Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Tomi Dark angel    01/04/2014    9 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
È un unico grido che si sospende in aria, un unico urlo di donna che preannuncia la catastrofe: -Draghi!-
Una parola, un significato in grado di scuotere gli animi e impennare l’ansia verso picchi mai ragionati. L’effetto è devastante, si riscuote per le strade e a macchia d’olio si allarga mentre le persone lentamente realizzano, cominciano a gridare e a spintonarsi. C’è chi cade, chi si abbandona cadavere al calpestio impietoso della folla impazzita. Alcuni gridano, un uomo piange isterico in un angolo.
Dal nulla, compaiono i militari: armati, rumorosi, urlanti. Alcuni guidano, altri seguono obbedienti come segugi addestrati. E insieme, corrono incontro alla morte, armati della vana  convinzione di poterla respingere. Sono umani, sono deboli e spaventati. Moriranno tutti.
-Mrs Hudson, esca di qui.- ordina John senza perdere la calma. La afferra per un braccio, la spinge verso la porta.
-Ma… il piano d’emergenza ordina di restare in casa, e…-
-E io dico che deve uscire. Subito!-
John la spinge ancora, stavolta verso le scale. Mrs Hudson incespica mentre un boato fa tremare le pareti, il soffitto, il pavimento. Alcuni quadri cadono di schianto, una cornice si rompe, un tavolo vibra pericolosamente. E poco a poco, i muri si coprono di crepe profonde come ferite, minacciose come sinistri avvertimenti.
Dall’alto, un’ombra nera scende sulla città. Una muraglia di ali oscurate, gigantesche, ferine, piove sugli uomini, sulle loro effimere esistenze. Sono membrane poderose collegate a corpi possenti, massicci, micidiali. Corna e artigli, squame e punte acuminate. Bastano soltanto i ruggiti a scuotere la terra dalle fondamenta, a rompere i vetri e le ceramiche, a trapassare i timpani della gente che cade in ginocchio e si copre le orecchie.
Draghi.
Adesso John li guarda intimorito, ma non spaventato. Li conosce, li ha toccati con mano, ci ha parlato. Ma in quella forma di rettili primitivi, di magnifiche bestie senz’anima… sono diversi. John avverte la loro furia omicida, la loro rabbia, la frustrazione emanata dalle code scudiscianti.
Uno di loro scende dall’alto, urta con l’ala un palazzo vicino. E quel semplice tocco, quello sfiorare d’ossa massicce e membrane alari, basta a schiantare l’abitazione. Le mura esplodono, lasciano passare l’ala come coltello che taglia il burro. E dall’alto, piovono detriti, macerie che rotolano sulle strade, schiacciano persone, le feriscono a morte.
-Fuori, esca di qui!-
John spinge ancora Mrs Hudson, cerca di seguirla per le scale mentre un’ombra oscura piove dall’alto, s’aggrappa di artigli d’incubo alla fiancata della casa.
John sente i muri tremare, alcuni detriti si staccano dal soffitto, le poche finestre rimaste intatte esplodono, sparpagliando in aria un mare di schegge che gli feriscono il viso e quasi lo accecano a un occhio. Barcolla, cade in ginocchio. Si abbandona per qualche istante ai rumori tutti intorno, al frastuono di grida, di folla in fuga come formiche impazzite.
È l’inferno così come l’uomo dovrebbe immaginarlo. Qualcosa di più grande, di immensamente terribile e implacabile giunge dall’alto di entità superiori per stendere mano sui peccati di chi irragionevolmente ha voluto plagiare il pianeta, soffocarlo, denudarlo di ogni sua nobile spoglia. John li sente gridare, vittime colpevoli e innocenti. Non vi è distinzione, non vi è pietà, poiché nessun dio vendicatore risparmierebbe pochi illibati certamente prossimi a sporcarsi.
E John le ascolta, quelle preghiere. Sente la gente morire, la vede attraverso i suoi ricordi di soldato. Lui prima le proteggeva, quelle persone. Ma adesso?
Riapre gli occhi, si aggrappa al suo stoico coraggio di soldato. Deve prendere tempo, deve concedere a Mrs Hudson di lasciare l’edificio. Ma ogni proposito sparisce quando i suoi occhi si posano sulla creatura aggrappata come una splendida statua all’intero edificio.
Il drago è così grande da poter toccare terra con le zampe posteriori, mentre quelle anteriori affondano artigli di bronzo spaccato in mura morbide come carne. John è grande poco più del muso stretto e affusolato, così piccolo, così fragile e indifeso al cospetto di quella creatura, figlia del cielo e del fuoco.
Scaglie di un vermiglio brillante la ricoprono totalmente, risplendono come magnifica corazza lungo il muso, intorno agli occhi di un azzurro chiarissimo, privo di sfumature, come vetro mai toccato da brandelli di luce. Le corna sono nero carbone, da stambecco, che agganciano imponenti sulla sommità del capo per sfogare una fila di punte acuminate che seguono la nuca, scivolano lungo il collo stretto e affusolato, giù per la spina dorsale e lungo la coda chilometrica che attraverso il varco apertosi nella parete sfondata, si intravede scudisciare sinuosa. Le ali sono chiuse, il corpo più affusolato, più longilineo… una femmina?
 John indietreggia contro la parete, fissa ad occhi sbarrati il muso della bestia spalancarsi, mostrare le zanne poderose, micidiali, che risplendono di riflessi argentini. John non osa muoversi, sa che al primo accenno di movimento, incentiverà una reazione. Questo lo blocca, lo rende vulnerabile, ma non ha altre opzioni a disposizione, se non quella di prendere tempo e pregare.
Mantieni la calma.
Respira.
Impasse. Situazione senza via d’uscita, pericolosa immobilità laddove il gatto punta il topo impaurito, fermo.
Gli artigli affondano ancora di più, scuotono il palazzo come madre infuriata che sbatacchia il figlio disobbediente qua e là. John sa che a breve potrebbe cadergli il tetto sulla testa, ma questa opzione è sicuramente migliore rispetto alla vampata d’inferno che scatenerebbe scappando. È un soldato, lui i draghi li combatte da sempre… quasi.
Non tutti. Non sono tutti così.
E mentre la bestia incunea il muso nella frattura aperta nel muro, John si costringe a non chiudere gli occhi. Vuole guardare la morte in faccia, non si piegherà per così poco. Se deve morire, lo farà proteggendo le persone.
Estrae la pistola dalla fondina appesa al fianco, spara contro l’ugola vibrante della bestia, che grugnisce infastidita e dimena la coda, abbattendo una strada. La bocca si copre di fumo, fa emergere un vibrare di fiamme rosse e oro pronte a eruttare, a scatenare un reale inferno così come l’uomo lo ha sempre immaginato. Grida, dolore, fuoco.
Ma proprio quando John si convince di essere prossimo alla dipartita, qualcosa muta, una mano cala pietosa sul destino e lo plasma, rimuove i suoi eccessi e i suoi difetti.
Il drago serra la bocca, sbarra gli occhi per fissare qualcosa al fianco di John.
Uno due, uno due. Tic tac, tic tac.
Qualcosa oscilla lentamente, in maniera monotona e costante, riflettendo a intermittenza vaghi bagliori di luce. E gli occhi inespressivi del drago seguono quei movimenti con attenzione quasi passionale, interessata, curiosa.
-Movimenti oscillatori.-
Quella voce. John la conosce, l’ha sognata, l’ha inseguita attraverso sogni e incubi. È come una guida, un manto di seta che lo abbraccia e avvolge di sicurezza l’ex soldato, sciogliendo l’impasse e reimpostando lo scorrere del tempo.
Sulla soglia della porta, sotto lo stipite cadente di polvere e piccoli detriti d’avvertimento, c’è Sherlock.
Immobile, con indosso il lungo cappotto nero che John gli aveva regalato all’inizio di tutto. Completamente tagliato in due sulla schiena per lasciar passare ali, coda e scaglie, esso è tenuto insieme da due identiche cinghie all’altezza della nuca e della base della spina dorsale. Sul davanti, giace aperto e mostra il petto nudo e pantaloni classici neri, dal taglio perfetto e allungato sulle estremità più basse per adattarsi ai piedi da rettile. La coda li lacera posteriormente, sbuca da sotto il cappotto sventolante, classico.
John lo fissa, si riempie gli occhi di quella pelle pallida, del viso fiero, della lucentezza arcobaleno delle scaglie che esplodono nel loro oceano di colori. Le ali ripiegate coprono interamente la parete, la tingono come di lucente carta da parati. È lui. Sherlock.
John respira di nuovo, il dolore alla gamba sparisce del tutto. E d’improvviso, la frustrazione, la rabbia e la tristezza di tutta una vita spariscono, vengono assorbite dal luminoso arcobaleno che sprigiona dita d’incanto dagli occhi vitrei del drago.
Sherlock fa oscillare monotonamente il pendolo che stringe tra l’indice e il pollice, muove con calma il polso, indifferente al caos di grida ed esplosioni che provengono dall’esterno. John lo guarda spostarsi lentamente, affiancarlo fino a poterlo avvolgere in un’ala possente, calda, accogliente. Quella è casa sua… finalmente, ha ritrovato il suo posto. E d’un tratto, con Sherlock al suo fianco, John può guardare la dragonessa minacciosa, lucente di scaglie sanguigne, e pensare che dopotutto, non fa poi così paura.
-Stai pronto.- dice Sherlock, e automaticamente, John gli stringe una mano, la incastra perfettamente, palmo contro palmo, come se non avesse mai fatto altro nella vita se non abbracciare quelle scaglie miste a morbida pelle.
È pronto a seguirlo, adesso lo sa. Qualunque sia il piano, qualunque sia la scelta di Sherlock, John si fida.
-Andiamo.- sorride l’ex soldato, e in quel momento avverte la stretta di Sherlock farsi più accentuata, marcarsi dolcemente, senza far male. Non è molto, ma John sa che nella sua lingua, quello è il gesto più bello che possa concedergli.
Un’esplosione di vampe infuocate colpisce la dragonessa alla schiena, abbraccia le sue scaglie di possenti riflessi dorati. Lo schianto riverbera nell’aria in un vibrare cristallino che John non si sarebbe mai aspettato, sostituito un istante dopo dal ruggito di dolore, talmente forte da assordare l’intero quartiere e da costringere John in ginocchio, tremante, con le mani premute sulle orecchie pulsanti.
Una mano cala tiepida su di lui, gli copre gli occhi con gentilezza.
John avverte un istante dopo l’esplosione di calore, subito seguita da uno schianto più forte, assordante quanto il ruggito della dragonessa ma talmente potente da scuotere il  palazzo con semplicità disarmante.
Ogni cosa è caos, confusione, grida e rumore. Fa caldo, troppo caldo. E la pelle di John si accappona sinistra, reagisce alla vicinanza del pericolo come bestia selvaggia e impaurita.
Poi, d’improvviso, il cambiamento. Qualcosa risveglia i suoi sensi annebbiati dalla confusione, le mani stringono forte i detriti sottostanti. John assapora il calore di quella mano ancora premuta dolcemente sui suoi occhi, ne inala il profumo pungente di aghi di pino, si accorge della liscia membrana alare poggiata su di lui come uno scudo invalicabile.
Adesso.
John si raddrizza, afferra forte la mano di Sherlock e ancora barcollante, fa ciò che ha scelto di fare dall’inizio: lo segue.
Entrambi scattano verso lo squarcio che ha sfondato la parete. John si accorge che è stato allargato da un’esplosione e che… semplicemente, la dragonessa non c’è più.
John capisce, ma non si ferma. Corre, vola lungo la sua strada con invisibili ali d’albatro, sicuro ad ogni passo vacillante, sicuro di non poter mai cadere. Si aggrappa a quella mano tanto calda, tanto forte da avergli restituito la vita poco a poco, imboccandolo, riplasmandolo a nuova nascita.
Si fida di Sherlock.
-John!-
E a quel richiamo, John risponde automaticamente, senza pensarci. Lascia andare la mano di Sherlock, lascia che lui lo superi un istante prima di saltare nel vuoto, entrambi liberi, entrambi angeli nell’oceano d’inferno che scuote la città dalle fondamenta.
Le braccia di John scivolano intorno al collo di Sherlock, vi si aggrappano con naturale agilità mentre le ali si spalancano schioccando e catturano la luce delle vampe di fuoco, delle pallottole esplose dalle armi circostanti, del mondo intero. Sbattono una volta, possenti muscoli e membrana sottile, fragile, ma allo stesso tempo micidiale come lama di spada.
I corpi sono sbalzati verso l’alto, il vento li trascina su, nel cielo, incontro alle nuvole plumbee, pesanti di pioggia e fumo che dal basso sale e sporca la volta un tempo celeste.
Il vento taglia la pelle di John, lo aggredisce come bestia infuriata mentre Sherlock sale in strettissime e altrettanto veloci spirali, le ali strette al corpo, i muscoli contratti.
Su, ancora più su, come frecce scagliate dal vento stesso.
I colori si confondono, il diapason di voci si spezza e d’improvviso, mentre Sherlock acquisisce la sua regolare velocità, John sente il respiro mancargli. Troppa aria, troppa velocità. Annaspa, si aggrappa forte al collo del drago, quando all’improvviso questo gli afferra i polsi, preme i pollici artigliati contro la sua pelle e lo costringe facilmente a mollare la presa.
John urla, sente il vento strapparlo alla stretta di Sherlock come figlio bruscamente separato dalla madre. E il tempo sembra rallentare, il mondo si ferma.
John tende una mano verso la freccia scura che si allontana, sa che Sherlock stavolta non tornerà a riprenderlo. Finirà così?
No, non ancora.
Qualcosa gli artiglia la vita, blocca la discesa così bruscamente da strappargli il poco fiato rimasto.
Artigli poderosi premono contro la sua maglia, la lacerano e vi incidono piccoli tagli involontari, di bestia troppo goffa per trattare qualcosa di tanto fragile. John alza gli occhi, incontra la figura massiccia di un drago enorme, ma troppo piccolo per essere un adulto. Riconosce all’istante le due teste, poste su colli lunghi e longilinei di squame violette, brillanti alla luce delle esplosioni sottostanti.
Noah sbatte forte le ali, leva più in alto la quota già vertiginosa, al punto che Londra comincia ad allontanarsi troppo, ad apparire irraggiungibile per John lì, al sicuro tra le zampe di una bestia figlia del cielo mentre in terra, la gente muore e grida il suo dolore di perdita.
Poco più in basso, quasi invisibile agli occhi, una minuscola freccia nero carbone zigzaga tra le case, le urta involontariamente con la coda massiccia e distruttiva. Non si ferma, continua la sua folle corsa, e guardando indietro, John ne rileva il motivo: la dragonessa vola basso sulla gente, la spina dorsale annerita dal fumo e dal sangue che sgorga come fonte d’acqua tra le squame. Ha gli occhi iniettati di sangue, le zanne in vista, l’espressione assassina, quasi umana.
E d’improvviso, John ha paura di nuovo. Non per se stesso, ma per Sherlock, per la gente che potrebbe morire laggiù, a causa di un maledetto scatto d’ira.
John tende una mano verso il basso, verso Sherlock. Anche da quell’altezza, può vederlo brillare come autentica pietra preziosa tra banale bigiotteria di scaglie non abbastanza lucenti, prive di arcobaleni e riflessi d’aurora boreale. Lo guarda sfilare tra i palazzi, saettare con agilità felina tra le macerie in caduta libera e i proiettili troppo lenti anche solo per poterlo sfiorare. Sherlock è aria inafferrabile, ferina, tagliente e invisibile agli occhi che non sanno cosa cercare.
Ma la dragonessa non è altrettanto aggraziata e con la sua immensa mole abbatte palazzi, taglia in due le strade con la coda mastodontica, fa a pezzi monumenti con gli artigli poderosi. Appare instabile, ancora sofferente per il colpo ricevuto e il sangue che copioso continua a scivolare lungo il corpo serpentino, ma non demorde.
-Dobbiamo scendere!- urla John, quando vede la dragonessa avvicinarsi pericolosamente a Sherlock.
-Fossi matto!- risponde Noah, guardando in basso con una delle due teste. –Quelli hanno gli arpioni!-
-Ma Sherlock si ammazzerà!-
-Non l’hai mai visto darle di santa ragione, vero?-
E non sbaglia.
All’improvviso, quando la dragonessa spalanca le fauci sull’indifeso, minuscolo corpo di Sherlock, lui… semplicemente sparisce. La sua figura si sfuoca, poi come vento fugace si dissolve e le zanne della dragonessa sbranano il nulla, masticano furiose aria inconsistente.
Poi Sherlock riappare all’improvviso, per nulla affannato e con ali spalancate che occupano metri e metri di larghezza, come immense vele d’oscuro arcobaleno. Gonfia il petto, schiude appena le labbra nello stesso istante in cui la dragonessa volta il capo di scatto e si prepara ad eruttare una vampa di fiamme infernali dal fondo della gola.
Una sfera informe di pura oscurità esplode dalla bocca di Sherlock, sfreccia quasi invisibile tra le fauci spalancate della dragonessa che sbarra gli occhi. Si ode un’esplosione, un bagliore come di fulmine ruggente erutta dalla bocca della creatura, spandendo nell’aria un flash allucinante, che pare voler abbracciare tutta la città. La dragonessa sbatte forte le ali, scuote il capo impazzita, poi atterra stramazzante tra le macerie, dove i soldati le arpionano le ali, sparano a vista contro gli occhi e il naso. Dalla bocca erutta sangue, troppo sangue. Pare sul punto di soffocare, di sputare la sua stessa ugola, e dai suoni strozzati che emette, John capisce che la dragonessa non può sputare fuoco.
Un tocco fugace all’altezza della nuca distrae John, lo fa sussultare e stringere forte la pistola che si rende conto, non ha mai lasciato andare.
-Stai bene.-
E improvvisamente, John incontra gli occhi di Sherlock, quel viso pallido e appena graffiato, i capelli morbidi scompigliati dal vento. Sulla sommità del capo, le corna ad anelli splendono di una luce riflessa, morbida, come d’acciaio baciato dal sole. Vederlo, sentirlo al suo fianco ancora una volta, per John equivale a respirare di nuovo dopo un lungo periodo di apnea. Si sente completo, leggero, quasi capace di volare con le sue sole forze, senza ali. Il suo vento ormai è Sherlock, le sue ali sono lì al suo fianco.
John tende una mano prima di poterselo impedire, si irrigidisce e immobilizza i muscoli mentre Sherlock lo fissa, studia il suo viso. Lo guarda negli occhi, scava a fondo la sua anima e ne trae le risposte, le emozioni, esercitando al massimo tutte le sue potenzialità deduttive.
Sherlock non capisce i sentimenti, non li ha mai capiti. Esso stesso si ritiene quasi incapace di provarne. Ma… insomma, è John. Un umano talmente ordinario, talmente potente nella sua piccola fragilità. Ha sparato alla dragonessa, è rimasto alla sua mercé per lasciare a Mrs Hudson il tempo di allontanarsi. Nella sua incoscienza, è stato un grande.
Sherlock ha sempre pensato che gli eroi non esistano o che, se anche esistessero, lui non sarebbe uno di loro. Eppure, aver salvato quella vita, aver lottato al solo scopo di sapere John in salvo… lo fa sentire un eroe vero.
Lentamente, senza rendersene conto, anche Sherlock leva una mano, la tende verso quella aperta di John. È come un’ancora, una salvezza che solo uno Sherlock bambino, una volta, si azzardò a chiedere. Nessuno gli concesse mai niente, nessuno guardò alla sua solitudine, al suo essere alieno. Adesso però, c’è qualcuno che lo fa.
-Grazie.- mormora John, sorridendo dolcemente mentre le loro dita si sfiorano, corrono lungo i palmi per poi sfiorarsi a vicenda i polsi così diversi, così simili. È un intreccio, un dolce amalgamarsi di due mondi.
Terra e aria.
Umanità e bestialità.
Luce e pallida ombra.
Essere umano e drago.
Ma qualcosa cambia, un urlo raggiunge le orecchie fini di Sherlock, gli fa spalancare le ali e fermarsi lì, a mezz’aria. Si guarda intorno, cerca affannato la fonte del rumore.
Dal basso. Viene dal basso.
Lui quella voce l’ha già udita. Dove?
Mind Palace, corridoio undici.
Sherlock apre frettolosamente tutte le porte, le spalanca senza cura, a due a due, semplicemente spalancando le ali e sfondandole. Eccola. Stanza centoventuno. Voci. Esperienze recenti.
Sherlock sfoglia, cerca, fiuta. Classifica i toni, il timbro, la profondità, separando i maschi dalle femmine. Donna, sui ventisei anni. Collegata a John.
-Molly Hooper.-
Sherlock fissa Noah, lo vede studiare, comprendere, annuire. Qualcosa non và, là sotto. Ma perché sacrificarsi per una donna? Ne muoiono a decine, durante l’attacco dei draghi, e a Sherlock non è mai interessato.
-Sherlock?-
Poi, la motivazione. John lo guarda, sbarra gli occhi spaventato. Ha visto sul suo viso qualcosa che non dovrebbe esserci, Sherlock lo sa. Molly Hooper è amica di John, è parte della sua felicità. Può essere questo un incentivo valido a rischiare tanto?
-Vai.- dice Noah in un basso ruggito che solo Sherlock comprende.
E per la prima volta in vita sua, Sherlock obbedisce. Chiude le ali sul corpo, aderendole ad esso come una seconda pelle mentre come lampo caduto dal cielo, si abbandona alla forza di gravità. Piove verso il basso, sfreccia a una velocità irraggiungibile anche per i suoi stessi simili.
Figlio del vento, figlio della velocità.
Poi, le ali si spalancano di botto, tendono al massimo ogni muscolo, gonfiano le vele e la fasciatura arrossata che John tempo addietro gli ha applicato. In un riflesso di arcobaleno oscuro e cristalli di scaglie colpite dalla luce, Sherlock si incunea sotto la fiancata di palazzo in caduta libera. Affianca Molly, le fa lo sgambetto con la coda e con essa la avvolge stretta, bloccandola al suolo. Si inginocchia al suo fianco, la accosta al suo corpo e la cinge con le braccia.
Tre, due, uno.
Il detrito li ha quasi raggiunti. Sherlock copre gli occhi della ragazza con una mano artigliata, tira indietro la testa e fa esplodere una sfera di lucente materia oscura, mista alla potenza del fulmine.
Un’esplosione, un flash allucinante che scuote l’intera città e fa indietreggiare i draghi che la attaccano. È caos, è luce e rumore.
Poi, il fumo e la pioggia di piccoli detriti che piove dall’alto, che esplode in ogni direzione come una granata micidiale.
Sherlock pone il mento sul capo di Molly, chiude le ali su di loro come uno scudo indistruttibile, invalicabile, guardiano di un tesoro ben più prezioso. E nulla in effetti, riesce a lacerare la membrana. I detriti la graffiano, schizzano piccole gocce di sangue tutto intorno, ma non possono penetrarla.
E mentre all’esterno fumo, fiamme e confusione giocano ogni carta dei rispettivi mazzi, all’interno del piccolo bozzolo d’oscuro arcobaleno Molly si riprende, respira a fondo l’aria profumata, pulita, racchiusa nel piccolo mondo che momentaneamente l’ha accolta. È confusa, trema come scossa da crisi epilettiche.
Poi, facendosi coraggio, solleva timorosa lo sguardo, pianta gli occhi in quelli serpentini della creatura più bella che abbia mai visto. E, inspirando tutta l’aria che i polmoni le concedono, Molly urla.
 
Angolo dell’autrice:
Sono in ritardo. Sono in ritardo? Sherlock, quando è stata l’ultima pubblicazione… e togliti quel costume da coniglietta playboy!
Sherlock: non posso, sto indagando.
Non ti chiedo dove…
Sher: è il mio lavoro. Io sono sposato col mio lavoro. Il mio lavoro e io.
John: aaaaah, il lavoro di Sherlock, il lavoro progettato appositamente per occupare Sherlock, Sherlock è il suo lavoro…
John, chi ti ha fatto vedere le “Follie dell’Imperatore”?!
John: Greg. Continua a dire che Mrs Hudson sia uguale ad Izma…
Ma che cazz… ok, sparite. Tutti e due! E fatemi tornare ai ringraziamenti! Dunque, dov’ero rimasta? Ah, giusto. Considerando che sono incastrata tra un esame e l’altro, purtroppo non ho il tempo per ringraziarvi individualmente come meritate, mi dispiace… però! Saprò sdebitarmi, la prossima volta lo farò, promesso! Ma, non mancherò di elencare qui sotto gli splendidi draghetti che hanno reso possibile il continuo di questa storia! Un ringraziamento e una dedica speciale a:
Little Fanny
Fatelfay
Kimi o aishiteiru
Sparrow
Ashley Snape
Sonia_0911
FKk
Tony Stark
AsfodeloSpirito17662
Bbpeki

Grazie ancora e a prestissimo!

Tomi Dark Angel
  
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Tomi Dark angel