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Autore: Benio Hanamura    03/04/2014    1 recensioni
[Mademoiselle Anne/Haikara-san ga toru]
“Il mio nome è Kichiji Hananoya… o meglio, questo è il mio nome dall’età di 15 anni. Fino ad allora ero Tsukiko, la sesta figlia della famiglia Yamada...”
Nel manga originale della Yamato è detto ben poco del passato della geisha Kichiji, che fa la sua prima comparsa come causa inconsapevole di gelosia della protagonista Benio nei confronti del fidanzato Shinobu, ma che poi si rivelerà essere solo una sua ottima amica e stringerà una sincera amicizia con Benio stessa, per poi segnare anche l’esistenza del padre di lei, vedovo inconsolabile da tanti anni.
Per chiarire l’equivoco e per spiegarle quale rapporto c’è davvero fra lei e Shinobu, Kichiji racconta la sua storia del suo passato a Benio, dei motivi per cui è diventata geisha, abbandonando suo malgrado il suo villaggio quando era ancora una bambina, ma soprattutto del suo unico vero amore, un amore sofferto e tormentato messo a dura prova da uno spietato destino…
Dato che questa storia è solo accennata nel manga, ma mi è piaciuta e mi ha commossa molto, ho deciso di provare ad approfondirla e di proporvela come fanfiction!
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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   Mantenni la mia parola, da quel giorno mi dedicai anima e corpo al mio apprendistato. Ogni mattina arrivavo puntuale a scuola, dove studiavo canto, danza, conversazione, imparavo la cerimonia del tè e tutto ciò che sarebbe servito per la mia attività di geisha. Studiavo con il massimo impegno, così  le mie insegnanti ebbero modo di constatare i miei rapidi e costanti progressi ed anche la okasan era orgogliosa.
   Superai abbastanza facilmente l’esame di danza, così fui finalmente esonerata dalle faccende domestiche e fui promossa al grado di miranai; fui così affidata ad una sorella maggiore, ovvero una geisha dell’okiya che avrebbe dovuto guidarmi nella vita di tutti i giorni, ed assistermi nelle mie prime esperienze lavorative fino al mio debutto ufficiale: io ovviamente avevo tanto sperato che fosse Kiyoko, ma lei era una geisha ancora troppo giovane ed inesperta, perciò non era ancora adatta a svolgere quel delicato compito. Fui invece affidata ad una geisha più anziana e quindi di notevole esperienza, Kikyo, che fra l’altro aveva già istruito Aiko.  Avendo superato i 30 anni Kikyo si poteva considerare alquanto “vecchia” per essere una geisha, ma era ancora assai piacente oltre che raffinata, ed era assai richiesta dai clienti.  Forse anche per via dell’età non era allegra quanto Kiyoko, al contrario era estremamente seria e pure severa: le altre apprendiste che si trovavano nell’okiya da più tempo di me e quindi la conoscevano, l’avevano ribattezzata “oni-san”, la signora demone, così potrete facilmente immaginare la mia paura quando la okasan mi fece chiamare nella sua stanza per annunciarmi chi sarebbe stata la mia sorella maggiore e vi trovai proprio lei! Ciò nonostante mi sforzai di contenere le mie emozioni e mi inchinai a lei per dimostrarle tutto il mio rispetto e scambiare con lei i convenevoli di rito, anche se il mio cuore batteva tanto forte che pareva stesse per saltarmi in gola.
  La okasan mi rassicurò, mi disse che sarei stata in ottime mani e che Kikyo era stata molto brava con mia sorella, dopo di che ci congedò e Kikyo mi chiese di seguirla nella sua stanza affinché potessimo parlare. Chiusi i fusuma dietro di me, lei si accomodò sui tatami ed io stavo per fare altrettanto, quando mi fermò.
  “Prima di sederti, Tsukiko, ripeti l’inchino che mi hai fatto prima in camera della okasan, per cortesia.”
   La guardai un po’ perplessa, ma mi sentii subito raggelare dal suo sguardo di chi non ammetteva repliche ed obbedii, aspettando poi che lei mi dicesse che potevo alzarmi.
  “Molto bene” mi rispose “Non farai mai più una cosa del genere, non in mia presenza e non in presenza dei nostri clienti, mi sono spiegata?”
  Si alzò, ed io chiusi istintivamente gli occhi, temendo che volesse picchiarmi, dato che una mia compagna di scuola proveniente da un altro okiya mi aveva raccontato che a volte le sorelle maggiori lo facevano alle loro apprendiste per educarle e mantenere meglio la disciplina. Invece lei mi sollevò un po’ il viso ed il busto, con fermezza ma non certo con violenza.
  “Ecco, così è sufficiente: tu diventerai una geisha, non una serva! Ed un’altra cosa, non devi abbassarti di scatto come se volessi gettarti a terra, ma devi piegarti piano, con grazia”
  Sollevata, istintivamente la guardai, mentre lei sorrise impercettibilmente, o almeno così mi sembrò, forse sbagliavo, perché dopo un attimo rividi quello sguardo severo.
 “Ascoltami attentamente, Tsukiko” riprese, invitandomi finalmente a sedermi “come prima cosa è importante che tu comprenda cosa significhi essere una geisha! E dovrai assolvere sì ai tuoi doveri, hai obblighi verso i clienti e verso l’okiya, ma mai e poi mai dovrai umiliarti davanti a nessuno! Non sei più una contadina e non sarai una prostituta, sarai adorata dagli uomini ed invidiata da molte donne, non dovrai certo suscitare la pena nel prossimo; ed anche se avrai timore, soggezione di qualcuno, non dovrai mai darlo a vedere, non dovrai perdere per questo la tua dignità! Sicuramente ciò che ti dico ti sembrerà quasi del tutto incomprensibile, ma col tempo capirai ed imparerai, se saprai essere diligente... Purtroppo, come ti ha già detto la okasan, tu sei arrivata tardi nel nostro okiya, molte ragazze iniziano il loro apprendistato come aspiranti geishe quando sono anche molto più giovani di te, ma io sono convinta che lavorando sodo e con costanza ce la farai: la okasan ha fiducia in te ed anche io, perciò non deludermi! Non sarò tenera con te, non ti risparmierò nulla, ma ti assicuro che i tuoi sforzi saranno ampiamente ripagati a tempo debito.”
“Io… non vi deluderò, onee-san!”
   Ripetei l’inchino esattamente come Kikyo-san mi aveva detto di fare, lei annuii soddisfatta e mi lasciò libera di tornare in camera mia, dove Miyuki, che aveva sbrigato le sue ormai abituali faccende domestiche, mi aspettava perché le raccontassi tutto. Mi sentii di rassicurarla: da come mi aveva trattata, dalla franchezza con cui mi aveva parlato, la famigerata “Oni-san” non sembrava affatto così cattiva come le altre ragazze mi avevano raccontato.
  Non essendo più una shikomi e non avevo più molte occasioni di trascorrere molto tempo con mia sorella, lavorando con lei, ed anche il tempo libero concessomi alla fine della giornata per conversare un po’ con lei diventava sempre di meno. Comunque per fortuna Miyuki si era adattata alla sua nuova vita da sguattera. Certo, era stata obbligata a spostarsi in un’altra stanza, ben più misera, nell’area riservata esclusivamente alla servitù, e doveva lavorare per parecchie ore, ma da quando aveva acquisito quella nuova mansione stava sempre meglio: le sue mani si erano sciupate e riempite di calli, ma il colorito era tornato sulle sue guance ed il suo umore era decisamente migliorato, grazie al fatto che le altre domestiche erano gentili con lei ed anche grazie al sostegno che io continuavo a darle, anche se per poco tempo, ogni giorno. Soprattutto nei primi tempi per lei era molto importante che io la rendessi partecipe di ciò che mi accadeva, e questo soltanto per mantenere un legame con me: non rimpiangeva affatto le compagne di scuola, perché lei si limitava a sopportare di buon grado quell’ambiente che sentiva assai poco congeniale solo perché Aiko era accanto a lei. E tanto meno rimpiangeva la sua vita all’okiya prima del mio arrivo, le lezioni e le arti da imparare, dato che aveva iniziato a studiare lo  shamisen e lo shakuhachi, ma senza eccessivo entusiasmo: lo faceva più per Aiko che, al contrario di lei entusiasta all’idea di diventare una geisha, la incoraggiava, dicendole che quando lei avrebbe cantato e danzato sarebbe stato bello esibirsi insieme! Infatti per Miyuki contava solo la nostra famiglia, ciò da sempre non era e non sarebbe mai cambiato, perciò avere accanto me le aveva subito dato nuova serenità. Tale da sopportare anche che potessimo stare insieme per meno tempo, non tanto a causa delle sue tante mansioni che avrebbe dovuto svolgere senza di me, quanto per le mie numerose lezioni ed esercitazioni a scuola, e soprattutto per via del tempo trascorso con Kikyo-san, che come previsto era un’insegnante severa, anche se competente e giusta. Fortunatamente Kikyo-san non mi picchiò mai, ma non mi risparmiava rimproveri e castighi se li riteneva necessari, come d’altra parte era ben lieta di lodarmi quando soddisfacevo a pieno le sue aspettative. Le mie giornate erano diventate parecchio faticose, e se a volte non riuscivo ad incontrare Miyuki perché finivo troppo tardi i miei compiti, a volte era perché subito dopo cena mi venivano meno le forze necessarie per cercarla e crollavo addormentata. Miyuki  però aveva compreso la situazione e mi incoraggiava come poteva.
  Ogni tanto lo zio veniva in città ed in quelle occasioni passava per l’okiya, così teneva me e mia sorella aggiornate su ciò che accadeva alla mia famiglia ed io ebbi occasione anche di affidargli delle mie lettere, avendo finalmente imparato a scrivere bene.
   Un giorno, quando ormai non mancava più tanto tempo al mio debutto come maiko, potei anche rivedere mio padre, anche se fu una visita breve. Finalmente, dopo tanto tempo dalla mia partenza, e venni a conoscenza di una bella notizia: Yuriko si era fidanzata con Nobuyuki, ed in primavera si sarebbero sposati. Anche se lo avevo conosciuto poco sapevo che Nobuyuki era un ragazzo buono ed onesto, come pure sapevo che i suoi genitori erano bravissime persone, lo avevano dimostrato ampiamente con il loro comportamento nei confronti di mia sorella dopo la morte di Aiko. Dunque mi sentii immensamente felice per Yuriko, che finalmente si era ripresa dalla sua terribile delusione d’amore e si preparava a godersi finalmente un po’ di serenità, ma sentii anche una fitta al cuore, che mi indusse a chiedergli notizie di qualcun altro: mio padre mi disse che Koji aveva iniziato a frequentare l’accademia militare un mese dopo la mia partenza e che poi era tornato brevemente al villaggio solo per pochi giorni l’anno dopo per una breve licenza, ma l’anno dopo non si era visto… Per fortuna non colse il mio turbamento, probabilmente avevo imparato bene da Kikyo-san a nascondere le emozioni: “Ricorda, Tsukiko, una geisha mentre è al lavoro non può lasciarsi andare alle sue vere emozioni, è come se indossasse sempre una maschera, una maschera di un’artista che mostrerà sempre al cliente soltanto ciò che egli vuole vedere… e ciò che vuole vedere, le sue necessità, sarai tu a doverlo intuire, di volta in volta… Mai, per nessun motivo, se un cliente ha bisogno di svago e tu sei nervosa, triste o arrabbiata col mondo intero, dovrai farglielo capire, e turbarlo con questi tuoi sentimenti negativi!”
Sì, avevo imparato bene, troppo bene, considerando che non ero in compagnia di un cliente, ma stavo parlando con mio padre… Almeno con lui avrei potuto sfogarmi, gridargli quanto mi mancassero lui, la nostra famiglia ed il villaggio, ma era giusto che non lo facessi per non accentuare ulteriormente la già immensa pena che la nostra separazione forzata gli costava, e perciò lasciai perdere: in fondo all’okiya avevo anche avuto esperienze positive e mi concentrai su quelle. Ma quando lui mi congedò per andare a cercare Miyuki, allora di nuovo avvertii un groppo alla gola, un senso di soffocamento che non riuscii più a sopprimere, e nonostante il freddo corsi fuori in giardino, così scalza com’ero, e sentii la neve, che in quell’ultimo scorcio d’inverno ancora ricopriva tutto con un sottile manto, gelarmi i piedi. Al che mi riapparve l’immagine di Koji… Koji che mi teneva fra le braccia e mi sorrideva dolcemente sollevato al mio risveglio in quell’indimenticabile notte ormai così lontana, la sua risata spontanea nelle poche volte che c’eravamo incontrati quando vivevamo ancora spensierati al villaggio, il nostro giuramento alla stazione… Quanto avrei voluto rivederlo, o almeno sapere cosa stava facendo, come se la cavava all’accademia, e se anche lui ogni tanto pensava a me o se invece aveva completamente dimenticato quella ragazzina che in poco tempo gli si era tanto affezionata e che ormai stava diventando una donna…
“Prima o poi ci rivedremo, anche perché sono certo che diventerai una bellissima e bravissima geisha e verrò sicuramente ad ammirarti!” quelle sue parole mi risuonavano spesso nella mente, tanto che a volte, quando bussavano alla porta dell’okiya, io nutrivo l’assurda speranza di ritrovarmelo improvvisamente davanti, bello come sempre (anzi no, sicuramente in tutto quel tempo era diventato ancora più bello di quanto lo ricordassi!), speranza che era diventata maggiore quando mi fu permesso di assistere agli ozashiki e Kikyo-san mi chiese di accompagnarla ad alcuni suoi appuntamenti.
  Strinsi al viso la sciarpa che Koji mi aveva regalato, com’ero ormai solita fare quando mi sentivo in quel modo, vi asciugai le mie silenziose lacrime, e come sempre il suo calore mi diede immediato sollievo.

 
  Note:
  Miranai= Una volta che la ragazza era diventata abbastanza competente nelle arti delle geisha, e aveva superato un esame finale di danza, poteva essere promossa al secondo grado dell'apprendistato: "minarai". Le minarai erano sollevate dai loro incarichi domestici, poiché questo stadio di apprendimento era fondato sull'esperienza diretta. Costoro per la prima volta, aiutate dalle sorelle più anziane, imparavano le complesse tradizioni che comprendono la scelta e il metodo di indossare il kimono e l'intrattenimento dei clienti. Le minarai, quindi, assistevano agli ozashiki (banchetti nei quali le geisha intrattevano gli ospiti) senza però partecipare attivamente; i loro kimono, infatti, ancor più elaborati di quelle delle maiko, parlavano per loro. Le minarai potevano essere invitate alle feste, ma spesso vi partecipavano come ospiti non invitate, anche se gradite, nelle occasioni nelle quali la loro "onee-san" (onee-san significa "sorella maggiore", ed è l'istruttrice delle minarai) era chiamata. Abilità come la conversazione e il giocare, non venivano insegnate a scuola, ma erano apprese dalle minarai in questo periodo, attraverso la pratica. Questo stadio durava, di solito, all'incirca un mese.
   
Shakuhachi= tipo di flauto giapponese
 
Ozashiki= banchetti nei quali le geishe intrattevano gli ospiti
  
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