quando le spiegarono cosa avrebbero fatto.
Ma quello che potremmo vedere non è...” iniziò a dire Don, certo che i ricordi di Isabel non dovessero essere visti da nessuno, in realtà. Aveva il presentimento che ci fosse un baratro di orrore nella sua mente.
Mi sta a cuore quanto a voi. Vengo anche io!”
Il ninja sospirò, arrendendosi alla grinta della donna che sapeva non avrebbe desistito per nulla al mondo, una volta deciso.

Poggiate una mano sulle sue braccia, basta un contatto minimo” disse Splinter, invitandoli a sedersi attorno al letto.
Dopo chiudete gli occhi, respirate a fondo e cancellate ogni cosa dalla vostra mente. La sua coscienza vi richiamerà.”
Tutti obbedirono, poggiando la mano sulle spalle o gli avambracci di Isabel; con profondi respiri eliminarono ogni pensiero superfluo, cadendo in meditazione.

Raph non ci riusciva: era troppo arrabbiato. Quando chiudeva gli occhi continuava a vedere il loro scontro, il modo in cui l'aveva attaccata, senza pietà, e poi il suo viso riverso, ricoperta di sangue, subito dopo averlo salvato.
Perché non l'aveva ascoltata? Perché il suo maledetto orgoglio aveva prevalso su tutto il resto? Sulla gioia di saperla ancora viva, di rivederla?

Spalancò gli occhi, ben conscio di doversi concentrare, invece; i suoi fratelli, April e Splinter dovevano già essere nella sua mente, magari si erano accorti della sua assenza. Scostò le dita lungo l'avambraccio di Isabel, passando dalla pelle morbida e liscia, -seppure ferita in molti punti,- alla garza ruvida e graffiante, fino ad arrivare alla sua mano, abbandonata sul lenzuolo.
Seguì con un dito le linee nel palmo, svoltando ogni volta che si intersecavano, percorrendola decine di volte, sovrappensiero; all'improvviso le dita di Isabel tremolarono impercettibilmente, niente più di una lieve scossa, ma che lo incoraggiò: strinse la sua mano, chiuse gli occhi e respirò a fondo, concentrandosi solo sul calore che gli trasmetteva, dimenticando tutto il resto.

Si sentì trascinare lontano, senza peso o pensieri, rilassato da una sensazione familiare, di benessere, come se Isabel lo stesse davvero guidando per mano fino alla sua mente.
Si ritrovò con gli altri in un posto completamente vuoto. Pieno di grigiore soffuso, sopra, sotto, anche se non erano sicuri di dove fosse per certo il sopra o il sotto.

Siamo nella sua mente, sensei? Non c'è niente” constatò Michelangelo, con innocenza. Raphael lo colpì alla nuca, per la sua uscita infelice.
È rinchiusa in un ricordo e ha lasciato tutto il resto in sospeso. Siamo noi a dover immaginare come vogliamo vedere le sue memorie” spiegò il maestro, pensieroso, alla ricerca di un metodo.
Con le classiche porte come si vede nei cartoni animati?” suggerì il ninja, prima che qualcuno potesse impedirglielo.

Una fila infinita di porte apparve dal nulla, dapprima incorporee ed evanescenti, poi via via più solide, fino ad essere materialmente lì, tutte alla stessa distanza l'una dall'altra, tutte dipinte con motivi o colori diversi.
Avrei potuto pensare a qualcosa di più pratico” sospirò Splinter, rassegnato, iniziando ad incamminarsi.
Dato che non usi la tua, facci un favore, Mikey, non parlare nella mente degli altri!” sbottò Raph, seguendo il resto della comitiva.

Camminarono, superando porte su porte, tante da non riuscire a vederne la fine. Stavano sospese a mezz'aria, qualche centimetro al di sopra di ciò che loro toccavano con i piedi, per lo meno, sempre più sfocate e piccole via via che lo sguardo si allontanava verso l'orizzonte.
Ehy, guardate questa” disse Mikey d'un tratto, con la mano sulla maniglia di una porta rossa solcata da squarci profondi.
Era diversa da tutte quelle che l'avevano preceduta, che erano più colorate e piene di decori infantili ed era diversa da quelle successive, improvvisamente buie e cupe.

No! Non aprirla!” urlò April allarmata, provando a bloccarlo; persino lei riusciva a sentire che non era un buona idea, ma il ninja aveva già abbassato la maniglia, ormai, e la porta si spalancò praticamente da sola.

Una stanza si materializzò attorno a loro, un salottino intimo, completamente devastato: i mobili erano stati ribaltati, il loro contenuto sparso ovunque sul pavimento, alla rinfusa; i quadri giacevano per terra tra schegge di vetro e di legno, grottescamente riversi, sottosopra, obliqui; i muri giallini erano sporchi di macchie rosse e segni di bruciature e l'aria era piena di fumo.
Da qualche parte arrivavano rumori di lotta, scontri e scoppi, e due voci di uomini, che urlavano.

Una donna si trascinava sofferente sul pavimento, ricoperta di sangue, con fatica, mormorando qualcosa che non riuscirono a sentire: ne furono mossi a pietà, tanto che sentirono l'impulso ad aiutarla, prima di ricordare che fosse solo un ricordo.
Era impressionante la somiglianza che Isabel aveva con la donna, quasi come se fossero state sorelle: gli stessi occhi castani e profondi, la stessa bocca, perfino le stesse espressioni. Non era difficile capire chi fosse.

Una bambina terrorizzata apparve da dietro al tavolo rovesciato, avvicinandosi a lei, con gli occhi scuri colmi di paura, gettandosi a controllare come stesse.
Un tonfo, un boato e una risata arrivarono da un'altra stanza, seguiti da un urlo di un uomo, ma disumano, agghiacciante.
La donna parlò con tono accorato, stringendo la piccola tra le braccia, ma lei si dimenò, scrollando la testa, negando con tutte le sue forze.

Che cosa... cosa dicono?” domandò Mikey, concentrato sulle due figure terrorizzate.
È italiano. La madre di Isabel era italiana. I suoi ricordi, i suoi pensieri... sono tutti in quella lingua” rivelò Raphael, ricordando quel particolare, di una chiacchiera di una serata lontana, quando ancora lei era solo la sua allieva e non la donna che gli aveva stravolto l'esistenza.
E come possiamo capire quello che si dicono, allora?”
Dobbiamo solo desiderare intensamente di capirlo. La mente di Isabel farà il resto” spiegò tranquillamente Splinter, già assorto in meditazione.
Ognuno di loro si concentrò, seguendo l'esempio del maestro, poi la loro attenzione ritornò sul salottino in disastro e le due figure abbracciate e spaventate, con urgenza.

Va' via. Scappa!” sussurrò la donna, provando ad alzarsi.
La bambina scosse ancora la testa, mentre il labbro tremava di paura; aveva il viso inondato di lacrime silenziose e le manine tremavano sul maglione azzurro chiazzato di sangue della madre.

Devi andare via! Non puoi rimanere qui!”
La risata di poco prima si fece più forte e sguaiata, seguita da un rumore di passi sempre più vicini.

Con uno strillo allarmato, la donna passò la tracolla di una borsa che aveva con sé oltre la testa della bimba, poi con uno sforzo enorme si alzò e, presala per un braccio, la trascinò verso la finestra. Spalancò le ante velocemente e la issò oltre, in un giardino, benché soffrisse per ogni movimento.
Tutti loro si ritrovarono di colpo fuori dalla casa, insieme alla bambina, nel giardino di un villino a due piani, simile a quello in cui Isabel aveva vissuto a New York.

Mamma!” urlò disperata la piccola, premendosi contro il muretto, mentre la donna chiudeva la finestra, guardando la bambina con infinito amore, imprimendosi il suo visino nella mente.
Scappa, Isabel. Vivi, tesoro mio!”
La madre sparì all'interno, mentre la piccola si innalzava sulla punta dei piedini per guardare all'interno e cercare di richiamare la sua attenzione, eppure senza osare fiatare dal terrore.
D'un tratto la donna urlò, straziante, un acuto prolungato e graffiante.
La bambina tremò sul posto, impossibilitata a muoversi dalla paura, con gli occhioni spaventati e vigili.

Un altro urlo la raggiunse e uno schizzo di sangue macchiò il vetro, repentino e grottesco; la bimba strillò terrorizzata e si rannicchiò al suolo, sconvolta e piangente. Una risata gelida e divertita esplose dalla casa, facendola tremare di paura: si alzò di fretta e voltandosi corse via, agitata.
La scena sfumò lentamente, i contorni del giardino e della casa sparirono, riportandoli nella fila delle porte, nel grigiore soffuso.

April stava trattenendo le lacrime, ma erano tutti turbati.
Erano inorriditi. Increduli di aver appena assistito all'omicidio dei genitori di Isabel, increduli che lei stessa ne fosse stata testimone.
Raphael sapeva che era stato un grosso trauma, ma non aveva mai capito quanto; non aveva mai scavato davvero nelle paure di Isabel, anche se ne aveva avuto l'occasione. Perché si era lasciato ingannare dai suoi continui sorrisi, senza capire quanto dolore cercassero di nascondere?

Un singulto spezzò il silenzio. Si guardarono l'un l'altro, per capire chi stesse piangendo, ma non era nessuno di loro.
Un altro singhiozzo riecheggiò, debolmente. Dovettero tendere le orecchie al massimo, per capire da dove provenisse.

Don camminò fino alla porta rossa e sporse la testa dietro. Lo videro fare un cenno con la mano, per richiamarli. Dietro la porta, rannicchiata con la testa tra le ginocchia, c'era la piccola Isabel di qualche istante prima, che piangeva, impercettibilmente.
Si avvicinarono cautamente, non sapendo esattamente cosa fosse. Una memoria? Una manifestazione del subconscio?

Piccola, come stai?” sussurrò April in tono gentile, anche se non sapeva se potesse davvero interagire con un ricordo.
La bambina sollevò la testa e li squadrò, spaventata, con gli occhi rossi di pianto colmi di terrore.

È tutto a posto. Siamo amici” sussurrò la donna con voce dolce, chinandosi per arrivare alla sua altezza. La bambina si alzò con uno scatto e indietreggiò, velocemente; si tormentava le mani, cercando una via per scappare.
Non si fidava per niente.

Raph si inchinò, d'istinto, senza averlo nemmeno pensato. Ma sapeva che convincere Isabel era una cosa che solo lui poteva fare.
Vogliamo aiutarti. Siamo davvero tuoi amici” mormorò nella maniera più convincente possibile. La piccola lo occhieggiò incredula, prima di spostare lo sguardo intorno, come un animale braccato in cerca di fuga.

Se non fossi tuo amico come potrei sapere che hai un coniglietto di nome Muffin?” chiese, furbo, usando le cose che Isabel si lasciava sfuggire su di sé, durante il periodo degli allenamenti. Non aveva dimenticato nemmeno una delle cose che lei gli aveva detto, erano tutte incise nella sua mente e nel suo cuore, dopo tutto quel tempo, nonostante tutto quello che era successo.
La bambina si sorprese e spalancò gli occhi, fissandoli infine su di lui, attenta.

E che la domenica ti piace guardare la TV, prima di fare colazione? E so che hai costruito una casetta per gli uccelli con le mollette da bucato, da mettere in giardino, ma si è staccata e si è rotta. E tu ci sei rimasta male, ma eri contenta che nessun uccellino ci fosse entrato o si sarebbe ferito.”

La piccola Isabel ascoltò con crescente meraviglia, mentre si dondolava da un piede all'altro, indecisa se fidarsi. Stava tormentando la manica della maglia, torcendola per la paura e il dubbio.
E so che da grande vuoi un negozio tutto tuo, dove vendere fiori” rivelò alla fine Raph, con un sorrisetto tenero, per quella confessione che lei gli aveva fatto una sera, sul suo sogno nascosto di quando era bambina: un negozio di fiori, quasi fiabesco, dove creare composizioni e bouquet.
Allora aveva pensato che fosse una cosa così tenera e femminile, ma non gliel'aveva detto, troppo imbarazzato da ciò che stava iniziando a provare per lei.

Isabel trattenne il fiato, sorpresa, poi si avvicinò, lentamente.
Non ho mai detto a nessuno che voglio un negozio di fiori” disse col broncio, a pochi passi da lui.
A me lo hai detto. Perché siamo amici” rispose lui, tendendole la mano, sicuro di averla convinta. La bambina scattò in avanti, ma invece che stringerla, si gettò tra le sue braccia, circondandogli il collo.
Il mio papà e la mia mamma... aiutali. È tutta colpa mia” singhiozzò sulla sua spalla, tremolando.
Non è colpa tua. Non lo è affatto.”

La strinse, delicatamente, la versione in piccolo della donna che conosceva, che aveva amato... che amava ancora? Non lo sapeva, ma sapeva che non voleva che soffrisse in quel modo. Le carezzò la testa, straziato dal suo dolore.
Sensei, adesso che l'abbiamo trovata, possiamo uscire?” chiese, desiderando solo di andare via da tutti quei ricordi orribili.
No, figliolo. Dobbiamo cercare Miss Isabel nella sua forma adulta, così com'è ora. E scoprire chi l'ha torturata, purtroppo, e cosa vuole da te.”



Raphael riuscì a convincere la piccola Isabel a seguirli nella loro ricerca nella memoria.
La bambina si era asciugata le lacrime con la manica della maglia e poi gli aveva preso una mano, attaccandoglisi addosso; tutti gli altri non li aveva nemmeno considerati, si fidava solo di lui.
Trotterellava al suo fianco, tenendolo per mano, silenziosa e guardinga.

LadyKiller” gli mormorò all'orecchio Mikey, scansando poi il suo pugno esasperato.

Le porte dopo quella rossa erano molto più cupe, con tinte scure o opache e quasi prive di decori. Si trattennero dal toccarle; l'esempio di quello che era successo l'avevano ancora davanti agli occhi.
Dopo averne oltrepassato qualche migliaia, ne intravidero due con una tinta brillante, in lontananza.

Avevano notato un cambiamento già almeno un centinaio di porte prima di quelle.
La prima diversa fu una verde scuro, con il disegno di un fulmine e gocce di pioggia; la seconda era viola acceso, con le impronte di due mani, unite a formare un cuore sbozzato; poi ci fu una scura, con delle foglie autunnali che cadevano su delle pozze d'acqua e l'ultima aveva l'immagine di una luna e dell'ombra di un Sai: erano le porte dei momenti in cui lui e Isabel si erano incontrati, quando aveva cercato di convincerla a farsi insegnare il ninjitsu.

Quelle subito dopo avevano delle tonalità gradualmente più tenui e delicate, ma quelle due che avevano attirato la loro attenzione erano proprio diverse da tutte le altre.
La prima era annerita nella parte inferiore, aveva disegni di fiamme e zampe di gatto e sembrava emanare un intenso calore.
La porta della sera dell'incendio.
Non aveva bisogno di aprirla per ricordare con precisione la scena del villino divorato dal fuoco, il fumo acre e l'intenso calore, mentre tutto spariva tra le fiamme. E Isabel che stringeva il corpo senza vita di Shadow e le sue lacrime di dolore, lasciate cadere senza più controllo; poi il funerale improvvisato al gattino, prima di scoprire che lei era ferita mortalmente.

La porta successiva era bianca, la prima porta completamente bianca; e anche l'unica. Era talmente brillante, in mezzo a tutta quell'oscurità, da fare quasi male agli occhi.
In un angolo, c'era una bandana rossa.
Non si dovette sforzare per capire quale fosse il ricordo, eppure era sempre più confuso: se Isabel era scappata, perché sembrava che, nella sua mente, quella notte fosse importante? E perché il fatto che non ci fosse nessuna porta come quella, né prima né dopo, lo aveva rincuorato?

Incontrò per caso gli occhi dei suoi fratelli, tutti puntati su di lui; distolse lo sguardo, memore della furiosa litigata lasciata in sospeso da quel giorno. Non che avesse più infranto le regole, dopo: si era mantenuto distante miglia da qualsiasi donna o essere vagamente femminile.
Non si era più innamorato di nessun'altra, non avrebbe potuto più innamorarsi di nessun'altra.

Oltrepassarono anche quelle porte, rituffandosi nella fila, ancora molto lunga. Camminarono, ancora e ancora, chiedendosi con curiosità e paura cosa ci fosse dietro ognuna di quelle porte, provando a capirlo dai suoi colori e dai disegni.
Ma non potevano capirle, non sapevano cosa quei simboli rappresentassero nella mente di Isabel.

Finalmente arrivarono alla fine: una porta nera, completamente nera, quasi un buco nel nulla, si parò sulla loro strada.
Stillava sangue, copiosamente, come se piangesse.

Deve essere questa, spero siate tutti pronti” esclamò Don, inorridito, facendosi avanti per aprirla. La maniglia si abbassò con un cigolio cupo.

Si trovarono in una grande sala dal pavimento in marmo e arazzi alle pareti, ricolma di mobili pregiati e opere d'arte, la maggior parte in penombra. Sembrava lo studio di un ricca abitazione, dallo stile classico tipico dell'Europa antica.
Ci fu un tocco deciso alla porta in legno pregiato e un uomo che rispose, imperioso.

La piccola Isabel iniziò a tremare, tanto che Raph si vide costretto a inginocchiarsi, finendo stritolato in un abbraccio spaventato.
Cosa c'è?” chiese preoccupato, stringendola per provare a calmarla.
Quella voce, quell'uomo...” tremò la bambina, incapace di dire altro, affondando il visino nell'incavo del suo collo, tremante.

La porta della sala si spalancò e due uomini in divisa entrarono, con fare marziale, con un gesto di saluto piuttosto rigido.
È arrivata, signore” annunciarono, guardando verso la scrivania, vicino a delle pesanti tende che nascondevano la luce.
Portatela da me” disse trionfante l'uomo, alzandosi. Girò attorno alla scrivania, lentamente, e si incamminò verso l'ingresso, con le mani conserte dietro la schiena.
Era sulla quarantina, coi capelli neri spruzzati di grigio sulle tempie, un naso dritto, da profilo greco, e le labbra sottili, piegate in un sorriso malvagio. Era alto e in forma, un bell'uomo, ma l'espressione di cupidigia che mostrava lo rendeva grottesco.

Dalla porta arrivò un rumore sferragliante.
Un'altra guardia fece il suo ingresso, trascinando una giovane donna, incatenata mani e piedi; l'uomo tirava la catena con forza, mentre lei lottava per cercare di liberarsi.
Isabel aveva di nuovo i capelli corti come quando Raphael l'aveva incontrata la prima volta, e benché avesse perso peso, rimaneva comunque molto tonica e allenata.
Come era stata catturata?

Bene, bene, bene! Ben ritrovata, dolce Isabel” esultò l'uomo brizzolato, avvicinandosi per studiarla meglio.
Come sei cresciuta!”
Mi hai fatto penare, sai? Sei stata cattiva a scappare per così tanto tempo. Ho quasi temuto che ce l'avresti fatta a nasconderti fino ai tuoi ventun anni” confessò, prendendole il mento tra le dita, studiandola compiaciuto.
E guarda come ti sei fatta bella!”

Isabel scosse la testa, allontanandosi dalla sua presa, con stizza e disgusto.
Nove anni e mezzo, che ti cerco per tutto il globo... e quando finalmente ti trovo tu ti comporti come una cattiva gattina dispettosa?” la ammonì lui, prendendola per il collo, stringendo con cattiveria.
Isabel tossì, presa di sorpresa, artigliando il suo braccio con le unghie.

Farai bene ad abituarti alle mie mani, perché le userò su di te spesso, in bene o in male!”
Hai usato... dei bambini... pur di catturarmi! Sei uno spregevole... fottuto bastardo! Come hai potuto ucciderli? Non ce l'hai una coscienza?”
Era furiosa, sul punto di piangere dalla rabbia, tossicchiando le parole per la mancanza di aria, mentre si dimenava con tutta la sua forza perché la lasciasse andare.

Ti sembro uno che possieda una cosa del genere? Mi sono preso ciò che è mio! Dopo anni di attesa, con ogni mezzo possibile!”

Continuò a strattonarla, divertito dalla luce di paura che c'era nel fondo dei suoi occhi, che mascherava con la furia che metteva nel graffiare la sua mano.
Provò a calciarlo via, ma la guardia strattonò la catena, riportandola al suo posto con un furioso contraccolpo che la fece barcollare.
Poi, d'improvviso, un bagliore accecante illuminò il collo di Isabel, proveniente dalla collana che portava al collo; brillò a intermittenza, di rosso, e l'uomo si ritrasse, allarmato.

Cosa diavolo...? Cos'è? Com'è possibile che tu possa usare la magia? Le manette bloccano i tuoi poteri!”

Afferrò la pietra, dando uno strattone per strappargliela via, ma una scarica elettrica lo allontanò, in preda al dolore.
Contemporaneamente il bagliore scemò e il ciondolo ritornò viola, inerme, come prima.
Isabel sorrise, sollevata e divertita.

Non puoi toglierla!” esclamò trionfante.
Cos'è?” urlò lui, ad un centimetro dal suo viso.
Isabel era contenta del suo panico. I suoi occhi lo scrutavano cinici e taglienti, come se nascondessero il segreto più grande del mondo.

Chiamate il saggio Jervis!” ordinò, insospettito dal ghigno soddisfatto della ragazza. Uno degli uomini corse fuori all'istante e tornò dopo qualche minuto sorreggendo un anziano, canuto e mingherlino, che osservò la scena da dietro un paio di spessi occhiali.
Sembrò triste nel vedere la ragazza in catene, ma non disse nulla; si limitò ad abbassare lo sguardo, deferente.

Mi avete fatto chiamare, signore?” chiese con una voce stentata, resa debole dalla vecchiaia; si avvicinò precariamente, sempre tenendosi alla guardia con la quale era arrivato.
Questa collana! Dimmi cos'è, cosa fa!” ordinò l'uomo, con tono urgente, puntando verso il collo della ragazza.

Il vecchio si accostò ad Isabel e tirò su la testa, stendendo di poco la schiena ingobbita; strizzò gli occhi dietro gli occhiali dalla montatura antiquata e studiò il ciondolo, senza però toccarlo; probabilmente aveva capito al primo sguardo che era più saggio non farlo.
Gli occhi azzurri però si accesero di interesse, sotto le cespugliose sopracciglia bianche.

È la pietra degli amanti, signore” iniziò a spiegare. “Fa coppia con un'altra uguale.”

Vengono da un'antica leggenda. Si dice che il Dio del sole e la Dea della luna si amassero, ma non potessero mai incontrarsi, a causa del loro ruolo nel cielo: potevano sfiorarsi solo al mattino e alla sera per pochi istanti, quando il cielo si tingeva di rosa e viola, mescolando i loro colori.
Nient'altro che un fugace tocco, pieno di sentimento, ma effimero, che presto rimaneva solo un ricordo nelle loro menti. E così, tristi e frustrati, cristallizzarono quei momenti speciali, segni tangibili del loro amore: una pietra per l'alba, una per il tramonto, gemelle e unite, come una sola cosa. E la Dea della luna tenne la pietra dell'alba, mentre il Dio del sole quella del tramonto, per stare sempre vicini l'uno all'altra, almeno col cuore.
Di fatto, le pietre esistono da secoli e si illuminano quando la persona amata è in pericolo. E solo chi ha l'altra può toccarla o toglierla.
È un tesoro del regno, creduto perduto.”

La voce del vecchio Jervis si interruppe, fiocamente, nel silenzio che si era creato, sia nel ricordo che tra di loro, mentre ascoltavano rapiti e meravigliati quella storia.
Raph si sentì improvvisamente in soggezione, con se uno sguardo infuocato lo stesse puntando. Alzò lo sguardo, lentamente, e incontrò gli occhi dei suoi fratelli, che lo osservavano in attesa.
Sbatté le palpebre, un paio di volte.

Sì, ho io l'altra” ammise, imbarazzato dalle loro facce curiose, attirando anche l'attenzione di April e del maestro. Ogni occhio era incollato su di lui, mentre i proprietari macinavano teorie.
Ma non sapevo cosa fosse o cosa facesse. Né della leggenda o che fosse un oggetto magico. E non l'ho mai messa, è in un cassetto.”

L'aveva trovata tra le macerie della sua camera distrutta, mesi dopo che lei se n'era andata, quando finalmente aveva deciso di reagire. Aveva scorto uno scintillio, debole e fugace; aveva spostato i frammenti di ciò che rimaneva della sua cassettiera e l'aveva vista: la pietra viola, che quella notte, troppo intento a leggere il biglietto di addio, non aveva considerato. Sembrava così innocua. Ma era una cosa sua, perciò odiosa, malefica e dolorosa.
L'aveva stretta nel pugno, deciso a gettarla via, a frantumarla contro la parete, ma poi aveva riaperto la mano e guardato il modo in cui la luce si rifrangeva sulle sue sfaccettature e non se l'era sentito. Aveva aperto l'ultimo cassetto, quello che non apriva mai, e lo aveva gettato dentro, richiudendo con foga, cercando di non pensarci più.

Perché Isabel gli aveva dato una cosa così importante? Perché lo aveva lasciato, dopo quello che aveva detto su quella notte, per poi dargli un oggetto così intimo, che lo legava a lei? E perché lei indossava l'altra, come se volesse essere sicura che lui stesse bene?
Sentiva la testa scoppiare, di dubbi atroci che gli attanagliavano la mente e il cuore. Non ci capiva più nulla, si sentiva confuso.

Perché ha detto del regno? Che regno?” chiese Mikey, attirando l'attenzione su di sé.
Il regno dei maghi” rispose la piccola Isabel, sollevando la testa dalla spalla di Raph.
Tu lo sai dov'è questo regno?” le domandò lui, curioso.
La piccola scosse la testa con foga, irata.

No. Gli altri maghi hanno costretto papà ad andarsene, perché ha sposato mia madre. I maghi sono orribili!”

L'urlo di Isabel, quella grande del ricordo, li fece concentrare su ciò che stava accadendo. L'uomo brizzolato la teneva per i capelli, strattonandola con furia.
Per il tuo bene, dimmi che non ti sei fatta l'amichetto, stupida ragazzina!”
Non sono affari tuoi. O sei geloso, vecchio bavoso?” lo canzonò lei, con un ghigno divertito, anche se questo lo fece ancora più arrabbiare.
La trascinò per i capelli fino alla porta, senza pietà.

Guardia! Portala dal medico, che la controlli da capo a piedi. E tu, prega di non aver fatto l'errore più stupido della tua vita!”
Isabel venne portata fuori, nonostante si ribellasse con un rumore sferragliante e cupo, che si affievolì man mano.

La scena attorno a loro sfumò, in un grigiore soffuso e avvolgente.
Cosa succede?” domandò April, in ansia, dando rapide occhiate attorno, cercando di focalizzare qualcosa in quella bruma.
Credo che sia successo qualcosa che il suo subconscio non vuole che vediamo. Sa che siamo qui, sa che stiamo guardando i suoi ricordi” spiegò Splinter, con calma.
Si osservarono perplessi, azzardando teorie nelle loro menti che non ebbero mai il coraggio di dirsi.

Dopo qualche attimo la sala si riformò attorno a loro, nitida e ormai familiare, e c'era ancora l'uomo, che sedeva dietro la scrivania, in attesa. Batteva le dita con impazienza, tamburellando un ritmo sempre più veloce e inquieto, fastidioso da sentire. Stava squadrando seccato un un uomo biondo con una tunica bianca e spessi occhiali squadrati, che stava in piedi dall'altra parte della scrivania, col capo chino, teso.

Isabel stava dietro di lui, ancora incatenata. Il suo viso era pallido, ma manteneva lo sguardo alto e fiero di fronte a sé, duro.
L'uomo biondo, un dottore, sembrava titubare a parlare.

Allora?” insisté il rapitore, battendo con impazienza un pugno sul legno.
Ecco, signore... la ragazza non è... non è più... vergine” mormorò l'altro a disagio, confessando la verità al pavimento, dato che non riusciva ad alzare lo sguardo dalla paura.
Isabel chiuse per un momento gli occhi, ingoiando la frustrazione per quel momento di intimità, suo, sbandierato in faccia all'uomo che odiava di più al mondo.

Capirono all'istante perché non aveva voluto che vedessero quella parte del racconto; il suo subconscio non voleva che guardassero mentre veniva esaminata.
Raph si sentì davvero osservato; un pizzicore diffuso nella sua testa, che rompeva la sua concentrazione. Se la sua famiglia avesse avuto la vista a incandescenza sarebbe bruciato vivo. E non voleva affrontare il maestro e April, perciò, per non incontrare i loro sguardi e le loro reazioni, si astenne dal muovere un muscolo, ansioso, imbarazzato anche lui dalla situazione.

Il dottore venne sbattuto fuori, insieme alle guardie.
L'uomo brizzolato si alzò con calma e si avvicinò ad Isabel, che lo fronteggiava con impassibilità, nonostante la situazione.
Si fermò a due centimetri dal suo viso.

Sei una lurida, piccola puttanella!” le sibilò piano, trattenendo la rabbia in ogni parola.
E tu ne sai qualcosa. Tua madre era una lurida, grossa puttanella!” rispose lei, con un ghigno impertinente.
Raph si chiese esterrefatto se non le avesse trasmesso un po' del suo carattere, in un modo o in un altro.

L'uomo la colpì al viso col pugno chiuso, mandandola a sbattere contro una libreria. Cadde a terra, colpita da una cascata di libri.

La piccola Isabel affondò il viso nel collo di Raphael, terrorizzata, mentre lui cercava di calmarla, passandole una mano sulla schiena. Era tutto un ricordo, ma non poté non provare rabbia. Se fosse stato lì, se le fosse stato accanto, avrebbe accartocciato la faccia di quel bastardo che aveva osato toccarla.

L'uomo si avvicinò alla grande Isabel e la riprese per i capelli, tirandola verso l'alto.

Lo sai cosa hai fatto? Lo sai, puttana? Credi forse che sia solo il matrimonio che mi permetterà di prenderti i poteri? È quello che viene dopo, l'importante! La prima notte di nozze! E tu hai rovinato tutto! Quel bastardo si è preso i miei diritti su di te!”
Era fuori di sé dalla rabbia e continuava a sbatterle la testa contro il ripiano dello scaffale, con gli occhi fuori dalle orbite e un sogghigno malvagio.
Isabel si lasciò sfuggire un paio di mugugni di dolore e lui la lasciò andare, di scatto, per paura di ucciderla, con il respiro pesante per la foga dei colpi.

Lei si accasciò a terra, scossa di colpo da una risata isterica.
Sai cosa?” riuscì a dire tra le risate.
Io non lo sapevo. Ma adesso, tutto questo, rende il piacere di quella notte doppio. Sei fregato, lurido bastardo!”
L'uomo le tirò un calcio all'addome che spense la sua risata con uno strillo di sofferenza.

Sai cosa?” la canzonò inchinandosi al suo livello, tirandola ancora su per i capelli.
Se io lo uccido tutto ritornerà come prima, potrò ancora rubarti i poteri. Dimmi il suo nome, puttanella!”

Lei spalancò gli occhi, atterrita; poi vennero attraversati da una luce di determinazione e un sorriso beffardo le piegò le labbra.
Devi essere davvero stupido se credi che te lo dirò!” gli sputò in faccia, divertita dal suo nervosismo.
La colpì un pugno, che la fece rannicchiare su sé, scossa di nuovo da una risata sfrenata.

Oh, ma me lo dirai. E quando urlerai il suo nome, non sarà un grido di piacere, ma di dolore!” la minacciò lui, furioso.



La gettò in una cella, piccola, oscura, umida e maleodorante, assicurando la sua catena al soffitto.
Poi iniziò col suo piano, personalmente. Mostrò a Isabel ogni oggetto con cui l'avrebbe torturata, con calma, spiegandole cosa le avrebbe fatto, con cinica cattiveria, provando a penetrare l'aria di indifferenza che lei si era messa addosso.
Furono costretti a guardare le sue torture: giorno dopo giorno, che divennero settimane e poi mesi.
Venne ferita, frustata, bruciata, fulminata con scariche elettriche.

Raph tremava. Non poteva farne a meno. Di paura e rabbia, sotto pelle, mentre con le braccia copriva le orecchie della piccola Isabel, perché non sentisse quei rumori agghiaccianti, nascondendo il suo visino contro il suo petto, per impedirle di vedere il sangue e quell'orrore.

Ma lui non poteva. Osservò ogni istante, ogni tortura, ogni stilla di sangue che usciva dal corpo di Isabel, ogni taglio e livido che la marchiava, tormentato.
Ogni colpo spezzava anche il suo respiro. Ogni scudisciata la poteva percepire sulla sua schiena. Ogni taglio lacerava la sua carne. Ogni bruciatura ustionava anche la sua pelle.
Perché ogni sofferenza che lei sopportava era per causa sua, perché voleva proteggerlo.
Voleva urlare, con tutte le sue forze, perché tutto quello che quel bastardo le faceva, lo faceva stare così male da farlo impazzire. Strinse i denti così forte, per impedirselo, che li sentì stridere dolorosamente.

Lei continuava a sorridere, follemente, inghiottendo le urla che premevano per uscire, di dolore, ma che non avrebbe mai lasciato andare. E ad ogni suo sorriso la cattiveria e la frustrazione del suo carceriere si facevano più pressanti, facendogli calcare sempre più la mano.
Ogni giorno quell'uomo si presentava alla sua cella, massacrandola finché non sveniva a terra, ogni giorno più arrabbiato del primo.

Lo so cosa stai facendo! Manca un anno al tuo ventunesimo compleanno. Stai cercando di perdere tempo, così che io non possa rubarti i poteri. Ma sappi una cosa: se anche ci riuscissi ti terrei qui, ti torturerei finché non mi diresti quel nome, ucciderei quel bastardo davanti ai tuoi occhi, lentamente e dolorosamente, e poi ucciderei te, pezzo di carne per pezzo di carne!” esclamò fuori di sé, al termine di un interrogatorio piuttosto cruento eppure infruttuoso.
Isabel lo guardò dal pavimento, immobile e ricoperta di sangue, senza dargli la soddisfazione di lamentarsi, gli occhi lucidi e fermi. Resisteva, incurante di qualunque cosa lui le facesse, chiusa dietro un mutismo preoccupante e una maschera da dura che non sapevano quanto avrebbe durato.

Contarono mesi di torture, almeno quattro, inorriditi, nauseati, sconvolti, mentre Isabel diventava sempre più magra, sempre più silenziosa, sempre più ad un passo dalla morte. I suoi occhi erano diventati un baratro di follia e depressione, eppure la sua volontà non vacillò nemmeno per un secondo. Non pronunciò un fiato, non disse mai una parola, non urlò mai il suo dolore, anche se potevano leggerlo benissimo nei suoi occhi.

Sarebbe davvero morta piuttosto che svelare il nome del suo amante.
E più il tempo passava, più tutti loro capirono che era esattamente quello che lei voleva: morire. Non le importava del dolore, non le importava di vivere.
Isabel era ormai solo un guscio vuoto e tutto ciò che era stata, -bellezza, gioia, allegria,- si era spento. Nei suoi occhi c'era solo rassegnazione. Nemmeno più un flebile scintillio di speranza.

Finché, una sera, accadde qualcosa di nuovo.
L'uomo aveva infierito con particolare crudeltà e Isabel rimase al suolo, a fissare con sguardo spento il soffitto oscuro sopra di sé. Lui uscì dalla cella, urlando le sue consuete minacce, ma lei sembrava non farci nemmeno più caso. La videro voltare lentamente la testa, con fatica, fino a che non riuscì ad osservare la piccola finestrella, unica fonte di luce nella buia e umida cella.

Un rivolo di sangue scese dal taglio aperto sul sopracciglio, percorse il contorno dell'occhio e scese per parte della guancia, fino ad incontrare il suolo, dopo essersi staccato dalla sua pelle, con lentezza, a causa della sua vischiosità.
Le sue labbra tremarono lievemente, così come le sue ciglia. Forse, Isabel era arrivata al suo limite. Forse era arrivato il momento in cui avrebbe confessato ogni cosa.
Era forse a causa di quello che Raph era seguito e in pericolo?
Isabel aveva alla fine ceduto e fatto il suo nome?

La porta della cella scattò, catturando la sua attenzione, e una donna dai capelli biondi entrò, guardinga. Non sembrava molto più grande di lei, aveva dei meravigliosi capelli ricci e biondi e una figura piacevolmente in carne. La stava guardando con pietà e pena.
Si accucciò vicino ad Isabel e lei spalancò gli occhi, sorpresa, provando a scostarsi, per quanto le ferite e le catene le consentissero.
La donna non si fece impressionare dalla sua reticenza. Si riavvicinò con molta calma e le mostrò un barattolino che teneva tra le mani, poi, sempre con gesti lenti e delicati, iniziò a curarle le ferite, con una pomata gialla, in silenzio.

Chi sei?” domandò Isabel, alzando piano la testa. La sua voce suonò roca e gracchiante, dopo tutto quel tempo di silenzio forzato.
Non parlare. Sei molto debole” le rispose l'altra, con un marcato accento francese, arrotondando le erre.

Isabel ritornò immobile, sospettosa, ma la donna si limitò a curarla, senza tentare di farle del male. Lottò con forza contro il sonno che la medicina le suscitava, perché non si fidava di lei, ma alla fine crollò, addormentandosi sul pavimento.
La donna la portò fino alla brandina, sollevandola con facilità a causa della considerevole perdita di peso, poggiandola con delicatezza. Dopo averle rimboccato le coperte uscì, semplicemente.

Michelle, così si chiamava, era una delle donne di servizio; iniziò ad andare ogni sera, quando era sicura di non essere vista, scivolando nella cella silenziosamente. La medicava, le portava da mangiare, le faceva compagnia, sempre di nascosto, sparendo dopo poche ore, sempre prima che la guardia passasse a controllare.
Era diventata un'abitudine. E se dapprima Isabel era rimasta con la guardia alta, a poco a poco la guardarono sciogliersi e accettare le premure di Michelle.

La donna le raccontò di essere la nipote del saggio Jervis, che le aveva parlato della prigioniera e della sua storia, incuriosendola e commuovendola. Le spiegò che tutta la sua famiglia era costretta a lavorare per Gregor, questo era il nome dell'uomo brizzolato, il suo torturatore, che minacciava tutti loro di morte.
Nessuno dei loro poteri poteva nulla contro quell'uomo, che sembrava essere troppo potente. Per quel motivo si rifiutò di aiutarla a fuggire.

Non posso, Isabel. Quello che ti sta facendo è orribile, ma se ti facessi scappare, arriverebbe a me. È un uomo malvagio, meschino, violento e crudele, ma non possiamo fare altro che ubbidirgli! Altrimenti ci aspetta solo la morte.”
Avvisa almeno il concilio! C'è un concilio, no? Fagli sapere cosa sta facendo! Fagli sapere che razza di maniaco sia!” gridò arrabbiata Isabel, per la paura negli occhi della donna, nonostante fosse lei quella ferita e agonizzante.

Michelle si guardò intorno atterrita, come se avesse paura che la porta si potesse spalancare in quel momento e una guardia entrare e portarla via. Scosse la testa violentemente, facendo sventolare i ricci da una parte all'altra.
Io... non posso. È pericoloso. Mi dispiace, non posso!”

Isabel si aggiustò contro la parete, facendo tintinnare le catene nel processo, stranamente sorridente davanti al suo diniego.
Anche io ero come te. Avevo paura, mi tenevo alla larga da tutto e tutti, sempre sola, sempre in fuga. Mi nascondevo per non affrontare ciò che mi terrorizzava, dandogli completo vantaggio sulle mie mosse, pieno potere sulla mia vita... ma poi ho conosciuto una persona che mi ha insegnato a combattere e tutto è cambiato. Io sono cambiata.”

Sembrava fiera di quel pensiero, di quello che era diventata.
Quello della collana?” si interessò la donna, occhieggiando la pietra con vivido interesse. Non c'era nessuno nel palazzo che non sapesse della prigioniera e delle collane degli amanti, una delle quali era al suo collo.
Isabel annuì e afferrò il ciondolo guardandolo con dolcezza.

Ma se è così importante, perché lui non viene a salvarti? La sua collana dovrebbe essere sempre rossa, visto che sei in pericolo.”

Non credo che la indossi. Ho fatto leva sulla sua insicurezza per allontanarlo da me. L'ho abbandonato all'improvviso, lasciandogli un biglietto con parole che non pensavo davvero, così che mi odiasse e non mi cercasse mai più. Perché Gregor era sulle mie tracce e lui si sarebbe messo in mezzo per proteggermi. In questo modo, invece, è al sicuro.”

Raphael si sentì di colpo molto stupido. Doveva sapere che il motivo per cui se n'era andata non era perché si era pentita, ma per proteggerlo. A conti fatti, a cosa erano servite tutte le parole dolci, tutti i baci, tutti i sospiri di quella notte, se poi aveva ceduto all'insicurezza al primo segno di difficoltà? Non aveva avuto fiducia in lei, in ciò che provava, in ciò che sapeva, preferendo credere a ciò di cui aveva paura.

Lo devi amare molto” mormorò Michelle, colpita dalle sue parole. “Com'è?”
È testardo, arrogante, istintivo e impaziente. Non pensa mai a quello che fa o dice e agisce d'impulso. Non sa gestire la rabbia, perché tutto ciò che fa gli sembra sbagliato e se ne vergogna. Ma è anche leale, forte, onesto e dolce, con una gran paura di essere lasciato indietro, da solo, e col segreto desiderio di essere solo amato, per ciò che è. Ficca il naso negli affari degli altri, prende a cuore le sorti di completi estranei e si batte con tutto sé stesso per aiutarli. Come si può non amare?” raccontò Isabel, persa in ricordi.
Si lasciò perfino scappare un sorriso, fugace e tenero, mentre parlava di lui. I suoi occhi scintillavano.

Raphael arrossì per la sua descrizione, assolutamente calzante. Isabel lo conosceva davvero bene, mentre lui non era riuscito a leggere nelle sue azioni, nonostante fosse proprio quello che lei volesse. Poteva dire di averla amata davvero?



Passarono altri due mesi, sofferti e strazianti.

Non ce la faccio più a guardare, sensei!” gridò Donnie, girando la testa davanti all'ennesima tortura. Il grosso squarcio nell'addome di Isabel le era appena stato fatto, con un affilato e ricurvo uncino da macellaio, infilato con forza nella sua carne; si era perfino lasciata sfuggire un lamento, perché il dolore era troppo grande e insopportabile.
Nemmeno io, figliolo. È lo spettacolo più orribile che io abbia mai dovuto guardare. Ma questa ragazza sta lottando con tutta la sua forza, distogliere lo sguardo sarebbe un affronto al suo coraggio” rispose Splinter con un filo di voce, carica di pena.

Raphael era ad un passo dallo scoppiare. Dall'urlare. Non importava che fossero memorie, che tutto fosse già accaduto e che non ci potessero fare nulla: era successo a Isabel, lo aveva vissuto, quell'incubo, secondo dopo secondo, senza poter scappare.
Il suo respiro era accelerato per la rabbia e fu la piccola tra le sue braccia a confortarlo, percependo la sua agitazione. Lo strinse più forte e lui, intenerito dalla sua premura, ricambiò la gentilezza.

Quella volta Isabel giacque incosciente sul pavimento della cella, anche se Michelle cercava di rianimarla. La donna le deterse il viso e la chiamò, con gli occhi terrorizzati e sconvolti, ma non ottenne risposta; le poggiò le mani sulle tempie, per un momento, assorta, forse valutando le sue condizioni.
Rimase in ascolto di qualcosa, perfettamente immobile. D'un tratto saltò su, silenziosa e guardinga, e sgattaiolò via, velocemente.

Quando Gregor tornò, mezz'ora dopo, sorrideva.
Isabel si era risvegliata, ma non sembrava stare bene. Il suo colorito era molto pallido e la maglia che indossava era completamente imbevuta di sangue.

Bene, bene, bene... ho delle buone notizie” esordì felice l'uomo, camminando avanti e indietro, senza curarsi dello stato in cui lei versava.
Partirò, a breve” annunciò trionfante.
Spero che il tuo aereo cada, la tua nave affondi o qualunque sia il tuo trasporto finisca male” mormorò Isabel, poggiandosi con fatica alla parete, lasciando una strisciata rossa sulle pareti grigie e fredde.

Non vuoi sapere dove andrò?” incalzò l'uomo, chinandosi al suo livello, tendendo la catena per far sì che le sue braccia tirassero verso l'alto. Isabel sussultò per lo strattone improvviso, ma si morse un labbro per non urlare.
Spero all'inferno. C'è di sicuro un biglietto col tuo nome di sola andata!” rispose dopo qualche istante, sputando veleno e rancore ad ogni parola.
Ma come sei simpatica!” esclamò l'uomo, divertito dalla sua rabbia, scompigliandole i capelli con fare fintamente affettuoso, mentre lei cercava di scostarsi.

Io pensavo di visitare l'America... che ne dici? Precisamente New York.”
Isabel si pietrificò, deglutendo nervosamente. Ma il suo sguardo si fece più affilato.

E quando sarò lì, perché non passare a salutare il caro Raphael Hamato?” continuò vittorioso, alla vista del panico che la divorava.

Come diamine l'ha...? iniziò a chiedere il vero Raph, prima di vedere la donna bionda entrare nella cella, spinta da una guardia.

Mi dispiace, Isabel” si scusò quella, vergognandosi di guardarla. Non poteva sostenere lo sguardo ferito e rabbioso della ragazza.
Vedi, farti affezionare a Michelle era la soluzione migliore, perché davvero ero ad un passo dall'ucciderti. E tu mi servi viva. Lei si è guadagnata la tua fiducia, riuscendo infine a leggere quel nome dalla tua mente e ora, grazie a quello, io potrò rintracciare il tuo Romeo ovunque, piccola puttanella. Aspettami, tornerò con la sua testa” le rivelò Gregor, molto divertito dalla sua espressione al tradimento della donna e all'idea che avrebbe ucciso il suo amante.

Si allontanò, ridendosela della grossa, trascinando Michelle con sé, impaurita.
Non ti azzardare a toccarlo! Ti ucciderò, altrimenti! Ti ucciderò!” urlò Isabel, tirando le catene per liberarsi, con un fragore assordante. I polsi, intrappolati nelle manette, cominciarono a sanguinare dalla foga con cui strattonava.
Un'altra risata fu tutto ciò che ottenne come risposta. La porta della cella sbatté con un suono cupo, riecheggiando.

Isabel si accasciò al suolo, sconfitta.
Raffaello” mormorò tra sé, come una nenia, finché il buio non si mangiò tutto.

A notte fonda la serratura scattò, silenziosamente. Una figura scura come le ombre si avvicinò e iniziò a trafficare con le sue catene, senza fare rumore.
Chi sei?” domandò Isabel, afferrando il misterioso visitatore per un braccio.
Michelle fece cadere qualcosa di metallico, dallo spavento. Nel silenzio della notte il rumore sembrò perfino più forte di quanto avrebbe dovuto essere.

Io... sono venuta a liberarti” balbettò in imbarazzo, cercando le chiavi al buio.
Cos'è, un'altra trappola?” insinuò Isabel, cinica, trascinandosi lontano da lei.
Mi... mi dispiace. Potrei dirti che non avevo scelta, ma so che mi diresti che c'è sempre una scelta. Posso solo scusarmi, ancora e ancora. So che ho fatto una cosa sbagliata!”
E adesso perché mi liberi?”
Per fare la cosa giusta.”

Isabel si ritrovò senza le catene, libera per la prima volta da così tanti mesi. Libera di andare via. Libera di usare i propri poteri. Si fregò i polsi lesi e insanguinati, con una smorfia di dolore, occhieggiando l'altra donna con dubbio. Senza le manette avrebbe potuto fulminarla a proprio piacere, al primo segno di tradimento.

Portami dove si trova la mia borsa” le chiese, non appena si fu rimessa in piedi. Avrebbe provato a darle ancora fiducia.
Michelle annuì, scortandola silenziosamente fuori dalla cella.
Il rumore dei passi si affievolì, mentre la scena scompariva, facendo loro vedere una sequela veloce di immagini: Isabel che recuperava vestiti e borsa, che partiva nella notte dopo aver salutato Michelle, verso un lungo viaggio per l'America, molto difficoltoso.

Di colpo tutto svanì, riportandoli nel soffuso nulla dove fluttuavano le porte, in un silenzio angoscioso e denso, palpabile come se fosse stato un essere senziente che esprimeva angoscia.
Nessuno aveva voglia di parlare, troppo intenti a digerire ciò che avevano visto. Solo Isabel, tra le braccia di Raphael, esternava quel senso di orrore e raccapriccio che tutti loro provavano, piangendo con tutta la sua anima.

Mi dispiace, Raffaello. Mi dispiace” mormorò alla fine tra i singhiozzi. La piccola Isabel tra le sue braccia era diventata grande, identica a quella che due secondi prima avevano visto scappare dalla cella.
Non è colpa tua. Non scusarti” sussurrò quietamente lui, stringendola con dolcezza, felice di averla trovata.

Abbiamo trovato la Isabel che era rimasta intrappolata. E abbiamo scoperto chi l'ha ridotta in questo stato” concluse Don.
Usciamo da qui, per favore.”

Una porta di luce apparve davanti a loro, che furono ben felici di oltrepassare; Raphael prese in braccio Isabel, portandola al di là.
Ripresero coscienza all'istante, ritrovandosi nella camera di Leo, attorno al letto. Di colpo sembrò tutto irreale, come se fossero appena scappati da un orribile e grottesco incubo, da cui non erano riusciti a svegliarsi per troppo tempo. Gli sguardi corsero da una parte all'altra, per riprendere contatto con la realtà, poi si posarono sulla ragazza che giaceva ancora incosciente in mezzo a loro.
Isabel non aveva ripreso conoscenza, ma il suo viso non era più così sofferente come prima.

Raph strinse con forza la sua mano, tremando di rabbia. Poi si alzò di scatto.
Raphael, dove stai andando?” urlò Splinter, interrompendo la corsa del figlio verso la porta.
C'è un bastardo là fuori che mi sta cercando, sensei. Un bastardo che ha torturato Isabel per mesi. Non posso stare qui e nascondermi. Non sarò la preda, sarò il cacciatore!” gridò furioso, sorpassandolo e continuando ad avvicinarsi alla porta.

Fermati!” ordinò il maestro.
Se lo farai, a cosa sarà valso il sacrificio di quella ragazza? So che sei fuori di te, figliolo, e ti confesserò che ne hai tutte le ragioni. Ma ti chiedo pazienza. Aspettiamo che Miss Isabel si risvegli.”

Raphael lottò contro la propria rabbia, frustrato. Stringeva le mani così forte che tutto il suo corpo tremava, di furore, indignazione, risentimento, voglia di vendetta.
Guardò un attimo Isabel. Desiderava con tutte le sue forze che si svegliasse e che sorridesse. Voleva sincerarsi che stesse bene, di persona.
Con un sospiro rilassò il corpo, sconfitto. Si voltò nuovamente verso la stanza.

Bene, saggia scelta. Adesso, vieni, raccontami un po' di questa relazione segreta con Miss Isabel” lo punzecchiò Splinter, facendolo inorridire.



Note:

Salve.
Sto postando il capitolone stasera, con enormi sacrifici, perché una lettrice mi ha scritto che domani partirà a tempo indeterminato e che non potrà continuare a seguire la storia (a proposito, ma dov'è che vai che non ci son né rete né prese? O.o). Buon viaggio, comunque.

Anyway, non pensavo di farcela, ma sacrificando un po' di cose ci son riuscita. Perdonate eventuali errori perché ho dovuto revisionarlo di fretta.
È stata una faticaccia immane! Magari più avanti ci ritorno e controllo errori. Ho una sorta di sensazione di angoscia, come se sapessi di poterci aggiungere ancora qualcosa. Solo che adesso non posso.

Sono 22 pagine. Wow. Un'epopea. Di sangue e torture... che sadica.

Se non vi dispiace dopo questo mi prendo una settimana di pausa. Devo rimettermi in pari con le cose che ho messo da parte.
Grazie per la pazienza e per seguire la storia! Mi rendete felice!

A presto

P.S.: nello scorso capitolo ho dimenticato di dirvi che del capitolo precedente (il 13, quello del fattaccio) esiste una sorta di spin-off, ovvero la stessa scena, ma vissuta dal punto di vista di Isabel, che è dentro la stanza e sente la discussione tra Raph e i suoi fratelli. Stavo pensando di postarla alla fine della storia, per non rivelare spoiler, prima del sequel. Che ne dite?

P.p.s.: ah, dimenticavo. Giusto per fare chiarezza, nel caso che con flashback e viaggi vari vi foste perse, Raph, Don, Leo e Mikey hanno ventidue anni e Isabel venti.

Beh, adesso è davvero tutto.

Abbraccionissimo


P.p.p.s.: avete visto il trailer del film delle tmnt? Non so che pensarne! Sono emozionata e timorosa allo stesso tempo!



  
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