Capitolo
Venti: il Demone
Kiku
era straordinariamente taciturno, quel giorno.
Non
era mai particolarmente ciarliero, ma quella mattina una
cappa di oscurità orbitava nei suoi occhi neri.
«Tutto
bene?» domandò Alfred, con il suo sorriso che
spazzava via le nuvole.
Non
fu sufficiente per le nubi sul volto di Kiku: il Samurai
rimase chiuso nel suo tetro grigiore. Annuì a malapena alla
sua domanda.
«Precedimi»
sancì infine. «Devo vedere il Portavoce del
Sole.»
«Ti
accompagno…»
«No.
Qualcuno deve finire il giro di pattuglia.»
Kiku
gli voltò le spalle senza nemmeno attendere una
risposta.
Alfred
si grattò la nuca e scosse la testa.
Avrebbe
potuto dire che Kiku era villano, certe volte, se
solo non fosse stato costantemente avvolto da quell’aura
carismatica e nobile.
Non poteva definirlo “maleducato”; al massimo
“altero”.
«Quante
cose dobbiamo sopportare noi eroi…»
sospirò
melodrammatico.
La
katana
sferragliò contro la pistola. Alfred era uno dei pochi, se
non l’unico, a
portare armi da fuoco: in quel paese esotico, preferivano affidarsi
alle lame e
agli incantesimi che li avevano resi celebri in tutta la
Confederazione.
Tuttavia, l’Aquila era stata addestrata tra le file di
Britannia: non si
sentiva a suo agio, senza una pistola. Una volta un suo collega gli
aveva
chiesto perché dovesse sempre portarsi in giro quel ferro
vecchio, e Alfred gli
aveva risposto che, senza, si sentiva indifeso come se lo avessero
fatto girare
in mutande. Si era guadagnato uno sguardo molto perplesso e una
scrollata di
spalle.
Quasi
inciampò in una profusione di seta colorata stesa al
suolo. Gli occhi di Alfred risalirono quelle pieghe elegantemente
raccolte
attorno a un corpo di donna, finché non incontrarono il viso
più delicato che
avessero mai visto, nonché il più simile a quello
del loro sovrano.
Grazie
a Kiku e al suo incarico all’interno della Stella
Polare, aveva avuto qualche occasione di incontrare il Figlio del
Cielo, ed era
rimasto sorpreso dalla sua bellezza eterea. La stessa che aveva
plasmato i
lineamenti della donna, elegantemente seduta davanti al cancello di
entrata.
Pareva
adagiata su un trono, e non su un volgare sasso: la
schiena dritta, il collo steso, lo sguardo fiero e la posa elegante
delle mani,
poggiate sulle ginocchia per trattenere le pieghe troppo lunghe che
avrebbero
altrimenti toccato il suolo. Non aveva bisogno di accessori
appariscenti per
imporre la sua presenza: la nobiltà le scorreva nel sangue.
«Posso
aiutarla?» si informò Alfred, avvicinandosi di un
passo.
La
donna girò lentamente il collo da cigno e posò
gli occhi
di ebano su di lui. Si concesse una lunga analisi prima di decretare:
«Tu
devi essere l’Aquila.»
«In
carne e ossa, signora» si esibì Alfred, gonfiando
il
petto con orgoglio.
Le
ciglia nere della donna tremarono appena, appuntandosi
sul Palazzo.
«Dicono
che sei un eroe. Faresti un piccolo miracolo per me?»
«I
miracoli sono la mia specialità» si
vantò lui.
«Devo
vedere mio figlio.»
Il
portamento della donna non cedette, ma la voce le tremò
impercettibilmente. Alfred ammirava la compostezza dei nobili, anche se
riteneva che sarebbe stato molto più salutare per loro
essere più onesti con i
propri sentimenti.
«So
che è malato. Chi non sa del suo coma?»
l’agonia di una
risata torse le labbra della donna. «Sono mesi che chiedo di
essere ammessa, ma
pare che nessuno voglia ascoltarmi. Sono le regole: la famiglia
precedente del
Figlio del Cielo deve abbandonare il Palazzo… ma quale legge
è superiore
all’affetto di una madre?»
L’Aquila
osservò quella donna, annuendo al suo discorso.
Cominciava a capire da chi il Figlio del Cielo avesse ereditato il suo
carattere
deciso e aggraziato al contempo.
«Chiedo
solo di vederlo. Se è grave come dicono, se non ci
sono speranze per lui…» un minuscolo tremito le
percorse le labbra chiare. La
donna non riuscì a terminare la frase, quindi ne
iniziò un’altra: «Voglio
essere al suo fianco. Ho amato mio figlio dal momento in cui ha aperto
gli
occhi in questo mondo, e ogni giorno in cui sono stata lontana da lui
è stato
come ricevere una pugnalata in petto. Se questi sono gli ultimi giorni
che gli
è dato trascorrere insieme a noi…»
«La
capisco» Alfred fermò la signora, prima che si
addentrasse in un discorso che nessuno dei due voleva affrontare.
Nonostante la
sua posa impeccabile, gli occhi tremavano di un terrore sotterraneo, lo
stesso
che scorreva nelle vene di Kiku quando si parlava del futuro incerto
del
sovrano. E lui era stanco di vedere quella paura infettare
l’anima di tutto il
popolo di Chugoku.
Era
un suo preciso compito sradicare quel panico alla
radice. In fondo, gli eroi servivano a quello.
«La
scorterò fino alle camere del sovrano» decise
d’impulso,
offrendo un braccio alla signora.
La
nobile lo fissò, titubante. Non era sicura di potersi
fidare della flebile speranza che quel giovane straniero le offriva.
«Ne
sei sicuro?» domandò.
Alfred
era certo che quella cosa fosse contro le regole, che
avrebbe avuto un richiamo ufficiale e, nel peggiore dei casi, sarebbe
stato
bandito dal Palazzo. Ma aveva fatto una promessa a un soldato, tanti
anni
prima: nessuno gli avrebbe inquinato il cuore. E se avesse lasciato
quella donna
a languire davanti al cancello, sarebbe stato come dichiararsi
sconfitto.
Inoltre, Kiku non avrebbe permesso ai consiglieri di cacciarlo, e lui
in primo
luogo non si sarebbe fatto esiliare tanto facilmente.
«Mi
segua» Alfred sfoggiò il sorriso che non aveva
avuto
effetto su Kiku, e che invece sembrò rasserenare la signora.
La
donna si alzò e poggiò la mano delicata sul suo
braccio,
lasciandosi condurre nelle entrate secondarie e nei corridoi meno
frequentati
del Palazzo.
«Ho
sentito molto parlare di te, Aquila» mormorò la
signora,
mentre si addentravano nel cuore del Palazzo.
«Scommetto
che avete sentito solo storie positive» si
inorgoglì Alfred.
«Non
proprio» ammise in un bisbiglio ovattato la donna.
«Alcuni
ti acclamano come un eroe, altri ti additano come pazzo.»
Pazzo.
Doveva immaginare che la sua tendenza a scavalcare le
norme gli avrebbe procurato qualche nomignolo indesiderato. Ma non era
certo
colpa sua se le regole a volte erano così assurde:
era come se chiedessero di essere
infrante.
Le uniche cui si era sempre attenuto scrupolosamente erano quelle che
Kiku gli
aveva chiesto di non dimenticare mai, per nessun motivo. Come la
normativa
sull’uso delle armi a Chugoku, e il fastidioso obbligo di
portare sempre con sé
quel fogliaccio che lo autorizzava ad avere una pistola.
«E
lei cosa ne pensa?» domandò, incurvando un angolo
della
bocca in un sorriso amichevole.
La
donna socchiuse appena gli occhi, scandagliando i dati in
suo possesso.
«Sei
una persona bizzarra, Aquila. Ma non sempre la
diversità è un difetto. Se non ci fossi stato tu,
sarei ancora davanti a quel
cancello» sentenziò infine, con un tono morbido.
«Lei
è molto acuta, signora» si complimentò
Alfred.
La
loro conversazione fu interrotta da un tremendo boato. Il
pavimento trasalì sotto i loro piedi, e le travi del
soffitto scricchiolarono
sulle loro teste. Un’immobilità spettrale si stese
su di loro come un sudario
subito dopo.
Le
dita della donna si strinsero sul suo braccio, e i suoi
occhi si spalancarono per lo spavento.
«Cosa
è stato?» chiese, atterrita.
Un
secondo boato, seguito da schianti ripetuti; quella
strana melodia crebbe di intensità, e acquistò un
sottofondo di tonfi e colpi
attutiti.
Una
goccia di sudore scese sulla sua tempia quando Alfred
realizzò la fonte di quei suoni. La stanza del Portavoce del
Sole. Dove si
trovava Kiku. Il Samurai stava affrontando da solo qualunque minaccia
si fosse
presentata in quella camera simile a un obitorio.
Alfred
fece strada alla donna, conducendola sotto uno degli
stipiti portanti dell’edificio: se anche le mura fossero
crollate, quel pezzo
di legno sarebbe rimasto in piedi.
«Attenda
qui» le consigliò velocemente Alfred.
«Chiamerò una
guardia, verranno subito a prenderla e la porteranno al
sicuro.»
«E
tu?»
Alfred
portò una mano all’elsa della spada, sfiorando
anche
l’impugnatura della pistola.
«Io
mi occuperò della sicurezza di Chugoku» si
incollò sulla
faccia l’espressione più rassicurante del suo
repertorio. «Sono un eroe,
ricorda?»
La
donna annuì, e congiunse le mani davanti al viso.
«Ti
prego, fai in modo che non accada nulla di male a mio
figlio. Eroe.»
Per
la prima volta, sentì quell’appellativo
pronunciato
senza derisione. Il tono serio con cui la donna aveva formulato la
richiesta lo
fece sentire come se la nobile lo avesse appena nominato cavaliere.
Alfred
sorrise, inchinandosi alla donna: non era male avere un riconoscimento
ufficiale, qualche volta.
«Questo
è il compito degli eroi, signora.»
E
poi corse, come non aveva mai fatto in vita sua.
Incrociò
una guardia sul suo cammino, e gli indicò la
posizione della donna, ignorando gli sberci del soldato su quanto fosse
illegale quello che aveva appena
fatto.
Gli ordinò di andare a mettere al sicuro quella signora, se
non voleva la sua
vita sulla coscienza, e riprese la sua corsa.
Gli
schianti si facevano più vicini a ogni passo.
L’eroe
sta
arrivando, Kiku. Tieni duro.
***
Arthur
e Gilbert furono sorpresi dalla facilità con cui
riuscirono a introdursi nel Palazzo.
«Credevo
che la corte imperiale fosse difesa un tantino
meglio» commentò l’Hellsing,
mentre scivolavano senza difficoltà in un corridoio laterale.
«È
difesa in modo ineccepibile» contestò in un
sussurro
garbato Yao. «Ma, ovviamente, le sue protezioni non
funzionano sul regnante. E
questo beneficio si estende a quanti lo accompagnano.»
Entrambi
riconobbero che il Figlio del Cielo non aveva del
tutto torto.
Athur
svolse il fiore di cristallo dal suo panno, e una
sottile scia azzurra si dipanò lungo i corridoi.
Una
pennellata di delizia si dipinse sul volto del nobile
quando vide dove quella scia fosse
diretta.
«Che
tipo era, il Marauder?» domandò in un mormorio,
prima
di guidarli lungo un altro dedalo di corridoi scarlatti.
«Sorrideva
sempre» tratteggiò Gilbert. «E trovava
sempre il modo
di inquadrare un problema per poi trovare la soluzione.»
«Il
suo ottimismo era snervante» precisò Arthur.
«Credo
di aver capito perché ha scelto il Portavoce del Sole
come tramite, allora» Yao non riuscì a reprimere
un sorriso: erano quasi
arrivati alle stanze di Young Soo, indicate dalla luce del non ti
scordar di
me. Non poteva più aspettare: voleva salutare suo fratello,
abbracciarlo e
rassicurarlo, e dirgli che tutto sarebbe andato bene, come Young Soo
aveva
sempre fatto con lui. Aprì velocemente la porta bisbigliando
un incantesimo
quando raggiunsero il legno intarsiato.
Yao
si stupì di trovare la camera immersa nella penombra:
Young Soo dormiva con le tende spalancate perché la stanza
potesse essere
inondata dai primi raggi dell’alba fino agli ultimi barbigli
di tramonto. Dovettero
aspettare che gli occhi si abituassero a quella lieve
oscurità per individuare
il giovane, afflosciato sul trono con una strana angolazione sbilenca.
Arthur
batté le palpebre, perplesso: non si era aspettato di
trovare un ragazzino immobile. Immaginava che la persona scelta da
Francis
fosse vivace, irrefrenabile e insopportabile come lui.
Gilbert
deglutì, mentre un orribile presagio gli strisciava
lungo la colonna vertebrale, accapponandogli la pelle. Aveva
già visto
quell’irrigidimento, prima.
Yao
fu il primo ad accostarsi al trono, e si inginocchiò
davanti ad esso. Il cuore gli martellò nelle orecchie tanta
fu la gioia di
rivedere il fratello; dopo tanto tempo, finalmente poteva
riabbracciarlo.
«Young
Soo, sono tornato, come promesso...» si era preparato
un lungo discorso di benvenuto, ma la voce si affievolì di
fronte
all’immobilità del fratello. Il Portavoce del Sole
non stava semplicemente
riposando: aveva gli occhi spalancati e fissi, i lineamenti congelati
come se
qualcuno avesse sostituito il suo sangue con del cemento, i suoi
muscoli e la
sua pelle con della pietra.
«Young
Soo…» lo chiamò flebilmente Yao,
sollevando una mano
per toccargli una guancia. La gota si rivelò ghiacciata come
quella di un
cadavere.
Il
Figlio del Cielo non si rese conto che l’Hellsing lo
aveva raggiunto; se ne accorse solo quando l’uomo
emanò il suo verdetto:
«La
Maledizione di Medusa.»
«Cosa
significa?» domandò Yao, con il tono sonnolento di
una
persona sotto ipnosi. Non poteva essere vero, non dopo tutto quello che
avevano
passato…
«È
una tecnica usata dai demoni di alto livello»
spiegò
l’Hellsing in un ringhio rabbioso. «Non uccide
direttamente la vittima. La
paralizza, lasciando la sua coscienza viva in modo che
possa…» il Mago
dell’Ovest gli lanciò uno sguardo ammonitore, e
Gilbert alleggerì il peso della
frase: «In sostanza, la vittima è pietrificata e
muore di inedie.»
«Quindi
Young Soo…»
«No.
È ancora vivo» lo tranquillizzò
aspramente l’Hellsing. «Credo
che sia la sua magia a tenerlo in vita.»
Gilbert
si morse le labbra per evitare un eccesso di
improperi. Era stato imprigionato a Caina, ne era uscito, aveva
combattuto
contro il suo padre adottivo, aveva raggiunto Chugoku… e
quell’idiota di
Francis aveva deciso di incarnarsi in un corpo pietrificato.
Il motivo della scelta del Marauder era da imputare
al fatto che era più facile inserirsi in un corpo solo
parzialmente cosciente
rispetto a un soggetto pienamente in forze… ma come contava
di aiutarli, con le
membra di calce?
L’unica
soluzione, a quel punto, era uccidere il figlioccio
del sovrano; senza l’aiuto di Francis per individuare i fili
da tagliare, non
potevano fare altro. La cosa avrebbe devastato il Figlio del Cielo.
Non
avrebbe nemmeno ottenuto risposta alla sua domanda: con
la bocca immobilizzata, il Marauder non avrebbe potuto dirgli dove
trovare
Matthew. E non avrebbe potuto scherzare, e ridere con loro. Non avrebbe
potuto
vedere Francis, imprigionato com’era in un corpo
cementificato. Uno dei motivi
che con più forza lo aveva spinto ad arrivare fin
lì era la prospettiva di
poter parlare di nuovo con l’amico, e sentirgli snocciolare
ottimismi di bassa
lega con quel suo accento arrotondato… anche quella
consolazione era andata in
frantumi.
Sollevò
lo sguardo sul Mago dell’Ovest, e vide le sue stesse
emozioni riflesse su quel viso: rabbia per
l’impossibilità di parlare con il
Marauder, e sofferenza per aver perso Francis una seconda volta.
Il
Figlio del Cielo non si rese conto del tumulto silenzioso
alle sue spalle, ma alcuni di quei pensieri attraversarono anche la sua
mente:
senza il Marauder, Kiku era condannato. E se anche fossero riusciti a
riscuotere Young Soo dal suo torpore, non sarebbe mai riuscito a
sopravvivere:
l’inedia gli aveva corroso i muscoli fino a lasciare le ossa
quasi scoperte, le
labbra erano parzialmente rientrate all’interno della bocca,
e gli occhi erano
infossati nelle orbite e cerchiati di nero.
Aveva
perso il fratello e il figlio prima ancora di
cominciare a combattere.
Lacrime
arroventate gli bruciarono gli occhi, e il Figlio
del Cielo riuscì a contenerle solo con enorme sforzo. Era
tornato solo per
Young Soo e Kiku, e stava per perderli entrambi.
Sollevò
le mani tremanti e circondò dolcemente il viso
screpolato del Portavoce del Sole. Riusciva a vedere ancora il sorriso
del
fratello su quelle labbra secche, poteva scorgere lo sguardo
furfantesco nei
pozzi vuoti dei suoi occhi. Il ricordo di Young Soo si sovrappose
all’immagine
presente, e il contrasto fu tale che Yao avvertì il cuore
andare in pezzi. Il
suo fratellino scoppiettante, ridotto a una statua di cenere.
«Mi
dispiace…» accostò il viso a quello del
giovane per
mormorarlo direttamente sulla sua guancia. «Non avrei mai
dovuto lasciarti
indietro… mi dispiace così
tanto…»
«Il
demone è ancora in circolazione» gli
ricordò Gilbert, incurante
dei gesti ammonitori del Mago dell’Ovest.
Yao
annuì, deglutendo le sue lacrime. Si alzò, ma
riuscì
appena a muovere un passo prima che la manica lo strattonasse indietro.
Il
braccio e il polso di Young Soo giacevano mollemente sul suo fianco, ma
le dita
avevano trovato la forza di stringersi attorno al vestito del sovrano.
Yao
fissò frastornato il viso del fratello, in guerra contro
quella prigionia: le guance fremettero e la mascella vibrò,
mentre le labbra si
increspavano impercettibilmente.
«…
e… o’e…»
Uno
spillo di luce fece capolino dall’angolo
dell’occhio
destro del giovane.
«…
te… one…»
La
lacrima appena nata rotolò sulla guancia scavata del
giovane, per poi lanciarsi sul suo gilet blu.
Fu
troppo per Yao: le ginocchia cedettero, così come gli
argini in cui aveva confinato la propria tristezza. La tunica di Yong
Soo si
spiegazzò sotto le sue dita mentre lo abbracciava con foga,
e la stoffa candida
sulle spalle si infradiciò con il suo pianto. Young
Soo… il suo vivace,
prezioso, insostituibile fratellino…
«Sono
qui, Young Soo» il sole nel suo petto ruggì,
riscaldando il corpo di pietra tra le sue braccia. «Sono qui
con te. Perdonami
se non ci sono stato prima.»
Non
ebbero tempo di commuoversi per quella riunione
fraterna: un boato esplose nella stanza, scatenando un turbine di vento
improvviso.
Gilbert
piantò la scimitarra a terra per non essere
trascinato via, Arthur invocò immediatamente uno scudo
protettivo, e Yao si
aggrappò con tutte le sue forze al trono e al fratello.
Quando
il vortice si placò, la stanza contava un ospite in
più.
Un
ragazzo asiatico, in un’impeccabile uniforme bianca li
fissava con il collo reclinato in un angolo innaturale.
«Non
credevo saresti tornato, Figlio del Cielo»
sghignazzò
il demone. Ignorò completamente gli altri due incantatori, e
si avvicinò al
sovrano. «Pensavo fossi fuggito per salvarti la
vita.»
«Me
ne sono andato per chiamare rinforzi» Yao si
rialzò
lentamente, stendendo un muscolo per volta. Quando parlò,
mille sovrani passati
condannarono il demone con voce di ferro: «E questa volta ti
distruggerò.»
Un’espressione
di divertimento osceno sollevò le
sopracciglia e aprì la bocca di Kiku.
«E
uccideresti il tuo figlioccio, dopo aver perso tuo
fratello?» il demone scoccò un’occhiata
untuosa alla figura scomposta di Young
Soo e valutò: «Se per miracolo doveste riuscire a
riscuoterlo dalla
maledizione, sarebbe troppo debole per sopravvivere. Lo svegliereste
solo per
farlo morire, che tragedia…»
«Taci»
intimò Yao, irrigidendo le spalle.
Il
demone non lo provocò ulteriormente, e indirizzò
la sua
invettiva contro gli altri presenti.
«Il
famoso Mago dell’Ovest e il famigerato Hellsing, quale
onore!» li salutò ironico, per poi assottigliare
gli occhi in uno sguardo
diabolico. «Certo, per me non siete che due persone
immensamente tristi. Un
povero alieno che rimpiange la sua dimensione natale e un paio di occhi
blu, e
un cacciatore decaduto che ha lasciato il cuore dentro una tomba
gelida.»
La
scimitarra di Gilbert stridette feroce, uscendo dal fodero
e puntandosi contro il loro avversario.
«Sai
cosa cacciano
gli Hellsing?» ringhiò, minaccioso.
«Lo
so. Come so che non hai mai affrontato un demone del mio
calibro» tutto il viso si incurvò in un ghigno
malefico, e la bestia infierì: «Anzi,
uno lo hai incontrato, ma si è sparato
prima che tu potessi affrontarlo…»
Il
demone accompagnò il passo con una risata, schivando la
scimitarra dell’Hellsing.
«Ma
come?» si portò un dito alle labbra, fingendosi
sorpreso. «Ero convinto che ti fossi lasciato tutto alle
spalle. O almeno, così
avevi detto al tuo amico Antonio…»
Fu
costretto a interrompersi per evitare un’enorme palla di
fuoco. Il Figlio del Cielo dimostrò un controllo dei suoi
poteri totale e
terribile, dissolvendo le lingue di fiamma prima che potessero
incendiare la
stanza.
«Adesso
basta» sentenziò, gelido.
«Concordo,
vostra
altezza» il demone si leccò le labbra,
come se già pregustasse il sangue. «Adesso
basta.»
«Se
ti arrendi, mostreremo clemenza» consigliò Arthur.
«Uccidendoti
senza farti soffrire troppo.»
La
mascella del demone quasi crollò al suolo per le risate
che la scossero. Gli occorsero alcuni istanti per ricomporsi.
«E
per quale motivo dovrei arrendermi? Oh, siete degli
ottimi avversari, nulla da eccepire... ma siete pieni
di ombre. Voi e i vostri amici che vi aspettano qui fuori,
con quei ridicoli incantesimi di camuffamento.»
Il
Mago dell’Ovest sentì un brivido lungo la colonna
vertebrale. Come aveva fatto a vedere attraverso le sue magie? Solo un
incantatore di livello superiore poteva smascherare gli inganni di un
mago di
livello inferiore. Ciò significava che quel demone era
più forte di lui?
Kiku
si avvicinò a una finestra e inspirò a fondo,
socchiudendo persino gli occhi, come preda di un’estasi
suprema.
«Il
giovane Vaticano che si strazia per il fratello, il
corsaro senza genitori e senza popolo, un povero padre responsabile
della
miseria del figlio e della sua gente, un gigante senza
memoria… e poi, voi»
il demone fece schioccare la
lingua, deliziato. «Siete così pieni di tenebre,
di rimpianti…»
Una
luce sepolcrale adombrò gli occhi scuri. La voce del
demone fu simile allo stormire dei cipressi in un cimitero.
«E io mi nutro di
ombre.»
Un
secondo boato fece tremare l’intero Palazzo; le assi del
soffitto scricchiolarono, e le pareti emisero un gemito terribile
mentre quella
forza violenta le scuoteva.
Una
sostanza nera e viscosa si spalmò lasciva sulle
finestre, e Arthur imprecò:
«Maledizione!
È un incantesimo di isolamento!»
«Sei
molto intelligente, Britanno» il demone ghignò,
maligno. «O forse dovrei dire Faerie?»
Avevano
portato le loro truppe per nulla: Antonio, Lovino,
Roderich e Ivan non sarebbero potuti entrare, con quella melma a
bloccare le
porte. Forse la Mano Sinistra del Diavolo sarebbe riuscita a spezzare
l’incanto, ma avrebbe impiegato interi minuti. E sarebbero
stati sufficienti a
quel demone per ucciderli.
«In
nome del Palazzo di Quarzo!» sbottò Arthur,
rivolto a
Gilbert. «Quanto diavolo è forte questo
demone?»
L’Hellsing
rispose con un filo di voce e il viso terreo.
«Tra
poco lo scopriremo» ripose la scimitarra per sfoderare
l’archibugio. Non poteva richiamare Gilbird nel palazzo: la
stanza era troppo
stretta, non sarebbe riuscito a muoversi o a difendersi, e sarebbe
stato come
consegnarlo al demone su un piatto d’argento. «Sa
dei Carriedo e degli
Hellsing. Temo che questo demone non si sia nutrito solo del
risentimento del
tuo popolo, Figlio del Cielo.»
«Intendi
dire…»
«Si
è nutrito anche del dolore della mia gente e di quella
di Antonio. Non c’è altra spiegazione. Non sarebbe
mai diventato così forte,
altrimenti» Gilbert stroncò la domanda di Arthur.
Quella bestia schifosa aveva
pasteggiato sulla sofferenza di sua madre adottiva, dei genitori di
Antonio, di
tutti i loro compatrioti…
Strinse
le mani sull’archibugio. Gli avrebbe fatto sputare
tutto quanto a forza.
Il
demone applaudì, ironico.
«Sei
davvero scaltro, Hellsing. Ora capisco perché sei
sopravvissuto solo tu.»
Il
diavolo alzò bruscamente le braccia al cielo, e un vento
infernale si sollevò tutto intorno a loro.
«Fino
ad oggi, almeno» sogghignò, tracciando una linea
obliqua con la katana.
«Barriere!
Subito!»
gridò allarmato l’Hellsing.
Arthur
si avvolse nel mantello salmodiando una litania, Yao
portò indice e medio davanti alle labbra che recitavano una
formula, e Gilbert
mise l’archibugio in verticale, gridando un’unica
parola nella lingua antica dei
Nibelunghi.
Un
suono metallico, come quello prodotto da una spada contro
uno scudo, rimbalzò nell’aria tutto intorno.
«Lame
di vento?» si sorprese Arthur. Non riuscì ad
aggiungere altro: l’avventatezza del Figlio del Cielo gli
tolse il fiato.
Yao
si disfò dello scudo magico, e si lanciò nella
selva di
lame invisibili. Un filo di sangue uscì dalla sua guancia
candida, uno spruzzo carminio
dalla sua spalla, e un rumore di seta stracciata accompagnò
il taglio dei suoi
capelli: la lunga coda mogano del Figlio del Cielo cadde a terra senza
emettere
suono, mentre il suo proprietario invocava il potere delle fiamme.
Perfino
Kiku indietreggiò di fronte alla ferocia del
sovrano. Le braccia di Yao divennero due lunghe lingue di fuoco, che il
regnante agitò come fruste in direzione del demone,
costringendolo a
indietreggiare.
«Come
è possibile?» ruggì il Samurai,
furibondo. «Tu non
dovresti essere così…»
La
mano destra del sovrano si sollevò, e si abbassò
scagliando una sfera di magma. Il demone non riuscì a
schivarla, e ne fu
colpito in pieno.
Yao
si avvicinò a quel contenitore bruciacchiato: il potere
del diavolo aveva evitato la morte, ma non aveva potuto arginare del
tutto i
danni. Il piede del Figlio del Cielo si abbatté con forza
sul suo sterno,
bloccandolo al suolo.
I
capelli scompigliati dal vento si agitavano in ciocche
scomposte ai lati del suo viso marmoreo, e i movimenti fluttuanti della
veste
scarlatta ricordavano le ali della fenice. Arthur e Gilbert furono
quasi
atterriti da quella visione: il Figlio del Cielo non si era mai
scomposto, non
aveva mai perso la sua seraficità. La freddezza guerresca
che lo pervadeva lo
aveva trasfigurato, facendolo assomigliare pericolosamente al demone
inchiodato
al suolo.
«Ciò
che davvero è da temere è l’ira
dell’uomo calmo…»
Arthur citò un vecchio detto popolare, incapace di
articolare qualcosa di più
complesso.
«Non
eri così forte!» si ribellò il demone,
sibilando come
un nido di vipere.
Yao
si chinò su di lui, e premette più forte sul suo
sterno.
«No»
le parole echeggiarono come frustate nell’aria scossa
dal vento. «Ero forte anche allora. Ma ero spaventato: avevo
paura di far del
male al mio figlioccio, o a mio fratello. Ma grazie a te, demone, non
ho più
paura di niente» Yao chiuse i pugni, che furono
immediatamente avvolti da
ruggenti lingue di fiamme. «Mi hai strappato mio fratello. Mi
stai costringendo
a uccidere mio figlio. E, se non ti uccido, perderò la vita
e il regno. Grazie
a te, demone… non ho più nulla
da
perdere.»
Calò
un pugno sull’essere sotto di lui, ma quello lo
bloccò
afferrandogli il polso con una forza sovrumana.
«Tu
non hai nulla da perdere…» quella risata
così simile a
degli artigli sul legno di una bara gli graffiò le orecchie.
«Ma io ho tutto da
vincere!»
Yao
fece appena in tempo a liberare il polso e scattare
all’indietro prima che il demone vibrasse un colpo di katana nella sua direzione. La lama gli
stracciò la tunica sul
petto, aprendo un ghigno rosso di sangue sulla sua pelle nivea.
Il
vento riprese a ululare, costringendo i tre maghi a
erigere nuovamente le loro barriere.
«Accidenti»
imprecò Arthur. Su Faerie, dove ognuno nasceva
con poteri magici, non aveva mai combattuto; aveva guerreggiato sulle
navi al
soldo della corona Britannica, ma non aveva mai avuto rivali che
sapessero
duellare con la magia. Era abituato all’ignoranza dei
soldati, e a essere
l’unico dotato di poteri magici: non sapeva come reagire a un
nemico di tale
portata, che riusciva a immobilizzarli in posizione difensiva con un
solo
incantesimo
Gilbert,
invece, aveva lottato con moltissimi demoni, ma
pochissime volte con diavoli incantatori, e mai a quel livello.
Il
Figlio del Cielo non aveva mai combattuto, pur essendo
dotato di poteri immensi.
Nonostante
le esperienze differenti, si trovavano tutti
inesperti di fronte a quel demone micidiale.
Yao
si circondò di fiamme per proteggersi, ma la cosa non
sembrò scalfire Kiku, che avanzò inesorabile
verso di lui.
In
quel delirio, nessuno sentì la porta aprirsi.
«Come
hai detto tu, Figlio del Cielo» Heracles svettò
contro
il soffitto, bellissima e terrificante. «Adesso
basta.»
Un’esplosione
di sangue sporcò l’aria e si disperse nel
vento turbinante. Ma non fu il sangue del sovrano a essere versato.
Solo
Yao riuscì a riconoscere l’uomo parato di fronte a
lui:
l’Aquila. L’eroe di Chugoku lo aveva salvato.
Alfred
barcollò sulle gambe, fiaccato dal dolore lancinante.
La spada gli aveva lacerato il busto dalla spalla al fianco, e una
cascata di
sangue colava dall’orrendo squarcio. Cercò
febbricitante di premervi le mani
sopra, ma ottenne solo due guanti di un vermiglio brillante.
Aprì
la bocca per parlare, e un fiotto di sangue quasi lo
soffocò.
Matt
aveva provato le stesse cose, quando era morto? Quel
dolore che risucchiava il respiro dai polmoni, quel freddo che
avvolgeva il
cuore, quel terrore opprimente…
Tossì
bolle di sangue, mentre biascicava:
«Non
so chi tu sia… ma non sei Kiku.»
«Complimenti»
lo schernì crudelmente il demone. «Ti sei
fatto ammazzare per questa illuminante constatazione?»
Alfred
emise un suono strozzato, a metà tra il singulto e il
conato, e un fiore cremisi gli scoppiò sulle labbra al
successivo colpo di
tosse.
«Kiku
morirebbe… se risvegliandosi scoprisse… di aver
ucciso
il sovrano» si avvicinò di un passo barcollante.
Doveva far sistemare gli
occhiali, il mondo era così sfuocato e
tremolante… o forse erano i suoi occhi.
Aveva sentito dire che la morte si prendeva un senso per volta, prima
di
togliere la vita.
Dunque
era vero. Stava morendo.
Il
demone lo fissò disgustato, mentre l’uomo
sanguinante gli
appoggiava una mano sulla spalla.
«Che
diavolo stai facendo?» domandò, schifato. Come si
permetteva quella nullità senza il minimo potere magico,
quell’essere così mediocre,
di intromettersi tra lui e le
sue prede?
Alfred
scoprì i denti arrossati di sangue in un sorriso
morente.
«L’unica
cosa che so fare» rispose.
«L’eroe.»
I
presenti trasalirono allo schiocco secco dello sparo.
Il
demone fissò l’uomo di fronte a sé,
inebetito dalla
sorpresa, prima di abbassare lo sguardo sul suo petto. Lenta e
irrefrenabile,
una macchia scura si allargava sulla sua divisa immacolata.
«Sembri
un grande mago, ma il tuo corpo è umano»
raspò
Alfred. «A volte, la soluzione più semplice
è… la più efficace.»
Sarebbe
morto. Ma sarebbe morto da eroe.
Le
labbra di Kiku si spalancarono in un grido agghiacciante,
lo stesso delle anime che vengono gettate nell’Inferno per
l’eternità. Si
graffiò il collo, ululando selvaggiamente, e cadde sulle
ginocchia.
Il
vento cessò all’improvviso, e Gilbert emise un
grido di
gioia: la schiena del Samurai stava sussultando in un modo che
conosceva bene.
Era il primo avviso di un demone che lascia il corpo ospitante. Quel
maledetto
diavolo non era più così forte, una volta
incrinato il suo legame con quel
mondo.
«Dove
credi di andare?» ghignò trionfante, puntando
l’archibugio. Sparò non appena la prima cresta
oscura spuntò dalla schiena
incurvata del Samurai. Il corpo di Kiku si inarcò
bruscamente, e si gettò a
terra subito dopo, scosso da spasmi irrefrenabili.
«Avanti,
esci, schifezza!» lo spronò barbaramente Gilbert.
«Non
eri ansioso di farci vedere il tuo potere?»
Di
nuovo, l’aiuto venne da un lato insperato. Kiku, il vero
Kiku, portò su di loro gli occhi velati da lacrime di
dolore, una mano premuta
al petto trafitto. Da vero guerriero, non elemosinò per la
sua vita; li fissò
sconcertato e domandò:
«Che
cos’è… c’è
qualcosa che… si agita sotto la mia
pelle…»
«È
un demone» Gilbert caricò il secondo colpo
dell’archibugio: non c’era tempo per le spiegazioni
complicate. «Ti sta usando
per rimanere aggrappato a questo mondo.»
Kiku
batté le palpebre sugli occhi lucidi. Non capiva cosa
stava succedendo: ricordava solo di essersi infilato la divisa, e poi
nulla
fino al momento in cui si era ritrovato a terra con un foro di
pallottola nel
petto. Quando era successo? Quando gli avevano sparato? Chi era stato?
Perché?
E
Yao, con la tunica sbrindellata sul petto e i capelli più
corti che lo fissava. Quando era guarito? Perché lo guardava
come se stesse
vedendo un fantasma?
E
Alfred, accasciato in una pozza di sangue accanto a lui,
che lo accarezzava con i suoi occhi cerulei.
«Bentornato,
Kiku» le labbra tremarono per lo sforzo di
incurvarsi in un sorriso stremato.
«Sono
stato io?» il Samurai articolò la domanda in uno
stridio: il demone aveva ricominciato a sgroppare dentro di lui. Non
ricordava
nulla di quanto fosse successo; e la dimenticanza era il primo segnale
di
colpevolezza, nel suo credo di ferro. «A fare tutto
questo…?»
«Non
tu. Il demone» la voce di Yao tremava. Non l’aveva
mai
sentita tremare prima di allora…
Il
demone. Quella bestia che si agitava sotto la sua pelle.
Da quanto era lì? Perché non se ne era mai
accorto? Quali altri orrori aveva
compiuto, servendosi del suo corpo?
Non
aveva una risposta a quelle domande, e il dolore sordo
che dal petto stava avviluppando tutto il suo corpo non gli permetteva
di
ragionare con chiarezza.
Un’unica
verità si fece strada nella sua mente confusa:
l’uomo con gli occhi rossi aveva detto che lui era
l’ancora di quel demone. Se
lui non ci fosse stato…
Aveva
un pugnale, stretto in una fondina sulla tibia. Lo
estrasse velocemente e, prima che il sovrano potesse fermarlo, lo
conficcò nel
suo ventre con forza.
Delle
braccia familiari si strinsero sulle sue spalle
ricurve, e Kiku avvertì delle lacrime di sollievo scaldargli
gli occhi. Il
sovrano gli era mancato da morire.
«Cosa
stai facendo?» la voce di Yao vacillava sull’orlo
del
pianto. Di nuovo, non avrebbe saputo dire quando era stata
l’ultima volta che
lo aveva sentito così disperato.
Kiku
voltò la testa verso di lui, malfermo.
«Quello
che ho giurato di fare il giorno della mia nomina a
Samurai» il guerriero contorse il viso in una smorfia,
lottando per il fiato:
non era facile parlare con una lama conficcata nella pancia.
«Difendo Chugoku e
il suo sovrano.»
Le
lacrime del Figlio del Cielo gli bagnarono il collo, e le
sue braccia gli abbracciarono il capo con più forza mentre
faceva passare la
lama in orizzontale e poi in verticale sul suo busto, secondo il
rituale dell’harakiri.
Alfred stava morendo da eroe;
lui sarebbe morto da Samurai.
Il
demone non riuscì a rimanere oltre in quel corpo a pezzi:
ne uscì bruscamente con un gemito innaturale, e Gilbert ne
approfittò
immediatamente.
Il
secondo colpo di archibugio abbatté il diavolo al suolo,
e l’Hellsing estrasse la scimitarra avvicinandosi a lui.
Osservò
ciò che rimaneva dell’essere che li aveva bloccati
poco prima: una poltiglia senza forma, di un nauseabondo colore scuro,
che si
contorceva sul pavimento.
«Tu»
la spada indugiò su quella fanghiglia animata. Gilbert
chiuse gli occhi un istante, e il volto che più aveva amato
comparve dietro le
palpebre. La storia dei demoni stava per finire: Matthew poteva
riposare in
pace. «Tu sei l’ultimo.»
Vibrò
il colpo finale senza alcuna pietà: la massa pulsante
emise un suono stridulo e inarticolato prima di dissolversi sotto la
sua lama
in un puzzo di carne bruciata.
Gilbert
si voltò, ma non riuscì a inneggiare alla
vittoria.
Il
ragazzo piombato all’improvviso nella battaglia giaceva
al suolo, tremendamente immobile, e Yao reggeva tra le braccia il suo
figlioccio, ormai prossimo all’ultimo respiro.
La
porta della camera si spalancò bruscamente, e delle
guardie irruppero nella stanza. Fissarono inorridite il lago di sangue,
allucinate gli stranieri e trasecolate il loro sovrano.
«Chiamate
i medici» ordinò Yao.
«Signore…»
«Chiamate
i medici adesso.»
Erano
chiaramente desiderosi di sapere cosa fosse successo,
perché il regnante fosse uscito all’improvviso dal
coma, chi fossero quegli
stranieri, ma il tono del Figlio del Cielo non ammetteva repliche:
corsero nei
corridoi chiamando a gran voce i dottori di corte.
Arthur
si avvicinò ai feriti e offrì:
«Conosco
alcuni incanti di guarigione.»
«Prima…
lui…»
Il
Mago dell’Ovest voltò la testa verso il giovane
biondo,
che sputacchiava le sue ultime parole nel suo stesso sangue.
«Non
io… prima lui…»
Arthur
gli appoggiò una mano sulla testa, per
tranquillizzarlo nella sua agonia.
«D’accordo.
Curerò prima lui. Non agitarti.»
Impose
poi i palmi sul ventre squarciato di Kiku, e richiamò
le sue energie taumaturgiche.
Yao
si allontanò per permettere all’incantatore di
lavorare
e un gracidio flebile lo raggiunse alle spalle.
«Sei
to… torna… to… fratel…
lone…»
Morto
il demone, anche la maledizione imposta sul Portavoce
del Sole si era sciolta.
Il
Figlio del Cielo si precipitò di fronte al trono su cui
giaceva Young Soo. Nonostante le membra stremate e avvizzite
nell’inedia, la
luce negli occhi del fratello era quella che ricordava, più
brillante del Sole
di cui era il Portavoce.
Yao
afferrò una delle sue mani nodose dal colore delle
cortecce, e se la portò alle labbra.
«Sono
qui. Perdonami se ci ho messo tanto.»
Young
Soo mosse impercettibilmente il capo in un cenno di
diniego.
«Non
importa. Lui mi aveva detto… che saresti
tornato…»
«Lui?»
Il
respiro uscì in un raspare crepitante dalle labbra secche
di Young Soo.
«Il
Marauder…»
«Come
hai fatto a parlarci? Non si era incarnato dentro di
te?» obiettò Gilbert.
Il
Portavoce del Sole chiuse le palpebre. Parlare era uno
sforzo tremendo, dopo quasi un anno di immobilità.
«Io
ero solo un passaggio… aspettava che il suo vero corpo
arrivasse…»
La
fatica fu troppa per quel corpo debilitato: Young Soo
tacque, inclinandosi in avanti con il busto per cadere tra le braccia
protese
di Yao.
«Bentornato
a casa, fratellone…» esalò, prima di
perdere i
sensi.
Un
rombo di passi concitati si gonfiò nel corridoio;
Antonio, Ivan, Lovino e Roderich si precipitarono nella sala, ancora
avvolti
dall’incantesimo di camuffamento.
«Cosa
è successo? Non siamo riusciti a…»
La
gravità della situazione li imbavagliò. Il Figlio
del
Cielo singhiozzava, reggendo tra le braccia una mummia respirante. Il
Samurai
giaceva al suolo, una magia di guarigione dorata che lavorava
faticosamente
sulla lacerazione che gli apriva l’addome, rosso come tutti i
paramenti della
stanza. Il Mago dell’Ovest era chino su un giovane
sconosciuto, affondato in un
mare di sangue.
L’Hellsing
osservava la scena, immobile e cinereo.
«Abbiamo
sconfitto il demone» annunciò.
Ma
non aggiunse altro.
…
in realtà il
capitolo doveva essere molto più lungo XD
Ma
ho avuto
alcuni inconvenienti nonché problemi familiari, quindi ho
dovuto dividerlo a
metà .-. Ergo, la saga asiatica si concluderà nel
prossimo capitolo (che in
realtà era la seconda parte di questo… eh XD).
In
ritardo di
una settimana, per le motivazioni di cui sopra .-. è stato
davvero un periodo
duro .-.
Anyway,
voglio
ringraziarvi tutti per essere arrivati fino a questo punto della storia
*-* Al
termine della saga asiatica, si aprirà l’arco
narrativo finale… la storia
dovrebbe concludersi verso il capitolo trenta.
E
un grazie di
cuore a tutti voi che avete recensito lo scorso capitolo: domani
risponderò
alle vostre recensioni una per una<3 (oggi non faccio in tempo
purtroppo
.-.) Mi avete scaldato il cuore<3
Che
altro
aggiungere… una tazza di the verde a tutti voi che avete
letto/recensito/speso
una lacrimuccia per questa storia<3 Per restare in tema
“Asia” XD
Ci
vediamo tra
due settimane<3
Red