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Autore: Delirious Rose    31/03/2014    2 recensioni
Tredicesimo anno del regno di Denev XVII: Suuritnom Calliram, quarto in linea di succesione al trono di Vernolia dei Mille Fiumi, conquistò e annetté il vicino regno di Agrirani, attirato dalle sue ricchezze e dalle vie commerciali che l'attraversavano. Tuttavia, non aveva ancora fatto i conti con quel popolo forse barbaro, ma fiero e fatto di indomiti guerrieri: vent'anni più tardi nominò come viceré il suo braccio destro, il comandante Hraustrion Relda, con il compito di annientare definitivamente quei ribelli che sfidavano il suo potere.
Questa è la versione semiestesa in cui accorperò le varie one-shot scritte finora
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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b III a

 

 

La donna si svegliò di colpo, quindi si stropicciò gli occhi e trattenne uno sbadiglio, mentre gettava un’occhiata oltre la finestra della cappella: accolse con sollievo il biancheggiare del cielo, felice che la notte giungesse finalmente al termine, e spostò lo sguardo sulla sant’effige lanciando un muto ringraziamento. Eppure si sentì stringere la gola alla vista della donna inginocchiata davanti all’altare, con gli occhi arrossati dalla lunga veglia fissi sull’immagine dei Santi Gemelli e di Elanne.

Se qualcuno avesse interrogato Cypris Nojapi sui suoi sentimenti nei confronti di Dama Bluma, lei non avrebbe potuto negare di aver odiato visceralmente quella donna che era diventata la moglie di Hraustrion Relda al suo posto: l’aveva odiata, quell’acqua cheta così giovane da poter essere sua figlia, troppo avvenente per non essere altro che una donna di malaffare. E aveva odiato anche Hraustrion e gli aveva dato dell’ipocrita, rinfacciandogli tutte le promesse che lui le aveva fatto nei quindici lunghi anni durante i quali lei lo aveva aspettato, il giorno in cui l’aveva condotta in casa loro.

Avresti dovuto darla a Faion, invece di tenerla per te! Gli aveva urlato alla presenza di tutta la famiglia mentre gli lanciava addosso oggetti che lui non si era neanche premurato di scansare. Tuttavia, l’odio aveva lasciato il posto alla compassione, la notte in cui Harilika era stata concepita, nel momento preciso in cui Cypris si era resa conto della tragedia di quella giovane che aveva solo ambito di servire al Tempio, ma maledetta dalla propria bellezza. Era esagerato dire che fossero diventate amiche, così com’era errato immaginare che fra loro esistesse la proverbiale rivalità fra mogli e concubine.

Cypris sistemò la coperta sulle proprie spalle e trattenne l’ennesimo sbadiglio: aveva voluto vegliare assieme a lei per tutta la notte, pregando i Santi Gemelli di far tornare Heran sano e salvo da loro così come, durante l’epidemia di cinque anni prima, Bluma aveva vegliato i gemelli assieme a lei. Un brivido le corse lungo la schiena al pensiero di trovarsi in quella situazione, al pensiero di non veder tornare uno dei suoi cinque figli da una battaglia – Alnerir era ancora un bambino, ma già si preparava a seguire le orme di suo padre – e si sentì un po’ morire dentro.

«Bluma? È quasi giorno,» mormorò piano con la voce rotta dal sonno, ma Dama Bluma non l’aveva udita, tanto la sua mente era presa dalla preghiera – dalla disperazione.

Cypris sospirò, tentata dalla prospettiva di buttarsi sul proprio letto per qualche ora, e sbadigliò di nuovo realizzando che avrebbe avuto tante, troppe cose da fare per recuperare un po’ di sonno: i suoi occhi piccoli si spostarono sull’immagine di Elanne, una statua finemente scolpita in un unico blocco di legno e dipinta a colori vivaci.

“Dicono che i Lamnes abbiano il tuo sangue: perché continui a farle pagare per una colpa che le è stata imposta?”

Cercò una posizione più comoda sulla panca di legno, per allontanare il formicolio che si era impossessato delle sue natiche. Cypris sbadigliò ancora, chiudendo gli occhi brucianti di sonno.

Un colpo la fece trasalire, rendendosi conto che la luce del giorno si era fatta più viva, che si era addormentata proprio lì, nella cappella. Bluma era ancora in ginocchio, il busto voltato verso la porta: fissava gli occhi arrossati sulla figura allampanata di Jonald.

«Come?» la voce della donna era un misto d’incredulità e speranza.

«Heran è tornato, zia,» disse il giovane, «papà mi ha detto di avvertirvi solo dopo che avesse finito di far rapporto: adesso è con Mastro Midio. È solo un braccio rotto, zia, poteva andare peggio,» si affrettò ad aggiungere scorgendo il terrore negli occhi della donna.

La stanchezza della veglia parve calare su di lei di un colpo, tanto che si stese sul pavimento di pietra, il capo verso l’altare. «Siate lodati, o Lirtim, Geret e Iver! Siate lodata, Casta Elanne!»

Cypris aspettò un po’, sentendosi a sua volta sollevata, quindi la raggiunse e la spronò ad alzarsi, dicendole che molto probabilmente Heran volesse rassicurarla di persona: Bluma levò su di lei gli occhi, il cui rossore faceva risaltare ancor il color di cielo delle iridi, e annuì accettando l’aiuto che la concubina le offriva.

 

 

 

Quando Dama Bluma e Cypris arrivarono nella parte di castello adibita a infermeria, trovarono Mastro Midio intento a rifare la fasciatura al braccio di Heran: mentre volgeva le bende, l’archiatra aveva spiegato che, nonostante la medicazione fosse stata fatta a regola d’arte, non si fidava e che c’era la possibilità che sia l’unguento sia le erbe fossero un veleno, per cui aveva lavato via il primo e distrutto le seconde. Heran, dal canto suo, si era limitato a rispondere con dei monosillabi alle domande di sua madre, ammettendo solo alla fine che si sentiva la testa girare come se avesse bevuto troppo vino.

«L’effetto di qualche mistura,» spiegò Mastro Midio scrollando le spalle. «Gli ho somministrato un antidoto generico per precauzione: forse funzionerà o forse renderà gli effetti del veleno più blandi e in quest’ultimo caso sarebbe più facile individuare la sostanza tossica.»

Cypris lanciò un’occhiataccia all’archiatra sopprimendo a malapena la tentazione di forzare un’oncia di buon senso nella testa: nonostante la sua massima aspirazione fosse stata e rimaneva quella di servire al Tempio, Bluma era la più apprensiva delle madri che conosceva, tanto che più di una volta le aveva rimproverato la sua eccessiva ingerenza nella vita dei suoi figli, soprattutto di Heran. Non che non comprendesse i suoi sentimenti o, peggio, che non li condividesse, ma era sempre stata dell’opinione che un genitore dovesse lasciar liberi i figli di prendere delle decisioni autonomamente, vivere la loro vita e perfino lasciarli commettere degli errori. Le sue labbra si arricciarono in un mezzo sorriso ripensando a come aveva difeso la decisione di Heran e Jonald di entrare nei Cavalieri del Drago d’Argento: non era stata fiera di vedere il secondo tornare a Eimerado dopo neanche tre mesi, ma aveva saputo che quella era stata un’esperienza costruttiva per il suo ragazzo.

«Dovresti lasciarlo un po’ tranquillo…» azzardò infine, togliendo dalle mani di Bluma il calice che cercava di far bere al ragazzo e accogliendo la silenziosa richiesta d’aiuto di Heran.

Bluma fece per protestare, ma strinse rapidamente le labbra mentre i suoi occhi di cielo si spostavano su un punto imprecisato oltre le spalle della concubina e Cypris la vide irrigidirsi prima di forzare un sorriso stitico.

«Buona giornata a voi, Messer Saba,» disse infine Dama Bluma con una voce leggermente più stridula del solito. «Cosa vi conduce qui, a quest’ora?»

Messer Saba era un uomo sulla sessantina, con il cranio rasato e lo sguardo indaco vivace come quello di un ragazzino: fratello maggiore del precedente re di Agrirani, era stato uno dei pochi esponenti della nobiltà locale – se di nobiltà si poteva parlare – a esserti schierati dalla parte di Suuritnias Calliram quando aveva conquistato il regno. Saba non aveva mai fatto mistero del senso d’ingiustizia che aveva provato da quando gli era stato preferito il fratello minore come nuovo regnante, né tantomeno dell’astio che finalmente aveva potuto esprimere nei confronti di quell’Innominabile che, secondo lui, aveva sedotto Anchar: non gli aveva contestato il trono, tutt’altro, si era offerto di fargli da intermediario con la popolazione. Anzi, era stato lui stesso a scoprire che la regina Perinni aveva portato in grembo due gemelli e che l’unico che era riuscito a partorire era stato portato in salvo prima che le difese del castello cedessero: se aveva ottenuto la fiducia di Suuritnias Calliram, era stato grazie allo zelo con cui aveva cercato e continuava a cercare l’infante.

L’uomo fece un mezzo inchino rigido, poggiandosi alla canna che stringeva nella mano sinistra. «Buona giornata a voi, mia Signora,» rispose alzando gli occhi su Dama Bluma. «La mia gamba non mi ha dato sollievo per tutta la notte, e poi… volevo vedere con i miei occhi che le voci fossero vere.» Il suo sguardo si spostò su Heran e la sua bocca si allargò in un sorriso asimmetrico che mostrava dei denti piccoli e rovinati. «Se quel che ho sentito è vero, devo suppore che siete tornato grazie soprattutto al fascino che avete ereditato da vostra madre.»

Heran strinse le labbra, perché non riusciva a comprendere se quello fosse un complimento o un insulto: schiuse le labbra per ribattere, eppure da un lato non poteva dargli torto, poiché aveva perso il conto di quante volte gli era stato detto che assomigliava molto a sua madre. Poi trasalì, come colto da una rivelazione.

«Quella giovane, Perinni… voi la conoscete.» La sua non era una domanda, ma un’affermazione.

Saba sbuffò divertito e inclinò appena la testa, rispondendo: «Conosco molte persone, mio signore, e Perinni è un nome abbastanza comune, soprattutto tra le giovani donne fra i diciotto e i ventitré inverni.»

«Parlo della giovane guaritrice che a volte viene a farvi visita.»

A quelle parole, l’espressione di Saba si fece corrucciata. «Parlate di quella Perinni?» Si lisciò pensieroso il mento, poi soffiò fra i denti. «Ignoro quali possano essere i suoi secondi fini, se ce ne sono, ma chiunque può garantire della perizia con cui svolge la sua professione: come guaritrice non è né migliore né peggiore di molti altri, ma come levatrice dicono che sia tanto abile che non ha mai chiesto a un uomo di scegliere fra la madre e il nascituro. È un’allieva di Oska il Minore, il suo maestro me la manda in sua vece quando non può o non ha voglia di vedermi: ultimamente capita sempre più spesso.»

Dama Bluma lo guardò sorpresa e corrucciata: schiuse le labbra per dire qualcosa a sua volta – Cypris avrebbe scommetto che volesse sapere a quali secondi fini Saba si riferisse – tuttavia preferì ingoiare quella domanda.

«Dovremmo ringraziarla…» mormorò infine, più a se stessa.

«Allora, se la mia Signora lo desidera, potrei condurla da voi la prossima volta che verrà al castello,» propose Saba con un leggero cenno del capo, poi batté leggermente il bastone contro la propria gamba sinistra. «Adesso, se voleste scusarmi, gradirei che questa vecchia ferita smettesse di dolere.»

 

 

Note

Santi Gemelli: la triade divina venerata a Vernolia.
Elanne: la sposa umana di uno dei Santi Gemelli.
Zia: appellativo con cui i figli si rivolgono alla moglie e alle altre concubine del proprio padre.
Suuritnias: titolo vernoliano con cui si indica l'erede al trono.

Dato che Hyrie aveva lamentato della mancanza delle note esplicative, riprendo questa vecchia abitudine: non nascondo che volevo un po' provare a vedere se la storia rimanesse fruibile anche senza XXDDD Inoltre in questo capitolo si trova anche la risposta alla domanda che mi fece Enteri nel prologo. Giusto per la cronaca, per una questione di spazio ho dovuto tagliare dal prologo la scena sul parto, anche per evitarvi dei dettagli decisamente gore dato che mi ero ispirata all'ultimo parto di Caterina de' Medici, nessun dettaglio escluso: se vi resta la curiosità, su Wikipedia potrete trovare le informazioni necessarie ;-)

 

Grazie a chi non solo leggerà queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose 

   
 
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