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Autore: asyouwishmilady    29/03/2014    2 recensioni
11 anni prima.
La appena diciottenne Emma è sul punto di essere arrestata (2x06), quando si ritrova di fronte ad un misterioso e bellissimo uomo in giacca e cravatta, disposto ad aiutarla, a patto che lei lo segua. L'uomo dice di chiamarsi Killian Jones, e sostiene di averla cercata per anni ed anni. Ma cosa vorrà veramente da lei? Emma starà ad ascoltare quello che ha da raccontarle?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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L’odore dell’ospedale mi dava la nausea, e non riuscivo a comprendere se la vera causa del mio malessere fosse data dall’ansia per il possibile imminente incontro con i miei genitori, o da qualcosa che non avevo digerito.
Mary Margaret mi piaceva, anche se i suoi modi eccessivamente cordiali mi mettevano in soggezione, insieme ai suoi occhioni da cucciolo smarrito.
Durante il tragitto, ci aveva raccontato, entusiasta, di essere la classica maestra elementare che adora bambini ed animali.
Quando, invece, le avevo domandato da quanto lavorasse come volontaria all’ospedale di Storybrooke, non era stata in grado di darmi una risposta precisa - “da un bel po’, da quando ho memoria”, il che non fece altro che alimentare la strana teoria di Killian sul sortilegio.
E, per un istante, io stessa ne valutai la possibilità. Solo un breve e folle istante che bastò a farmi rischiare di cadere sul pavimento lucido dell’ospedale.
«Ti senti bene?» domandò Killian, allarmato, mentre mi afferrava praticamente al volo, da sotto le braccia.
Annuii e mi sistemai i vestiti stropicciati «E’ solo un giramento di testa»
Mary Margaret, premurosa, si avvicinò immediatamente per aiutarmi mettermi a sedere su uno dei divanetti consumati dell’atrio e, quando il suo viso fu a pochi centimetri dal mio, notai qualcosa.
Qualcosa che avevamo in comunque, qualcosa di così evidente da farmi mancare la terra sotto i piedi.
Fu come se, per un lungo secondo, mi fossi trovata di fronte ad uno specchio, anziché a quella donna.
Il mento, la curva della mascella erano spaventosamente uguali ai miei.
Forse Killian non aveva ragione su tutto, ma se su quel fondamentale dettaglio avesse avuto ragione?
Lo cercai con lo sguardo: mi sorrise, ed io non riuscii a non fare lo stesso. Mi faceva stare bene sapere che gli importava di me, della mia salute, della mia serenità, più di quanto non gli importasse del piano.
Distolsi, svelta, gli occhi.
Ma, forse, era solo bravo a fingere. Anche lui.
«Stai meglio?» bisbigliò lui, d’un tratto, facendomi sobbalzare «E’ il nostro momento»
Mi schiarii la voce, e sbattei ripetutamente le palpebre per scacciare le lacrime «Andiamo»
Killian si guardò attorno, sbrigativo, prima di chinarsi di fronte a me. Era bello, troppo per essere reale. Ma non era il suo aspetto ad essere tanto prezioso per me: era il modo in cui mi guardava, dietro all’aspetto da multimilionario, dietro all’atteggiamento da ragazzaccio.
Come se fossi stata l’unica persona sulla faccia della terra.
I capelli scuri gli ricadevano disordinatamente sulla fronte e le guance erano lievemente arrossate per il tepore quasi esagerato dell’ospedale.
In quel momento potevo vederlo, l’uomo distrutto dagli incubi, dai sensi di colpa.
«Possiamo andare» dissi d’un fiato, più a me stessa che a lui.
«Non farlo, se non stai ancora bene» mormorò, senza distogliere lo sguardo.
Schiusi lievemente le labbra per controbattere, ma Killian mi precedette «Dobbiamo cercare di non attirare troppo l’attenzione, o sarà un problema»
Annuii, domandandomi da quanto studiasse quel piano, quante volte l’avesse modificato affinché fosse impeccabile.
“Ti aspetto da molto tempo.”
Quella frase era un’infinita lotta interna per me: merce di scambio, o ragazza speciale?
«Emma» Killian mi sollevò il mento, scrutandomi «Adesso smettila per un momento di perderti nei tuoi pensieri, e cerca di ascoltarmi»
«O-ok» deglutii, sopprimendo un fremito causato dalla vicinanza di lui.
«L’uomo dentro a quella stanza» fece un cenno col capo verso un piccolo locale, circondato da pareti di vetro. Io lo ascoltavo, ipnotizzata come una bambina che ascolta una favola.
«E’ tuo padre» sollevai le sopracciglia, illudendomi - per l’ennesima volta - di poter finalmente essere parte di qualcosa, di una famiglia.
«Lui… Lui sta male? Perché è qui?» chiesi di scatto, mangiandomi le parole per l’agitazione.
«E’ il sortilegio» rispose solamente, facendomi ribollire il sangue nelle vene: non poteva semplicemente portarmi in un ospedale e dirmi che mio padre si trovava lì, senza nemmeno darmi una spiegazione plausibile, logica.
«Non fare quella faccia da bambina capricciosa, Emma. Sei molto più di questo»
Ignorandolo, balzai in piedi e mi avviai verso quella stanza di vetro.
Non appena varcai la soglia, mi resi conto che tutte le mie aspettative erano state deluse. Di nuovo.
Mi aspettavo un uomo di mezza età, con la calvizie che cominciava a spuntare, che mi avrebbe accolto con un sorriso ed un “E lei chi è, signorina?”.
Quello a cui mi trovai di fronte, invece, fu un uomo di circa trent’anni, biondo, apparentemente preso da un sonno profondo. Apparentemente perché la postura innaturale di braccia e gambe indicava che era stato messo in quella posizione.
Era in coma.
Killian, che entrò qualche secondo dopo di me, lesse la delusione sul mio volto come se lo conoscesse da sempre.
«So che non è ciò che ti aspettavi» posò timidamente la mano sulla mia spalla e, quando fu certo che non l’avrei rifiutato, la fece scivolare fino ad avvolgermi le spalle.
«No, infatti» ribattei, con la voce che mi tremava per il dolore.
«E’ tuo padre, Emma, te lo giuro»
Annuii, perché sapevo che era convinto che la sua teoria fosse reale e perché non avevo voglia di discutere.
«Non trattarmi come un pazzo» si staccò di scatto, lanciandomi un’occhiata glaciale che, però, nascondeva una punta di sofferenza.
«Scusa. E’ solo che è troppo giovane per poter essere mio padre» bofonchiai, cercando di nascondere il dolore – un po’ come faceva sempre lui - «Ed è in coma»
«Non è in coma» esordì lui, ma io lo interruppi immediatamente.
«Fammi indovinare: è il sortilegio?»
Incrociò le braccia, prima di osservarmi, assurdamente divertito «Mi piace il fatto che tu sia in grado di farla sembrare una cosa ridicola»
Lo è, pensai, ma tu no: tu sei reale, e vorrei soltanto che non ci fosse questa storia del sortilegio tra i piedi.
Si perse in un lungo sospiro rassegnato «Beh, se non hai altro da chiedere, possiamo tornare nel bosco, prima che Regina ci colga in flagrante»
«Ancora un secondo, per favore» mi avvicinai a grandi passi al letto del paziente, per togliermi quel piccolissimo dubbio che mi stava divorando il cervello.
Allungai la mano vacillante verso il polso immobile dell’uomo, e gli sollevai delicatamente il braccio, sentendone il calore e la pulsazione del battito cardiaco.
La sensazione che provai era inspiegabile, un po’ come la mia infatuazione per Killian. Alzai timidamente lo sguardo per osservare il viso di quell’uomo: era molto bello, con i suoi capelli biondo cenere e suoi lineamenti proporzionati.
Provai un incomprensibile, irrazionale moto d’affetto nei suoi confronti.
La presenza inebriante di Killian, però, mi svegliò presto dai miei pensieri, e mi ricordò per quale motivo avevo sollevato il braccio di quell’uomo.
Strinsi gli occhi, cercando di leggere il nome di quello sconosciuto dal braccialetto di plastica sbiadita che aveva al polso.
«John Doe» mormorai, confusa. John Doe?
«Non è il suo vero nome» intervenne Killian, indicandomi di lasciare il braccio del paziente «Qui nessuno si ricorda di lui, quindi lo chiamano così. E’ usanza di questo mondo chiamare “John Doe” gli uomini dall’identità sconosciuta»
«Qual è il suo vero nome?» domandai, presa dall’irrazionalità, senza riuscire a staccare gli occhi da quell’uomo.
Killian fece spallucce, e si avvicinò per prendermi per mano e trascinarmi via «James, credo. E’ un principe»
«Un principe?» mantenni il contatto visivo con John Doe finché mi fu possibile.
Quando fummo fuori dall’ospedale, e domandai, impaziente, a Killian se saremmo tornati a far visita a John Doe, cominciai a chiedermi se, in fondo, il mio rapitore non avesse avuto ragione su tutto.
«Killian» gli strinsi la mano, nervosa, «Posso farti una domanda?»
Lui annuii, ricambiando la stretta con decisione, senza mai smettere di guardarsi attorno, in cerca di Regina, o forse dell’uomo con il bastone.
«Come sapevi che mio padre si trova all’ospedale, o che mia madre è Mary Margaret? Mi hai detto che non sei mai venuto a Storybrooke prima d’ora, perché Regina non te lo avrebbe permesso»
Lo sentii irrigidirsi di colpo, mentre rallentava il passo fino a fermarsi in mezzo al marciapiedi deserto. La mano stava cominciando a sudargli, ed il respiro si era fatto affannoso.
«Ho le mie fonti, ok?».




Hola! Spero proprio che il capitolo sia vi sia piaciuto, perché a me è davvero piaciuto scriverlo. Sono sempre stata affascinata dal rapporto Emma-Charming, ed ho voluto dargli un po' di attenzioni in più, rispetto al classico Emma-Mary Margaret.
Adesso cos'avrà Killian ancora da nascondere? Proprio adesso che Emma sembrava (LEGGERMENTE) più convinta sulla storia del sortilegio. Non vi anticipo niente, se non che ad Emma non piacerà per niente. 
Poi, noi che conosciamo bene Regina, e sappiamo che ha occhi veramente ovunque, possiamo credere che non sospetti niente? Non ha la magia, ma avrà sicuramente in mente qualcosa per sbarazzarsi dei "problemi".
E il nostro caro Rumple (che io chiamo Tremotino per una questione di concordanza italiano-italiano)? Si ricorderà di Killian? Cosa accadrà tra i due? Killian rinuncerà alla tentazione bruciante di vendicarsi sul suo coccodrillo?
L'uomo dell'ascensore si farà vivo?
Vi aspetto per il prossimo capitolo! ;) bacione!
Claudia
 
   
 
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