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Autore: Clary F    03/04/2014    6 recensioni
Per colpa di un inconveniente nel rituale di Lilith, Jace si trasforma in Jonathan e Jonathan in Jace. A causa dell'ennesimo piano diabolico organizzato da Valentine, Clary intraprende un viaggio alla ricerca di Jace, insieme a Jonathan, mentre i suoi sentimenti diventano sempre più confusi e sbagliati. A New York, Alec, Magnus, Isabelle e Simon cercano di capirci qualcosa, prima di lanciarsi in una missione di salvataggio suicida.
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Clarissa, Jace Lightwood, Jonathan, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Simon Lewis, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
Capitoli:
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CHAPTER 8
IDRIS AFTER MIDNIGHT

 
«Esiste un punto, nella schiena di ogni uomo, attraverso il quale puoi trafiggere il cuore e spezzare la spina dorsale. Dovresti ricordartelo, me lo hai insegnato tu.»
Jonathan girò la spada nello sterno di suo padre, dopodiché la ritrasse con un movimento fluido del polso. Valentine voltò il viso al di sopra della spalla, i suoi occhi venati di rosso colmi di stupore, non fece quasi in tempo a sillabare il nome del figlio, prima di accasciarsi al suolo, immerso nel suo stesso sangue rosso e nero, che si allargava inesorabile sul pavimento. Per un attimo Clary avvertì la stretta gelida allo stomaco sciogliersi, accompagnata ad un sentimento di sollievo, che però duro poco. Jace la aiutò a rialzarsi, prendendole il viso fra le sue mani calde e sussurrandole parole di conforto che lei sentì a malapena. I suoi occhi verdi erano ancora fissi su Jonathan, in piedi, immobile, accanto al cadavere del padre. La porta del salone si aprì con forza e come tre angeli vendicatori, Isabelle, Alec e Magnus entrarono nella stanza, i visi pallidi e scioccati. Tutti credettero per un breve istante che il pericolo fosse stato sventato. Poi, il corpo di Valentine iniziò a brillare di una sinistra luce rossa, la sua bocca e i suoi occhi si spalancarono e una nuvola di fumo nero ne uscì, risalendo verso il soffitto in ampie spirali e iniziando a prendere forma. Sammael ovviamente non era morto. Non bastava una misera spada angelica ad uccidere un Demone Superiore di quel livello. Vide Magnus correre incontro a Tessa e cercare di liberarla in fretta e furia dalla sua prigione di catene. Sammael fluttuò accanto a Lilith, che non gli toglieva gli occhi, o meglio i serpenti, di dosso; nonostante fosse difficile decifrare la sua espressione, Clary avrebbe giurato che fosse piena di amore e devozione. Il fumo non smise di fluttuare a pochi centimetri da terra, ma ormai era facile distinguere la forma demoniaca di Sammael, il suo viso rosso e rugoso, le sue corna arricciate, i suoi occhi vermigli, i lunghi artigli ricurvi che prendevano il posto delle dita e i suoi zoccoli neri. Clary pensò che fosse molto simile ad una raffigurazione del Fauno, una creatura appartenente alla mitologia greca, metà uomo e metà capra, nonostante il viso di Sammael fosse tutto tranne che umano. I demoni iniziarono ad agitarsi in una danza macabra, emettendo i loro lamenti orripilanti di giubilio. Sembrava il ritratto di una famiglia infernale: Lilith la madre, Sammael il padre e i loro piccoli figli demoniaci.
«Ti ho aspettato così a lungo. Non ho mai smesso di sperare che tu tornassi. Sapevo, che saresti tornato da me, nonostante il terribile castigo a cui ti ha sottoposto Michele.» Lilith tese le sue braccia magre verso il suo vecchio amante e lui le strinse tra i suoi artigli.
Magnus e Isabelle si stavano, nel frattempo, affaccendando per liberare Tessa dalle catene. Mentre Alec si era messo al fianco di Jace e si assicurava che stesse bene. Alla fine, con un colpo secco della frusta di elettro di Isabelle, Tessa fu libera e i sei ragazzi si schierarono come un piccolo esercito, pronto a combattere. Quel colpo secco sembrò attirare nuovamente l'attenzione dei due Demoni Superiori su di loro. Lo sguardo di Sammael era come un tizzone ardente e Clary si ritrovò inconsciamente ad indietreggiare di qualche passo. Ma il demone non sembrava particolarmente interessato a lei, ne agli altri, i suoi occhi infuocati erano puntati su Magnus, il quale ricambiava lo sguardo con l'espressione più terrorizzata e disgustata che gli avesse mai visto sul viso.
«Non riconosceresti tuo padre, nemmeno se gli parlassi? Stai sentendo il tuo stesso sangue, stregone.»
La voce di Sammael era ancora peggiore di quella di Lilith. Era roca e ruvida, come se non l'avesse usata per millenni e aveva un'inflessione dura e spaventosa, come un pietra raschiata al suolo. Lo stregone rimase paralizzato, ovviamente nessuno tranne lui, poteva comprendere appieno il significato di quelle parole.
«Lasciali andare,» Magnus parlò con voce ferma, anche se il panico e l'angoscia era tangibile.
«Certo che lo farò, e tu, verrai con me? Magnus, vieni da me …»
Sammael scoppiò in una risata dura e ruvida come la sua voce. Magnus era impallidito a tal punto da sembrare quasi grigiastro. Tutti facevano scorrere lo sguardo da lui al demone, interdetti, stupiti e scioccati.
«Ricordi?» Continuò il demone, visibilmente divertito.
«Non verrò mai con te, grazie dell'offerta, ma sto bene qui.» Magnus tentò senza successo di usare un tono sarcastico e ironico, ma suonò vuoto anche alle sue stesse orecchie. «Lascia andare loro,» ripeté lo stregone, indicando con un gesto del braccio Alec, Isabelle, Tessa, Jace e Clary. Sammael assunse un'espressione pensierosa, se così si poteva definire.
«Non ho alcun interesse verso di loro. Ma sono sicuro che ci rivedremo, prima o poi. Ho aspettato secoli, intrappolato nel Vuoto, attendendo che il mio corpo si rigenerasse dopo che l'arcangelo mi fece a pezzi con la sua spada. Come puoi intuire, sono paziente, Magnus …» Rise di nuovo, il suo corpo vibrò, il fumo si espanse, avvolgendo in sé anche Lilith, in un unico turbine di nuvole nere; dopodiché sparirono, fluttuando al di là dei vetri rotti delle finestre. Molti demoni li seguirono, altri rimasero nella stanza e si fiondarono su di loro. La battaglia riniziò più cruenta che mai. Con l'aiuto di Tessa, che si rivelò essere molto potente, e Magnus, molti demoni ebbero però vita breve. Ma fra tutti loro, quello che uccideva, tranciava e feriva con maggior foga e successo era Jonathan. Presto non rimase altro che la puzza demoniaca e l'icore nero sparso sulle pareti e sul pavimento. Passarono alcuni istanti di quiete, in cui tutti ripresero fiato e si fissarono a vicenda, sconcertati da tutte quelle stranezze, fino a che Isabelle non esclamò:
«Simon! Dov'è? Dove diavolo si trova!»
«Simon è qui?» Chiese Clary, incredula, mentre un'ondata di preoccupazione la travolgeva.
«Se ti riferisci al ragazzo vampiro è ancora nei sotterranei, Valentine lo ha imprigionato, ma quando mi hanno portata qui stava bene.» Tessa indicò a Isabelle la botola che conduceva nei sotterranei e lei vi si fiondò alla velocità della luce. Clary fece per seguirla ma, con sua grande sorpresa, Alec la bloccò per un braccio.
«Lasciala andare da sola.» Le disse in un tono saggio che non ammetteva repliche. Clary annuì piano, lanciando uno sguardo rapido a Tessa, che si era gettata tra le braccia di Magnus e gli sussurrava parole incomprensibili, per poi voltarsi verso l'altro suo problema prioritario. Jonathan. Il ragazzo, dopo aver fatto fuori da solo la maggior parte dei demoni, era rimasto in piedi in disparte. Lo sguardo vuoto e vacuo, la spada insanguinata ancora tra le mani e gli occhi puntati sul cadavere di Valentine. Fece per avvicinarsi a lui, ma venne di nuovo bloccata per un braccio, questa volta da Jace, che si era appena alzato da vicino il corpo di Valentine. Clary avrebbe giurato che il ragazzo avesse sfilato qualcosa dalle dita del cadavere e se lo fosse infilato in tasca, ma non vi badò più di tanto.
«Sei sicura che sia una buona idea? Ormai dovresti averlo capito che è un mostro.» Le sibilò con voce fredda.
«No.» Disse Clary con voce risoluta, mentre un'ondata di rabbia irrazionale la travolgeva. «Avete visto tutti, no?» Gridò agli altri. Tessa, Magnus e Alec, smisero di parlare fra loro e si voltarono a fissarla. «L'avete visto? Valentine ha minacciato di ucciderci tutti e lui l'ha ucciso, ci ha salvato.»
«Certo, dopo averci ferito, rubato il sangue e averlo aiutato a invocare quel mostro orrendo,» fece Jace, con il suo solito tono arrogante e presuntuoso. «Senza offesa, Magnus. Mi pare di aver capito che sia tuo padre, giusto?» La mancanza totale di tatto di Jace lasciò tutti a bocca aperta. Magnus si irrigidì sul posto e rimase in silenzio. Ovviamente tutti avevano capito, ma nessuno aveva osato chiedergli spiegazioni. Ogni stregone aveva un genitore demone, e questo si poteva accettare in qualche modo, ma che suo padre fosse Sammael, il creatore di tutti i demoni, era una faccenda molto più delicata. Alec fulminò Jace con uno sguardo gelido e lui scrollò le spalle, indifferente.
«Che c'è? Ho solo detto la verità, no? E poi, se ti può consolare, non vi assomigliate nemmeno un po’.»
Tra lo sgomento generale Tessa non riuscì a soffocare una risata. Non era una risata di vero e proprio divertimento, era più un riso isterico e pieno di nostalgia e affetto.
«Per l'Angelo, è uguale a Will.» Sussurrò piano, più a sé stessa che a Magnus, il quale sembrò rilassarsi un pochino.
«A volte è anche peggio,» asserì lo stregone, con aria esasperata. «Jace, ti presento la tua bis-bis-bis-bis-misonoperso-bis nonna, Tessa Gray, o Tessa Herondale, come preferisci.»
Jace fissò la Mutaforma scioccato. Clary strinse i pugni, la rabbia non intendeva lasciarla e si avvicinò a Jonathan, approfittando della momentanea distrazione degli altri. In altre situazione avrebbe trovato interessante conoscere un antenato di Jace, ma non ora. Lui non si era mosso dalla sua postazione, sembrava completamente estraniato da ciò che gli accadeva intorno.
«Come stai?» Sussurrò Clary, a pochi passi da lui. Il giovane non rispose e non alzò lo sguardo. «Jonathan, guardami!» Sibilò lei, esasperata. Questa volta alzò gli occhi, erano così vuoti e neri che le si strinse lo stomaco.
«Lasciami stare, Clarissa. So che non mi amerai mai, so che sono un mostro. Sei l'unica che ancora non lo vuole capire.»
Clary fece un verso strozzato, un misto di esasperazione e dolore. Non si era accorta che il resto del gruppo li aveva accerchiati, tenendo d'occhio Jonathan come fosse una belva feroce pronta ad attaccare. Ma quello che lei vedeva, era solo un ragazzo disperato, suo fratello, cresciuto con un padre pieno d'odio e violenza, che lo aveva istruito nel modo sbagliato, facendogli credere che fosse solo al mondo.
«Eccoli! Sono lì!»
Le grandi finestre del salone erano andate in frantumi e l'alba stava sorgendo al di là del prato verde, con i suoi colori rosso e oro e su quello sfondo vide la faccia di Jordan, che aveva parlato, con al fianco Maia, molto pallida e zoppicante ma per il resto illesa. Dietro di loro si intravedeva un'orda di Cacciatori, tutti armati fino ai denti, che si riversarono nel salone, scavalcando direttamente le finestre. Clary vide sua madre, Luke e riconobbe qualche viso noto, come quello di Kadir, Helen Blackthorn e Aline Penhallow. Jocelyn corse incontro alla figlia con in mano una spada angelica e lo sguardo di ferro.
«Sta' lontana da lei!» Ringhiò a Jonathan, afferrando Clary per un braccio e puntando la lama della spada alla gola del figlio.
«Mamma, no!» Clary si divincolò dalla presa ferrea della madre e si mise davanti a Jonathan. Le braccia aperte a formare uno scudo con il suo stesso corpo. «Non è come credi! È stato lui a salvarci, lui ha ucciso Valentine e lui ha, ha -»
Clary balbettò frasi sconclusionate, Jocelyn si irrigidì e la sua bocca si spalancò in un'espressione di stupore, osservando il cadavere di Valentine a pochi passi da loro. Nessuno ebbe il tempo di ragionare, perché il nuovo Console, Jia Penhallow, ordinò ai Cacciatori di prendere il giovane Morgenstern, e lui, tra lo sgomento generale, non opposte resistenza, mentre lo incatenavano e lo portavano via, tra gli urli di protesta di Clary, con Jace e Luke che tentavano inutilmente di calmarla.
 
 
Isabelle corse lungo le scale scivolose dei sotterranei, gridando il nome di Simon a squarciagola. Per poco non cadde a terra, scivolando in una pozza vischiosa di quello che sembrava sangue. Con panico crescente si avventurò in un altro corridoio di pietra, finché non udì la voce del ragazzo, proveniente da una delle celle ancora chiuse.
«Izzy! Sono qui!»
La ragazza si fermò di botto e vide la sagoma di Simon, al di là delle sbarre.
«Grazie a Dio! Stai bene?» Quasi urlò per il sollievo.
«Starò meglio quando mi avrai tirato fuori da questa prigione,» fece lui con una smorfia. Aveva la pelle delle mani completamente bruciata e scorticata. «Avete trovato gli altri?»
Isabelle lo aggiornò brevemente su tutto l'accaduto, mentre si affaccendava per demolire la sua prigione. Fortunatamente l'acciaio con cui era stata costruita era a prova di vampiro, ma non di Nephilim. Isabelle riuscì ad aprire un varco a suon di colpi con la sua frusta e Simon finalmente fu libero di uscire.
«Quindi Jonathan ha ucciso Valentine? Ma è assurdo! E Clary sta bene?» Chiese Simon con voce ansiosa, avviandosi verso l'uscita dei sotterranei. «E Tessa? Quella ragazza è in gamba e … ehi, perché mi guardi così?» Disse, tutto ad un tratto imbarazzato, osservando Isabelle a braccia incrociate e uno sguardo di fuoco dipinto sul volto.
«Brutto idiota di un vampiro. Sono ore che ti cerco, in preda alla disperazione e tu sai dire solo: come sta Clary? e Tessa è una brava ragazza. Sei davvero un imbecille.» Isabelle imitò la sua voce e la cosa sarebbe anche potuta risultare buffa se non avesse avuto uno sguardo così minaccioso. In ogni caso aveva ragione, pensò Simon, sentendosi subito in colpa.
«Iz, scusami. Sono davvero un ingrato.» Disse, grattandosi la testa con fare colpevole.
«Un ingrato patetico. Un ingrato patetico vampiro nerd.» Continuò a snocciolare insulti, finché Simon non si mise a ridere. Gli sembrava fosse passata un'eternità dall'ultima volta che aveva riso.
«Fantastico, un ingrato patetico vampiro nerd che ride di me!» Esclamò Isabelle esasperata. «Mi trovi buffa, eh?» Aggiunse minacciosa.
«Beh, buffa non è proprio la parola che avrei scelto per descriverti, in realtà.» Commentò Simon, smettendo di ridere, ma conservando un sorrisino sulle labbra.
«Ah no?» Fece lei, ancora arrabbiata.
«No, direi più fantastica Cacciatrice con un grandissimo sex appeal.» Ribatté lui, allungando un braccio per sfiorarle lo zigomo imbronciato.
«Sex appeal? Dio, non sentivo questa parola dal milleduecento, cosa sei, mio nonno?» Sbuffò Isabelle, anche se i suoi occhi si erano notevolmente addolciti.
«Grazie per essere corsa in mio soccorso, Izzy, per la seconda volta nel giro di una settimana a dire la verità.» Riferendosi all'episodio sul giardino pensile accaduto solo pochi giorni prima. «Non è una cosa molto mascolina da dire, vero?» Disse Simon, ripensandoci. «Insomma, sono io l'uomo della coppia, sono io che dovrei correre a salvarti, non il contrario.»
«Scusa, hai detto coppia?» Lo interruppe lei, incredula.
Simon, se non fosse stato un vampiro, sarebbe arrossito furiosamente e per la prima volta si ritrovò a ringraziare il suo stato di morto vivente.
«Ho detto coppia? Ehm, volevo dire … insomma, se per te va bene.» Scandì le ultime parole, visibilmente a disagio. In realtà non aveva mai pensato a lui e Isabelle come una coppia, non seriamente, almeno. Credeva che lei non fosse pronta, o comunque che non volesse di certo far coppia con uno come lui, ma la parola gli era uscita dalle labbra involontariamente e ripensandoci, non gli dispiaceva affatto come suonava. Isabelle non rispose, rimase per lunghi istanti a fissarlo, poi lo afferrò per il colletto della maglia sporca e insanguinata, attirandolo a sé con una forza che nessuna normale ragazza avrebbe avuto e posò le sua labbra carnose sulle sue. Simon l'avvolse con le sue braccia, facendo scorrere le mani lungo la sua schiena e i suoi fianchi, schiudendo le labbra e baciandola con forza. Sentì i canini perforargli le gengive e poi il gusto del suo stesso sangue, mescolato a quello di Isabelle. Fece per fermarsi, ma la ragazza lo strinse a sé più forte, evidentemente non le importava, quindi, perché mai avrebbe dovuto importare a lui? La baciò con più forza e passione, senza pensare a nulla, tranne al cuore di lei che pompava il sangue nel suo corpo vivo. Continuarono a baciarsi per lungo tempo, fino a che entrambi non sentirono il rumore di una marea di passi, sopra le loro teste. Isabelle si staccò a fatica dalle sue labbra.
«Sono arrivati i rinforzi.» Sussurrò, senza fiato.
«Un po’ in ritardo, no?» Sorrise Simon e riprese a baciarla.
 
 
Erano passati quattro giorni ormai, da quella terribile notte in cui Magnus aveva visto suo padre. Ricordava alla perfezione ogni dettaglio, la sua voce ruvida e terribile e il suo viso da diavolo. Non si era mai molto interessato a lui, fino ad allora, ma da quella notte non riusciva a smettere di pensarci, al fatto che fosse di nuovo libero e non più intrappolato nel Vuoto. Gli aveva chiesto di lasciare in pace i suoi amici e lui aveva obbedito? O semplicemente quelli erano i suoi piani già da tempo? Scappare con Lilith, per poi seminare il terrore sulla terra, come già avevano fatto secoli prima. Non sapeva dare una risposta a questa domanda, ma la strana quiete di quegli ultimi giorni non prometteva nulla di buono, su questo ne era certo. Si lasciò cadere sul divano della piccola casetta che un tempo era appartenuta al suo amico, Ragnor Fell, a Idris. Ragnor non aveva mai avuto un gran senso estetico, difficile quando la tua pelle è di un verde simile ad un cavolfiore, così Magnus aveva apportato qualche modifica all'arredamento scarno. Un divano viola brillante, qualche fiore magico, un tappeto persiano … Ma, in fondo, si era tenuto impegnato con le faccende domestiche solo per non dover pensare. Pensare alla faccia di Alec quando Sammael aveva parlato. Pensare al fatto che ormai non lo vedeva da più di tre giorni. Non che lui avesse cercato un confronto, non era pronto a subire il terzo grado sul suo padre biologico demoniaco. Sospirò e sentì Tessa agitarsi nella camera da letto accanto al salotto. La sua amica aveva stanziato lì per tutti quei giorni, siccome era parte integrante di tutto quel putiferio e il Conclave aveva detto ad entrambi di tenersi a portata di mano, nel caso avessero bisogno di interrogarli. L'esile figura di Tessa sbucò timidamente da dietro la porta. Indossava una camicia da notte bianca, che la rendeva ancora più pallida e i suoi capelli castano chiaro erano arruffati dal sonno.
«Ehi,» lo salutò con un sorriso, andando a sedersi accanto a lui sul divano. Magnus, con uno schiocco di dita, fece apparire due tazze di carta, da cui proveniva un profumino invitante di caffè fumante. Tessa lo guardò con aria di disapprovazione.
«E queste da dove vengono?» Gli chiese, alzando un sopracciglio sottile.
«Dallo Starbucks di Praga, spero non ti dispiaccia.» Rispose Magnus, sbattendo le ciglia innocentemente. La ragazza sbuffò esasperata.
«Normalmente ti rimprovererei, ma la mia voglia di caffè è troppa per farlo.» E con un sorriso prese la tazza di cartone fra le mani, sorseggiando la bevanda calda.
«Allora …» iniziò dopo aver buttato giù qualche sorso, poi ammutolì di colpo.
«Vuoi chiedermi qualcosa, cara Tessa?» Chiese lui, agitando una mano in aria con nonchalance.
«Beh, insomma,» iniziò lei, titubante. «Quell'Alec mi ricorda molto una persona. Per non parlare di sua sorella. È uguale a Cecily!» Disse, non riuscendo più a trattenere lo stupore.
«Sì, hai ragione. Ma comunque non ha molta importanza, ormai. Dubito che quell'Alec voglia rivedermi ancora, ora che sa con chi sono imparentato.» Magnus non era solito crogiolarsi nell'autocommiserazione, ma quel giorno non poteva farne a meno. Nell'arco della sua vita aveva perso milioni di persone amate. Chi più, chi meno. Ma la prospettiva di una vita immortale senza Alec al suo fianco era fin troppo dolorosa.
«Non fare lo sciocco!» Esclamò lei, dandogli un piccolo colpetto sul braccio. «Ho visto come ti guardava, se credi che non ti rivolgerà più parola solo per le tue indesiderabili parentele sei più stupido di quanto pensassi.»
«Non conosci Alexander, non puoi sapere.»
Tessa non rispose, fissò lo sguardo sul paesaggio al di là della finestra.
«Ti sbagli.» Disse infine.
«Oh, non credo proprio.» Ribatté Magnus, melanconico.
«E allora perché il ragazzo è qua fuori, nel nostro vialetto?»
Magnus balzò dal divano e lanciò un'occhiata dalla finestra. Alec stava smontando da cavallo e ora si dirigeva a passo incerto verso l'ingresso della casa.
«Oh, cavolo!» Esclamò lo stregone, girando in tondo per il salotto come un ossesso. «I miei capelli sono un disastro! Presto! Portami un phon!» Strillò con voce isterica.
Tessa nascose un sorriso dietro la tazza del suo caffè. «Sei uno stregone, puoi usare la magia invece che un phon.»
Magnus scappò in bagno come una furia e Tessa decise che era giunta l'ora di farsi una passeggiata. Si infilò dei vestiti puliti e uscì dalla porta sul retro.
Quando Magnus andò ad aprire la porta la sua chioma nera pendeva floscia da un lato. C'erano cosa per cui la magia non bastava.
«Alec,» salutò impacciato, cercando di mantenere una dignità. Il Nephilim corrugò la fronte.
«Che ti è successo ai capelli?»
Lo stregone sbuffò esasperato.
«Sei venuto fin qui per criticare i miei capelli? No, perché oggi non sono dell'umore adatto, Alexander.»
Alec si colorò di un rosso acceso e fissò gli occhi sulla punta dei suoi stivali. «No.» Disse dopo attimi di silenzio imbarazzante, prendendo coraggio. «Sono venuto qua per dirti che non mi importa.»
Magnus alzò le sopracciglia, confuso. «Che non ti importa di me? Beh, grazie non c'era bisogno di tutto questo disturbo, lo avevo già capito da solo. Sono tre giorni che mi ignori, so che qui a Idris i cellulari non funzionano, ma esistono altri sistemi di comunicazione, sai? La nuova generazione di giovani è così ottusa a volte, sembra che tutto il vostro mondo sia racchiuso in quel piccolo oggetto inanimato che -»
Alec lo zittì posandogli due dita sulle labbra. «Vuoi farmi finire di parlare? Ho detto che non mi importa, ma non di te, di te mi importa eccome. Non mi importa chi sia tuo padre, non voglio sapere niente, può essere Sammael o Lucifero in persona che la cosa non mi potrebbe importare di meno.»
«Sul serio?»
«Sì.» Disse Alec, con un sorriso sincero che gli illuminò gli occhi blu.
«Beh, in questo caso … vuoi entrare?» Gli chiese Magnus, vagamente imbarazzato per il suo sproloquio di prima.
«Vorrei fare molto più che entrare.» Rispose Alec, arrossendo ma al tempo stesso rivolgendogli un sorriso malizioso.
«È per questo che amo i ragazzi della nuova generazione. Dritti al sodo!» Esclamò Magnus scherzano e afferrando Alec per un braccio. Rotolarono insieme sul divano, braccia e gambe avvinghiate, mentre le loro labbra si sfioravano, prima con incertezza, poi con passione crescente.
«Sei proprio fissato con questa nuova generazione, eh?» Lo schernì Alec, tra un bacio e l'altro.
«Oh, non sai quanto, fiorellino.» E lo strinse a sé, sfilandogli la camicia e accarezzando il torace del ragazzo marchiato dalla rune.
 
 
Clary si svegliò di soprassalto, dopo l'ennesimo incubo della nottata. La luce filtrava insistentemente attraverso le tende della camera da letto di Amatis, in cui si era rinchiusa dopo quella notte infernale, ad eccezione delle sue visite alla Guardia, per essere sottoposta al rito della Spada Mortale e per cercare di elemosinare qualche informazione su Jonathan. Sapeva che lui e Jace erano stati sottoposti più e più volte al rito e interrogatori, ma a differenza di Jace, che una volta finito era libero di tornare nella casa occupata dai Lightwood, Jonathan veniva riportato in cella e, a detta di qualche Cacciatore anziano, non ne sarebbe mai uscito, nonostante alla fine si fosse ribellato a Valentine e lo avesse ucciso. Clary scese in cucina e trovò Amatis intenta a preparare una parvenza di colazione.
«Luke e Jocelyn sono alla Guardia. Ma hai una visita.» Disse con un gran sorriso, indicando una sagoma che si dondolava sulle gambe posteriori della sedia, alla luce del sole pomeridiano. La salutò con un cenno della mano.
«Jace!» Sussurrò Clary, senza fiato.
«Sono ufficialmente un uomo libero, non più agli arresti domiciliari.» Rispose lui con uno dei suoi sorrisi irresistibili.
Clary fece per aprire bocca, poi ricordò la presenza di Amatis, che li osservava con un sorrisetto divertito. «Amatis, ti dispiace se andiamo a parlare in camera?»
Il sorriso della donna defluì dal suo viso. «Ora si chiama così … parlare …» borbottò, voltandogli le spalle e asciugandosi le mani bagnate in uno straccio. «No, andate pure. Ma verrò a controllare ogni mezz'ora. Non voglio di certo far arrabbiare Jocelyn, quella donna a volte mi fa paura.» Continuò a borbottare con espressione corrucciata. Era bello vederla di buon umore, pensò Clary, nonostante stesse cercando con scarsi risultati di fare l'adulta responsabile.
«Non preoccuparti, Amatis, mezz'ora sarà più che sufficiente.» Rispose Jace e afferrò la mano di Clary, trascinandola al piano di sopra e lasciando Amatis con un espressione scioccata sul volto. Clary non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
«Dovevi proprio farla agitare, eh?» Disse a Jace, fra una risata e l'altra.
«Che divertimento c'è, se no?» Rispose impertinente, richiudendosi la porta della camera degli ospiti alle spalle e appoggiandovisi con la schiena. Attirò Clary fra le sue braccia, affondando le dita fra i suoi capelli rossi e stringendole un fianco con l'altra, spingendola contro di sé.
«Jace,» lei cercò di resistere, facendo appello alla sua parte razionale, ma la familiare scarica elettrica le percorse la schiena, facendola rabbrividire. Le sembrava che fossero passati secoli dall'ultima volta in cui era rimasta sola con Jace e il suo vero corpo. Lo vide chinarsi su di lei, senza smettere di tenerla stretta a lui.
«Jonathan!» Esclamò Clary, senza neanche sapere perché. Jace si irrigidì, serrando la mascella in una smorfia ferita.
«Devo ricordarti che siamo tornati uno nel corpo dell'altro o hai qualche problema di memoria?» Chiese gelido.
«No. Volevo dire, sai niente di Jonathan? Alla Guardia ti hanno detto qualcosa?» Sussurrò lei, arrossendo sotto le lentiggini.
«Clary, io davvero non capisco. Rimane pur sempre un mostro, devo ricordarti le vite che ha spezzato?» Le disse, cercando di reprimere l'esasperazione nella voce. Sapeva che l'argomento Jonathan era un tasto delicato per lei.
«Perché nessuno mi vuole ascoltare? So quello che ha fatto, ma lo ha fatto solo perché era sotto l'influenza del sangue demoniaco. Ricordi anche tu, no? Il sangue brucerà la sua umanità.» Clary citò le parole di Lilith, per l'ennesima volta. «Se noi riuscissimo a trovare un modo -»
Jace la interruppe con un gesto della mano. «È proprio questo il punto, non c'è un modo. Lui rimarrà così per sempre, per cui dubito che lo lasceranno mai uscire da quella prigione.»
«Pensi mai al fatto che potresti esserci tu al suo posto? O io.» Rispose Clary con voce ruvida. «Il fatto che Valentine abbia deciso di iniettare a lui sangue di demone e a noi sangue di angelo è solo una semplice casualità. Entrambi potevamo trovarci al suo posto, e se ci fossi stato tu? Vorresti essere abbandonato da tutti, così?»
Jace sembrò riflettere attentamente sulle sue parole. «Se avessi ucciso delle persone innocenti, credo che sarebbe la punizione migliore, quella di rimanere in prigione.»
«Ma se ci fosse un modo …» riniziò Clary.
«Ho sentito tua madre, alla Guardia, che ripeteva le tue stesse parole. Sei riuscita a convincerla, alla fine.» Disse con tono amaro.
«Beh, è suo figlio. Mio fratello. Credi che se ci fosse un modo per farlo tornare buono non tenteremmo di scoprirlo?»
«Ma lui non è mai stato buono!» Sbottò Jace, lasciandola andare a percorrendo la stanza a grandi passi. «Comunque il Conclave ha emesso il suo verdetto. Rimarrà in prigione, per sempre.»
«Anche se trovassimo una cura?»
«Su quello non hanno ancora discusso. Anche perché, ammettilo, è un'ipotesi abbastanza assurda. Hai chiesto a Magnus di cercare in quel Libro Nero, ma non c'era niente neanche lì, il ricettacolo di magie demoniache più ben fornito della storia.»
Clary si appoggiò alla porta chiusa, torcendosi le mani. Aveva uno sguardo triste e amareggiato, che Jace non sopportava. Le andò accanto.
«È così importante per te?» Chiese con voce piatta. «Lui, intendo.»
Lei realizzò che sì, lo era. «È mio fratello.»
«Lo era anche mesi fa, cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Quando era nel tuo corpo, senza l'influenza del sangue demoniaco, io l'ho visto per quello che è veramente. Per quello che sarebbe potuto essere se non fosse cresciuto con Valentine e con il sangue di Lilith.» Sussurrò lei, alzando lo sguardo su Jace.
«Se è questo che vuoi, Clary, ti aiuterò a cercare un modo per …» Jace sembrò non trovare la parola adatta. «Liberarlo.» Concluse. Non stava sorridendo, anzi, non sembrava affatto felice, ma gli occhi di Clary si illuminarono. «Anche se ritengo che sia comunque una pessima idea.» Aggiunse, con voce piatta.
«Grazie,» gli sussurrò lei all'orecchio. Fece finta di lanciare un'occhiata alla sveglia sul comodino. «Abbiamo ancora venticinque minuti prima che Amatis salga a controllare. Vuoi sprecarli a fare il musone
Jace alzò la testa di scatto, incontrando gli occhi verdi di lei, che sembravano brillare alla luce del pomeriggio. «Questa è una tipica battuta da Jace. Non ti fa bene passare così tanto tempo con me, ragazza.» Parlò con voce di finto rimprovero, ma gli angoli della sua bocca si erano sollevati all'insù. Clary gli accarezzò il viso, perdendosi nei suoi occhi dorati, sfiorando con le dita le sue labbra piene e avvicinandole alle sue. Jace la tirò contrò di lui e la baciò sugli zigomi, e le sue labbra erano calde sul suo viso, facendola rabbrividire. Lei fece scivolare le mani sotto il tessuto della camicia, graffiando leggermente con le unghie la pelle sopra le sue scapole. Slittarono lungo la parete della porta, andando a sbattere contro il muro, Jace con la schiena contro di esso, mentre la riempiva di baci affamati. Clary infilò le mani fra i suoi capelli d'oro. Afferrò i bordi della giacca, spingendola giù dalle sue spalle e facendola cadere a terra. Le sue mani si fecero strada sotto la camicia, artigliando le spalle, mentre le dita scavavano nella pelle dei suoi muscoli. La baciò con forza e lei gli strinse le spalle mentre lui succhiava e mordeva il suo labbro inferiore, inviandole una scarica di piacere misto a dolore lungo tutte le terminazioni nervose. La strinse tra le braccia, facendo girare entrambi così che fu Clary ad essere intrappolata tra il suo corpo e la parete. La guardò negli occhi, il respiro accelerato, mentre passava le mani sulle sue gambe nude, arrivando fino all'orlo della vecchia camicia da notte un tempo appartenuta ad Amatis, sollevandolo e percorrendo la linea dei suoi fianchi, afferrandoli e spingendoli contro i suoi. Jace iniziò a baciarle il collo, poi la linea della clavicola, le braccia ed ogni centimetro di pelle nuda. Clary chiuse gli occhi, appoggiando la testa contro il muro e abbandonandosi completamente a quelle sensazioni, ascoltando il battito martellante del suo cuore nelle sue stesse orecchie. Solo che il suo cuore non poteva battere così forte. Infatti si accorse che i colpi che sentiva provenivano da un sonoro bussare alla porta, che li fece sobbalzare entrambi, seguito dalla voce acuta di Amatis.
«La mezz'ora è scaduta!» La sentirono gridare dal corridoio.
I due ragazzi sorrisero, trattenendo a stento le risate. «Ma allora diceva sul serio?» Sussurrò Clary, ancora senza fiato.
«Jace Herondale, esci da quella stanza, immediatamente
«Sarà meglio che vada, prima che Amatis si faccia venire una crisi di nervi.» Sorrise, dandole un piccolo bacio sulle labbra e riprendendosi la giacca che ancora giaceva a terra.
«Ah, e puoi dire al tuo amico vampiro di tornare a casa sua, per favore? Non ne posso più di vederlo girare in mutande per la nostra tenuta.» Disse Jace, alzando il mento con superbia.
Clary lo guardò scioccata, era difficile immaginarsi Simon girare in mutande per una casa non sua, con il rischio di incontrare i genitori della sua attuale fidanzata; soprattutto perché Maryse Lightwood incuteva non poco timore. «E va bene,» riprese Jace, sbuffando. «Magari non era proprio in mutande. Aveva anche i pantaloni.» Fece una breve pausa. «E la maglietta, ma, in ogni caso, non lo sopporto più. Ha così tanti capelli e la mattina li trovo tutti nel lavandino, sembra di convivere con un barboncino nano
Lei scoppiò a ridere. «Dovrai farci l'abitudine, ora che lui e Isabelle escono insieme.»
«Sai, non vedo l'ora di tornare all'Istituto. Lì i vampiri non possono entrare.» Fece un ghigno perfido.
Clary si finse scioccata e gli rifilò un piccolo schiaffo sul braccio. «Malvagio.»
«Jace!»
La voce di Amatis penetrò nella stanza, acuta e tintinnante. Jace alzò le braccia in segno di resa, abbottonandosi la giacca. «E va bene, va bene. Sto uscendo!» Sbuffò.
 
 
Jonathan giaceva supino sopra il misero letto della sua cella, alla Guardia. Non c'erano finestre, quindi non aveva idea di che ora fosse, né di quanto tempo avesse passato lì. Non riusciva a smettere di pensare a Clary e alla sua espressione disperata, quando i membri del Conclave lo avevano portato via. Tutte le sensazione che aveva provato stando con lei e nel corpo di Jace, sembravano un ricordo ormai lontano e distante. E quella parte che lui definiva come buona, era magicamente scomparsa quando era tornato in sé. Sì, perché il gesto di uccidere Valentine non era stato dettato dalla voglia di riscattarsi, o di compiere qualcosa di nobile, era stato semplicemente dettato dall'odio, come tutto nella vita di Jonathan. Valentine aveva minacciato di uccidere tutti, compresa Clary, e questo lui non poteva tollerarlo, così lo aveva ucciso e non sentiva nemmeno una punta di rimorso per ciò che aveva fatto. Vide una delle innumerevoli guardie, che lo controllavano giorno e notte, avvicinarsi con cautela alle sbarre della cella. Lo fissò con odio e disprezzo e gli ringhiò contro, senza troppi complimenti: «hai una visita.»
Jonathan rimase disteso, un braccio ciondolante al di fuori del letto, ostentando noia e superiorità, anche se il suo cuore iniziò a battere più veloce. «Credevo di non poter ricevere alcuna visita.» Disse con voce atona.
«Infatti questa è una gentile concessione del Console, e poi è un tuo familiare.» Ringhiò in risposta la guardia, prima di allontanarsi di qualche passo. Ora il cuore di Jonathan batteva furioso contro il suo sterno. Se era un familiare, allora l'unica possibilità era …
La figura alta e magra di Jocelyn si stagliò al di là delle sbarre, illuminata fiocamente dall'unica torcia di stregaluce che brillava alle sue spalle. Jonathan, tra un senso di delusione che gli attanagliava lo stomaco, rimase attonito a guardare la donna. Si era aspettato di vedere Clary. Voleva ardentemente vedere Clary.
«Ciao, Jonathan.» Disse Jocelyn, la voce tremula. Lui rimase disteso e immobile.
«Risparmiati il discorsetto che ti sei preparata. Tu mi hai abbandonato e io non ho niente da dirti.» Rispose secco, senza darle il tempo di parlare. Jonathan continuò a fissare il soffitto della cella, ma con la coda dell'occhio la vide portarsi le mani al petto.
«Mia figlia mi ha raccontato tutto quello che è successo e io, volevo dirti, che le credo. Voglio davvero trovare un modo per liberarti dal sangue di demone, avrei dovuto farlo tanto tempo fa, ma credevo fossi morto. Valentine mi ha fatto credere che foste entrambi morti, tu questo lo sai.» Vide una lacrima rotolare sulla guancia della donna.
«Risparmia anche la scusa del 'credevo fossi morto' è davvero patetica. Ehi, scusa se non ti ho mandato gli auguri di Natale quest'anno, ma sai, credevo fossi morto. Davvero patetica.» Si puntellò sul gomito, girandosi su un fianco, per poterla guardare in faccia. «Non voglio la tua pietà, non voglio niente da te. E ora vattene.» Sibilò con voce velenosa.
«Jonathan, mi dispiace tanto.» Sussurrò lei, le lacrime ora scendevano copiose.
Il ragazzo si alzò in piedi, fece qualche passo in avanti e afferrò le sbarre della cella con entrambe le mani, il viso a pochi centimetri da quello della madre. «Ho detto … vattene!» Urlò, la voce corrosa dalla rabbia. Jocelyn fece un balzo indietro, nascondendosi il viso fra le mani, mentre una guardia le cingeva le spalle con un braccio e la conduceva fuori dalle prigioni. Jonathan tornò a sedersi sul letto e si sentì ancora più vuoto di prima.
   
 
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