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Autore: Clira    31/03/2014    2 recensioni
DAL CAPITOLO 11:
«Hai capito bene, Chelsea. Io… io non lo so. Viviamo sotto lo stesso tetto da tre settimane ormai, ancora un’altra e poi torneremo alle nostre vecchie vite e forse ci lasceremo alle spalle queste assurde vacanze, ma io ricorderò. Io ricorderò ogni singolo istante quando ci incontreremo nei corridoi, in atrio o alla mensa. Ricorderò la tua voce, la musica e la paura. Ricorderò com’è restare senza fiato. Ricorderò il tuo aspetto appena ti svegli la mattina e i tuoi pigiami improponibili. Ricorderò l’odore della tua pelle dopo una doccia e la luce nei tuoi occhi. Ricorderò la ruga che ti si forma sulla fronte mentre ti concentri su qualcosa e il modo buffo che hai di toglierti i capelli dalla faccia soffiandoci sopra. E per me sarà impossibile dimenticare queste settimane. Ma se tu lo vuoi, io farò finta di dimenticare».
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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11



CAPITOLO 11: DIPARTITA

 

«Ti chiamo appena arrivo, promesso».

Mi sporsi verso Ryan, seduto sul bordo del mio letto, e lo strinsi forte.

«Bravo. E mi raccomando… guida piano e non farti sparare addosso da nessuno, siamo intesi?».

«Sempre simpatica tu, non è vero?».

Gli rivolsi un sorriso angelico, con la mia migliore espressione da brava ragazza.

«Starò attento, lo prometto».

«Su, ti accompagno di sotto».

Così, il mio amico ed io ci avviammo al piano inferiore.

Subito, arrivarono papà, mamma e il nonno.

«Ryan, se tu o tuo padre doveste avere bisogno, mi raccomando… non esitate a chiamare», disse papà dandogli una pacca sulla spalla.

Lui sorrise gentilmente.

«Grazie, signor Gaver».

«E chiamami Henry».

«D’accordo. Beh, allora adesso vado. Salutatemi Shereen e Christian».

«Oh, certo. Credo che siano andati a fare una passeggiata sulla spiaggia, ma non appena torneranno, te li saluteremo».

Il ragazzo mi rivolse l’ultimo sorriso e poi si voltò, richiudendosi la porta alle spalle.

Controllai dalla finestra finché la sua auto non ebbe svoltato alla fine della strada, poi sospirai, stringendomi le braccia al petto.

La verità era che Ryan, da quando eravamo lì, aveva costituito un punto saldo per me, nonostante ci conoscessimo davvero da così poco e, in quelle settimane, aveva rappresentato una sorta di ancora di salvezza.

Durante la famosa cena tra le nostre famiglie, era stato di fondamentale importanza ed ora… non avrei più avuto con chi parlare liberamente. Con quei pensieri che mi si affollavano in testa, anche l’assenza di Buster si faceva molto più opprimente.

Per cercare di distrarmi, andai al pianoforte al piano di sopra e cominciai a suonare. Una volta che iniziavo, non mi rendevo conto di niente, tanto che feci un salto sullo sgabello quando, ad un tratto, sentii una mano posarsi leggera sulla mia spalla.

«Ciao, Chris… ».

«Potrei restare ad ascoltarti suonare per ore intere, sai?».

Sorrisi.

«Già, io… è grazie al nonno che ho scoperto questa mia passione».

«Più che passione, direi che è un talento».

«È l’unica cosa che mi permette di scappare».

«Scappare da dove?».

«Dal mondo intero. Dalle persone».

«Anche da me?».

«Chris, senti… ».

«No. Senti tu… io ho bisogno di sapere che la mia presenza non ti fa soffrire. Perché in caso contrario, me ne andrò».

Lo guardai con aria stupita.

«Che cosa, scusa?».

«Hai capito bene, Chelsea. Io… io non lo so. Viviamo sotto lo stesso tetto da tre settimane ormai, ancora un’altra e poi torneremo alle nostre vecchie vite e forse ci lasceremo alle spalle queste assurde vacanze, ma io ricorderò. Io ricorderò ogni singolo istante quando ci incontreremo nei corridoi, in atrio o alla mensa. Ricorderò la tua voce, la musica e la paura. Ricorderò com’è restare senza fiato. Ricorderò il tuo aspetto appena ti svegli la mattina e i tuoi pigiami improponibili. Ricorderò l’odore della tua pelle dopo una doccia e la luce nei tuoi occhi. Ricorderò la ruga che ti si forma in mezzo agli occhi mentre ti concentri su qualcosa e il modo buffo che hai di toglierti i capelli dalla faccia soffiandoci sopra. E per me sarà impossibile dimenticare queste settimane. Ma se tu lo vuoi, io farò finta di dimenticare e noi riprenderemo i nostri rapporti professionali senza che ciò che è accaduto qui turbi il nostro lavoro».

Mio Dio… lo avevo spinto a tutto quello, dunque. Ad arrendersi, cosa che non era decisamente da Chris.

L’impulso di afferrarlo, attrarlo a me e baciarlo era forte, mi prudevano le mani per il desiderio, e dovetti affondarmi le unghie nei palmi per trattenermi.

Invece dissi: «Chris, per una volta… per una volta… dimmi che cosa vuoi tu e non pensare a me».

«Chelsea, come puoi chiedermi di non pensare a te? Tu sei… tu sei tutto. E sai cosa voglio, come sai, e so anch’io, che non è possibile. Perché se fosse per me; Dio, Chelsea, tu non sai nemmeno cosa io ho fatto con te nella mia mente. Tu non potresti nemmeno immaginartelo».

Deglutii a vuoto e cominciarono a tremarmi le ginocchia; per fortuna almeno ero seduta.

«Chris… », gemetti prendendogli il volto con entrambe le mani.

Lui chiuse gli occhi e posò le sue mani sulle mie stringendole forte.

«Chelsea, ti prego non farlo. Non dire il mio nome con quel tono e non mi toccare perché io, davvero, non so più cosa sto facendo e cosa potrei fare. Non sai quanto siano eccitanti e dolorose quelle fantasie e se mi stai così vicina, io potrei farle avverare tutte, qui, seduta stante. Mi dici di pensare a me? Quello che voglio io, proprio ora, è baciarti. Baciarti fino a non avere più fiato, baciarti fino a morire. Perché quello che ho dentro è un desiderio che brucia qualunque cosa. Qualunque forma di raziocinio e prudenza. Perciò stai lontana da me, altrimenti potrei prenderti e… farti mia. Ora. Ora e fino ad ucciderci entrambi».

Sapevo che avrei dovuto dire qualcosa. O fare qualcosa. La cosa migliore sarebbe stata allontanare le mie mani dal suo volto, alzarmi da lì e correre fuori da quella stanza, ma era come se fossi inchiodata a quello sgabello.

Riuscii a stento a staccare le mani dal suo corpo, ma continuai  a fissarlo con intensità, mentre lui ricambiava quello sguardo con occhi accesi da una passione rovente.

Stavolta fu lui ad alzarsi di scatto, osservarmi per un’altra manciata di secondi e poi lasciare la stanza a grandi passi.

Quando fu uscito, fu come tornare improvvisamente a respirare e cercai di incamerare nei polmoni quanta più aria possibile.

Non potevo più avere dubbi a quel punto su quanto forte fosse il sentimento che legava me e Chris. Tanto forte quanto lo era il nostro senso di principio morale e forse, tanto forte quanto la nostra stupidità.

Magari lui pensava che, col tempo, avrebbe potuto sostituire me con Shereen, nel suo cuore.

Ed egoisticamente, io sperai di no.

Sperai ancora in un futuro con lui, anche se, per questo, mi odiai.

Come potevo desiderare, in quella misura, un ragazzo già impegnato; il ragazzo di mia sorella?!

Mi appoggiai al pianoforte e respirai a fondo. Avrei soltanto voluto che le cose fossero un po’ meno complicate e desiderai riavere al mio fianco Ryan. Per poter parlare con lui. Per potermi sfogare. E mi resi conto, di nuovo, di essere una persona estremamente egoista.

Perché Ryan stava andando esattamente nel posto in cui avrebbe dovuto stare, ossia con la sua famiglia. Con suo fratello; con suo padre. Perché loro avevano bisogno di lui.

Con lentezza, mi alzai dallo sgabello e mi avviai verso la porta, lasciando, tra quelle quattro mura, la testimonianza di ciò che era appena accaduto tra me e Chris. Le parole e i sottointesi annessi e connessi.

Scesi le scale e andai a cercare il nonno.

Era sera ormai, il sole stava cedendo il posto alla luna e alle stelle, mentre il cielo passava da un arancione acceso a un impossibile blu che si rifletteva sul mare, fondendo insieme cielo e terra. Il senso d’infinito mi travolse, come se non ci fosse più un orizzonte.

Sentivo le voci dei miei genitori dal piano di sopra, mentre Shereen era sotto la doccia e Chris in cucina a bere un bicchiere d’acqua.

La televisione nel salotto era accesa e la testa del nonno, un po’ inclinata di lato, faceva capolino dal bordo del divano.

Mi dava le spalle ed io gli accarezzai una guancia con tocco lieve, lasciandogli un bacio sui capelli bianchi.

Feci il giro del divano, sedendomi accanto a lui, che teneva gli occhi chiusi; probabilmente addormentato davanti alla televisione come tante altre volte era successo.

Ma questa volta c’era una differenza, un dettaglio all’apparenza così insignificante, ma che per me fu uno shock.

Perché, posando la testa sul torace di mio nonno, come avevo fatto un’infinità di altre volte fin da quando ero piccolissima; ora, non sentii più il battito del suo cuore.

Mi allontanai con un grido e un attimo dopo sentii il rumore di un vetro in frantumi. Non capivo se fosse stato qualcosa dentro di me a spezzarsi, ma quando sentii l’imprecazione di Chris dall’altra stanza, collegai il fatto che il bicchiere da cui stava bevendo, doveva essergli caduto dalle mani non appena aveva sentito il mio grido.

Mi avvicinai nuovamente al nonno e cominciai a scuoterlo, chiamandolo disperatamente, ma era tutto inutile.

Qualcosa mi bagnava la faccia e mi accorsi di stare piangendo solo dopo che cercai di asciugarmi le lacrime per capire che cosa fosse.

Poi, Chris  entrò correndo nella stanza, preoccupato da quelle mie urla.

Per un momento, rimase immobile, come se neanche lui si capacitasse di ciò che stava succedendo, poi, muovendosi con un’innaturale lentezza, si avvicinò a me, circondandomi i fianchi con le braccia muscolose e sollevandomi di peso per allontanarmi da quello che, ormai, era solo ciò che era stato mio nonno.

«No! Lasciami! LASCIAMI!», gridai continuando a prenderlo a pugni, graffiarlo e scalciare.

Mai, nella mia vita, ero stata tanto fuori di me.

Durante l’incidente avevo conservato un barlume di lucidità che mi aveva permesso di spiegare a Chris cosa fosse successo e anche la sera prima, durante la sparatoria, ero rimasta fredda e distaccata in modo da mettere in pratica gli insegnamenti di Ryan.

Ma ora… adesso era come se qualcosa di più grande e impensabile di tutto ciò che era accaduto fino a quel momento, mi travolgesse con la stessa potenza di una valanga. Ghiaccio puro. Ed io stavo morendo, ne ero certa.

I polmoni mi scoppiavano ed io non riuscivo a respirare, né a smettere di gridare e a nulla servivano le parole di Chris.

Francamente, non lo stavo nemmeno ascoltando. Avrei soltanto voluto sprofondare e non svegliarmi più, raggiungere il nonno, perché era sempre stato il mio unico porto sicuro. Un faro nella mia vita.

“Quando si è giovani, amore mio, si crede di essere padroni del tempo, ma un vecchio come me, ne è solo lo schiavo”, mi aveva detto il nonno qualche anno prima. Solo ora riuscivo a capire davvero il significato di quelle parole.

Qualche istante dopo, i miei genitori entrarono di corsa nella stanza, allarmati da tutto il trambusto che stavo creando e, quando si resero conto della situazione, per un momento, mamma si aggrappò al braccio di papà e lui la sostenne, con sguardo addolorato.

E mentre nel cielo, infinito e infuocato, il Sole, lasciava la Terra per un altro giorno; un sole più grande, lasciava il mio cuore per sempre.

Quando realizzai quel pensiero, mi abbandonai, smettendo di lottare contro Chris e accasciandomi sul suo corpo. Mi sentivo completamente svuotata.

Il nonno non c’era più. Com’era possibile una cosa del genere?

Non riuscivo a respirare e cominciai ad emettere dei suoni strozzati dal fondo della gola. Percepii le braccia di Chris stringermi più forte e poi lui che sussurrava: «Chelsea, ti prego calmati. Respira. Respira».

Mio padre si voltò verso di noi, stringendo ancora mamma tra le braccia, e disse: «Christian, per favore, portala di sopra».

Per un momento ebbi ancora l’impulso di ribellarmi, ma a questo punto non ne vedevo il senso.

Lasciai che Chris mi sollevasse da terra e, con passo lento, si riavviò lungo le scale, con me che tremavo contro il suo corpo.

Dal bagno proveniva il rumore del phon, probabilmente Shereen non aveva sentito nulla di ciò che era appena successo.

Quando Chris mi depose sul letto, mi rannicchiai su me stessa e chiusi gli occhi. Come se così potessi lasciare fuori il mondo intero, ma dopo un momento, sentii una delle mani del ragazzo posarsi sul mio braccio e la sua voce chiamarmi.

«Chelsea… ?».

Non risposi e mi voltai dall’altra parte.

Lui sospirò pesantemente e cominciò ad accarezzarmi i capelli.

«Chelsea, mi dispiace davvero tanto».

A quelle parole mi rigirai verso di lui e notai che aveva gli occhi lucidi. Per me fu uno shock vederlo così. Lui che aveva sempre il sorriso sulle labbra.

Lentamente, allungai un braccio sul letto fino a prendere la sua mano, che strinse subito.

Restammo così, senza parlare, semplicemente guardandoci e accarezzano l’uno la mano dell’altra.

Sentii la porta del bagno aprirsi in corridoio, collegando il fatto che Shereen doveva essere pronta. E che ancora non sapeva nulla.

Guardai Chris.

«Dovresti andare».

Lui indugiò ancora un momento con lo sguardo su di me, poi, con calma, si alzò dal letto, lasciandomi l’ultima carezza sulla guancia, e infine uscì dalla stanza.

Quando si fu richiuso la porta alle spalle, mi infilai sotto le coperte coprendomi completamente e scoppiando nuovamente in lacrime. Non capii quanto tempo ci volle, ma riuscii a calmarmi e quando smisi di piangere, avevo un mal di testa che avrebbe potuto spaccarmi in due il cranio. Il minimo movimento del capo mi provocava un dolore lancinante.

Infine, riuscii ad addormentarmi.

Quando mi svegliai, Chris era sdraiato sotto le coperte vicino a me e mi osservava.

Fuori era buio, ormai e sperai che la penombra potesse nascondere il mio aspetto terribile.

Lui, con delicatezza, spostò una ciocca di capelli dai miei occhi, scendendo poi ad accarezzarmi la guancia e il collo.

«Cosa ci fai qui?», chiesi con tono incerto.

«I tuoi genitori non ci sono e Shereen… mi ha detto che tu avresti avuto molto più bisogno di qualcuno di cui ti fidi».

Rimasi sorpresa da quelle parole, ma mi limitai ad annuire.

Mi portai le ginocchia al petto e le circondai con le braccia, sentendo nuovamente le lacrime premere contro le palpebre, che serrai per cercare di trattenermi dal piangere di nuovo.

«Chelsea, no… », il suo tono era così pieno di preoccupazione, che anche senza vederlo in faccia avrei potuto immaginare quale fosse la sua espressione.

Sentii le sue braccia avvolgermi e attrarmi a sé ed io vi sprofondai, senza più pensare a nulla.

Fu la vibrazione insistente del mio telefono a ridestarmi da quello stato di torpore misto a disperazione.

Allungai una mano verso il comodino e afferrai l’apparecchio.

Sul display, mi apparve il nome di Ryan.

Schiacciai il pulsante verde e risposi.

«Pronto?».

«Chelsea! Finalmente, è tutta la sera che ti chiamo… ma cosa succede? Hai una voce… ».

Non potevo dirgli che il nonno… che lui non c’era più; conoscendo Ryan, sarebbe anche stato capace di riprendere la macchina e tornare qui.

Presi un respiro profondo e risposi: «Niente, Ryan, tranquillo. Io… ho un gran mal di testa. Tu sei arrivato? Come sta tuo fratello?», cercai subito di sviare l’argomento e notai lo sguardo carico di apprensione di Chris.

«In questo centro è molto seguito, sono tutti ottimisti, ma ci vorrà un po’ di tempo prima che possa riprendersi completamente. Probabilmente gli resteranno delle cicatrici».

«Beh, ma in futuro gli torneranno utili; le ragazze sono affascinate dai ragazzi misteriosi con delle cicatrici», mi sforzai di suonare allegra, ma percepii io stessa la falsità di quel mio tono.

Per fortuna, Ryan ebbe abbastanza tatto da ignorare la cosa ed emise una risata.

«E lì che si dice? Tutto bene?».

Come potevo avere la forza di mentirgli spudoratamente in quel modo?

Anche Chris parve piuttosto allarmato dalla domanda. Eravamo così vicini che di sicuro stava sentendo tutta la conversazione.

«Qui va».

«Sei alquanto monosillabica, stasera. Chelsea, sicura che vada tutto bene?».

Volevo solo mettermi ad urlare e Chris parve capirlo dalla mia espressione, perché mi strinse più forte.

«Non ti preoccupare, Ryan, te l’ho detto; è solo questo dannato mal di testa».

«Va bene, allora ti lascio andare, sennò ti farà ancora peggio stare al telefono. Ti chiamo domani, Chelsea».

«Certo. Buonanotte, Ryan».

«Notte, Chel… ».

E riagganciai.

Per qualche minuto, la stanza rimase immersa nel silenzio, solo i battiti dei nostri cuori sembravano rompere quella calma inquietante, poi, Chris chiese: «Perché non gli hai detto niente?».

Sospirai.

«Ryan è appena arrivato. Suo padre e suo fratello hanno bisogno di lui e… non è il caso che venga turbato da altri pensieri».

«E poi dici a me che dovrei smettere di preoccuparmi per gli altri? Chelsea, tu… ».

«Sssh… », lo interruppi. «… resta solo con me».

E lui lo fece.

Mi strinse a sé e continuò ad accarezzarmi i capelli e la schiena fino a che non fui di nuovo preda del sonno.

Erano le tre di mattina quando mi svegliai nuovamente. Chris era addormentato al mio fianco, con un braccio ad avvolgermi la vita; il petto che si alzava e si abbassava regolarmente al ritmo del suo respiro.

Era così bello vederlo in quel modo. Sereno, rilassato; come se le ultime settimane fossero state soltanto un brutto sogno.

Gli accarezzai piano il volto, senza svegliarlo, ma il pensiero del nonno tornò a farsi opprimente ed io rimasi agghiacciata da quella nuova realtà in cui non avrei più potuto rivolgergli la parola.

Mi coprii il volto con le mani, sentendo già i palmi bagnati dalle lacrime e, senza rifletterci, mi alzai dal letto, mi vestii velocemente con le prime cose che trovai e corsi fuori.

Fuori dalla mia stanza, lungo il corridoio, giù per le scale, in giardino e infine in strada. In quel momento, l’unica cosa di cui avevo bisogno, era correre.

La strada era deserta fino al punto da apparire inquietante, ed il silenzio totale.

Corsi fino a non avere più fiato; accanto a me sfrecciavano case, auto parcheggiate ordinatamente nei vialetti, bar, chioschi e gelaterie chiusi. E alla mia sinistra, costante, che si stendeva a perdita d’occhio… l’oceano.

Così deviai, andando in quella direzione. Corsi sulla spiaggia, fino ad arrivare nel punto in cui la sabbia veniva bagnata dall’acqua, che formava piccole increspature sulla riva, si infrangeva sulla battigia e poi tornava indietro, infinita.

Caddi lì, in ginocchio, stremata. I muscoli indolenziti, il respiro irregolare e il cuore che batteva all’impazzata, dovendo anche lavorare di più, ora che un pezzo di esso se n’era andato per sempre.

Affondai le mani nella sabbia bagnata quasi con rabbia e poi strinsi forte, respirando a fondo e cercai di calmarmi. In qualche modo mi aiutò, ma questo non impedì ai miei pensieri di vagare, tornando a quel fatidico giorno in cui il nonno mi aveva presa in braccio, da piccola, mettendomi poi seduta sopra lo sgabello del pianoforte. In quel momento, tutto era cominciato.

Mi sdraiai sulla sabbia scura e umida, con l’acqua che mi lambiva il corpo, facendomi rabbrividire. Era estate, è vero, ma erano comunque le quattro di mattina.

Restai lì, senza preoccuparmi minimamente del mio aspetto orribile. Dovevo avere due occhi spaventosamente gonfi, ero inzuppata d’acqua salmastra e i miei capelli erano diventati una specie di pasta tra sabbia e mare.

Non riuscii ad addormentarmi, ma caddi in una specie di trance in cui i miei pensieri vagavano scollegati tra di loro come una matassa disordinata.

Poi, poco a poco, all’orizzonte in lontananza, si stagliò la figura del sole. Stava albeggiando.

Il cielo assunse delle tinte rosa ed i riflessi del sole e del cielo s’infransero sull’oceano, ora calmo e liscio come una tavola.

Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dal suono delle onde calme e dal dolce tepore che quel panorama mozzafiato mi stava regalando.

Questo, finché qualcuno non mi afferrò bruscamente per le spalle, tirandomi a sedere. E, per l’ennesima volta, mi ritrovai faccia a faccia con Chris.

«Chelsea! Ma cosa diavolo fai?».

Lo guardai senza capire.

«Io… io mi ero svegliato una volta verso le tre e mezza e, non vedendoti, ho creduto che fossi in bagno e mi sono riaddormentato, ma alle sei mi sono svegliato di nuovo e tu ancora non eri tornata e… ero preoccupato! Sono le sei e mezza del mattino, Chelsea!».

«Ho sentito solo il bisogno di uscire… », mi giustificai, atona.

«Il bisogno di uscire? Alle tre di notte? E non ti è passato neanche per l’anticamera del cervello di avvertirmi? Tra l’altro, avevi intenzione di uscire per prenderti una bronco polmonite? Perché succederà, se continui a stare qui».

Ridacchiai, ma senza allegria.

«Io non prendo mai un raffreddore».

Chris mi osservò con sguardo piuttosto stralunato, poi disse: «Beh, hai bisogno di una doccia e di riposo. Ora andiamo, prima che i tuoi genitori si accorgano della tua improvvisa sparizione».

Mi aiutò a rimettermi in piedi, con sguardo torvo.

«Sei tutta bagnata e hai la pelle gelida. Sbrighiamoci a tornare».

Ebbe il buon senso di non accennare ai miei capelli stravolti perché, anche se non potevo vederli, sapevo perfettamente in che stato dovessero essere.

In meno di dieci minuti fummo a casa e Chris mi disse di andare a prendere qualche vestito pulito mentre lui mi preparava la vasca da bagno. Così, io obbedii e quando tornai in bagno, disse: «Ora infilati immediatamente nella doccia e restaci dentro finché non ti sarai ripulita per bene dalla sabbia, poi entra nella vasca e riscaldati».

«Ok, papà», lo presi in giro.

Lui mi lanciò una delle sue occhiate assassine ed uscì dalla stanza.

Ero davvero stanca, la testa pulsava fastidiosamente, ma feci ciò che Chris aveva detto; entrai nella doccia e, quando ebbi eliminato ogni granello di sabbia dal mio corpo e dai miei capelli, passai nella vasca da bagno. L’acqua era piacevolmente tiepida ed io mi rilassai, coccolandomi con il bagnoschiuma.

Quando la temperatura si raffreddò; uscii e mi avvolsi in un accappatoio leggero. Non potevo asciugarmi i capelli con il phon a quell’ora di mattina, così li tamponai per qualche minuto con un asciugamano ed uscii dal bagno.

Ero quasi arrivata alla porta della mia camera, quando fui presa dall’impulso più grande di dirigermi verso una delle ultime stanze del corridoio.

Sulla soglia, esitai un momento prima di spingere la porta e ritrovarmi in quella che era stata la camera da letto dei miei nonni materni. Mi si formò un groppo in gola, ma mi decisi ad entrare, muovendomi a piccoli passi.

Quella stanza era intrisa dell’odore che avevo sempre associato al nonno: sapeva di acqua di colonia, di mare e di casa. Sapeva di morbido e di ricordi e quei pensieri dolorosi spinsero di nuovo le lacrime in superficie. Mi buttai sul letto, respirando a pieni polmoni l’odore del nonno e abbracciando il suo cuscino, disperata. Disperata perché non avrei mai più potuto sentire quell’odore su di lui, non l’avrei abbracciato mai più, non gli avrei parlato mai più.

Quando sentii la porta aprirsi, non mi preoccupai nemmeno di guardare chi fosse.

Una mano leggera si posò sulla mia spalla, ma io continuai a piangere senza voltarmi.

«Chelsea, basta. Fare così è inutile, lo so che fa male; fa male anche a me».

Mi girai.

Mia sorella se ne stava lì, seduta su quel letto con occhi incredibilmente tristi.

«Lo so che gli volevi bene, ma lui ora non c’è più».

Mi tirai a sedere e abbracciai di slancio Shereen, senza rifletterci. Per un momento, lei rimase rigida, poi si sciolse e rispose al mio abbraccio. Penso che quella fosse la prima volta in cui ci abbracciavamo in quel modo.

«Non so come fare senza di lui… ».

Mia sorella sospirò.

«Se io fossi stata più presente nella tua vita, forse le cose non sarebbero andate così, forse avresti avuto più bisogno di me che di lui. Il nonno ti voleva un gran bene ed io invece non gli ho mai dimostrato abbastanza affetto, per questo lui preferiva passare giornate intere con te invece che stare con tutti noi. E io ti ho odiata anche per questo, perché sono egocentrica ed egoista e ho sempre voluto ogni attenzione su di me. Da quando però, la mia sorellina ha cominciato ad essere il centro del mondo per il nonno, non so come né perché, ma qualcosa dentro di me è scattato. Chelsea, c’è una cosa che ti devo dire… ».

La osservai stupita. Quella era di certo una delle conversazioni più lunghe che affrontavo con mia sorella da anni. E lei sembrava davvero triste e dispiaciuta.

«Ero così arrabbiata e insicura che… sono stata io a fare in modo che tu e Christian vi allontanaste e… mi sono messa con lui solo per tenerlo lontano da te, perché ero gelosa».

A quel punto la fissai, sgranando gli occhi.

«Che cosa…? Shereen… ».

«Fammi finire», m’interruppe. «Ho detto che è iniziata così, io… riesco ad essere davvero crudele, alle volte. Gioco con i sentimenti delle persone, me ne rendo conto e so di ferirle, ma tuttavia non chiedo scusa e non me ne pento. E poi è arrivato Christian e lui… è bello, è dolce, è simpatico. Ma mi sono messa con lui per tenerlo lontano da mia sorella, perché io dovevo avere tutto e lei, tu, niente. All’inizio era così. Ma poi mi sono innamorata di lui», e qui fece una pausa, in cui un silenzio teso aleggiò tra di noi.

«Poi è arrivata la sera della cena, a casa, e lui ti ha vista e… insomma, è cambiato. E non ho fatto altro che notarlo, sempre di più, ogni giorno che passa, di quanto lui tenga a te, di come ti guarda, di come ti tratta, da come si comporta quando tu sei nella stessa stanza. Lui è te che vuole e l’unica cosa corretta che io abbia mai fatto in questi anni nei tuoi confronti, è stata mandarlo da te stanotte».

Non sapevo cosa dire; quella versione di mia sorella era così nuova, che mi lasciò senza parole.

«Shereen, io non… tu non devi… ».

«Io invece devo, perché continuare questa messa in scena, non è giusto nei confronti di nessuno di noi».

La stanza restò muta per altri trenta secondi, poi mia sorella riprese parola: «Adesso torno a letto e tu… pensa solo a ciò che ho detto».

Quando mia sorella fu uscita dalla stanza, affondai nuovamente la testa nel cuscino, abbracciandolo di nuovo.

Lì, mi riaddormentai, con mille pensieri che mi frullavano in testa.

Riaprii gli occhi sentendo qualcosa accarezzarmi una mano.

«Chris… ».

«Pensavo che ti fossi annegata nella vasca da bagno, quando non sei più tornata in camera e, non trovandoti nemmeno lì, ho creduto che fossi scappata di nuovo. Poi ho incontrato Shereen e mi ha detto che eri qui. Vi siete parlate?».

Non potevo certo raccontargli di tutte le cose che mi aveva detto mia sorella, così cercai di sviare il discorso.

«Sì, abbiamo parlato del nonno… », in effetti, non era una bugia.

«E ti va di parlarne anche con me?».

Scrollai leggermente le spalle.

«Che senso ha? Ti ho parlato di lui così tanto negli ultimi due anni, che non saprei cos’altro dire… mi manca già ora e mi mancherà sempre. Da quando ero piccola, lui è stato l’unica figura costante per me, il porto sicuro, ma questo già lo sai. Però adesso  non c’è più ed io non saprei cos’altro dire. Posso parlare attraverso la musica, è la sola cosa che mi permetterebbe di esprimere un sentimento schiacciante come quello che provo adesso».

«Allora suona. Ti va di suonare per me? Per lui… ».

Sorrisi. «Certo».

Ormai erano quasi le nove di mattina e mamma e papà erano già in piedi, quindi non dovetti preoccuparmi del fatto che avrei potuto svegliarli.

Suonai a lungo, senza pensare, passando da Beethoven a Mozart, da Debussy a Chopin e l’unica cosa di cui mi rendevo conto, erano i tasti sotto le mie dita e il suono che producevo.

Mi fermai all’improvviso, come se avessi finito l’energia e le idee. Il mio “flusso di coscienza musicale”, era stato interrotto.

Ero solo stanca e mi accasciai sullo strumento.

«Va bene così, Chelsea. Ora devi mangiare qualcosa, e poi magari ti rimetti a letto ancora un po’».

«Non sono malata e non ho fame», il mio tono era amaro.

Chris mi accarezzò la schiena.

«Comunque, sia il tuo corpo che la tua mente, nelle ultime settimane sono stati sottoposti a diversi traumi, quindi dovresti riposare. In quanto al cibo non si può trattare: devi mangiare».

Il suo tono era irremovibile.

«Gesù, sembri davvero mio padre».

«Niente storie, su, andiamo».

Chris era deciso, ma sempre gentile.

Obbedii, anche perché sospettavo che se mi fossi rifiutata; il ragazzo mi avrebbe portata di peso in cucina costringendomi a mangiare.

Mamma stava armeggiando tra i fornelli, mentre papà leggeva il giornale seduto al tavolo.

Quando entrai nella stanza, entrambi mi osservarono con sguardo preoccupato.

«Sto bene, tranquilli».

Mia madre lasciò lì tutto quanto e venne ad abbracciarmi.

«Ti voglio bene, tesoro».

«Ti voglio bene anche io, mamma».

Papà sorrise.

«Ciao, coniglietto».

Gli feci una linguaccia, ma poi andai a dargli un bacio sulla guancia.

Parlammo poco del più e del meno, non accennando a ciò che era successo la sera prima. Mamma aveva gli occhi cerchiati ed io avrei voluto consolarla in qualche modo, ma sapevo che probabilmente avrei finito col piangere, quindi lasciai perdere.

Mangiai poco, giusto qualche pezzo staccato da una brioche e un sorso di succo all’arancia, poi tornai in camera con Chris, che non fece commenti sulla scarsità del mio pasto.

«Vuoi che resti ancora un po’ con te?», mi chiese lui.

Annuii, infilandomi sotto le lenzuola e il ragazzo mi imitò, stendendosi al mio fianco.

Per qualche minuto restammo semplicemente a fissarci, respirando piano, poi Chris allungò le braccia e mi avvolse la vita per attrarmi a sé.

«Riposa, Chelsea… io sarò qui quando ti sveglierai. Non vado da nessuna parte».

Ed io mi abbandonai. Le braccia di Chris erano calde e solide, la sua mano mi accarezzava delicatamente i capelli ed il profumo di lui riempiva i miei polmoni.

Incastrai la testa nell’incavo del suo collo e lo sentii respirare a fondo.

Quando mi risvegliai, lui era ancora lì, con un braccio a cingere la mia schiena e con la mano libera ad accarezzarmi il collo.

«Ciao», mi salutò piano.

«Ciao… quanto ho dormito?».

«Tre ore. L’ora di pranzo è passata. Dobbiamo andare al piano di sotto; prima è venuta tua madre, mi ha detto di scendere quando ti svegliavi. Pare ci sia qualcosa che deve dire a tutti… ».

Lo guardai interrogativa.

«Non fare quella faccia, Chelsea, io ne so quanto te… ».

«Ok, allora andiamo».

Quando io e Chris arrivammo in cucina; mamma papà e Shereen erano già lì.

«Che succede?», chiesi.

«Ha telefonato il notaio, tesoro; a quanto pare, il nonno ha lasciato un testamento, che però verrà letto tra una settimana, perciò dovremmo fermarci qualche giorno in più del previsto. Inoltre… », e qui fece una pausa, «… io e papà avevamo pensato di andare in montagna per qualche giorno. Staccare un po’ farà bene a tutti noi, soprattutto a te. Il nonno non ha mai voluto un gran funerale; lui voleva semplicemente… essere sepolto vicino a nonna Allie, faremo una cosa intima, tra di noi. E poi partiremo per la montagna. Staremo via fino a domenica e lunedì verrà letto il testamento, dopodiché torneremo a casa. Per il vostro lavoro è un problema? Chris?».

Il ragazzo scosse la testa.

«No, ehm… io e Chelsea potremo prendere qualche giorno in più; in clinica non saranno così intransigenti se spiegheremo loro le ragioni. Chelsea, vuoi che ci parli io con Jefferson? Hai qualcuno che può sostituirti?».

Lo guardai ed annuii.

«Sì, io… posso chiedere a Justin; lui mi sostituirà».

«Perfetto, allora… posso anche sbrigarmela io, se vuoi».

Gli sorrisi.

«Mi faresti un favore».

«Non ti preoccupare, ci penso io».

Detto questo, mia madre riprese parola.

«Molto bene, allora è meglio che cominciate a prepararvi le borse da portare in montagna; partiamo domani pomeriggio, seppelliremo il nonno la mattina».

 

Note dell’Autrice:

Ed ecco qui l’undicesimo capitolo! Che cosa ve ne pare? Scriverlo è stato un parto, diciamo che… è molto intenso, carico di emozioni, il lato Chrelsea qui spicca molto.

A voi cosa ne è parso? Spero di ricevere qualche recensione perché per me sono IMPORTANTISSIME.

Detto questo, vi lascio con il solito estratto dal prossimo capitolo e il mio profilo FB.

Alla prossima!

Profilo Facebook

 

DAL CAPITOLO 12:

“Lui mi prese il volto tra le mani e posò la fronte contro la mia, stava tremando.

«Chris, cos’hai? Hai freddo? Aspetta, ti restituisco la giaccia».

Cercai di toglierla, ma lui mi bloccò.

«Non ho freddo, Chelsea. Sto tremando per lo sforzo di non baciarti e Dio solo sa quanto vorrei farlo. Non hai idea di quanto sia difficile per me trattenermi dal farlo».

Ebbi un fremito ed il mio respiro si fece corto. Posai a mia volta le mani sul collo di Chris, ma un singhiozzo mi spaccò il petto a metà”.


  
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