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Autore: Caleb Club Efp    29/03/2014    0 recensioni
Trasferirsi dagli Abneganti a qualsiasi altra fazione significherebbe essere egoista, pensare a te stesso, e non c'è posto per l'egoismo, qui. D'altra parte, fare la scelta giusta significherebbe negare la mia natura, e la mia natura mi spinge a informarmi, a sapere, a essere curioso. ''La curiosità è da egoisti'' dice sempre mio padre ''e l'egoismo non è mai una buona cosa''. Eppure io penso che la curiosità sia la cosa migliore che possa essere capitata all'uomo.
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Ciao a tutti! Siamo tre ragazze che hanno deciso di riscrivere la storia dal punto di vista di Caleb, che è un personaggio che ci incuriosisce e ci affascina. Saremo felici di leggere le vostre recensioni, positive, neutre o critiche, in modo da poterci migliorare sempre di più.
Buona lettura!
P.s.: Magari non subito, ma più in là ci saranno spoiler di Allegiant.
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caleb Prior, Tris, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 1

"Caleb, dove vai?"
Mi volto e incontro lo sguardo vivace e curioso di Beatrice, la mia sorellina. La guardo intenerito, la sua figura cosi piccola, delicata e goffa. I capelli biondi sono legati in una treccia ma delle ciocche ribelli le attorniano il viso. Le guance rosse risaltano la vivacità che fa da sempre parte del suo essere. Ma i rimproveri di mio padre risuonano nella mente quasi come se fosse qui con me. Non possiamo mostrare affetto in pubblico é una forma di auto-indulgenza. Mi riscuoto dai pensieri e distolgo lo sguardo.
"In biblioteca. Ad aiutare la signorina Smith" rispondo in tono piatto, quasi innaturale.
"Ma non pranzi?" Insiste lei.
"Pranzo più tardi. A dopo." Guardo Beatrice allontanarsi e mi rendo conto, guardandola, di quanto stia crescendo e che anche per lei, come per me, arriverà presto la Cerimonia della Scelta e, a pensarci bene, ho quasi paura di perderla. Esco dalla mensa e mi incammino verso la biblioteca. Passano pochi minuti quando incontro Robert.
"Caleb!" Mi fa un cenno con la testa sorridendo.
"Ehi Robert" ricambio.
"Che ci fai qui?" chiede. 
"Sto andando ad aiutare la signorina Smith, e tu?"
"Oh giusto, io vado a mensa" risponde.
"Già, ma.." guardo intorno a noi notando una particolare assenza. "Ma dov' é Susan?" chiedo interrompendo la conversazione. Robert mi guarda sorridendo.
"Che c'é?" domando indispettito. "Nulla, nulla." ribatte lui con quel sorriso di chi la sa lunga.
"Susan é a casa, si é presa l'influenza." risponde.
"Oh, mi dispiace" rispondo non sapendo cos'altro dire. Susan e Robert sono fratelli, i nostri vicini di casa. Conosco loro padre e so che spesso fuori per lavoro e forse per colmare questa assenza si fanno sempre compagnia. Non posso negare che Susan non sia carina, bionda, sorridente e vera Abnegante. A pensarci è probabile che lei resterà nella nostra fazione anche dopo la Cerimonia e lo farei anche io, se non fosse per la continua sensazione che mi assale ultimamente quando mi guardo intorno, la sensazione di non appartenenza a questo posto. "Bene, io vado sennò resto senza pranzo" ironizza Robert distraendomi dai miei pensieri.
"Certo" ribatto sorridendo "salutami Susan!"
"Lo farò, piccolo innamorato" ribatte lui correndo via. Stringo i pugni e resto a guardarlo infastidito. Innamorato di Susan? Come può capire lui l'amore quando è a dir poco un bambino? Come me, certo, ma mi rendo conto ogni giorno di quanto qualcosa dentro di me stia cambiando. Faccio un lungo respiro, rilasso i muscoli delle braccia e torno alla realtà. Mi dirigo verso la biblioteca, o meglio, mi ci rifugio.

Non sempre è difficile mascherare la mia predisposizione per gli Eruditi in predisposizione per gli Abneganti. Siamo in pausa pranzo, e io mi sono offerto di aiutare la bibliotecaria a riordinare la libreria. Mi piace questo posto. E' il mio santuario da molto tempo, uno dei pochi posti dove posso saziare la mia sete di sapere, la mia fame di informazioni. I libri sono ovunque, qui: sui tavoli, ancora aperti, probabilmente lasciati da qualche Erudito, sugli scaffali e perfino per terra, e tutti sembrano prometterti che, non appena avrai finito di leggerli, sarai una persona nuova, una persona migliore. Una promessa alla quale non so resistere.

Mi chino a raccogliere i libri da terra per rimetterli negli scaffali, pensando alla mia Cerimonia della Scelta, che avverrà tra due anni, pensando a cosa dovrei scegliere. Tutti questi anni passati qui mi hanno insegnato che la scelta giusta è solo una: gli Abneganti. Gli Abneganti sono la fazione più fedele e capisco il perché. Trasferirsi dagli Abneganti a qualsiasi altra fazione significherebbe essere egoista, pensare a te stesso, e non c'è posto per l'egoismo, qui. D'altra parte, fare la scelta giusta significherebbe negare la mia natura, e la mia natura mi spinge a informarmi, a sapere, a essere curioso. ''La curiosità è da egoisti'' dice sempre mio padre ''e l'egoismo non è mai una buona cosa''. Eppure io penso che la curiosità sia la cosa migliore che possa essere capitata all'uomo.

Nei libri di storia si parla sempre di grandi persone, uomini e donne, che hanno contribuito a rendere il mondo un posto migliore grazie alle loro scoperte, ampliando le loro conoscenze. Loro non si sono accontentate delle blande risposte che ricevevano alle loro domande, loro hanno voluto andare fino in fondo, hanno voluto capire, e sapere, anche a costo di negare i loro ideali, a costo di negare tutto ciò in cui hanno creduto fino a quel momento. Sono stati curiosi ed è grazie a questo che ora sappiamo quello che sappiamo.
Naturalmente mi guardo bene dal dire queste cose a voce alta davanti a un Abnegante. Mi vergogno perfino a pensarci. Chissà cosa direbbe mio padre se scegliessi gli Eruditi. Lui, che li ha sempre dipinti come malvagi assetati di potere.

Chissà cosa direbbe se mi vedesse qui, accovacciato in un angolo, a leggere tomi di anatomia, di informatica, di astronomia, quando dovrei metterli a posto senza aprirli, senza avere la curiosità di leggerli. Cosa direbbe dei libri nascosti dentro gli armadi di camera mia, sotto il letto, nello spazio tra la scrivania e il comodino? Direbbe che l'ho deluso. Che sono un egoista, ecco cosa direbbe. Non sarebbe fiero di me se mi vedesse in questo momento: ho perso di vista il mio obiettivo, quello di riordinare la libreria, e mi sono perso tra le pagine di un libro. Di nuovo.

Solo quando la signorina Smith mi richiama, mi rendo conto di quanto sia tardi. E' una donna di mezza età, con occhi neri e grandi e con occhiali ancora più grandi, i capelli raccolti in uno chignon strettissimo. Mi ha sempre ricordato un pesce. Un grosso pesce occhialuto. ''Caleb'' mi dice. ''E' tardi. La pausa pranzo è quasi finita. Dovresti andar via.'' Avvampo per la vergogna. ''Mi dispiace, io... ho perso di vista l'orario'' balbetto. ''Non è la prima volta che...''
''Non ti preoccupare, ci penso io, qui.'' mi sorride. Imbarazzato, corro fuori dalla biblioteca.

 

All'uscita l'aria fresca mi avvolge nella sua morsa facendomi rabbrividire. Stringo le braccia al petto e m'incammino a passo regolare. Dev'essere più tardi di quanto pensassi, il cortile é deserto e non vedo traccia di Beatrice. Mi fermo per un momento a guardare quello scenario cosi diverso da quello a cui sono abituato. C'é un non so che di triste in quel silenzio, come se tutto ciò che dava vita a questo posto si fosse semplicemente spento. Senza le risate e le esultanze dei bambini intrepidi che si arrampicano sulla vecchia statua al centro della grande fontana; senza le discussioni animate dei candidi, senza le canzoni allegre delle ragazze pacifiche, senza il mormorio incessante degli Eruditi, sempre in cerca di risposte, questo cortile, questo posto magico dove le nostre vite si incontrano e si sfiorano, bé, sembra solo... un cortile. Che sia la dimostrazione di come sarebbero le nostre vite senza fazioni? Sono le divisioni o gli incontri delle fazioni a dar luce e colore a questo posto? Non ne sicuro, ma sono più che mai convinto che l'alternativa é qualcosa da cui tutti vorrebbero starne lontani.

Gli Esclusi sono coloro che non sono riusciti a completare l'iniziazione della fazione scelta. Non appartenendo più a nessuna fazione, vivono nelle zone più degradate della città nella povertà più assoluta. I nostri genitori si sono sempre prodigati per provvedere loro cibo e vestiti ma come dice la mamma, non é mai abbastanza. Sin da quando eravamo piccoli ci hanno esortato a contribuire con il nostro aiuto, facendoci sempre portare del cibo con noi, nel caso dovessimo imbatterci in uno di essi. Ma hanno sempre cercato di proteggerci non facendoci avere contatti prolungati e diretti con loro. Quello che non sanno peró é che é già successo diversi anni fa...

 

 

"Caeeb! Caeb! Dai andiamo!"
Esclama Beatrice correndo davanti a me. Nonostante la sua tenera goffaggine è sempre stata veloce e quando mi volto vedo solo la sua testolina bionda balzare da un punto all'altro, seguita dall'eco della sua risata spensierata.
"Beatrice! Sta' attenta o ti farai male!" La richiamo preoccupato. Nonostante abbiamo solo dieci mesi di differenza confronto a me Beatrice assomiglia ancora ad una bambolina. Quest'anno cominceremo ad andare a scuola e ancora non riesce a pronunciare correttamente il mio nome, il che sembra voglia rendere ancor di più l'idea. Accelero il passo per raggiungerla.
"Caeb! Prendimi!" Grida felice saltellando.
"Beatrice sta'..." ma non riesco a concludere la frase che già é stesa a faccia in giù sull'asfalto. Corro verso di lei e l'aiuto a rialzarsi."Beatrice...stai..stai bene?" Mormoro spaventato sentendo un nodo formarsi nella gola. Lei si rialza lentamente e mi guarda confusa. Poi ricomincia a ridere.
"Caeb, ha una faccia buffa" Allunga una manina verso di me e mi tocca la punta del naso con un dito. La guardo severo per pochi istanti, ma poi sento il nodo sciogliersi in una risata sincera. Dovrei correggerla: dirle che non si grida o si corre per strada, ma la sua risata è cosi contagiosa e dopotutto non ci ha visto nessuno. Ci impiego qualche minuto per rendermene conto, ma quando capisco dove ci troviamo, un brivido di freddo mi percorre la schiena. Sollevo lo sguardo e vedo un grosso edificio cadente e abbandonato. I vetri delle finestre sono rotte, il legno é marcio, e una parte del tetto é crollata. Dovremmo andarcene, potrebbe essere pericoloso ma la curiosità prevale su tutto. Prendo la mano di mia sorella e mi pongo di fronte a lei a mo di scudo contro qualsiasi cosa incontreremo. Entriamo piano, il pavimento anch'esso di legno scricchiola sotto il peso dei nostri passi e oggetti indistinti sono sparsi per la stanza. La luce che penetra dalle finestre rotte illumina solo in parte coloro che la abitano. Sono seduti per terra su delle coperte logore e sudicie. I vestiti sbrandellati, la pelle che pende dalle braccia troppo magre, i visi scavati e sporchi.
Ci guardano senza dir parola, ma non so perché quel silenzio é ancora più minaccioso. Le mani cominciano a tremare e vorrei che mamma e papà fossero qui a proteggerci. Beatrice sbircia da dietro la mia schiena, le mani aggrappate alla mia camicia. "Caeb.." mormora piano, spaventata.
"Beatrice, esci, va' fuori, io arrivo subito..." cerco di usare un tono deciso quando parlo ma tutto quello che esce é solo il mormorio di un bambino spaventato quanto lei.
"Caeb, ho paura."
"Non devi, ci sono qua io a proteggerti. Ora fa quello che ti ho detto, da brava..." le rispondo guardandola nei suoi occhi grandi e marroni, il riflesso dei miei. Esita ancora, poi peró annuisce ed esce in strada. Senza di lei tutto il coraggio che avevo cercato di mostrare, svanisce rimpiazzato dal terrore. Deglutisco e cerco di respirare regolarmente.
"Mi..mi.." balbetto tremando violentemente. "Mi dispiace" sussurro infine tutto d'un fiato.
Il loro silenzio viene improvvisamente interrotto da una risata rauca, tetra, che mi spaventa ulteriormente. Indietreggio velocemente e inciampo in una delle assi malmesse del pavimento. Sento una fitta di dolore sulla mano ma cerco di ignorarla e mi rialzo in fretta uscendo. Beatrice é ancora li fuori ad aspettarmi. Prendo la sua mano e le ordino di correre. Torniamo indietro il più velocemente possibile. Quando ci addentriamo nel nostro quartiere rallento e cosi fa anche Beatrice. Mi guarda e i suoi occhi si velano di lacrime. "Ehi é tutto a posto ora" la rassicuro. Ci fermiamo in un angolo tra due case e mi siedo a terra cercando di riprendere fiato.
"Ti sei fatto male" dice indicando la mia mano sporca di sangue. Guardo il palmo della mano e ci scorgo un taglio lungo qualche centimetro.
"Sto bene" le sorrido.
"Caeb, ti voglio bene" dice stringendosi a me e cominciando a piangere. Rimango allibito per qualche istante, ma poi decido di dimenticarmi delle regole e delle opinioni altrui e la stringo forte...

 

Il fischio del treno in lontananza mi riscuote e mi rendo conto di essere ormai a pochi passi da casa. Sollevo lo sguardo e vedo una figura grigia seduta sugli scalini della veranda. Per un momento penso sia la mamma, ma avvicinandomi mi rendo conto che é solo Beatrice. É rannicchiata su stessa, quasi voglia essere più piccola, la testa appoggiata alle ginocchia guarda dritto, davanti a se. Come se stesse guardando il vuoto. Seguo la traiettoria e scorgo delle minuscole figure nere che si stagliano contro lo sfondo arancione del tramonto. Corrono sul ponte, in attesa del treno che neanche questa volta si fermerà. In pochi secondi il treno, compare e scompare portando con se anche gli unici passeggeri, gli Intrepidi. Mi chiedo cosa ci trovi di tanto affascinante in loro, Beatrice la mia dolce sorellina goffa e timida. Ma so che anche se glielo chiedessi non me lo direbbe mai cosi come io non le ho mai detto della mia predisposizione per gli Eruditi. E forse é meglio cosi. Mi avvicino senza far rumore e mi fermo di fronte a lei, che solleva lo sguardo sorpresa. Mi sorride.
"Ehi, dove sei stato? Mamma e papà saranno qua a momenti."
"Scusami, mi sono fermato ad aiutare dei compagni." Eruditi, penso. Compagni Eruditi aiutati da un Abnegante. Ma non posso dirglielo. "Okay, be sto preparando la cena. Puoi apparecchiare la tavola?" Dice entrando in casa.
"Certo, ehm... Beatrice?"
"Si?" "Potresti non dire niente a mamma e papà"
"Certo." Mi sorride.
"Grazie, ti voglio bene sorellina." Si volta e mi guarda sorpresa.
"Anch'io, fratellino" risponde infine, sorridendo. E quelle parole mi scaldano il cuore.

   
 
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