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Autore: Lily Liddell    30/03/2014    4 recensioni
Una raccolta di one shot che riguardano Effie.
Potranno trattare di ogni momento della sua vita: infanzia, adolescenza, età adulta.
Trovo che Effie Trinket sia uno dei personaggi più sottovalutati della serie; ho deciso quindi di dedicarle, nel mio piccolo, uno spazio tutto suo per poterla far crescere.
All'interno di questa raccolta potranno essere più o meno presenti, oltre ai personaggi conosciuti, una serie di personaggi originali. Volendole creare un background, non ho potuto evitare di crearle attorno una famiglia e qualche amico.
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Capitolo 3
Titolo: Aspettative Infrante.
Sintesi: Effie ha appena affrontato i suoi primi Giochi da accompagnatrice, le cose non sono andate come si era aspettata.
Parole: 1436
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La mia predecessora mi aveva raccontato storie, mi aveva detto come sarebbe stato… ma mi ero rifiutata di crederle, vorrei potermi scusare con lei.
In televisione lo avevo visto diverse volte, dopo i suoi Giochi. Anno dopo anno, la sua reputazione da ubriaco del 12 aveva continuato a crescere. Dal vivo, è decisamente peggio… non avevo considerato la puzza.
Non credo che mi abituerò mai all’odore di vomito e alcool.
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**Il capitolo 4 era già stato pubblicato come one-shot singola, ma ho deciso di spostarla in questa raccolta.**
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Effie Trinket, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Sintesi: una finestra sul passato di Effie. Prima di studiare per diventare l’accompagnatrice del Distretto 12, Effie ha passato diversi anni a lavorare come modella, sotto la supervisione della madre.
A/N: La prima one shot della mia prima raccolta si chiama Strawberry Blonde, dal momento che mi ha portato bene, ho voluto dedicare un paio di righe ai capelli di Effie anche in questo nuovo inizio.

La chiusura delle scarpe credo stia lacerando la carne, ho uno sciame di preparatori che mi ronza intorno e vedo già lo stilista che arriva con la gonna che dovrò indossare. L’ho fatta tornare indietro poco fa perché non riuscivano in nessun modo a tirare su la zip.
A pochi metri da me c’è un treppiedi massiccio che regge una fotocamera ad alta tecnologia. Alle sue spalle sono posizionate due sedie; una è per il fotografo, l’altra è riservata a mia madre. I due ora stanno parlando nell’angolo opposto del set, troppo lontani per poterli sentire.
Questa è stata una sua idea, erano almeno quattro anni che non posavo per una rivista. L’ultima volta gli abiti che mi avevano costretto a portare non erano così fastidiosi.
“Potrei far allentare un po’ la chiusura delle scarpe?” Chiedo gentilmente non appena il fotografo mi si avvicina.
Mia madre mi lancia un’occhiataccia, poi scuote la testa. “Hai le caviglie delicate, Euphemia. Rischi di cadere e non posso permettermelo, hai ancora una settimana di fotografie davanti a te.”
Mi volto verso il set, già pronto, alle mie spalle. “Ma devo restare seduta su una poltrona tutto il tempo.” Le faccio notare, poi torno a guardarla. “Che differenza fa?”
Non vuole sentire ragioni, quindi non ribatto più.
Lo stilista mi aiuta ad infilare la gonna, ora è perfetta, e la appunta per sicurezza con una spilla da balia quasi invisibile.
“Dovrei metterti a dieta, ho richiesto la stessa taglia dell’ultima volta, evidentemente sei ingrassata.”
“Avevo tredici anni, mamma.”
“Euphemia, lo sai che non mi piace che usi termini così colloquiali.” Risponde, ignorando ciò che ho detto.
Respiro profondamente ed evito il suo sguardo, perché non mi piace essere ripresa in pubblico. “Avevo tredici anni, madre.” Ripeto, soffermandomi più del dovuto sull’ultima parola.
“Non essere così sarcastica.” Si limita a dire, con tono superficiale. “Il sarcasmo non si addice ad una signora.”
Vorrei scusarmi, ma lo stilista non mi dà il tempo, tira fuori dal nulla un corsetto che sembra tanto bello quanto doloroso. “Infilatele questo mentre sistemo la canotta.” Dice, poi si allontana.
La sua assistente, che può avere circa la mia età, mi fa alzare le braccia e mi infila da sopra l’indumento. Comincia ad infilare i lacci, nel frattempo i preparatori finiscono con il trucco.
“Dobbiamo decidere che cosa fare con i capelli.” Dice una di loro, gli altri annuiscono.
La mia risposta a quest’affermazione è automatica. “Vi prego, non tingeteli.”
“I tuoi capelli sono insignificanti.” Mi sento dire da mia madre, poi allunga una mano verso di me e prende una ciocca fra le dita. La esamina per bene e poi la lascia ricadere al suo posto. “Questo… biondo rossiccio.”
“Sono biondo fragola.” La voce proviene dalle mie spalle, mi volto per vedere che a parlare è stata l’assistente dello stilista. “Ho visto almeno una decina di parrucche con questo colore in giro. Ultimamente va di moda, personalmente lo adoro.”
Le rivolgo uno sguardo carico di gratitudine, poi mi volto verso mia madre, perché so che la decisione finale è sua. “Madre, ti prego.”
Dopo qualche secondo di silenzio, si volta verso il fotografo. “Discutiamone.” Dice, e si allontana, facendosi seguire.
“Potremmo abbinarli al trucco e farli fucsia.” Suggerisce un altro preparatore. Istintivamente mi porto una mano ad accarezzare le punte dei miei capelli.
Inaspettatamente mi arriva una dolorosa fitta al petto che mi spezza il respiro. Non riesco a trattenere un gemito.
“Potreste andare a cinguettare da qualche altra parte? Sto cercando di lavorare, grazie.” Sibila l’assistente dello stilista, tirando un’altra stringa e spezzandomi di nuovo il fiato.
Loro si allontanano scuotendo la testa e lamentandosi. Io tiro un sospiro di sollievo, metaforicamente parlando, visto che riesco a sentire i miei polmoni comprimersi all’interno della cassa toracica.
“Grazie.” Riesco a pronunciare, mentre un’altra stringa viene sistemata. “Forse- dovrei sul serio… mettermi a dieta.” Parlare è diventato complicato, porto una mano all’addome e lo massaggio dolorante.
“Stai bene così, sono questi corsetti che sono infernali.” Mi rassicura, poi spinge la mia schiena in avanti, costringendomi ad incurvarla all’indietro. “Sta dritta, per favore.”
“Potresti essere un po’ più delicata?” La supplico, perché sto cominciando a sentire un dolore pungente al centro del petto, appena sotto il seno.
“No.” Risponde, e stringe un altro laccio. “Mi dispiace, ma sto già facendo piano.” Quando tira entrambe le stringhe per sistemare meglio il corsetto, per un attimo la vista si annera. Cerco di respirare lentamente, ma diventa sempre più complicato.
“Euphemia, giusto?” Chiede, probabilmente nella speranza di distrarmi da questo strazio.
“Effie.” La correggo; solo mia madre usa il mio nome di battesimo, fortunatamente.
Lei ride e continua a fare il suo lavoro. “Non so quale sia peggio.” Devo ammettere che la cosa mi offende un po’. “Scusami.” Dice, alla fine. “Io sono Portia. Trattieni il fiato, ho quasi finito.”
Cerco di fare come mi dice. “Piacere di- conoscerti…” Dico, poi inspiro e rimango immobile.
Dopo qualche secondo mi da una pacca sulla schiena e cerco di espirare, ma l’aria rimane bloccata e l’addome si contrae dolorosamente, mentre cerca di espandersi e viene bloccato dal corsetto. “Deve essere così stretto?” Chiedo.
“Sì, anche se questo credo sia piccolo per te. Almeno un paio di misure.” La cosa non mi rassicura per niente. “Aspetta, provo ad allargartelo un po’, ma non ti prometto niente.”
Annuisco, e rimango in attesa, sperando in un minimo di sollievo.
Portia comincia ad allentare i lacci, ma per farlo deve stringere ancora di più. La vista mi abbandona di nuovo per un istante, respirare sta diventando un’impresa veramente complicata.
“Pensa a qualcos’altro.” Mi dice, ma non è facile. “Hai visto gli ultimi Hunger Games?”
La domanda è sicuramente retorica, c’è veramente qualcuno che non li guarda? “Niente di speciale.” Riesco a dire, ed è vero. I giochi veri e propri sono finiti più di tre mesi fa; a vincere è stata una ragazza del Distretto 9, parecchio brava a tirare i coltelli, ma di per sé non è stato molto entusiasmante.
“No, è vero.” Concorda, io mi porto nuovamente una mano all’addome e faccio un passo in avanti involontariamente, per evitare di essere trascinata all’indietro da Portia. “Quelli dell’anno scorso sono stati tutta un’altra storia.”
È normale, penso. Si trattava di un’edizione della memoria… però non dico niente, perché non riesco più nemmeno a parlare.
“Il vincitore, Haymitch Abernathy, non è male. Non trovi?”
“Non riesco- a respirare.”
Addirittura?”
La sento ridere, la risata è distante. “No. Non riesco… a respirare.” Mi gira la testa, vedo di nuovo tutto nero.
Riapro gli occhi e mi rendo conto di essere stesa su qualcosa di morbido. Sopra di me galleggiano tre teste. Riconosco Portia, il fotografo e mia madre. È a quest’ultima che lui si rivolge. “Credo stia riacquistando conoscenza, Constance.”
“Bene, perché siamo assolutamente in ritardo rispetto al programma.”
“Dove sono?” Chiedo, perché non capisco molto di quello che sta succedendo.
“Penso che dovremmo darle dell’acqua.” Sento dire dalla voce di Portia.
Pochi attimi dopo sto bevendo a piccoli sorsi da un grosso bicchiere, mi rendo conto di essere stesa sulla poltrona del set.
Mia madre vuole assolutamente portare a termine il servizio, quindi mi cambiano e appena riacquisto un po’ di colore, cominciamo a lavorare.
Il corsetto me lo hanno levato, spero vivamente che qualcuno lo bruci. Ora indosso una canotta decisamente più comoda e uno scialle decorato.
Almeno mentre ero svenuta non mi hanno tinto i capelli a tradimento.

XxX

Una ventina di anni dopo.
 
Fra le mani reggo una vecchissima copia di Capitol Couture, la sfoglio con fare nostalgico, fino ad arrivare alla pagina che so contenere il risultato del mio lavoro.
Ho trovato la rivista a casa dei miei, mentre frugavo nella libreria e ho deciso di tenermela.
La porta d’ingresso del Centro di Addestramento si apre e Portia entra, reggendo una bottiglia di vino in mano. “Finiti. La ragazza del 2.” Annuncia e si siede accanto a me, riempiendo fino all’orlo due bicchieri. Ne prende uno e comincia a sorseggiare.
Io faccio lo stesso, senza aggiungere nulla. Non è un brindisi di festeggiamento questo.
“Oh mio Dio!” La sento improvvisamente dire, sollevo lo sguardo su di lei e vedo che ha adocchiato la rivista. Allunga una mano e la porta davanti a sé, osservando la foto. “E questa dove l’hai pescata?” Chiede ridacchiando.
 “Dimenticata su uno scaffale a casa di mia madre.” Sorrido e scuoto la testa, bevendo un altro sorso di vino. I miei occhi tornano sulla mia fotografia. “Ero carina, vero?”
Portia annuisce, sogghignando. “Da togliere il fiato…”

                                   

A/N 2: Grazie per aver letto la mia fanfiction! Lo scatto di Effie è stato photoshoppato da me (con tanta buona volontà e poco talento).
Spero vi sia piaciuta, se vi va lasciate un commento. :)

Alla prossima,
 
x
Lily
   
 
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