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CAPITOLO
11: DIPARTITA
«Ti chiamo appena
arrivo, promesso».
Mi sporsi verso Ryan,
seduto sul bordo del mio letto, e lo strinsi forte.
«Bravo. E mi
raccomando… guida piano e non farti sparare addosso da nessuno, siamo intesi?».
«Sempre simpatica tu,
non è vero?».
Gli rivolsi un
sorriso angelico, con la mia migliore espressione da brava ragazza.
«Starò attento, lo
prometto».
«Su, ti accompagno di
sotto».
Così, il mio amico ed
io ci avviammo al piano inferiore.
Subito, arrivarono
papà, mamma e il nonno.
«Ryan, se tu o tuo
padre doveste avere bisogno, mi raccomando… non esitate a chiamare», disse papà
dandogli una pacca sulla spalla.
Lui sorrise
gentilmente.
«Grazie, signor
Gaver».
«E chiamami Henry».
«D’accordo. Beh,
allora adesso vado. Salutatemi Shereen e Christian».
«Oh, certo. Credo che
siano andati a fare una passeggiata sulla spiaggia, ma non appena torneranno,
te li saluteremo».
Il ragazzo mi rivolse
l’ultimo sorriso e poi si voltò, richiudendosi la porta alle spalle.
Controllai dalla
finestra finché la sua auto non ebbe svoltato alla fine della strada, poi
sospirai, stringendomi le braccia al petto.
La verità era che
Ryan, da quando eravamo lì, aveva costituito un punto saldo per me, nonostante
ci conoscessimo davvero da così poco e, in quelle settimane, aveva
rappresentato una sorta di ancora di salvezza.
Durante la famosa
cena tra le nostre famiglie, era stato di fondamentale importanza ed ora… non
avrei più avuto con chi parlare liberamente. Con quei pensieri che mi si
affollavano in testa, anche l’assenza di Buster si faceva molto più opprimente.
Per cercare di
distrarmi, andai al pianoforte al piano di sopra e cominciai a suonare. Una
volta che iniziavo, non mi rendevo conto di niente, tanto che feci un salto
sullo sgabello quando, ad un tratto, sentii una mano posarsi leggera sulla mia
spalla.
«Ciao, Chris… ».
«Potrei restare ad
ascoltarti suonare per ore intere, sai?».
Sorrisi.
«Già, io… è grazie al
nonno che ho scoperto questa mia passione».
«Più che passione,
direi che è un talento».
«È l’unica cosa che
mi permette di scappare».
«Scappare da dove?».
«Dal mondo intero.
Dalle persone».
«Anche da me?».
«Chris, senti… ».
«No. Senti tu… io ho
bisogno di sapere che la mia presenza non ti fa soffrire. Perché in caso
contrario, me ne andrò».
Lo guardai con aria
stupita.
«Che cosa, scusa?».
«Hai capito bene,
Chelsea. Io… io non lo so. Viviamo sotto lo stesso tetto da tre settimane
ormai, ancora un’altra e poi torneremo alle nostre vecchie vite e forse ci
lasceremo alle spalle queste assurde vacanze, ma io ricorderò. Io ricorderò
ogni singolo istante quando ci incontreremo nei corridoi, in atrio o alla
mensa. Ricorderò la tua voce, la musica e la paura. Ricorderò com’è restare
senza fiato. Ricorderò il tuo aspetto appena ti svegli la mattina e i tuoi
pigiami improponibili. Ricorderò l’odore della tua pelle dopo una doccia e la
luce nei tuoi occhi. Ricorderò la ruga che ti si forma in mezzo agli occhi
mentre ti concentri su qualcosa e il modo buffo che hai di toglierti i capelli
dalla faccia soffiandoci sopra. E per me sarà impossibile dimenticare queste
settimane. Ma se tu lo vuoi, io farò finta di dimenticare e noi riprenderemo i
nostri rapporti professionali senza che ciò che è accaduto qui turbi il nostro
lavoro».
Mio Dio… lo avevo
spinto a tutto quello, dunque. Ad arrendersi, cosa che non era decisamente da
Chris.
L’impulso di
afferrarlo, attrarlo a me e baciarlo era forte, mi prudevano le mani per il
desiderio, e dovetti affondarmi le unghie nei palmi per trattenermi.
Invece dissi: «Chris,
per una volta… per una volta… dimmi che cosa vuoi tu e non pensare a me».
«Chelsea, come puoi
chiedermi di non pensare a te? Tu sei… tu sei tutto. E sai cosa voglio, come
sai, e so anch’io, che non è possibile. Perché se fosse per me; Dio, Chelsea,
tu non sai nemmeno cosa io ho fatto con te nella mia mente. Tu non potresti
nemmeno immaginartelo».
Deglutii a vuoto e
cominciarono a tremarmi le ginocchia; per fortuna almeno ero seduta.
«Chris… », gemetti
prendendogli il volto con entrambe le mani.
Lui chiuse gli occhi
e posò le sue mani sulle mie stringendole forte.
«Chelsea, ti prego
non farlo. Non dire il mio nome con quel tono e non mi toccare perché io,
davvero, non so più cosa sto facendo e cosa potrei fare. Non sai quanto siano
eccitanti e dolorose quelle fantasie e se mi stai così vicina, io potrei farle
avverare tutte, qui, seduta stante. Mi dici di pensare a me? Quello che voglio
io, proprio ora, è baciarti. Baciarti fino a non avere più fiato, baciarti fino
a morire. Perché quello che ho dentro è un desiderio che brucia qualunque cosa.
Qualunque forma di raziocinio e prudenza. Perciò stai lontana da me, altrimenti
potrei prenderti e… farti mia. Ora. Ora e fino ad ucciderci entrambi».
Sapevo che avrei
dovuto dire qualcosa. O fare qualcosa. La cosa migliore sarebbe stata
allontanare le mie mani dal suo volto, alzarmi da lì e correre fuori da quella
stanza, ma era come se fossi inchiodata a quello sgabello.
Riuscii a stento a
staccare le mani dal suo corpo, ma continuai
a fissarlo con intensità, mentre lui ricambiava quello sguardo con occhi
accesi da una passione rovente.
Stavolta fu lui ad
alzarsi di scatto, osservarmi per un’altra manciata di secondi e poi lasciare
la stanza a grandi passi.
Quando fu uscito, fu
come tornare improvvisamente a respirare e cercai di incamerare nei polmoni
quanta più aria possibile.
Non potevo più avere
dubbi a quel punto su quanto forte fosse il sentimento che legava me e Chris.
Tanto forte quanto lo era il nostro senso di principio morale e forse, tanto
forte quanto la nostra stupidità.
Magari lui pensava
che, col tempo, avrebbe potuto sostituire me con Shereen, nel suo cuore.
Ed egoisticamente, io
sperai di no.
Sperai ancora in un
futuro con lui, anche se, per questo, mi odiai.
Come potevo
desiderare, in quella misura, un ragazzo già impegnato; il ragazzo di mia sorella?!
Mi appoggiai al
pianoforte e respirai a fondo. Avrei soltanto voluto che le cose fossero un po’
meno complicate e desiderai riavere al mio fianco Ryan. Per poter parlare con
lui. Per potermi sfogare. E mi resi conto, di nuovo, di essere una persona
estremamente egoista.
Perché Ryan stava
andando esattamente nel posto in cui avrebbe dovuto stare, ossia con la sua
famiglia. Con suo fratello; con suo padre. Perché loro avevano bisogno di lui.
Con lentezza, mi
alzai dallo sgabello e mi avviai verso la porta, lasciando, tra quelle quattro
mura, la testimonianza di ciò che era appena accaduto tra me e Chris. Le parole
e i sottointesi annessi e connessi.
Scesi le scale e
andai a cercare il nonno.
Era sera ormai, il
sole stava cedendo il posto alla luna e alle stelle, mentre il cielo passava da
un arancione acceso a un impossibile blu che si rifletteva sul mare, fondendo
insieme cielo e terra. Il senso d’infinito mi travolse, come se non ci fosse
più un orizzonte.
Sentivo le voci dei
miei genitori dal piano di sopra, mentre Shereen era sotto la doccia e Chris in
cucina a bere un bicchiere d’acqua.
La televisione nel
salotto era accesa e la testa del nonno, un po’ inclinata di lato, faceva capolino
dal bordo del divano.
Mi dava le spalle ed
io gli accarezzai una guancia con tocco lieve, lasciandogli un bacio sui
capelli bianchi.
Feci il giro del
divano, sedendomi accanto a lui, che teneva gli occhi chiusi; probabilmente
addormentato davanti alla televisione come tante altre volte era successo.
Ma questa volta c’era
una differenza, un dettaglio all’apparenza così insignificante, ma che per me
fu uno shock.
Perché, posando la
testa sul torace di mio nonno, come avevo fatto un’infinità di altre volte fin
da quando ero piccolissima; ora, non sentii più il battito del suo cuore.
Mi allontanai con un
grido e un attimo dopo sentii il rumore di un vetro in frantumi. Non capivo se
fosse stato qualcosa dentro di me a spezzarsi, ma quando sentii l’imprecazione
di Chris dall’altra stanza, collegai il fatto che il bicchiere da cui stava
bevendo, doveva essergli caduto dalle mani non appena aveva sentito il mio
grido.
Mi avvicinai
nuovamente al nonno e cominciai a scuoterlo, chiamandolo disperatamente, ma era
tutto inutile.
Qualcosa mi bagnava
la faccia e mi accorsi di stare piangendo solo dopo che cercai di asciugarmi le
lacrime per capire che cosa fosse.
Poi, Chris entrò correndo nella stanza, preoccupato da
quelle mie urla.
Per un momento,
rimase immobile, come se neanche lui si capacitasse di ciò che stava
succedendo, poi, muovendosi con un’innaturale lentezza, si avvicinò a me,
circondandomi i fianchi con le braccia muscolose e sollevandomi di peso per
allontanarmi da quello che, ormai, era solo ciò che era stato mio nonno.
«No! Lasciami!
LASCIAMI!», gridai continuando a prenderlo a pugni, graffiarlo e scalciare.
Mai, nella mia vita,
ero stata tanto fuori di me.
Durante l’incidente
avevo conservato un barlume di lucidità che mi aveva permesso di spiegare a Chris
cosa fosse successo e anche la sera prima, durante la sparatoria, ero rimasta
fredda e distaccata in modo da mettere in pratica gli insegnamenti di Ryan.
Ma ora… adesso era
come se qualcosa di più grande e impensabile di tutto ciò che era accaduto fino
a quel momento, mi travolgesse con la stessa potenza di una valanga. Ghiaccio
puro. Ed io stavo morendo, ne ero certa.
I polmoni mi scoppiavano
ed io non riuscivo a respirare, né a smettere di gridare e a nulla servivano le
parole di Chris.
Francamente, non lo
stavo nemmeno ascoltando. Avrei soltanto voluto sprofondare e non svegliarmi
più, raggiungere il nonno, perché era sempre stato il mio unico porto sicuro.
Un faro nella mia vita.
“Quando si è giovani,
amore mio, si crede di essere padroni del tempo, ma un vecchio come me, ne è
solo lo schiavo”, mi aveva detto il nonno qualche anno prima. Solo ora riuscivo
a capire davvero il significato di quelle parole.
Qualche istante dopo,
i miei genitori entrarono di corsa nella stanza, allarmati da tutto il
trambusto che stavo creando e, quando si resero conto della situazione, per un
momento, mamma si aggrappò al braccio di papà e lui la sostenne, con sguardo
addolorato.
E mentre nel cielo,
infinito e infuocato, il Sole, lasciava la Terra per un altro giorno; un sole
più grande, lasciava il mio cuore per sempre.
Quando realizzai quel
pensiero, mi abbandonai, smettendo di lottare contro Chris e accasciandomi sul
suo corpo. Mi sentivo completamente svuotata.
Il nonno non c’era
più. Com’era possibile una cosa del genere?
Non riuscivo a
respirare e cominciai ad emettere dei suoni strozzati dal fondo della gola.
Percepii le braccia di Chris stringermi più forte e poi lui che sussurrava:
«Chelsea, ti prego calmati. Respira. Respira».
Mio padre si voltò
verso di noi, stringendo ancora mamma tra le braccia, e disse: «Christian, per
favore, portala di sopra».
Per un momento ebbi
ancora l’impulso di ribellarmi, ma a questo punto non ne vedevo il senso.
Lasciai che Chris mi
sollevasse da terra e, con passo lento, si riavviò lungo le scale, con me che
tremavo contro il suo corpo.
Dal bagno proveniva
il rumore del phon, probabilmente Shereen non aveva sentito nulla di ciò che
era appena successo.
Quando Chris mi
depose sul letto, mi rannicchiai su me stessa e chiusi gli occhi. Come se così
potessi lasciare fuori il mondo intero, ma dopo un momento, sentii una delle
mani del ragazzo posarsi sul mio braccio e la sua voce chiamarmi.
«Chelsea… ?».
Non risposi e mi
voltai dall’altra parte.
Lui sospirò
pesantemente e cominciò ad accarezzarmi i capelli.
«Chelsea, mi dispiace
davvero tanto».
A quelle parole mi
rigirai verso di lui e notai che aveva gli occhi lucidi. Per me fu uno shock
vederlo così. Lui che aveva sempre il sorriso sulle labbra.
Lentamente, allungai
un braccio sul letto fino a prendere la sua mano, che strinse subito.
Restammo così, senza
parlare, semplicemente guardandoci e accarezzano l’uno la mano dell’altra.
Sentii la porta del
bagno aprirsi in corridoio, collegando il fatto che Shereen doveva essere
pronta. E che ancora non sapeva nulla.
Guardai Chris.
«Dovresti andare».
Lui indugiò ancora un
momento con lo sguardo su di me, poi, con calma, si alzò dal letto, lasciandomi
l’ultima carezza sulla guancia, e infine uscì dalla stanza.
Quando si fu richiuso
la porta alle spalle, mi infilai sotto le coperte coprendomi completamente e
scoppiando nuovamente in lacrime. Non capii quanto tempo ci volle, ma riuscii a
calmarmi e quando smisi di piangere, avevo un mal di testa che avrebbe potuto
spaccarmi in due il cranio. Il minimo movimento del capo mi provocava un dolore
lancinante.
Infine, riuscii ad
addormentarmi.
Quando mi svegliai,
Chris era sdraiato sotto le coperte vicino a me e mi osservava.
Fuori era buio, ormai
e sperai che la penombra potesse nascondere il mio aspetto terribile.
Lui, con delicatezza,
spostò una ciocca di capelli dai miei occhi, scendendo poi ad accarezzarmi la
guancia e il collo.
«Cosa ci fai qui?»,
chiesi con tono incerto.
«I tuoi genitori non
ci sono e Shereen… mi ha detto che tu avresti avuto molto più bisogno di
qualcuno di cui ti fidi».
Rimasi sorpresa da
quelle parole, ma mi limitai ad annuire.
Mi portai le ginocchia
al petto e le circondai con le braccia, sentendo nuovamente le lacrime premere
contro le palpebre, che serrai per cercare di trattenermi dal piangere di
nuovo.
«Chelsea, no… », il
suo tono era così pieno di preoccupazione, che anche senza vederlo in faccia
avrei potuto immaginare quale fosse la sua espressione.
Sentii le sue braccia
avvolgermi e attrarmi a sé ed io vi sprofondai, senza più pensare a nulla.
Fu la vibrazione
insistente del mio telefono a ridestarmi da quello stato di torpore misto a
disperazione.
Allungai una mano
verso il comodino e afferrai l’apparecchio.
Sul display, mi
apparve il nome di Ryan.
Schiacciai il
pulsante verde e risposi.
«Pronto?».
«Chelsea! Finalmente,
è tutta la sera che ti chiamo… ma cosa succede? Hai una voce… ».
Non potevo dirgli che
il nonno… che lui non c’era più; conoscendo Ryan, sarebbe anche stato capace di
riprendere la macchina e tornare qui.
Presi un respiro
profondo e risposi: «Niente, Ryan, tranquillo. Io… ho un gran mal di testa. Tu
sei arrivato? Come sta tuo fratello?», cercai subito di sviare l’argomento e
notai lo sguardo carico di apprensione di Chris.
«In questo centro è
molto seguito, sono tutti ottimisti, ma ci vorrà un po’ di tempo prima che
possa riprendersi completamente. Probabilmente gli resteranno delle cicatrici».
«Beh, ma in futuro
gli torneranno utili; le ragazze sono affascinate dai ragazzi misteriosi con
delle cicatrici», mi sforzai di suonare allegra, ma percepii io stessa la
falsità di quel mio tono.
Per fortuna, Ryan
ebbe abbastanza tatto da ignorare la cosa ed emise una risata.
«E lì che si dice?
Tutto bene?».
Come potevo avere la
forza di mentirgli spudoratamente in quel modo?
Anche Chris parve
piuttosto allarmato dalla domanda. Eravamo così vicini che di sicuro stava
sentendo tutta la conversazione.
«Qui va».
«Sei alquanto
monosillabica, stasera. Chelsea, sicura che vada tutto bene?».
Volevo solo mettermi
ad urlare e Chris parve capirlo dalla mia espressione, perché mi strinse più
forte.
«Non ti preoccupare,
Ryan, te l’ho detto; è solo questo dannato mal di testa».
«Va bene, allora ti
lascio andare, sennò ti farà ancora peggio stare al telefono. Ti chiamo domani,
Chelsea».
«Certo. Buonanotte,
Ryan».
«Notte, Chel… ».
E riagganciai.
Per qualche minuto,
la stanza rimase immersa nel silenzio, solo i battiti dei nostri cuori
sembravano rompere quella calma inquietante, poi, Chris chiese: «Perché non gli
hai detto niente?».
Sospirai.
«Ryan è appena
arrivato. Suo padre e suo fratello hanno bisogno di lui e… non è il caso che
venga turbato da altri pensieri».
«E poi dici a me che
dovrei smettere di preoccuparmi per gli altri? Chelsea, tu… ».
«Sssh… », lo
interruppi. «… resta solo con me».
E lui lo fece.
Mi strinse a sé e
continuò ad accarezzarmi i capelli e la schiena fino a che non fui di nuovo
preda del sonno.
Erano le tre di
mattina quando mi svegliai nuovamente. Chris era addormentato al mio fianco,
con un braccio ad avvolgermi la vita; il petto che si alzava e si abbassava
regolarmente al ritmo del suo respiro.
Era così bello
vederlo in quel modo. Sereno, rilassato; come se le ultime settimane fossero
state soltanto un brutto sogno.
Gli accarezzai piano
il volto, senza svegliarlo, ma il pensiero del nonno tornò a farsi opprimente
ed io rimasi agghiacciata da quella nuova realtà in cui non avrei più potuto rivolgergli
la parola.
Mi coprii il volto
con le mani, sentendo già i palmi bagnati dalle lacrime e, senza rifletterci,
mi alzai dal letto, mi vestii velocemente con le prime cose che trovai e corsi
fuori.
Fuori dalla mia
stanza, lungo il corridoio, giù per le scale, in giardino e infine in strada.
In quel momento, l’unica cosa di cui avevo bisogno, era correre.
La strada era deserta
fino al punto da apparire inquietante, ed il silenzio totale.
Corsi fino a non
avere più fiato; accanto a me sfrecciavano case, auto parcheggiate
ordinatamente nei vialetti, bar, chioschi e gelaterie chiusi. E alla mia
sinistra, costante, che si stendeva a perdita d’occhio… l’oceano.
Così deviai, andando
in quella direzione. Corsi sulla spiaggia, fino ad arrivare nel punto in cui la
sabbia veniva bagnata dall’acqua, che formava piccole increspature sulla riva,
si infrangeva sulla battigia e poi tornava indietro, infinita.
Caddi lì, in
ginocchio, stremata. I muscoli indolenziti, il respiro irregolare e il cuore
che batteva all’impazzata, dovendo anche lavorare di più, ora che un pezzo di
esso se n’era andato per sempre.
Affondai le mani
nella sabbia bagnata quasi con rabbia e poi strinsi forte, respirando a fondo e
cercai di calmarmi. In qualche modo mi aiutò, ma questo non impedì ai miei
pensieri di vagare, tornando a quel fatidico giorno in cui il nonno mi aveva
presa in braccio, da piccola, mettendomi poi seduta sopra lo sgabello del
pianoforte. In quel momento, tutto era cominciato.
Mi sdraiai sulla
sabbia scura e umida, con l’acqua che mi lambiva il corpo, facendomi
rabbrividire. Era estate, è vero, ma erano comunque le quattro di mattina.
Restai lì, senza
preoccuparmi minimamente del mio aspetto orribile. Dovevo avere due occhi
spaventosamente gonfi, ero inzuppata d’acqua salmastra e i miei capelli erano
diventati una specie di pasta tra sabbia e mare.
Non riuscii ad
addormentarmi, ma caddi in una specie di trance in cui i miei pensieri vagavano
scollegati tra di loro come una matassa disordinata.
Poi, poco a poco,
all’orizzonte in lontananza, si stagliò la figura del sole. Stava albeggiando.
Il cielo assunse
delle tinte rosa ed i riflessi del sole e del cielo s’infransero sull’oceano,
ora calmo e liscio come una tavola.
Chiusi gli occhi e mi
lasciai cullare dal suono delle onde calme e dal dolce tepore che quel panorama
mozzafiato mi stava regalando.
Questo, finché
qualcuno non mi afferrò bruscamente per le spalle, tirandomi a sedere. E, per
l’ennesima volta, mi ritrovai faccia a faccia con Chris.
«Chelsea! Ma cosa
diavolo fai?».
Lo guardai senza
capire.
«Io… io mi ero
svegliato una volta verso le tre e mezza e, non vedendoti, ho creduto che fossi
in bagno e mi sono riaddormentato, ma alle sei mi sono svegliato di nuovo e tu
ancora non eri tornata e… ero preoccupato! Sono le sei e mezza del mattino,
Chelsea!».
«Ho sentito solo il
bisogno di uscire… », mi giustificai, atona.
«Il bisogno di
uscire? Alle tre di notte? E non ti è passato neanche per l’anticamera del
cervello di avvertirmi? Tra l’altro, avevi intenzione di uscire per prenderti
una bronco polmonite? Perché succederà, se continui a stare qui».
Ridacchiai, ma senza
allegria.
«Io non prendo mai un
raffreddore».
Chris mi osservò con
sguardo piuttosto stralunato, poi disse: «Beh, hai bisogno di una doccia e di
riposo. Ora andiamo, prima che i tuoi genitori si accorgano della tua
improvvisa sparizione».
Mi aiutò a rimettermi
in piedi, con sguardo torvo.
«Sei tutta bagnata e
hai la pelle gelida. Sbrighiamoci a tornare».
Ebbe il buon senso di
non accennare ai miei capelli stravolti perché, anche se non potevo vederli,
sapevo perfettamente in che stato dovessero essere.
In meno di dieci
minuti fummo a casa e Chris mi disse di andare a prendere qualche vestito
pulito mentre lui mi preparava la vasca da bagno. Così, io obbedii e quando
tornai in bagno, disse: «Ora infilati immediatamente nella doccia e restaci
dentro finché non ti sarai ripulita per bene dalla sabbia, poi entra nella
vasca e riscaldati».
«Ok, papà», lo presi
in giro.
Lui mi lanciò una
delle sue occhiate assassine ed uscì dalla stanza.
Ero davvero stanca,
la testa pulsava fastidiosamente, ma feci ciò che Chris aveva detto; entrai
nella doccia e, quando ebbi eliminato ogni granello di sabbia dal mio corpo e
dai miei capelli, passai nella vasca da bagno. L’acqua era piacevolmente tiepida
ed io mi rilassai, coccolandomi con il bagnoschiuma.
Quando la temperatura
si raffreddò; uscii e mi avvolsi in un accappatoio leggero. Non potevo
asciugarmi i capelli con il phon a quell’ora di mattina, così li tamponai per
qualche minuto con un asciugamano ed uscii dal bagno.
Ero quasi arrivata
alla porta della mia camera, quando fui presa dall’impulso più grande di
dirigermi verso una delle ultime stanze del corridoio.
Sulla soglia, esitai
un momento prima di spingere la porta e ritrovarmi in quella che era stata la
camera da letto dei miei nonni materni. Mi si formò un groppo in gola, ma mi
decisi ad entrare, muovendomi a piccoli passi.
Quella stanza era
intrisa dell’odore che avevo sempre associato al nonno: sapeva di acqua di
colonia, di mare e di casa. Sapeva di morbido e di ricordi e quei pensieri
dolorosi spinsero di nuovo le lacrime in superficie. Mi buttai sul letto,
respirando a pieni polmoni l’odore del nonno e abbracciando il suo cuscino,
disperata. Disperata perché non avrei mai più potuto sentire quell’odore su di
lui, non l’avrei abbracciato mai più, non gli avrei parlato mai più.
Quando sentii la
porta aprirsi, non mi preoccupai nemmeno di guardare chi fosse.
Una mano leggera si
posò sulla mia spalla, ma io continuai a piangere senza voltarmi.
«Chelsea, basta. Fare
così è inutile, lo so che fa male; fa male anche a me».
Mi girai.
Mia sorella se ne
stava lì, seduta su quel letto con occhi incredibilmente tristi.
«Lo so che gli volevi
bene, ma lui ora non c’è più».
Mi tirai a sedere e
abbracciai di slancio Shereen, senza rifletterci. Per un momento, lei rimase
rigida, poi si sciolse e rispose al mio abbraccio. Penso che quella fosse la
prima volta in cui ci abbracciavamo in quel modo.
«Non so come fare
senza di lui… ».
Mia sorella sospirò.
«Se io fossi stata
più presente nella tua vita, forse le cose non sarebbero andate così, forse
avresti avuto più bisogno di me che di lui. Il nonno ti voleva un gran bene ed
io invece non gli ho mai dimostrato abbastanza affetto, per questo lui
preferiva passare giornate intere con te invece che stare con tutti noi. E io
ti ho odiata anche per questo, perché sono egocentrica ed egoista e ho sempre
voluto ogni attenzione su di me. Da quando però, la mia sorellina ha cominciato
ad essere il centro del mondo per il nonno, non so come né perché, ma qualcosa
dentro di me è scattato. Chelsea, c’è una cosa che ti devo dire… ».
La osservai stupita.
Quella era di certo una delle conversazioni più lunghe che affrontavo con mia
sorella da anni. E lei sembrava davvero triste e dispiaciuta.
«Ero così arrabbiata
e insicura che… sono stata io a fare in modo che tu e Christian vi allontanaste
e… mi sono messa con lui solo per tenerlo lontano da te, perché ero gelosa».
A quel punto la
fissai, sgranando gli occhi.
«Che cosa…? Shereen…
».
«Fammi finire»,
m’interruppe. «Ho detto che è iniziata così, io… riesco ad essere davvero
crudele, alle volte. Gioco con i sentimenti delle persone, me ne rendo conto e
so di ferirle, ma tuttavia non chiedo scusa e non me ne pento. E poi è arrivato
Christian e lui… è bello, è dolce, è simpatico. Ma mi sono messa con lui per
tenerlo lontano da mia sorella, perché io dovevo avere tutto e lei, tu, niente.
All’inizio era così. Ma poi mi sono innamorata di lui», e qui fece una pausa,
in cui un silenzio teso aleggiò tra di noi.
«Poi è arrivata la
sera della cena, a casa, e lui ti ha vista e… insomma, è cambiato. E non ho
fatto altro che notarlo, sempre di più, ogni giorno che passa, di quanto lui
tenga a te, di come ti guarda, di come ti tratta, da come si comporta quando tu
sei nella stessa stanza. Lui è te che vuole e l’unica cosa corretta che io
abbia mai fatto in questi anni nei tuoi confronti, è stata mandarlo da te stanotte».
Non sapevo cosa dire;
quella versione di mia sorella era così nuova, che mi lasciò senza parole.
«Shereen, io non… tu
non devi… ».
«Io invece devo,
perché continuare questa messa in scena, non è giusto nei confronti di nessuno
di noi».
La stanza restò muta
per altri trenta secondi, poi mia sorella riprese parola: «Adesso torno a letto
e tu… pensa solo a ciò che ho detto».
Quando mia sorella fu
uscita dalla stanza, affondai nuovamente la testa nel cuscino, abbracciandolo di
nuovo.
Lì, mi riaddormentai,
con mille pensieri che mi frullavano in testa.
Riaprii gli occhi
sentendo qualcosa accarezzarmi una mano.
«Chris… ».
«Pensavo che ti fossi
annegata nella vasca da bagno, quando non sei più tornata in camera e, non
trovandoti nemmeno lì, ho creduto che fossi scappata di nuovo. Poi ho
incontrato Shereen e mi ha detto che eri qui. Vi siete parlate?».
Non potevo certo
raccontargli di tutte le cose che mi aveva detto mia sorella, così cercai di
sviare il discorso.
«Sì, abbiamo parlato
del nonno… », in effetti, non era una bugia.
«E ti va di parlarne
anche con me?».
Scrollai leggermente
le spalle.
«Che senso ha? Ti ho
parlato di lui così tanto negli ultimi due anni, che non saprei cos’altro dire…
mi manca già ora e mi mancherà sempre. Da quando ero piccola, lui è stato
l’unica figura costante per me, il porto sicuro, ma questo già lo sai. Però
adesso non c’è più ed io non saprei
cos’altro dire. Posso parlare attraverso la musica, è la sola cosa che mi
permetterebbe di esprimere un sentimento schiacciante come quello che provo
adesso».
«Allora suona. Ti va
di suonare per me? Per lui… ».
Sorrisi. «Certo».
Ormai erano quasi le
nove di mattina e mamma e papà erano già in piedi, quindi non dovetti
preoccuparmi del fatto che avrei potuto svegliarli.
Suonai a lungo, senza
pensare, passando da Beethoven a Mozart, da Debussy a Chopin e l’unica cosa di
cui mi rendevo conto, erano i tasti sotto le mie dita e il suono che producevo.
Mi fermai
all’improvviso, come se avessi finito l’energia e le idee. Il mio “flusso di
coscienza musicale”, era stato interrotto.
Ero solo stanca e mi
accasciai sullo strumento.
«Va bene così,
Chelsea. Ora devi mangiare qualcosa, e poi magari ti rimetti a letto ancora un
po’».
«Non sono malata e
non ho fame», il mio tono era amaro.
Chris mi accarezzò la
schiena.
«Comunque, sia il tuo
corpo che la tua mente, nelle ultime settimane sono stati sottoposti a diversi
traumi, quindi dovresti riposare. In quanto al cibo non si può trattare: devi
mangiare».
Il suo tono era
irremovibile.
«Gesù, sembri davvero
mio padre».
«Niente storie, su,
andiamo».
Chris era deciso, ma
sempre gentile.
Obbedii, anche perché
sospettavo che se mi fossi rifiutata; il ragazzo mi avrebbe portata di peso in
cucina costringendomi a mangiare.
Mamma stava
armeggiando tra i fornelli, mentre papà leggeva il giornale seduto al tavolo.
Quando entrai nella
stanza, entrambi mi osservarono con sguardo preoccupato.
«Sto bene,
tranquilli».
Mia madre lasciò lì
tutto quanto e venne ad abbracciarmi.
«Ti voglio bene,
tesoro».
«Ti voglio bene anche
io, mamma».
Papà sorrise.
«Ciao, coniglietto».
Gli feci una
linguaccia, ma poi andai a dargli un bacio sulla guancia.
Parlammo poco del più
e del meno, non accennando a ciò che era successo la sera prima. Mamma aveva
gli occhi cerchiati ed io avrei voluto consolarla in qualche modo, ma sapevo
che probabilmente avrei finito col piangere, quindi lasciai perdere.
Mangiai poco, giusto
qualche pezzo staccato da una brioche e un sorso di succo all’arancia, poi
tornai in camera con Chris, che non fece commenti sulla scarsità del mio pasto.
«Vuoi che resti ancora
un po’ con te?», mi chiese lui.
Annuii, infilandomi
sotto le lenzuola e il ragazzo mi imitò, stendendosi al mio fianco.
Per qualche minuto
restammo semplicemente a fissarci, respirando piano, poi Chris allungò le
braccia e mi avvolse la vita per attrarmi a sé.
«Riposa, Chelsea… io
sarò qui quando ti sveglierai. Non vado da nessuna parte».
Ed io mi abbandonai.
Le braccia di Chris erano calde e solide, la sua mano mi accarezzava
delicatamente i capelli ed il profumo di lui riempiva i miei polmoni.
Incastrai la testa
nell’incavo del suo collo e lo sentii respirare a fondo.
Quando mi risvegliai,
lui era ancora lì, con un braccio a cingere la mia schiena e con la mano libera
ad accarezzarmi il collo.
«Ciao», mi salutò
piano.
«Ciao… quanto ho
dormito?».
«Tre ore. L’ora di
pranzo è passata. Dobbiamo andare al piano di sotto; prima è venuta tua madre,
mi ha detto di scendere quando ti svegliavi. Pare ci sia qualcosa che deve dire
a tutti… ».
Lo guardai
interrogativa.
«Non fare quella
faccia, Chelsea, io ne so quanto te… ».
«Ok, allora andiamo».
Quando io e Chris
arrivammo in cucina; mamma papà e Shereen erano già lì.
«Che succede?»,
chiesi.
«Ha telefonato il
notaio, tesoro; a quanto pare, il nonno ha lasciato un testamento, che però
verrà letto tra una settimana, perciò dovremmo fermarci qualche giorno in più
del previsto. Inoltre… », e qui fece una pausa, «… io e papà avevamo pensato di
andare in montagna per qualche giorno. Staccare un po’ farà bene a tutti noi,
soprattutto a te. Il nonno non ha mai voluto un gran funerale; lui voleva semplicemente…
essere sepolto vicino a nonna Allie, faremo una cosa intima, tra di noi. E poi
partiremo per la montagna. Staremo via fino a domenica e lunedì verrà letto il
testamento, dopodiché torneremo a casa. Per il vostro lavoro è un problema?
Chris?».
Il ragazzo scosse la
testa.
«No, ehm… io e
Chelsea potremo prendere qualche giorno in più; in clinica non saranno così
intransigenti se spiegheremo loro le ragioni. Chelsea, vuoi che ci parli io con
Jefferson? Hai qualcuno che può sostituirti?».
Lo guardai ed annuii.
«Sì, io… posso
chiedere a Justin; lui mi sostituirà».
«Perfetto, allora…
posso anche sbrigarmela io, se vuoi».
Gli sorrisi.
«Mi faresti un
favore».
«Non ti preoccupare,
ci penso io».
Detto questo, mia
madre riprese parola.
«Molto bene, allora è
meglio che cominciate a prepararvi le borse da portare in montagna; partiamo
domani pomeriggio, seppelliremo il nonno la mattina».
Note dell’Autrice:
Ed
ecco qui l’undicesimo capitolo! Che cosa ve ne pare? Scriverlo è stato un
parto, diciamo che… è molto intenso, carico di emozioni, il lato Chrelsea qui
spicca molto.
A
voi cosa ne è parso? Spero di ricevere qualche recensione perché per me sono
IMPORTANTISSIME.
Detto
questo, vi lascio con il solito estratto dal prossimo capitolo e il mio profilo
FB.
Alla
prossima!
DAL
CAPITOLO 12:
“Lui
mi prese il volto tra le mani e posò la fronte contro la mia, stava tremando.
«Chris,
cos’hai? Hai freddo? Aspetta, ti restituisco la giaccia».
Cercai
di toglierla, ma lui mi bloccò.
«Non
ho freddo, Chelsea. Sto tremando per lo sforzo di non baciarti e Dio solo sa
quanto vorrei farlo. Non hai idea di quanto sia difficile per me trattenermi
dal farlo».
Ebbi
un fremito ed il mio respiro si fece corto. Posai a mia volta le mani sul collo
di Chris, ma un singhiozzo mi spaccò il petto a metà”.